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Autore: gendarmiaNY    16/09/2008    0 recensioni
Un ragazzo di campagna non ricorda di avere una cugina che da piccolo le è stata molto cara. Lei abita in città e per questo non si incontrano per moltissimo tempo. Quando la rincontra da grande riscopre l'unicità della sua compagnia e le si affeziona anche più di prima, ma scopre che lei, pur mostrandosi la ragazza più spensierata e felice della terra, mente a se stessa e si fa del male...
Genere: Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 - Marzia

Marzia non si era rivelata una gran chiacchierona, ma era piacevole passare del tempo con lei, soprattutto perché le piaceva ascoltare ed era di piacevole compagnia. Per chiunque. Le avevo fatto conoscere i miei amici e si era trovata bene con tutti, sebbene fosse timida.
E quel giorno dovevamo andare a mare tutti insieme. Eravamo una bella comitiva!
Le ragazze inoltre erano anche di più, perché Marzia aveva insistito per portare qualcuna delle sue amiche di paese. E così alle nostre 4 macchine piene fino a scoppiare se ne era aggiunta un’altra che non scherzava.
La giornata procedeva bene, senza intoppi e in grande allegria. Io poi avevo la solita corte spietata e spesso Marzia mi aiutava letteralmente a scappare. Sì… la nostra complicità sembrava quella di un tempo. Adoravo mia cugina! Per lei c’erano occhi e attenzioni, ma penso più che altro perché fosse nuova per le abitudini dei miei amici.
E infatti lei non era certo una persona troppo prevedibile.
Amava poco le scene smielate dei film e delle improbabili ma altrettanto reali storie d’amore che rendevano esageratamente zuccherato ogni giorno, come ad esempio quella tra Annalisa e Matteo, anche se si poteva riconoscere in lei la persona più dolce della terra. Le piacevano invece le emozioni forti, come una corsa o una gara o quanto potesse far scorrere adrenalina nelle vene, ma senza esagerare. Non la vedevo mai cedere, anche se le situazioni sembravano disperate, ed era sempre pronta a correre se gli amici, se di amici si poteva parlare dopo una settimana scarsa che abitava lì, ne avessero avuto bisogno, e anche se si fosse trattato mai di qualcuno che non conosceva completamente. Le bastava sapere che era un mio amico. Come quando per esempio eravamo andati tutti insieme alla fiera di San Marco in un paese lì vicino e Lia era scoppiata in lacrime alla vista di un pupazzo che le ricordava il suo migliore amico partito da poco, e mia cugina si era offerta di starle accanto mentre noi altri potevamo provare le giostre da paura o i dolci giganti che si attaccavano ai denti e non si scollavano più. Tutte cose che, mentre eravamo ancora in macchina, aveva confessato entusiasta avrebbe voluto fare lei non appena arrivata alla fiera. E, sebbene si vedesse nei suoi occhi che quella situazione non era proprio quello che aveva sperato per quella giornata di svago, era stata irremovibile e non aveva ammesso battibecchi e compagnia vari. E io sapevo quanto non le piacesse stare ad ascoltare piagnucolii simili, solo per la lontananza di un amico. E dall’esterno poi sembrava una ragazza che amasse parlare frivolamente in qualsiasi circostanza, anche se la sorprendevi da sola, pensierosa, assorta a guardare una foto, eppure lei metteva serietà in quasi tutti i discorsi che pronunciava. Dunque l’unica cosa però che potevi dire con certezza di mia cugina era che lei fosse imprevedibile e niente ti poteva sorprendere di più delle sue contraddittorietà e della sua fermezza su quanto ciò che faceva non era per niente contraddittorio.
Spesso mi accorgevo che la osservavo da lontano, sorprendevo me stesso a farlo, magari per capire cosa pensava, e non capivo perché lo facevo di nascosto.
Una volta di quelle in cui la spiavo attraverso una persiana abbassata, la guardavo mentre ascoltava musica dal suo mp3 seduta sugli scalini di casa mia. A un certo punto si era messa a guardare attorno, per vedere se era sola e non c’era nessuno per strada. Mi ritirai dalla finestra, ma subito mi riavvicinai e sbirciai di nuovo perché mi ricordai che ero invisibile per lei in quel momento dietro la persiana, e la sorpresi a piangere. Incredibile! Stava piangendo!
Cosa era successo? Sicuramente una canzone che le ricordava la città, che le facesse sentire la mancanza di qualcosa, di qualcuno…
E poi perché ero tanto sorpreso che piangesse? Tutti piangono!
E mentre pensavo a cosa potesse turbarla in quel momento di calma apparente, proprio quando i rapporti con la sua famiglia erano migliorati e quelli con i miei amici, ormai diventati anche suoi, erano consolidati e divenuti davvero ottimi, si asciugò le lacrime e prese le sembianze allegre di sempre. I suoi occhi però sembravano ancora malinconici. E capii che li asciugò così in fretta perché stava passando Gandolfo di là. Un saluto, un sorriso ed ecco che Gandolfo era sparito dietro la curva e lei aveva preso la sua testa fra le mani e aveva spento l’mp3 per alzarsi ed entrare in casa. E quando rientrò non mi resi conto che ero ancora attaccato alla persiana, lei mi fissò sbalordita, provò a parlare e poi corse in camera sua lasciandomi con uno ‘scusa’ incomprensibile. Era stato tremendo vederla piangere, soprattutto perché non l’avevo mai vista farlo, e neanche improvvisamente e senza sapere il perché come in quel momento. E anche se a casa era la più piagata, non si mostrava mai più che arrabbiata e tutti i suoi sforzi erano tesi a non piangere. Non davanti agli altri, almeno penso.
