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Autore: gendarmiaNY    09/07/2008    1 recensioni
Un ragazzo di campagna non ricorda di avere una cugina che da piccolo le è stata molto cara. Lei abita in città e per questo non si incontrano per moltissimo tempo. Quando la rincontra da grande riscopre l'unicità della sua compagnia e le si affeziona anche più di prima, ma scopre che lei, pur mostrandosi la ragazza più spensierata e felice della terra, mente a se stessa e si fa del male...
Genere: Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 – Nuovo arrivo in paese

“Non capisco cosa abbia di tanto speciale questa ragazza” pensavo mentre guidavo in autostrada.
“Di certo sarà una di quelle snob con il naso all’insù, che odiano i posti di campagna e colgono sempre l’occasione e il modo per lodare la città da cui vengono”.
Imbronciato, incrociai un cartello che indicava una stazione di servizio a qualche chilometro.
“Bà… Già mi sta sulle palle!” pensai mentre rallentavo ed entravo nella stazione di servizio.
Mi fermai a fare rifornimento, pagai e poi posteggiai davanti l’Autogrill per entrare e prendere qualcosa. Viaggiare in macchina da soli è sempre un po’ seccante e, anche se c’è la musica che ti fa compagnia, il viaggio procede anonimo e desolante. L’unica soddisfazione che hai è che puoi mettere la musica che vuoi e a volume sufficiente a farti sanguinare le orecchie.
Entrai nell’Autogrill e mi inserii nella fila alla cassa. Prima di me c’erano diversi camionisti e più indietro, proprio davanti a me, una ragazzina. Bassina e un po’ pienotta, ciondolava prima su un piede e poi sull’altro mentre guardava il tabellone dei menù. Aveva morbidi capelli bruni, lunghi e ben scalati. Mi veniva quasi voglia di toccarli per vedere se tutta quella morbidezza fosse naturale o effetto di qualche lacca.
Quando fu il suo turno scelse rapida coca cola e rustichella. Gusti semplici e stupidi… niente di particolare.
Pagò e, voltandosi, mi rovesciò la coca cola addosso.
“Cazzo!” gridai con forza in faccia alla ragazzina.
“Oddio scusa!” mi disse con occhi sinceramente dispiaciuti. Occhi neri profondi.
Aveva una voce per niente stridula. Anzi! Calda e bassa, anche se al momento era alterata per via della situazione.
Prese dei tovaglioli dal bancone e mi pulì la camicia.
“No!” dissi ancora arrabbiato ma con tono calmo, “non fa niente”.
Si arrestò e mi guardo di nuovo dispiaciuta, buttò i tovaglioli usati e mi chiese ancora scusa. Prese la sua rustichella e un nuovo bicchiere di coca cola offertole dal cassiere e uscì di corsa dall’Autogrill.
Sospirai e presi altri tovaglioli, strofinandoli sulla camicia mentre ordinavo il mio menù. Ritirai e uscii senza combinare danni.
Mentre tornavo alla macchina vidi che la ragazza era a pochi passi dalla mia macchina, poggiata con il sedere al cofano di un’altra auto, probabilmente la sua, e stava addentando senza troppa voglia il suo panino.
Mi vide e arrossì violentemente voltandosi a prendere la carta che prima avvolgeva il panino e la coca per infilarsi in macchina. Accese il motore e partì a tutta birra, entrando di corsa in autostrada.
La guardai allontanarsi, scuotendo la testa, ed entrai in macchina.
Il viaggio procedette senza intoppi, con un panino piccante, birra e musica spaccatimpani.
Quando rientrai in paese c’era fermento. Probabilmente la nuova ragazza, la cittadina confinata contro la sua volontà a un’estate di puro relax rustico, lontana dai servizi e dallo ‘shopping selvaggio’ che offriva la città, attesa con impazienza da tutte le anziane che ciarlavano puntualmente ogni pomeriggio sulle soglie delle case e dalle ragazzine, proprio detta ragazza dunque era arrivata in paese.
