Capitolo 1 –
Nuovo arrivo in paese
“Di
certo
sarà una
di quelle snob con il naso all’insù, che odiano i
posti di campagna e colgono
sempre l’occasione e il modo per lodare la città
da cui vengono”.
Imbronciato,
incrociai
un cartello che indicava una stazione di servizio a qualche chilometro.
“Bà…
Già mi sta
sulle palle!” pensai mentre rallentavo ed entravo nella
stazione di servizio.
Mi fermai a
fare
rifornimento, pagai e poi posteggiai davanti l’Autogrill per
entrare e prendere
qualcosa. Viaggiare in macchina da soli è sempre un
po’ seccante e, anche se
c’è la musica che ti fa compagnia, il viaggio
procede anonimo e desolante.
L’unica soddisfazione che hai è che puoi mettere
la musica che vuoi e a volume
sufficiente a farti sanguinare le orecchie.
Entrai
nell’Autogrill
e mi inserii nella fila alla cassa. Prima di me c’erano
diversi camionisti e più
indietro, proprio davanti a me, una ragazzina. Bassina e un
po’ pienotta,
ciondolava prima su un piede e poi sull’altro mentre guardava
il tabellone dei
menù. Aveva morbidi capelli bruni, lunghi e ben scalati. Mi
veniva quasi voglia
di toccarli per vedere se tutta quella morbidezza fosse naturale o
effetto di
qualche lacca.
Quando fu il
suo
turno scelse rapida coca cola e rustichella. Gusti semplici e
stupidi… niente
di particolare.
Pagò
e,
voltandosi, mi rovesciò la coca cola addosso.
“Cazzo!”
gridai
con forza in faccia alla ragazzina.
“Oddio
scusa!” mi
disse con occhi sinceramente dispiaciuti. Occhi neri profondi.
Aveva una
voce per
niente stridula. Anzi! Calda e bassa, anche se al momento era alterata
per via
della situazione.
Prese dei
tovaglioli dal bancone e mi pulì la camicia.
“No!”
dissi ancora
arrabbiato ma con tono calmo, “non fa niente”.
Si
arrestò
e mi
guardo di nuovo dispiaciuta, buttò i tovaglioli usati e mi
chiese ancora scusa.
Prese la sua rustichella e un nuovo bicchiere di coca cola offertole
dal
cassiere e uscì di corsa dall’Autogrill.
Sospirai e
presi
altri tovaglioli, strofinandoli sulla camicia mentre ordinavo il mio
menù.
Ritirai e uscii senza combinare danni.
Mentre
tornavo
alla macchina vidi che la ragazza era a pochi passi dalla mia macchina,
poggiata con il sedere al cofano di un’altra auto,
probabilmente la sua, e
stava addentando senza troppa voglia il suo panino.
Mi vide e
arrossì
violentemente voltandosi a prendere la carta che prima avvolgeva il
panino e la
coca per infilarsi in macchina. Accese il motore e partì a
tutta birra,
entrando di corsa in autostrada.
La guardai
allontanarsi, scuotendo la testa, ed entrai in macchina.
Il viaggio
procedette senza intoppi, con un
panino piccante, birra e musica spaccatimpani.
Quando
rientrai in
paese c’era fermento. Probabilmente la nuova ragazza, la
cittadina confinata
contro la sua volontà a un’estate di puro relax
rustico, lontana dai servizi e
dallo ‘shopping selvaggio’ che offriva la
città, attesa con impazienza da tutte
le anziane che ciarlavano puntualmente ogni pomeriggio sulle soglie
delle case
e dalle ragazzine, proprio detta ragazza dunque era arrivata in paese.
Non mi
andava
proprio di vederla né di scoprire cose raccapriccianti sui
suoi piedi, come si
era saputo di Marco Santarella appena arrivato in questo posto,
perciò entrai
in casa e mi chiusi lì fino a nuova
giornata.
Il giorno
dopo non
tardai molto a svegliarmi, ma me la presi lo stesso comoda. Non dovevo
andare a
lavoro né a scuola. Era sabato! Potevo godermi la giornata.
Così scesi di sotto
a prepararmi la colazione.
