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Autore: Elsker    20/08/2014    1 recensioni
Vi è mai capitato di innamoravi di una persona che vedete solo per due volta a settimana, ogni settimana?
Una persona che conoscete solo di vista e che per di più è fidanzata.
Una persona il cui aspetto non vi ha mai detto nulla prima che si facesse notare prepotentemente con uno “scontro”.
E cosa fareste se un giorno trovate tale persona, fuori dal luogo dove vi vedete sempre, piangere sola sotto un cielo infuriato?
***
Chiunque, a vederlo, avrebbe detto che era fortunato: aveva un appartamento in buone condizioni posto in una bella zona e una macchina, era il migliore di tutti i corsi che frequentava e viveva da solo. Già, viveva da solo ed era questa la nota dolente: lui avrebbe voluto al suo fianco la sua famiglia, degli amici, ma anni fa si era allontanato da loro proprio per proteggerli.
Desmond amava ed era per questo che non poteva essere amato. Condannato a condurre un'esistenza sola e abbandonata, non poteva avvicinarsi a nessuno senza la paura di fargli del male.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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1. Prologo







I periodi più favorevoli per piantare il glicine sono l'autunno e l'inverno, fino a marzo, cercando di evitare le gelate.

I grappoli che pendono verso il basso in piena fioritura e i rami di questa vite sembrano abbassare il capo in segno di umiltà, sincero rispetto, supplica garbata e riflessione religiosa in riferimento a Buddha.

Il glicine longevo dalla vitalità vigorosa è impersonato da una ragazza timida, romantica e travagliata da angosce d’amore.


Capitolo uno
Pioggia blu


Cinque anni prima


Regin amava quel ragazzo.
Lo amava e percepiva tutta l'intensità dell'amore che la investiva ogni volta che il suo pensiero si indirizzava involontariamente verso di lui.
Lo amava, ne era sicura.
Lo amava nonostante non avesse mai creduto all'amore.
Lo amava, continuando a sognarlo ogni notte.
Lo amava, punto.
Peccato che non sapesse neanche il suo nome.
Peccato che lo vedesse solamente due volta a settimana.
Peccato che lui fosse già fidanzato.
Aveva visto la sua fidanzata. L'aveva vista venire qualche volta con lui.
L'aveva vista e aveva notato che era una ragazza bellissima nella sua semplicità.
L'aveva vista dargli un bacio frettoloso sulle labbra e aveva sentito il suo cuore spezzarsi.
Ma non le importava nulla, avrebbe continuato ad amarlo finché il cuore glielo avesse suggerito, finché... fino a quando non lo sapeva. Forse un anno, forse due, forse sempre.
Regen guardò nervosamente l'orologio e, vedendo che erano ormai le quindici, cominciò a essere impaziente.
Il ragazzo castano solitamente arrivava alle quattordici e trenta puntuale come un orologio e invece quel giorno in biblioteca non si era vista neanche la sua ombra.
Regen cominciò a dondolare le gambe in segno di agitazione e cercò di calmarsi concentrando la mente sui ricordi degli ultimi due anni trascorsi in quella nuova città e della prima volta che aveva visto quel ragazzo.


Si era trasferita perché aveva vinto una borsa di studio in un'università di una città molto lontana da casa, perciò si era lasciata alle spalle la sua numerosa e rumorosa famiglia che ogni tanto sentiva attraverso lunghe ma mai noiose chiamate. Nella nuova città alloggiava presso i dormitori che l'università forniva. Al primo anno le era andata di lusso, poiché aveva ottenuto una stanza singola, ma al secondo le era stata assegnata una camera per due persone. Da un lato si considerava fortunata dato che la sua compagna di stanza, Nives, era una ragazza simpatica che era diventato subito una sua buona amica, dall'altro, però, non aveva né il tempo né il silenzio necessario per concentrarsi nello studio, in particolare nelle giornate in cui il ragazzo di Nives veniva a cercarla. Per lasciare un po' di intimità all'amica, ogni venerdì e sabato si trasportava di mala voglia in una biblioteca, sita in centro, che si trovava poco lontano dall'università.
Regin andava a studiare in biblioteca, in una rumorosa saletta di lettura, solo perché era una ragazza molto disponibile e soleva mettere l'amicizia – che per lei era ciò di più sacro esistente – prima di tutto. Oltre ai suoi famigliari, la ragazza aveva lasciato nella sua città natale anche tanti amici di lunga data con cui ora chattava ogni sera sui vari social network. Siccome l'amicizia ai suoi occhi assumeva un valore inestimabile, per non aggiungere la sua timidezza, Regin non cercava molto le compagne di università né tanto meno altre conoscenze nella nuova città. Nonostante non avesse persone che lei riteneva essere suoi amici, non si sentiva affatto sola, perché, essendo una ragazza molto disponibile e a tratti anche invadente, aveva fatto diverse conoscenze ed era sempre in compagnia.
Era sempre pronta ad offrire il suo aiuto anche a persone che non aveva mai visto prima e, allo stesso modo, a raccogliere informazioni su tutti quelli che destavano la sua curiosità con uno solo sguardo.
Tutti tranne uno, perché, a dir la verità, quel ragazzo non le era mai interessato. Quel ragazzo si era fatto vedere per forza, si era fatto notare prima che lei potesse capire qualcosa.


