Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
Segui la storia  |       
Autore: firstmarch    21/08/2014    4 recensioni
In un futuro imprecisato, dove i matrimoni e le nascite sono controllate dalla tecnologia e dalla scienza, come possono due ragazzi sperare di rimanere insieme? Il sistema decide, non il singolo individuo.
Il sistema impone il matrimonio combinato all'età di diciotto anni, un matrimonio tra due persone che non si conoscono e hanno a disposizione solo otto settimane per farlo.
E se è già difficile per due ragazzi normali affrontare tutto ciò, come potrà essere per Justin e Scarlett, innamorati l'uno dell'altro dall'età di quindici anni? Come potranno sposare qualcuno che non amano se il loro cuore è già impegnato?
______________________________________________________________________________
Fanfiction di soli dodici capitoli, prologo ed epilogo inclusi.
TRAILER: https://www.youtube.com/watch?v=Njxc3R-sh5w&feature=youtu.be
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic


WEEK 2.




Entrammo nel taxi quasi volando, nonostante avessimo le nostre due valige con noi. Una volta sistemate nel bagagliaio, dissi al tassista di volare letteralmente all'ospedale di Ottawa dove mia madre mi aveva detto che Thomas e Felicity erano ricoverati. Il tragitto dall'aeroporto all'ospedale non durò più di venti minuti, ma mi sembrò comunque un'eternità. Avevamo preso il primo aereo disponibile, che si era rivelato essere alle undici di sera, ma grazie al fuso orario eravamo arrivati in Canada poco dopo le undici.
William aveva subito avvertito i suoi genitori, che avevano preferito lasciare andare solo noi due, loro ci avrebbero raggiunti martedì sera. Avevano fatto i migliori auguri di guarigione a mio fratello e Felicity e ci avevano accompagnato all'aeroporto e pagato il viaggio (pure a me, sì) senza che ci fosse bisogno di chiedere qualunque cosa. Avevano solo chiesto di ricevere notizie da William su come fosse andato il viaggio e su come la situazione si stesse evolvendo. Li avevo ringraziati per la loro disponibilità e gentilezza e poi io e Willam avevamo dovuto salutarli.
Per tutto il viaggio in aereo rimasi sveglia, non chiusi letteralmente occhio, rimasi in tensione, soprattutto quando Will cercò di stringermi una mano tra le sue. Lo scansai sovrappensiero, ma quando più tardi ci ripensai, capii che forse ero stata troppo brusca. In fondo voleva solo consolarmi, in fondo era lì con me, con una ragazza appena conosciuta, diretto dall'altra parte del mondo perché un ragazzo a lui sconosciuto era in fin di vita. Così, quando ormai ci stavamo preparando per atterrare, gli presi la mano appoggiata al bracciolo che ci divideva e gli chiesi di non lasciarmi, qualunque cosa sarebbe successa. Mi aveva promesso che non lo avrebbe fatto e aveva detto che molto probabilmente si sarebbe tutto risolto. A quello avevo annuito con poca convinzione. Non avevo mai sentito mia madre così spaventata, non poteva essere qualcosa da poco e ciò spaventava anche me. Non avevo avuto notizie di mio fratello o di Felicity da quando, prima di fare il check-in, mia madre mi aveva mandato un messaggio con su scritto l'ospedale, il piano in cui si trovavano e uno sbrigativo “stabili”.
Avevo bisogno di vedere Thomas, che mi avessero fatto entrare nella sua stanza o no, lo avrei visto.
L'ansia riusciva a tenermi perfettamente sveglia, anche se sapevo che non appena fossi arrivata a destinazione, sarei crollata dalla stanchezza.
   “Potresti dirmi un hotel dove stare stanotte, Scarlett?”, mi chiese William piano, quasi come se avesse paura di disturbarmi. Mi ci volle un attimo per pensare a cosa rispondergli.
   “Stai a casa mia.”
   “Non voglio essere d'intralcio, con questa situazione poi...”
   “Non sei d'intralcio. Se a te va bene, puoi restare.”