Non mi andava proprio di vederla né di scoprire cose raccapriccianti sui suoi piedi, come si era saputo di Marco Santarella appena arrivato in questo posto, perciò entrai in casa e mi chiusi lì fino a nuova giornata.
Il giorno dopo non tardai molto a svegliarmi, ma me la presi lo stesso comoda. Non dovevo andare a lavoro né a scuola. Era sabato! Potevo godermi la giornata. Così scesi di sotto a prepararmi la colazione.
“ ‘Giorno” dissi sbadigliando a mia madre che era sveglia già da un pezzo.
Non rispose; probabilmente aveva di nuovo le cuffie dell’mp3 e non si era accorta di me mentre preparava un suo progetto per l’università.
Feci colazione, mi vestii e uscii, lasciando mia madre ancora davanti al suo progetto.
Che fare? Non c’era la spesa da fare e non mi andava di stare con Gustav e Lillo. Magari avrei potuto fare un giro in auto! Perché no?
Entrai, accesi, partii.
Il paese era molto sveglio! Le strade pullulavano di gente a piedi, soprattutto nel lato ovest, in cui quella giornata c’era mercato.
No… non mi andava di vedere nessuno!
Svoltai un paio di volte a destra e mi ritrovai nella parte sud. Come avevo previsto, non c’era nessuno da quelle parti e potevo camminare tranquillamente a marcia indietro o salire sui marciapiedi… giusto qualcosa per passare il tempo!
“Arcangeloooo” mi sentii chiamare, “Arcangeloooo! Fermati! Un attimo per favore!”
Mi voltai e vidi la nonna di Concetta scendere le scale dell’ingresso di casa sua.
“Buon giorno signora Concetta!” dissi fermando l’auto proprio sotto le scale.
In paese era uso chiamare i nipoti con i nomi dei nonni quindi non c’era da stupirsi se grosse famiglie avessero orde di discendenti che si chiamassero tutti allo stesso modo.
“Arcangelo, hai visto Concetta mia? Oggi è uscita dicendo che doveva incontrare Marzia…”
“Marzia?” chiesi un po’ confuso.
“Si, Marzia. La nuova arrivata. La ragazza che è arrivata ieri sera. Lo sai chi è!”
“No, mi dispiace. Non so chi sia” dissi sincero aggrottando le sopracciglia.
“Come no? Cugina tua è! Oggi da te doveva venire!”
Situazione irritante dei paesi era sempre stata che tutti sapevano gli affari di tutti e i minimi spostamenti venivano registrati regolarmente come all’anagrafe.
“Andrò a vedere… se deve venire da me e Concetta dice che è andata con lei penso verranno tutte e due a casa mia no? Guardi… vado subito. E se Concetta è lì glielo faccio sapere”
Non ci sarebbe stato bisogno di telefonata… bastava che dicessi al mio vicino Ignazio che Concetta era dove aveva detto di essere e lui l’avrebbe fatto sapere a mezzo mondo.
Riaccesi il motore e andai.
E che palle! Meno avevo voglia di vedere gente più ne dovevo cercare. E poi… quella Marzia era mia cugina? Bà… peggio ancora!
Arrivai davanti casa. In effetti c’erano delle ragazze sulla soglia, ma non erano certo due!
“E che c’è qui? La festa di Sant’Antonio?” dissi ridacchiando irritato davanti a tutta quella moltitudine di ragazze.
“Arcangelo!” gridarono tra risolini alcune di loro.
Sorrisi e ammiccai a un paio di loro e cercai tra le tante teste quella di Concetta.
“Perdonatemi dame, cercavo Concetta” dissi a quelle che stavano sulla destra. Quelle si voltarono verso l’interno e incominciarono a chiamare ‘Concetta’.
Una ragazza dai capelli biondi e ricci sbucò tra loro, rossa ed evidentemente sorpresa: “Cercavi me?”
“Sì…” dissi mentre lei arrossiva di più, “tua nonna si chiedeva dove fossi finita e mi ha mandato a cercarti”.