***


Regin stava per appisolarsi sui suoi appunti, così si alzò per dirigersi in bagno dove avrebbe potuto darsi una risciacquata al viso per risvegliarsi.
Al suo ritorno aveva preso una bottiglia di succo di frutta concentrato alle macchinette. La stava bevendo tranquillamente, appena un attimo prima che un ragazzo la investisse nella fretta della fuga. Nell'impatto Regin versò una gran quantità di succo sulla maglia, sui jeans e anche sulle sue nuove scarpe bianche. E non solo si era sporcata: nella violenza dello scontro era andata a sbattere contro uno scaffale di ferro, cadendo a terra.
– Scusa – urlò il ragazzo prima di uscire dalla saletta, senza degnarla di uno sguardo.
Infastidita, Regin si trattene dall'inseguirlo e insultarlo. Guardando com'erano malconce le sue scarpe, notò che al ragazzo che l'aveva scontrata era caduta la felpa che probabilmente prima era appesa al suo collo, perciò la raccolse dal pavimento e la usò per pulire sé e, in seguito, il pavimento che non era rimasto illeso nello scontro.
Dopo aver finito di sistemare, fu tentata di buttare l'indumento direttamente nel cestino e lo fece. Solo dopo aver sistemato la sua roba e abbandonato la saletta ormai deserta, tornò a ripescarla dal pattume, immensamente dispiaciuta.
Si vergognò un po' a essere conciata in quel modo mentre aspettava l'autobus che l'avrebbe riportata all'università. Non si era neanche portata abbastanza soldi per comprarsi una maglia nuova per coprire quell'indecenza.
Quando entrò nella sua camera, sbattendosi dietro teatralmente la porta, vide che l'amica era decisamente in un momento piuttosto intimo con il suo ragazzo.
Non chiese scusa, non fece nessuna osservazione: semplicemente non fece nulla.
Buttò nervosamente il suo zaino su una sedia e si chiuse in bagno.
Si tolse le scarpe e cercò invano di salvarle, maledicendo a voce alta quel ragazzo che ormai conosceva, almeno di vista, da ormai mezzo anno.
Muovendosi qua e là nel bagno si accorse di avere il fianco – con il quale aveva sbattuto lo scaffale – rosso e capì che presto ci sarebbe apparso un grosso livido.
Buttò le scarpe nel pattume, maledicendo ancora più pesantemente quel ragazzo. Straordinariamente, però, riuscì a salvare i suoi indumenti. Dopo averli messi a stendere, guardò pensierosa quella sottile felpa rossa completamente macchiata e dopo qualche attimo era già lì che la strofinava con forza.
“Dopotutto non è colpa sua!” continuava a ripetersi, come per spronarsi, almeno un migliaio di volte nell'intera ora che impiegò a togliere tutte le macchie dell'indumento.
Nel momento in cui stese sul balcone la felpa, nella sua mente comparve, fulminea e chiara come un lampo, l'immagine dell'esile ragazzo che stava come ogni giorno chino con un'espressione serena sui suoi libri e al suo cuore mancò un colpo.
Infastidita, scacciò l'immagine dalla mente e cercò un libro da leggere per distrarsi.