E io non sarò sola. Io e Justin non ci eravamo più parlati, quindi pensai che non sapesse niente dell'accaduto. In cuor mio speravo lo venisse a sapere senza che io gliene parlassi, che venisse da me e mi stringesse fino a quando mio fratello non sarebbe stato meglio. Sapevo che lui non mi avrebbe richiamata per primo e io non avevo voglia di parlare con un Justin maldisposto nei miei confronti. William era con me e questo era abbastanza, forse.
   “Grazie.”
Mi sorrise, anche lui stanco, e io mi sforzai di ricambiare, anche se forse l'unica cosa che mi uscii fu una smorfia. Non appena il taxi si fermò, tirai fuori la banconota con più valore che avessi con me e non aspettai neanche che mi desse il resto, saltai giù dal veicolo e camminai spedita verso l'ingresso dell'ospedale, con William al mio seguito. Mi accorsi solo quando entrai che aveva preso entrambe le valigie, dato che io me ne ero completamente dimenticata.
   “Oddio, scusami, lascia che prenda la mia.”
Corsi verso di lui, nonostante il mio istinto mi dicesse di correre nel senso opposto. William appoggiò le valigie a terra e mi fermò prima che io potessi prendere la mia. Mi afferrò per le braccia e mi tenne ferma.
   “Le porto dentro io, chiedo ce le guardino per un po' e tu intanto chiedi esattamente dove si trovi tuo fratello. Stai tranquilla.”
La calma nella sua voce mi indusse a calmarmi appena il giusto per poter respirare normalmente. Non potevo più aspettare. Annuii in fretta, dopodiché mi voltai e corsi dentro. Non appena mi affacciai sul bancone oltre il quale lavoravano delle infermiere, la maggior parte al telefono, una di loro mi chiese se mi sentissi bene. Annuii con foga prima di chiedere dove diavolo fossero Thomas Moore e sua moglie Felicity Tambler.
   “Sono al secondo piano, stanze 216 e 217, ma, signorina, devo informarla che...”
Non aspettai oltre, mi girai verso l'entrata dell'ospedale, dove trovai William dirigersi verso di me, adesso a mani vuote.
   “Presto”, gli dissi e senza aspettarlo corsi verso le scale che solo due volte in vita mia avevo percorso, ma che ormai conoscevo. Una volta arrivata al secondo piano, avevo il respiro affannoso, ma non mi fermai un attimo, neanche per controllare che William mi stesse seguendo: sapevo lo avrebbe fatto. Urtai un paio di medici mentre correvo guardando i numeri delle stanze, ognuno dei quali ricevette le mie scuse da parte di William. Decisi di fermarmi un attimo per dargli il tempo di stare al mio passo, ma mi accorsi di averlo proprio dietro di me. Ripresi a correre.
213, 214, 215...216.
   “Scarlett!”, sentii mia madre chiamarmi, così abbassai lo sguardo sul corridoio, staccandolo dal numero sopra la porta. Non appena vidi il viso di mia madre, capii che la situazione era veramente grave. Accanto al posto in cui era seduta vi era il cellulare di mio padre, segno che in quel momento doveva essersi andato a prendere un caffè. Seduta accanto a mia madre c'erano con tutta probabilità i genitori di Felicity, con facce non migliori di quella di mia madre.
   “Mamma.”
   “Tesoro, che ti hanno detto le infermiere, giù?”
Non capii che volesse dirmi. E non mi chiamava tesoro da quando mi disse che il nostro gatto era morto.
   “Che dovevano dirmi?”, chiesi quasi arrabbiata. Volevo sapere di Thomas, subito. Mia madre scoppiò a piangere prima che potesse dirmi qualcosa, così fu il padre di Felicity a parlarmi.
   “Tuo fratello non ce l'ha fatta, Scarlett. Ci dispiace infinitamente.”
Mi sentii mancare la terra sotto i piedi.
   “Scarlett, Scarlett, reggiti.”
Fu William a parlarmi, mentre il mondo vorticava attorno a me, mentre mi tenevo stretta a lui e al padre di Felicity, che mi avevano sorretto prima che potessi cadere a terra.
   “Chiamate un dottore, la ragazza non si sente bene.”
   “No.”
