Capitolo 2 - Marzia
Marzia non si era
rivelata una gran chiacchierona, ma era piacevole passare del tempo con
lei,
soprattutto perché le piaceva ascoltare ed era di piacevole
compagnia. Per
chiunque. Le avevo fatto conoscere i miei amici e si era trovata bene
con
tutti, sebbene fosse timida.
E quel
giorno
dovevamo andare a mare tutti insieme. Eravamo una bella comitiva!
Le ragazze
inoltre
erano anche di più, perché Marzia aveva insistito
per portare qualcuna delle
sue amiche di paese. E così alle nostre 4 macchine piene
fino a scoppiare se ne
era aggiunta un’altra che non scherzava.
La giornata
procedeva bene, senza intoppi e in grande allegria. Io poi avevo la
solita
corte spietata e spesso Marzia mi aiutava letteralmente a scappare.
Sì… la
nostra complicità sembrava quella di un tempo. Adoravo mia
cugina! Per lei
c’erano occhi e attenzioni, ma penso più che altro
perché fosse nuova per le
abitudini dei miei amici.
E infatti
lei non
era certo una persona troppo prevedibile.
Amava poco
le
scene smielate dei film e delle improbabili ma altrettanto reali storie
d’amore
che rendevano esageratamente zuccherato ogni giorno, come ad esempio
quella tra
Annalisa e Matteo, anche se si poteva riconoscere in lei la persona
più dolce
della terra. Le piacevano invece le emozioni forti, come una corsa o
una gara o
quanto potesse far scorrere adrenalina nelle vene, ma senza esagerare.
Non la
vedevo mai cedere, anche se le situazioni sembravano disperate, ed era
sempre
pronta a correre se gli amici, se di amici si poteva parlare dopo una
settimana
scarsa che abitava lì, ne avessero avuto bisogno, e anche se
si fosse trattato
mai di qualcuno che non conosceva completamente. Le bastava sapere che
era un
mio amico. Come quando per esempio eravamo andati tutti insieme alla
fiera di
San Marco in un paese lì vicino e Lia era scoppiata in
lacrime alla vista di un
pupazzo che le ricordava il suo migliore amico partito da poco, e mia
cugina si
era offerta di starle accanto mentre noi altri potevamo provare le
giostre da
paura o i dolci giganti che si attaccavano ai denti e non si scollavano
più. Tutte
cose che, mentre eravamo ancora in macchina, aveva confessato
entusiasta avrebbe
voluto fare lei non appena arrivata alla fiera. E, sebbene si vedesse
nei suoi
occhi che quella situazione non era proprio quello che aveva sperato
per quella
giornata di svago, era stata irremovibile e non aveva ammesso
battibecchi e
compagnia vari. E io sapevo quanto non le piacesse stare ad ascoltare
piagnucolii simili, solo per la lontananza di un amico. E
dall’esterno poi
sembrava una ragazza che amasse parlare frivolamente in qualsiasi
circostanza,
anche se la sorprendevi da sola, pensierosa, assorta a guardare una
foto,
eppure lei metteva serietà in quasi tutti i discorsi che
pronunciava. Dunque
l’unica cosa però che potevi dire con certezza di
mia cugina era che lei fosse
imprevedibile e niente ti poteva sorprendere di più delle
sue contraddittorietà
e della sua fermezza su quanto ciò che faceva non era per
niente
contraddittorio.
Spesso mi
accorgevo che la osservavo da lontano, sorprendevo me stesso a farlo,
magari
per capire cosa pensava, e non capivo perché lo facevo di
nascosto.
Una volta di
quelle in cui la spiavo attraverso una persiana abbassata, la guardavo
mentre
ascoltava musica dal suo mp3 seduta sugli scalini di casa mia. A un
certo punto
si era messa a guardare attorno, per vedere se era sola e non
c’era nessuno per
strada. Mi ritirai dalla finestra, ma subito mi riavvicinai e sbirciai
di nuovo
perché mi ricordai che ero invisibile per lei in quel
momento dietro la
persiana, e la sorpresi a piangere. Incredibile! Stava piangendo!