Il giorno seguente Regen ritornò in biblioteca come d'abitudine e come in tutti sabati anche in quello la biblioteca era pressoché deserta, perciò l'arrivo del ragazzo che il giorno prima aveva popolato i suoi sogni alle dieci in punto attirò subito la sua attenzione. Notò che si stava guardando attorno come se stesse cercando qualcosa di veramente importante e cercò di non badarci, iniziando a leggere gli appunti presi durante le lezioni della settimana scorsa.
– Buongiorno, scusa per il disturbo, volevo solo chiederti se per caso ieri hai trovato un braccialetto d'argento – una voce dolce e morbida fece destare Regin dallo studio in cui finalmente si era immersa dopo che aveva visto il ragazzo castano andare via subito. La ragazza avvampò senza un apparente motivo. Si sentiva imbarazzata... ma alzò comunque timidamente lo sguardo sul sorriso impacciato del castano.
– Eh? – chiese alquanto sorpresa. Braccialetto? Aveva parlato di un braccialetto?
– Ieri me lo sono portato dietro; me lo ricordo bene, ma a casa non l'ho più trovato così ho pensato che probabilmente l'ho perso qui e magari qualcuno l'ha raccolto.
– Mi dispiace, io non ho visto nessun braccialetto ieri – rispose piatta, cercando di mascherare l'agitazione che la invadeva. Era davvero dispiaciuta, perché il ragazzo sembrava tenere molto a quell'oggetto.
– Grazie per la cortesia e per la disponibilità! – le disse, rivolgendole un sorriso grato, per poi allontanarsi e porre pazientemente, carico di attese, la stessa domanda ai pochi che studiavano nella saletta insolitamente tranquilla.
Quando Regin tornò all'università, Nives l'avviso che aveva trovato un braccialetto argento in bagno e le chiese se fosse suo. Lei guardò incredula quell'oggetto e capì che probabilmente quel ragazzo l'aveva messo in una delle tasche della felpa e che era caduto mentre la lavava in bagno.
– Grazie mille, Nives! – le disse grata, gettandole le mani al collo.
– Oh, figurati! È davvero tuo? Mi sembra maschile... – le fece notare l'amica, piuttosto fissata con la moda, senza riuscire a nascondere una smorfia di disappunto.
– No, non è mio: è di un... amico – sussurrò, ammirando con un'espressione persa in quel semplice braccialetto con inciso sopra “Blauregin”. Sorrise ebete: non aveva mai amato tanto il nome particolare che i genitori, buddisti, le avevano dato.
Nives quella sera uscì con il suo ragazzo per il loro anniversario e Regin, approfittandosi del silenzio, andò a sedersi sul balcone per ammirare il cielo stellato con stampato sul viso un sorriso pieno di significati.
Blauregen. Pioggia blu. Questa era il suo nome intero che lei puntualmente accorciava in Regen. Prima di quel momento, aveva pensato con rabbia per il significato di Regin: le sarebbe piaciuto un nome più comune, un nome che nessuno ascoltava con un'espressione stranita.
Seduta sotto l'immenso cielo stellato, in quella fredda sera di marzo, Regin pensò a come avesse passato mezzo anno con quel ragazzo senza neanche accorgersi della sua esistenza.
A prima vista lo aveva reputato una persona fin troppo... fin troppo... non sapeva neanche lei trovare il termine: forse giusto, forse perfetto... e lo aveva scartato subito come persona con cui approfondire la conoscenza.
Semplice. Perfetto.
Erano queste le due parole che gli aveva attribuito subito, ma dopo sei mesi le parvero fin troppo superficiali, anche se adatte.
Non le era mai interessato, nonostante lo avesse trovato molto carino fin da subito. Lo incontrava due volte la settimana – ovvero ogni venerdì e ogni sabato – ma la sua presenza era come una delle innumerevoli sedie del salotto: necessaria, ma non indispensabile.
Era come se nello scontro avvenuto pochi giorni prima lo avesse visto veramente, come se avesse aperto gli occhi. Era come se nello scontro lui avesse impattato con la parte più interna di lei fino a scombussolare l'anima con il suo tranquillo mondo.
In circostanze normali forse era possibile cancellare dal cuore e dalla mente di Regin la leggera incisione che aveva l'aspetto del ragazzo della biblioteca, ma quelle in cui si trovava lei non lo erano. Ogni giorno il suo pensiero volava verso di lui perché il livido sul fianco, le consuete scarpe nere al posto di quelle che aveva comprato sotto le insistenze di Nives e che erano costate un patrimonio e il braccialetto le rievocavano la sua presenza.
Giunto finalmente venerdì, Regin si diresse in biblioteca con un umore insolitamente allegro che durò fino a quando – un'ora e mezza più tardi – arrivò il ragazzo castano. Se prima era contenta al solo pensiero di vederlo, dopo averlo visto le sembrava di scoppiare per la felicità .
Lui era arrivato con la solita espressione serena e gentile che si era mutata in sorpresa di chi ha trovato una piacevole regalo inaspettato. Infatti, sulla sedia dove era solito poggiare lo zaino, aveva trovato il braccialetto che la settimana precedente aveva cercato ovunque.
Regin guardò la sua gioia con un sorriso compiaciuto sulle labbra che nascose prontamente dietro al suo libro d'inglese quando lo vide guardarsi attorno.
Quando verso la sera il ragazzo se ne andò lasciando un foglio bianco sul tavolo, Regin si alzò con disinvoltura dalla sedia come se stesse andando a buttare della cartaccia nel pattume e, appena accertatasi della concentrazione nello studio degli altri, raccolse in fretta e furia il foglio che lesse non appena ritornò al suo posto, con il cuore a mille.
In una grafia semplice e ordinata vi era scritto:

Salve,
chiunque tu sia ti ringrazio immensamente per avermi restituito il braccialetto.
In realtà mi sento uno stupido: non so neanche se leggerai questo biglietto e se sei un assiduo frequentatore della biblioteca.
Ho voluto scriverti per farti sapere quanto sia importante per me il gesto che hai fatto. E perché non potevo non ringraziarti. Ti sono enormemente debitore perché è un regalo carissimo di mia nonna.
Ti auguro ogni bene.
Ancora grazie,
il proprietario del braccialetto.

– Sono innamorata – sussurrò semplicemente lei, mettendo il foglio nel suo quaderno.
Da quel giorno in poi l'aveva visto regolarmente come prima senza mai avere il coraggio di andare oltre a quello che era l'amore platonico.
Anzi, dopo aver scoperto che era fidanzato aveva cercato anche di non andare più in biblioteca, o almeno non in quella saletta; inutilmente perché neanche a distanza riusciva ormai a cancellare quel ragazzo dal suo cuore, così decise che non le importava.
Lo avrebbe amato in silenzio, gli sarebbe stata accanto in quel tempo e lo avrebbe aiutato non appena avesse dato segno di vacillamento.
E così erano volati quasi quattro mesi.




***




Regen sorrise pensando al braccialetto che il ragazzo teneva sempre al polso sinistro, sorrise perché era stato tra le sue mani per una settimana intera.
Mentre pensava a lui, aspettò, con il cuore carico di aspettative, fino all'orario di chiusura, quel giorno e altri tre a venire. Aspettò invano per quattro intere giornate, diventano sempre più triste ogni volta.
Quel pomeriggio di fine luglio Regen era più agitata che mai perché era la sua ultima possibilità di vederlo. Aveva dato il suo ultimo esame dell'anno a inizio luglio ed era rimasta in quella città fino a quel momento solo per vedere quel ragazzo.
Regen guardò nervosamente l'entrata della saletta più e più volte.
Alle quindici scacciò le lacrime, scocciata.
Alle sedici cominciò a mettere nervosamente in ordine tutti i tomi sull'arte della saletta mentre cercava di distrarsi.
Alle diciotto si sedette sulla sedia con un'espressione vuota, incredula.
No, non poteva credere che sarebbe ritornato a casa senza neanche dare un nome all'oggetto del suo amore.
No, non poteva andarsene così senza aveva la garanzia di vederlo ancora.
No, non poteva perché... semplicemente non poteva.
“La colpa è tutta mia: perché non mi sono data una mossa? Perché non ho provato a restituirgli il braccialetto in persona? Perché non ho mai provato a parargli?”
Sospirò.
Amarlo l'aveva distrutta.
Amarlo le aveva spezzato il cuore.
Anzi, erano la sua timidezza e la sua paura di un'iniziativa ad averla distrutta.
Anzi, era perché lui era fidanzato...
Anzi, lei non avrebbe dovuto chiudersi dentro alle sue mura.
Mentre le lacrime cominciarono a minacciare il loro arrivo, Regin decise di smetterla lì. Di andare via. Di uscire da quella saletta. Di sopportare il pensiero di non vederlo più.
Arrivata davanti all'enorme atrio della biblioteca si accorse che fuori c'era un temporale e non se ne sorprese visto che rispecchiava pianamente il suo stato d'animo.
Frugò a lungo nella sua borsa e trovò il piccolo ombrello che era solita portarsi dietro per casi di emergenza come quello.
Spalancò l'ombrello non appena uscì allo scoperto.