“
‘Giorno” dissi
sbadigliando a mia madre che era sveglia già da un pezzo.
Non rispose;
probabilmente aveva di nuovo le cuffie dell’mp3 e non si era
accorta di me
mentre preparava un suo progetto per l’università.
Feci
colazione, mi
vestii e uscii, lasciando mia madre ancora davanti al suo progetto.
Che fare?
Non
c’era la spesa da fare e non mi andava di stare con Gustav e
Lillo. Magari
avrei potuto fare un giro in auto! Perché no?
Entrai,
accesi,
partii.
Il paese era
molto
sveglio! Le strade pullulavano di gente a piedi, soprattutto nel lato
ovest, in
cui quella giornata c’era mercato.
No…
non mi
andava
di vedere nessuno!
Svoltai un
paio di
volte a destra e mi ritrovai nella parte sud. Come avevo previsto, non
c’era
nessuno da quelle parti e potevo camminare tranquillamente a marcia
indietro o
salire sui marciapiedi… giusto qualcosa per passare il
tempo!
“Arcangeloooo”
mi
sentii chiamare, “Arcangeloooo! Fermati! Un attimo per
favore!”
Mi voltai e
vidi
la nonna di Concetta scendere le scale dell’ingresso di casa
sua.
“Buon
giorno
signora Concetta!” dissi fermando l’auto proprio
sotto le scale.
In paese era
uso
chiamare i nipoti con i nomi dei nonni quindi non c’era da
stupirsi se grosse
famiglie avessero orde di discendenti che si chiamassero tutti allo
stesso modo.
“Arcangelo,
hai
visto Concetta mia? Oggi è uscita dicendo che doveva
incontrare Marzia…”
“Marzia?”
chiesi
un po’ confuso.
“Si,
Marzia.
La
nuova arrivata. La ragazza che è arrivata ieri sera. Lo sai
chi è!”
“No,
mi
dispiace.
Non so chi sia” dissi sincero aggrottando le sopracciglia.
“Come
no?
Cugina
tua è! Oggi da te doveva venire!”
Situazione
irritante dei paesi era sempre stata che tutti sapevano gli affari di
tutti e i
minimi spostamenti venivano registrati regolarmente come
all’anagrafe.
“Andrò
a vedere…
se deve venire da me e Concetta dice che è andata con lei
penso verranno tutte
e due a casa mia no? Guardi… vado subito. E se Concetta
è lì glielo faccio
sapere”
Non ci
sarebbe
stato bisogno di telefonata… bastava che dicessi al mio
vicino Ignazio che
Concetta era dove aveva detto di essere e lui l’avrebbe fatto
sapere a mezzo
mondo.
Riaccesi il
motore
e andai.
E che palle!
Meno
avevo voglia di vedere gente più ne dovevo cercare. E
poi… quella Marzia era
mia cugina? Bà… peggio ancora!
Arrivai
davanti casa.
In effetti c’erano delle ragazze sulla soglia, ma non erano
certo due!
“E
che
c’è qui? La
festa di Sant’Antonio?” dissi ridacchiando irritato
davanti a tutta quella
moltitudine di ragazze.
“Arcangelo!”
gridarono tra risolini alcune di loro.
Sorrisi e
ammiccai
a un paio di loro e cercai tra le tante teste quella di Concetta.
“Perdonatemi
dame,
cercavo Concetta” dissi a quelle che stavano sulla destra.
Quelle si voltarono
verso l’interno e incominciarono a chiamare
‘Concetta’.
Una ragazza
dai
capelli biondi e ricci sbucò tra loro, rossa ed
evidentemente sorpresa:
“Cercavi me?”
“Sì…”
dissi mentre
lei arrossiva di più, “tua nonna si chiedeva dove
fossi finita e mi ha mandato
a cercarti”.
Improvvisamente
diventò rosso peperone e sul suo volto apparve delusione
forse, o ingratitudine
o non so che. Si sedette in silenzio fra le risatine delle altre.
Risi.
“Non
te la
prendere... sai come sono le nonne!”
Risi di
nuovo.
Ma se
Concetta era
lì, allora anche quella presunta mia cugina doveva essere
lì con lei.