Cosa era
successo?
Sicuramente una canzone che le ricordava la città, che le
facesse sentire la
mancanza di qualcosa, di qualcuno…
E poi
perché ero
tanto sorpreso che piangesse? Tutti piangono!
E mentre
pensavo a
cosa potesse turbarla in quel momento di calma apparente, proprio
quando i
rapporti con la sua famiglia erano migliorati e quelli con i miei
amici, ormai
diventati anche suoi, erano consolidati e divenuti davvero ottimi, si
asciugò
le lacrime e prese le sembianze allegre di sempre. I suoi occhi
però sembravano
ancora malinconici. E capii che li asciugò così
in fretta perché stava passando
Gandolfo di là. Un saluto, un sorriso ed ecco che Gandolfo
era sparito dietro
la curva e lei aveva preso la sua testa fra le mani e aveva spento
l’mp3 per
alzarsi ed entrare in casa. E
quando
rientrò non mi resi conto che ero ancora attaccato alla
persiana, lei mi fissò
sbalordita, provò a parlare e poi corse in camera sua
lasciandomi con uno
‘scusa’ incomprensibile. Era stato tremendo vederla
piangere, soprattutto
perché non l’avevo mai vista farlo, e neanche
improvvisamente e senza sapere il
perché come in quel momento. E anche se a casa era la
più piagata, non si mostrava
mai più che arrabbiata e tutti i suoi sforzi erano tesi a
non piangere. Non
davanti agli altri, almeno penso.
E questa
volta che
eravamo insieme a mare, con tanti amici da riempire una piscina
comunale,
perché lei aveva attaccato bottone con diversi vicini di
ombrellone e aveva
fatto presto amicizia con tanti altri ragazzi in spiaggia in tempo
record, non
potevo permettere che qualcosa andasse storto e che lei si offrisse di
riparare
i cocci, qualora ce ne fossero stati da riparare, perché
aveva bisogno di
divertirsi. Lia sembrava sul bordo della solita crisi, così
mi avvicinai e
provai a parlarle. Non avevo sicuramente lo stesso tatto di mia cugina
e la
risposta che ne ottenni fu un ‘grazie’ debole e un
pianto improvviso, quasi
isterico, da cui allontanai Marzia non appena si accorse di lei. Non
riuscii
però a trattenerla a lungo che, subito dopo essersi liberata
della mia presa,
era partita in direzione di Lia. Quando riuscì a calmarla
era allegra come al
solito, come lo era stata anche durante la conversazione con quella
rovina-feste e come lo era anche prima. Sembrava che niente e nessuno
le avesse
rovinato la giornata e aveva così invitato la sua amica a
unirsi a lei per una
nuotata. Molti che avevano assistito alla patetica scena si erano uniti
a loro
entusiasti e ora in acqua sembrava che si agitasse una massa scomposta
e
abnorme per i miei semplici occhi. Ma come faceva? Io ero riuscito ad
irritarmi
dopo aver parlato con Lia e avevo rifiutato sgarbatamente un paio di
inviti a
giocare a beach volley! Che mia cugina fosse una santa? Un angelo
caduto dal
cielo? Dai! Adesso stavo esagerando. Anche lei era debole. E io lo
sapevo. Quando
tornò sulla spiaggia le porsi l’asciugamano per
coprirsi e la presi da parte.
Le volevo parlare! Sì… ma di che?
“C’è
qualche
problema?” mi disse guardandomi in viso mentre si asciugava i
capelli.
“No!
Ehm… nono…
non penso”
Mi
guardò
perplessa: “e perché allora mi hai preso da
parte?”
In effetti
la
tenevo ancora per un braccio.
“Allora?”
mi
incalzava.