Improvvisamente diventò rosso peperone e sul suo volto apparve delusione forse, o ingratitudine o non so che. Si sedette in silenzio fra le risatine delle altre.
Risi.
“Non te la prendere... sai come sono le nonne!”
Risi di nuovo.
Ma se Concetta era lì, allora anche quella presunta mia cugina doveva essere lì con lei.
“Dunque dunque…” mi schiarii la voce, incerto, “Marzia?”
La chiamai sperando che… esattamente non so cosa speravo. Magari che nessuno rispondesse e che quindi Marzia fosse solo uno scherzo architettato dagli abitanti del buco, ehm… del paese! Oppure che rispondesse una bella stangona bionda, cretina come una gallina, ma bella da guardare (e da spiare muahahah).
Una ragazza non troppo bassa e rotondetta si alzò. Aveva un nonsochè di familiare.
Non sapevo che dire mentre la studiavo per capire dove l’avevo vista già.
Fu lei a parlare per prima per fortuna: “Hey Kakà…”
Sì! Ricordavo! C’era una bambina nella mia infanzia che mi chiamava in quel modo. E lei doveva essere quella bambina, anche perché solo lei mi chiamava in quel modo.
“Marziana!” dissi entusiasta, ricordando improvvisamente il soprannome che le avevo dato da piccolo. Le andai incontro e l’abbracciai.
“Mi sei mancato cugino!” disse con voce dolce e sicura.
“Anche tu!” dissi io. Potevo sembrare un po’ contraddittorio, ma soltanto perché prima non ricordavo chi fosse.
Ed era vero che mi fosse mancata. E tanto! Anche perché lei era la mia compagna di giochi da sempre ed ero sempre andato d’accordo con lei. Non litigavamo quasi mai. Soltanto una volta mi ricordo… ci stavamo prendendo a pugni e morsi e ci tiravamo i capelli, sembrava un incontro di wrestling! E neanche le nostre mamme erano riuscite a dividerci. E fu lei invece a dividerci, proprio lei.
Che persona fantastica che era da piccola!
Chissà però com’era cambiata. Chissà se era ancora la mia Marziana.
La strinsi forte e le diedi un bacio sulla testa, senza badare ai capelli.
Tutte le ragazze lì presenti ci guardarono allibite, sorprese. Come dare loro torto? Ero un tipo difficile io! Neanche alle mie ragazze riservavo da subito un atteggiamento così.
E già! Capivo in quel momento perché Marzia attraesse tanto la gente e i commenti di quel posto. Era speciale davvero.
Mi staccai e la guardai in viso.
Non era cambiata molto. Semplicemente più matura e più cresciuta e con lineamenti più femminili di quelli che aveva da bambina.
Portava i capelli poco più lunghi rispetto alle spalle, mossi e che incorniciavano dolcemente il viso con un taglio scalato e un ciuffo a mò di frangetta.
I suoi occhi erano castano chiaro e resi intensi da lunghe e folte ciglia nere.
La bocca era carnosa e bella rosea.
L’unica cosa che stonava, cioè che non ricordavo avesse, erano le lentiggini marroncine, sebbene lei fosse castana e la sua pelle non fosse dello stesso rosa pallido delle rosse naturali.
“Come stai? Che cosa combinato senza di me in tutto questo tempo?” mi chiese mentre le mettevo un braccio attorno alle spalle e la invitavo a entrare a casa mia, senza badare a tutte le altre che ci seguivano curiose e, forse un po’, gelose.
“Niente di particolare. Solita vita qui in paese… si mangia, si beve, si dorme, si va a scuola, si muore…” sorrisi, “e tu?”
“La città è grande lo sai… nonostante questo niente di niente. Come se non lo fosse affatto. Preferisco di gran lunga i paesi come Castellana…”
“Scherzi vero?”
“Affatto!”
La guardai interessato. Magari a capire perché le piaceva quel posto che io non potevo soffrire.
“La gente qui è più calorosa…” continuò, “non ti fa sentire un’esclusa e, se hai bisogno, non ti fa mancare nulla. In città potresti morire! Tanto nessuno viene a salvarti…” disse divertita ma con un filo di serietà negli occhi.