Si guardò attorno spaesata come per memorizzare ogni dettaglio di quella via come se non lo conoscesse già, come se non sapesse dove andare, e una figura catturò la sua attenzione e la stessa le fece venire un colpo al cuore.
Era lui.
Era davvero lui.
Era lì. Seduto su un gradino davanti alla chiesa che era di fronte a lei.
Era lì. Sotto la pioggia.
Era lì. E tremava.
Era lì lui ed era lì anche lei.
Titubante, Regen si diresse verso il ragazzo e appena gli fu accanto si sedette sul gradino bagnato senza curarsene e gli offrì il riparo sotto il suo ombrello,
Si mise lì composta, senza guardarlo, perché non c'era bisogno di vedere la sua figura costretta in una posa dolorosa per capire che soffriva: lo percepiva dal suo tormento che attraverso quella vicinanza fluiva violentemente anche a lei.
Regin tremava e le venne voglia di piangere per lui, piangere ancora e ancora, lì, accanto a colui che aveva amato silenziosamente per mesi, al proprietario della felpa che teneva sotto il cuscino.
Ricordava ancora tutte le volte che stava seduta calma al suo posto mentre attendeva l'arrivo del ragazzo con il cuore che batteva fin troppo forte e con i sensi fin troppo all'erta per ogni piccolo movimento che avvertiva.
Ricordava ancora l'irresistibile attrazione che provava verso lui come fosse il suo sole, nonostante la lontananza e la voglia di andare da lui e stringerlo in uno stretto abbraccio.
Ricordava ancora le lacrime che ogni volta minacciavano il loro arrivo perché il suo essere era troppo tormentato dall'amore che non allentava la sua morsa neanche un secondo.
Ricordava ancora l'immobilità che caratterizzava il suo corpo ogni volta che lui era nei paraggi.
E, ora, la stessa immobilità la governava, rendendola incapace di avvicinarsi anche solo un poco verso di lui, quel poco che le bastava per sfiorarlo.
Non riusciva neanche ad allungare un braccio per abbracciarlo, neanche se lui era così vicino, così vicino che bastava un centimetro per toccarlo.
E accadde.
Lui posò dapprima il capo sulla spalla di Regen, per poi abbandonarsi interamente nel dolore coccolato da lei.
Regen in quel momento si reputava una spettatrice muta e inutile perché non aveva la minima idea su come aiutarlo, su come alleviare la sua sofferenza, perciò rimase, ancora una volta, immobile.
Poi allungò un braccio e cominciò ad accarezzargli lentamente i capelli ormai intrisi d'acqua e cercò di rendere parte di questo tormento suo.
Non passava molta gente in quel luogo quella sera piovosa, ma quella poca che c'era non riusciva a far a meno di dare un'occhiata alla coppia sotto il cielo scuro, sotto quella pioggia che pareva blu per la luce delle migliaia lampadine allestite in quella via in occasione di una particolare festa che caratterizzava quella città e augurare loro i migliori auspici con il cuore.


Angolino mio:
Nello scorso capitolo mi ero dimenticata di dirvi che le frasi che metto a inizio capitolo sono inerenti a fiore glicine e sono quelle che mi hanno ispirato questa storia! E che “Regin” significa “pioggia” e si pronuncia “Rin”. *-*
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto almeno un po'...
Ringrazio moltissimo Fantasy25, IloveItBaby, _marty e Lady_Wolf_91 per i vostri commenti e chiunque sia arrivato a leggere fino a qui!
Saluti,
Elsker.


   
 
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