“Non
voglio… ehm…
non vorrei che ti ehm… rovinassi la giornata, ecco”
“Rovinarmi
la
giornata? E come?” ridacchiò, “guarda
quanti siamo! Sono tutti simpaticissimi e
così calorosi… come potrei rovinarmi la
giornata?”
Mi sorrideva.
“Bè…
Lia è un
po’…”
“Lia?”
alzò un
sopracciglio.
“Sì…
Lia!”
“E
perché Lia
dovrebbe rovinarmi la giornata?”
“Perché
lei la
rovina sempre a tutti e tu sei triste…”
“Triste??
Dici sul
serio? Guardami!”
In effetti
sprizzava felicità da tutti i pori tranne che da
due… i suoi occhi erano un po’
lontani, spenti, e non sembrava che avessero lo stesso grado di
felicità del
resto della sua persona.
“Sì
che dico sul
serio! E tu non sei felice!”
“Eh??
Questa
battuta me la segno!” ridacchiò un po’
nervosa.
“Vedi?”
“Ma
vedi
cosa? O
sei ubriaco o sei cieco! Fatti una bella nuotata cugino.
L’acqua è bellissima
oggi”
La guardai
sbalordito e confuso e anche un po’ arrabbiato. Ma che potevo
fare? Magari era
vero che non fosse triste ma tutto il contrario. Lo speravo per lei! E
poi io
che potevo sapere? La conoscevo da poco potevo dire, perché
non ero cresciuto
insieme a lei e non l’avevo vista per parecchio tempo tanto
da non riconoscerla
quando l’avevo rivista.
Sorrisi
incerto e
la lasciai andare. Lei corse in mezzo agli altri e posò di
corsa l’asciugamano
per buttarsi di nuovo in acqua. Qualcuno aveva provato a raggiungerla,
ma lei
era scappata da una parte e poi dall’altra. Poi si era
immersa nell’acqua per
un po’, riaffiorando a intervalli regolari. Era evidente che
volesse stare da
sola. Durante tutto il resto della giornata cercai di non parlarle,
solo il
necessario. E lei non sembrò tanto irritata da questa
situazione. Anzi!
Sembrava piuttosto tranquilla. Quando finalmente fummo a casa mia,
sfiniti ci
lasciammo andare all’unisono sul divano del salotto, ancora
pieni di salsedine.
“La
mamma ci
sgriderà” sussurrai quasi senza forze.
“Allora
alziamoci!” disse con voce poco più convinta, ma,
appena fu sul punto di
alzarsi, la bloccai.
“Non
ci fa
niente
per una volta”
“No.
Non
è giusto.
Alziamoci”
“E
siediti!” dissi
energico mentre lei tentava di nuovo di alzarsi.
Cedette e
sprofondò con la testa nello schienale.
Ma riprese:
“Dobbiamo alzarci. Che ci vuole? Basta che arriviamo sopra,
in camera e non ci
può sgridare più. Non avrebbe niente di cui
lamentarsi no?”
“No…
ma si lamenterebbe
lo stesso perché siamo pieni di sale e ci stiamo rilassando
adesso mentre
dovremmo fare una doccia prima”
“E
andiamo a
fare
la doccia allora!” arrossì.
“Cioè… ognuno con il suo
turno… ma almeno non può
arrabbiarsi. Vai prima tu… io perdo tempo sotto
l’acqua… aspetto in corridoio”
Annuii, ma
non
mossi un muscolo.
“Vuoi
che
vada
prima io?”
“No…
vado io”
dissi chiudendo gli occhi. Sentivo che mi stava osservando.
“E
perché non
vai?” disse con perplessità.
“Adesso
non
mi
va…”
“Allora
vado
prima
io”
Aprii gli
occhi.
“No!”, la fermai per un braccio e mi alzai. Lei mi
seguì e si sedette su una
panca in corridoio mentre io entravo in bagno.
Quando finii
e
uscii dal bagno, lei entrò quasi di corsa trascinando i
piedi.
Entrai nella
mia
camera e mi buttai sul letto, senza neanche mettere una magliettina, e
mi
addormentai.