E questa volta che eravamo insieme a mare, con tanti amici da riempire una piscina comunale, perché lei aveva attaccato bottone con diversi vicini di ombrellone e aveva fatto presto amicizia con tanti altri ragazzi in spiaggia in tempo record, non potevo permettere che qualcosa andasse storto e che lei si offrisse di riparare i cocci, qualora ce ne fossero stati da riparare, perché aveva bisogno di divertirsi. Lia sembrava sul bordo della solita crisi, così mi avvicinai e provai a parlarle. Non avevo sicuramente lo stesso tatto di mia cugina e la risposta che ne ottenni fu un ‘grazie’ debole e un pianto improvviso, quasi isterico, da cui allontanai Marzia non appena si accorse di lei. Non riuscii però a trattenerla a lungo che, subito dopo essersi liberata della mia presa, era partita in direzione di Lia. Quando riuscì a calmarla era allegra come al solito, come lo era stata anche durante la conversazione con quella rovina-feste e come lo era anche prima. Sembrava che niente e nessuno le avesse rovinato la giornata e aveva così invitato la sua amica a unirsi a lei per una nuotata. Molti che avevano assistito alla patetica scena si erano uniti a loro entusiasti e ora in acqua sembrava che si agitasse una massa scomposta e abnorme per i miei semplici occhi. Ma come faceva? Io ero riuscito ad irritarmi dopo aver parlato con Lia e avevo rifiutato sgarbatamente un paio di inviti a giocare a beach volley! Che mia cugina fosse una santa? Un angelo caduto dal cielo? Dai! Adesso stavo esagerando. Anche lei era debole. E io lo sapevo. Quando tornò sulla spiaggia le porsi l’asciugamano per coprirsi e la presi da parte. Le volevo parlare! Sì… ma di che?
“C’è qualche problema?” mi disse guardandomi in viso mentre si asciugava i capelli.
“No! Ehm… nono… non penso”
Mi guardò perplessa: “e perché allora mi hai preso da parte?”
In effetti la tenevo ancora per un braccio.
“Allora?” mi incalzava.
“Non voglio… ehm… non vorrei che ti ehm… rovinassi la giornata, ecco”
“Rovinarmi la giornata? E come?” ridacchiò, “guarda quanti siamo! Sono tutti simpaticissimi e così calorosi… come potrei rovinarmi la giornata?”
Mi sorrideva.
“Bè… Lia è un po’…”
“Lia?” alzò un sopracciglio.
“Sì… Lia!”
“E perché Lia dovrebbe rovinarmi la giornata?”
“Perché lei la rovina sempre a tutti e tu sei triste…”
“Triste?? Dici sul serio? Guardami!”
In effetti sprizzava felicità da tutti i pori tranne che da due… i suoi occhi erano un po’ lontani, spenti, e non sembrava che avessero lo stesso grado di felicità del resto della sua persona.
“Sì che dico sul serio! E tu non sei felice!”
“Eh?? Questa battuta me la segno!” ridacchiò un po’ nervosa.
“Vedi?”
“Ma vedi cosa? O sei ubriaco o sei cieco! Fatti una bella nuotata cugino. L’acqua è bellissima oggi”
La guardai sbalordito e confuso e anche un po’ arrabbiato. Ma che potevo fare? Magari era vero che non fosse triste ma tutto il contrario. Lo speravo per lei! E poi io che potevo sapere? La conoscevo da poco potevo dire, perché non ero cresciuto insieme a lei e non l’avevo vista per parecchio tempo tanto da non riconoscerla quando l’avevo rivista.
Sorrisi incerto e la lasciai andare. Lei corse in mezzo agli altri e posò di corsa l’asciugamano per buttarsi di nuovo in acqua. Qualcuno aveva provato a raggiungerla, ma lei era scappata da una parte e poi dall’altra. Poi si era immersa nell’acqua per un po’, riaffiorando a intervalli regolari. Era evidente che volesse stare da sola. Durante tutto il resto della giornata cercai di non parlarle, solo il necessario. E lei non sembrò tanto irritata da questa situazione. Anzi! Sembrava piuttosto tranquilla. Quando finalmente fummo a casa mia, sfiniti ci lasciammo andare all’unisono sul divano del salotto, ancora pieni di salsedine.
“La mamma ci sgriderà” sussurrai quasi senza forze.
“Allora alziamoci!” disse con voce poco più convinta, ma, appena fu sul punto di alzarsi, la bloccai.
“Non ci fa niente per una volta”
“No. Non è giusto. Alziamoci”
“E siediti!” dissi energico mentre lei tentava di nuovo di alzarsi.
Cedette e sprofondò con la testa nello schienale.
Ma riprese: “Dobbiamo alzarci. Che ci vuole? Basta che arriviamo sopra, in camera e non ci può sgridare più. Non avrebbe niente di cui lamentarsi no?”
“No… ma si lamenterebbe lo stesso perché siamo pieni di sale e ci stiamo rilassando adesso mentre dovremmo fare una doccia prima”
“E andiamo a fare la doccia allora!” arrossì. “Cioè… ognuno con il suo turno… ma almeno non può arrabbiarsi. Vai prima tu… io perdo tempo sotto l’acqua… aspetto in corridoio”
Annuii, ma non mossi un muscolo.
“Vuoi che vada prima io?”
“No… vado io” dissi chiudendo gli occhi. Sentivo che mi stava osservando.
“E perché non vai?” disse con perplessità.
“Adesso non mi va…”
“Allora vado prima io”
Aprii gli occhi. “No!”, la fermai per un braccio e mi alzai. Lei mi seguì e si sedette su una panca in corridoio mentre io entravo in bagno.
Quando finii e uscii dal bagno, lei entrò quasi di corsa trascinando i piedi.
Entrai nella mia camera e mi buttai sul letto, senza neanche mettere una magliettina, e mi addormentai.

   
 
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