Mi appoggiai al muro, allontanando i due. Era tutto così surreale che avrei potuto scommettere di essere in un sogno.
   “Voglio vederlo.”
   “Non puoi, non adesso”, mi disse il padre di Felicity, John. Mi chiese se non avessi bisogno di un dottore.
   “Voglio vederlo, ho detto.”
   “Non sono io che decido, Scarlett, se facessi io le regole, potresti andare dove ti pare in questo ospedale”, mi rispose lui di rimando.
   “Va bene.”
Intanto mia madre si era seduta, accanto a lei vi era Stephanie, la madre di Felicity, intenta a consolarla. Lasciai che John si allontanasse da me per aprire la porta della stanza e vedere solo la sagoma del corpo di mio fratello, coperto con un telo bianco. Mi precipitai dentro e scostai il telo, vedendo il viso di Thomas, così bianco e immobile da spaventarmi. Mi resi conto di quanto la realtà mi stesse schiacciando, di quanto tutto avesse perso senso senza mio fratello. Vidi il suo viso che sembrava sereno, quasi come se dormisse, prima che William potesse portarmi fuori di peso, mentre io mi dimenavo per rimanere accanto al suo corpo. Non volevo lasciarlo, perché sapevo che non lo avrei più rivisto se non dentro una maledetta bara, al suo funerale. Non mi accorsi di piangere fino a quando non mi passai una mano sul volto e la trovai bagnata di lacrime. William mi portò fuori e John richiuse la porta della stanza dietro di sé, sperando che nessuno avesse visto.
   “Portala a casa sua, ragazzo.”
Sentii William assentire e poi fui quasi portata di peso fuori dall'ospedale e poi su un altro taxi. Avevo solo voglia di piangere ancora. Lui se n'era andato e io sentivo di aver perso la persona a me più vicina. Non l'avrei mai più rivisto, mio fratello Thomas non c'era più.


Quella notte, quando rientrai a casa mia dopo quasi una settimana, fui grata di trovarla vuota, anche se avrei potuto intuirlo se solo fossi stata lucida. Avevo detto io l'indirizzo al tassista, avevo guidato io William fin dentro casa mia, ma una volta arrivata in camera mia, mi ero solo sdraiata sul letto e avevo fissato il muro. No, non poteva essere vero, eppure lo era e io lo sapevo benissimo.
William mi chiese se avessi bisogno di lui, ma io gli dissi soltanto dove avrebbe trovato la sua camera, quella che, un tempo, era stata di mio fratello. Mio fratello. Mi rigirai nel letto, voltandomi dall'altra parte per non mostrare a William le mie lacrime. Pensai se ne fosse andato per dieci secondi buoni, ma non appena sentii qualcuno sedersi sul mio letto, capii che non lo avrebbe fatto fino a quando non gliel'avessi chiesto espressamente.
   “Forse non sono la persona che vorresti avere al tuo fianco in questo momento, ma qui, adesso, ci sono io e mi fa male vederti così. Non ho intenzione di lasciarti da sola in queste condizioni.”
Mi misi a sedere senza preoccuparmi dell'aspetto che dovevo avere in quel momento, al buio forse non mi avrebbe visto. O forse sì, visto che quando lo guardai, vidi il suo sguardo addolcirsi.
   “Abbracciami, Will.”
Lui non se lo fece ripetere due volte e mi strinse in un abbraccio in cui mi sarei voluta perdere per sempre. Mi sentivo così piccola e inutile, ma in quel momento, tra le sue braccia, almeno non ero sola. Avevo bisogno di qualcuno e quel qualcuno poteva essere lui, anche se non ero sicura di volerlo del tutto. Avrei voluto ci fosse mio fratello al suo posto, a dirmi che era stato solo un incubo.
L'odore di William mi era quasi famigliare, perciò chiusi gli occhi e lasciai che mi cullasse per un tempo indefinito, fino a quando sentii che il sonno stava prendendo il sopravvento.

 
***


Il giorno seguente mi alzai tardi e mi ci volle un po' per rendermi conto di cosa fosse successo il giorno prima.
   “Mamma”, dissi senza neanche pensarci. Lo ripetei più forte perché mi accorsi di averlo solo bisbigliato.