“Dunque
dunque…”
mi schiarii la voce, incerto, “Marzia?”
La chiamai
sperando che… esattamente non so cosa speravo. Magari che
nessuno rispondesse e
che quindi Marzia fosse solo uno scherzo architettato dagli abitanti
del buco,
ehm… del paese! Oppure che rispondesse una bella stangona
bionda, cretina come
una gallina, ma bella da guardare (e da spiare muahahah).
Una ragazza
non
troppo bassa e rotondetta si alzò. Aveva un
nonsochè di familiare.
Non sapevo
che
dire mentre la studiavo per capire dove l’avevo vista
già.
Fu lei a
parlare
per prima per fortuna: “Hey
Kakà…”
Sì!
Ricordavo!
C’era una bambina nella mia infanzia che mi chiamava in quel
modo. E lei doveva
essere quella bambina, anche perché solo lei mi chiamava in
quel modo.
“Marziana!”
dissi
entusiasta, ricordando improvvisamente il soprannome che le avevo dato
da
piccolo. Le andai incontro e l’abbracciai.
“Mi
sei
mancato
cugino!” disse con voce dolce e sicura.
“Anche
tu!” dissi
io. Potevo sembrare un po’ contraddittorio, ma soltanto
perché prima non ricordavo
chi fosse.
Ed era vero
che mi
fosse mancata. E tanto! Anche perché lei era la mia compagna
di giochi da
sempre ed ero sempre andato d’accordo con lei. Non litigavamo
quasi mai.
Soltanto una volta mi ricordo… ci stavamo prendendo a pugni
e morsi e ci
tiravamo i capelli, sembrava un incontro di wrestling! E neanche le
nostre
mamme erano riuscite a dividerci. E fu lei invece a dividerci, proprio
lei.
Che persona
fantastica che era da piccola!
Chissà
però
com’era cambiata. Chissà se era ancora la mia
Marziana.
La strinsi
forte e
le diedi un bacio sulla testa, senza badare ai capelli.
Tutte le
ragazze
lì presenti ci guardarono allibite, sorprese. Come dare loro
torto? Ero un tipo
difficile io! Neanche alle mie ragazze riservavo da subito un
atteggiamento così.
E
già!
Capivo in
quel momento perché Marzia attraesse tanto la gente e i
commenti di quel posto.
Era speciale davvero.
Mi staccai e
la
guardai in viso.
Non era
cambiata
molto. Semplicemente più matura e più cresciuta e
con lineamenti più femminili
di quelli che aveva da bambina.
Portava i
capelli
poco più lunghi rispetto alle spalle, mossi e che
incorniciavano dolcemente il
viso con un taglio scalato e un ciuffo a mò di frangetta.
I suoi occhi
erano
castano chiaro e resi intensi da lunghe e folte ciglia nere.
La bocca era
carnosa e bella rosea.
L’unica
cosa
che
stonava, cioè che non ricordavo avesse, erano le lentiggini
marroncine, sebbene
lei fosse castana e la sua pelle non fosse dello stesso rosa pallido
delle
rosse naturali.
“Come
stai?
Che cosa
combinato senza di me in tutto questo tempo?” mi chiese
mentre le mettevo un
braccio attorno alle spalle e la invitavo a entrare a casa mia, senza
badare a
tutte le altre che ci seguivano curiose e, forse un po’,
gelose.
“Niente
di
particolare. Solita vita qui in paese… si mangia, si beve,
si dorme, si va a
scuola, si muore…” sorrisi, “e
tu?”
“La
città è grande
lo sai… nonostante questo niente di niente. Come se non lo
fosse affatto.
Preferisco di gran lunga i paesi come Castellana…”
“Scherzi
vero?”
“Affatto!”
La guardai
interessato. Magari a capire perché le piaceva quel posto
che io non potevo
soffrire.
“La
gente
qui è
più calorosa…” continuò,
“non ti fa sentire un’esclusa e, se hai bisogno,
non
ti fa mancare nulla. In città potresti morire! Tanto nessuno
viene a salvarti…”
disse divertita ma con un filo di serietà negli occhi.