“Così tu preferisci un posto dove manca l’aria e non puoi fare un passo senza che lo sappia mezzo paese?” chiesi incredulo, anche se mantenevo un certo sorriso.
“Non è poi così male se sei in pericolo di morte!” disse e questa volta scoppiò in una risata sonora.
Le ragazze, che ci avevano seguito e si erano intrufolate a casa mia sghignazzando e guardandosi intorno, risero con lei.
“Eh?” dissi io dubbioso.
“Scherzavo!”
“Ah… ok…”
Lei rise ancora più forte e con lei anche le pecore delle mie concittadine. Sembrava che la casa tremasse!
Mi grattai la testa un po’ intontito e la invitai a sedersi al tavolo della cucina offrendole da bere e, purtroppo, offrendolo anche alle altre.
Quando ciascuno ebbe finito il proprio bicchiere, che poteva essere succo di frutta alla pesca, alla pera, all’albicocca, aranciata, limonata o semplice acqua, invitai le altre ‘dame’ ad accomodarsi fuori di casa per rimanere a chiacchierare del più e del meno con la cugina che non vedevo da tanto.
Tutte, a malincuore, fecero come chiesi e andarono in piazza a raccontare a chi capitava il ritorno a casa di Marzia.
“E così… sei tornata!” dissi entusiasta, tornando in cucina e sfregandomi lentamente le mani.
“Già…” disse sorridendo e sparendo dietro il suo bicchiere di succo di frutta.
“Dove dormi? Voglio dire… quando sei andata via con tua madre avete venduto casa no?”
“Sì… adesso però sto dalla nonna. La famiglia si è ingrandita e sto un po’ stretta, ma, per fortuna per lei, non sto molto a casa così non le do impaccio. Ha così tanti bambini di cui prendersi cura! Ci manchiamo solo noi e in casa non ci entra niente e nessuno!” disse divertita alzando di nuovo il gomito.
“Non ricordavo che la nonna fosse così impegnata…” dissi io passando una mano tra i capelli, imbarazzato.
“Sì! Dove vivi Kakà?” ridacchiò, “con 4 figli e altrettanti nipoti per ognuno non pensare che sia una passeggiata! Penso abbia bisogno di una mano ogni tanto… tu? Perché non ci vai?”
“Come fai a sapere che non ci vado?”
“Secondo te? Me l’ha detto la nonna”
“Ah…” fu il massimo che riuscii a dire.
Non mi andava di andare dalla nonna, soprattutto da quando lei e mio padre avevano litigato e la mamma si era schierata con lui.
“Fa niente… magari un giorno…”
“Magari mai!”
“E dai Kakà! Non puoi dire sul serio!”
La guardai serio. Lei, in cambio, mi guardò con espressione indecifrabile.
Poi guardò il suo bicchiere e riprese a parlare.
“Come va a scuola?”
“Oh noiosa come sempre”
Ridacchiò. “Intendevo voti, promozioni, gite…”
“Ah! Ehm… bene bene… tu?”
“Mah… quest’anno ho rischiato di essere bocciata”
“Sul serio?”
Si limitò ad annuire mentre beveva l’ennesimo bicchiere di succo.
“E perché?”
“Niente testa!”
Aspettai che continuasse.
“È stato un anno difficile e ci sono stati problemi… tra me e papà, me e i compagni, me e i prof… sai com’è…”
“Eppure non è tutto qui, vero?”
Mi scrutò, poi riprese.
“Non so cosa mi sia preso… a settembre degli amici mi avevano chiesto di fondare una band e io dovevo fare la cantante, ma poi non abbiamo fatto nulla…”
“Ah… capisco…”
Scosse la testa e vuotò il bicchiere.
“Ti va di fare un giro?” proposi mentre lei buttava il bicchiere nella spazzatura.
“Ok” disse entusiasta e sollevata. Non aveva molta voglia di parlare di scuola… o almeno della sua.
Presi le chiavi e uscimmo di casa.

   
 
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