   “Mamma!”
Al suo posto, sull'uscio della mia camera, comparve William, ancora vestito con gli abiti del giorno prima e i capelli spettinati.
   “Tua madre è appena andata in ospedale, ha lasciato un biglietto in cucina. Ieri tuo padre non si è sentito bene alla notizia, lo tengono in osservazione fino a questo pomeriggio. Stai bene, Scarlett?”
Annuii poco convinta, poi mi alzai e mi diressi in cucina, passandogli oltre.
   “Devo andare anche io.”
William mi fermò, impedendomi di proseguire.
   “Tu vieni con me a distrarti, vedrai tuo padre una volta tornati a casa, non ha niente di grave. Voglio che tu pensa a questa faccenda il meno possibile.”
   “Mi è impossibile, te ne rendi conto?”
   “Lo renderò possibile.”
E così avevo passato la giornata fuori casa, ascoltando sì e no William mentre parlava del più e del meno, ottenendo come risposte dei monosillabi. Non si lamentò e io non potei fare altro che essergli grata per tutto quello che stava facendo per me. Quella sera sgattaiolò in camera mia per vedere come stessi e io gli chiesi di restare come aveva fatto il giorno prima. Ci addormentammo insieme, non importava quanto stessimo stretti, ero contenta di averlo vicino, era l'unica mia distrazione dalla dura realtà. La cosa si ripeté anche la sera seguente, quella prima del funerale e, sorprendentemente, la sua presenza mi aiutò davvero a dimenticare per un po' cosa sarebbe accaduto l'indomani.

 
***


Quella mattina di inizio autunno, un giovedì, fu mia madre a svegliare me e William, trovandoci purtroppo nello stesso letto. Erano passati tre giorni da quando mio fratello era morto, uno da quando Felicity era uscita dal coma e troppi da quando non sentivo Justin.
"Preparatevi, ragazzi, ci aspettano al cimitero per le undici."
Solo questo disse mia madre, con il viso stravolto dal dolore e la voglia pari a zero di vedere tutti coloro che avevano sì conosciuto Thomas, ma che mai erano stati presenti in maniera rilevante nella sua vita, ricomparendo solo ora, stringendo le mani dei miei genitori in un susseguirsi di "condoglianze a tutta la famiglia". Feci velocemente colazione, per quanto il mio stomaco lo permettesse, prima di tornare in camera mia a prepararmi. William aveva comprato un completo nero ed elegante il giorno prima, mentre io avrei messo un vestito del medesimo colore che mi arrivava più o meno al ginocchio. Come se in quel momento mi importasse qualcosa di come mi sarei vestita. Dopo essere passata in bagno, mi pettinai davanti al grande specchio presente in camera mia, fino a quando non fui interrotta dal bussare alla mia porta.
    "Tua madre ti chiama", mi disse William. Mi girai verso di lui e non potei evitare di guardarlo dalla testa ai piedi. Era davvero molto bello con quel completo, simile a quello di quando ci eravamo visti per la prima volta.
    "Che non si preoccupi, sarò pronta in pochi minuti." Guardai l'orologio appeso sopra la mia scrivania. Le dieci e quarantuno. "Stai benissimo così, Scarlett." Gli sorrisi forzatamente, perché in quel momento sembrare carina non era proprio la mia priorità.
Mi diedi un po' di fard sulle guance, giusto per non mostrare quanto poco in forma fossi, poi scesi le scale e arrivai in sala, dove William e mia madre mi stavano aspettando.
   “Scarlett”, disse mia madre quando mi vide, trattenendo le lacrime. Mi venne incontro e io non potei fare a meno di abbracciarla. Avremmo dovuto essere più vicine in un momento del genere, ma stranamente era più forte il desiderio di rimanere da sola che di crogiolarmi nel dolore collettivo famigliare. Sola o con William.
   “Mamma.”
   “Sei bellissima, tesoro.”
Se solo la situazione non fosse stata quella, le avrei tirato un'occhiataccia per quel complimento.
Mi limitai ad annuire e a concederle un sorriso, poi chiesi dove fosse mio padre.