“Così
tu
preferisci un posto dove manca l’aria e non puoi fare un
passo senza che lo
sappia mezzo paese?” chiesi incredulo, anche se mantenevo un
certo sorriso.
“Non
è poi così male
se sei in pericolo di morte!” disse e questa volta
scoppiò in una risata
sonora.
Le ragazze,
che ci
avevano seguito e si erano intrufolate a casa mia sghignazzando e
guardandosi
intorno, risero con lei.
“Eh?”
dissi io
dubbioso.
“Scherzavo!”
“Ah…
ok…”
Lei rise
ancora
più forte e con lei anche le pecore delle mie concittadine.
Sembrava che la
casa tremasse!
Mi grattai
la
testa un po’ intontito e la invitai a sedersi al tavolo della
cucina offrendole
da bere e, purtroppo, offrendolo anche alle altre.
Quando
ciascuno
ebbe finito il proprio bicchiere, che poteva essere succo di frutta
alla pesca,
alla pera, all’albicocca, aranciata, limonata o semplice
acqua, invitai le
altre ‘dame’ ad accomodarsi fuori di casa per
rimanere a chiacchierare del più
e del meno con la cugina che non vedevo da tanto.
Tutte, a
malincuore, fecero come chiesi e andarono in piazza a raccontare a chi
capitava
il ritorno a casa di Marzia.
“E
così… sei
tornata!” dissi entusiasta, tornando in cucina e sfregandomi
lentamente le
mani.
“Già…”
disse
sorridendo e sparendo dietro il suo bicchiere di succo di frutta.
“Dove
dormi?
Voglio dire… quando sei andata via con tua madre avete
venduto casa no?”
“Sì…
adesso però
sto dalla nonna. La famiglia si è ingrandita e sto un
po’ stretta, ma, per fortuna
per lei, non sto molto a casa così non le do impaccio. Ha
così tanti bambini di
cui prendersi cura! Ci manchiamo solo noi e in casa non ci entra niente
e
nessuno!” disse divertita alzando di nuovo il gomito.
“Non
ricordavo che
la nonna fosse così impegnata…” dissi
io passando una mano tra i capelli,
imbarazzato.
“Sì!
Dove vivi
Kakà?” ridacchiò, “con 4
figli e altrettanti nipoti per ognuno non pensare che
sia una passeggiata! Penso abbia bisogno di una mano ogni
tanto… tu? Perché non
ci vai?”
“Come
fai a
sapere
che non ci vado?”
“Secondo
te?
Me
l’ha detto la nonna”
“Ah…”
fu il
massimo che riuscii a dire.
Non mi
andava di
andare dalla nonna, soprattutto da quando lei e mio padre avevano
litigato e la
mamma si era schierata con lui.
“Fa
niente… magari
un giorno…”
“Magari
mai!”
“E
dai
Kakà! Non
puoi dire sul serio!”
La guardai
serio.
Lei, in cambio, mi guardò con espressione indecifrabile.
Poi
guardò
il suo
bicchiere e riprese a parlare.
“Come
va a
scuola?”
“Oh
noiosa
come
sempre”
Ridacchiò.
“Ah!
Ehm… bene
bene… tu?”
“Mah…
quest’anno
ho rischiato di essere bocciata”
“Sul
serio?”
Si
limitò
ad
annuire mentre beveva l’ennesimo bicchiere di succo.
“E
perché?”
“Niente
testa!”
Aspettai che
continuasse.
“È
stato un anno
difficile e ci sono stati problemi… tra me e
papà, me e i compagni, me e i
prof… sai com’è…”
“Eppure
non
è
tutto qui, vero?”
Mi
scrutò,
poi
riprese.
“Non
so cosa
mi
sia preso… a settembre degli amici mi avevano chiesto di
fondare una band e io
dovevo fare la cantante, ma poi non abbiamo fatto
nulla…”
“Ah…
capisco…”
Scosse la
testa e
vuotò il bicchiere.
“Ti
va di
fare un
giro?” proposi mentre lei buttava il bicchiere nella
spazzatura.
“Ok”
disse
entusiasta e sollevata. Non aveva molta voglia di parlare di
scuola… o almeno
della sua.
Presi le
chiavi e
uscimmo di casa.