   “Ci aspetta in macchina.”
E così uscimmo da casa, quella casa ormai piena di ricordi e che sarebbe stata troppo vuota per i miei gusti. Mio padre ci aspettava davanti al vialetto, già al posto di guida, con le mani sul viso per nascondere la sua espressione. Quando si accorse che stavamo arrivando, raddrizzò la schiena e assunse un'espressione quasi neutra, tranne per gli occhi rossi; quelli non poteva nasconderli. Mi sedetti in uno dei sedili posteriori dell'auto, vicino a William, con il quale non scambiai una parola fino all'arrivo. Nessuno, per la verità, parlò, solo quando arrivammo nel punto esatto in cui era stata posizionata la bara di mio fratello, fummo costretti a farlo. Qualcuno era già presente, anche se si supponeva dovessimo essere noi i primi ad arrivare. Nel giro di dieci minuti erano arrivate più di trenta persone e io faticai a ringraziare tutti per le condoglianze, non volendo ripetere sempre la stessa frase. Eravamo nel bel mezzo del cimitero, circondati da alberi con le foglie scosse dal vento fresco di ottobre; il lieve brusio rispettoso del momento e tutta quella gente che conoscevo a malapena riuscivano a distrarmi da mio fratello. Guardai il suo corpo poco prima che la cerimonia iniziasse, ma non piansi. Non piansi per tutta la cerimonia, cercai di non pensare al viso di Thomas e al suo pallore mentre giaceva in quella bara. Rimasi con gli occhi fissi su di essa, ma ero abbastanza distante per non poter vedere dentro di nuovo. Avevo chiesto a William di seguirmi, volevo restare fuori da tutta quella calca, volevo avere il mio spazio per seguire la cerimonia. Poi venne in momento di chiudere la bara e di calarla giù, nella buca profonda scavata per contenerla, e allora, una volta fatto, tutti i presenti si allontanarono piano verso i loro veicoli, diretti verso casa nostra, dove avremmo tenuto un rinfresco in sua memoria, una tipica tradizione americana. Fu allora, quando tutti cominciavano ad andarsene, quando il brusio e il rumore fastidioso di foglie calpestate scemava, che lo vidi, distante, appoggiato ad un albero come tanti, vestito anche lui di scuro tranne la camicia bianca, con la cravatta nera che disegnava cerchi nell'aria, tanto il vento si stava intensificando. Feci un passo istintivo verso di lui, ma indietreggiò fino a quando non fu dietro l'albero, nascosto alla mia vista.
Stavo quasi per avviarmi verso di lui, ma la voce di William mi fermò.
   “Vuoi andare?”
Mi voltai verso di lui, spiazzata.
   “Io...aspetterei che se ne siano andati tutti.”
Ma lo sguardo di Will era ormai in direzione di Justin, anche se adesso non si vedeva più.
   “Hai visto niente?”, mi chiese con noncuranza.
   “No, c'è qualcosa da vedere?”
Lui non rispose, così gli toccai il braccio e iniziai a camminare nella direzione opposta.
   “Direi che possiamo tornare a casa, Will”, dissi con il tono più convincente che avessi. Lui aspettò ancora un minuto.
   “William, andiamo.”
Gli diedi uno scossone e lui si decise a seguirmi, finalmente.
Justin non voleva nascondersi da me, voleva non essere visto da lui.


Mi svegliò la vibrazione del mio cellulare, dimenticato acceso sulla scrivania di camera mia. Non stavo comunque dormendo, perciò non mi costò molto raggiungerlo e rispondere alla chiamata.
Quando lessi chi mi stava chiamando, il mio cuore perse un colpo, per poi battere molto più velocemente di prima. Grazie al cielo ero sola, avevo chiesto a William di lasciarmi sola per quella notte, volevo isolarmi per un po' da tutto e da tutti. Ovviamente fu impossibile, ma non mi dispiacque affatto. Per la prima volta in quella settimana provai un fremito di felicità, un brivido che mi infuse il coraggio di rispondere.
   “Ehi.”
   “Affacciati alla finestra.”
Io non risposi, ero troppo contenta di sentire di nuovo la sua voce, aprii direttamente la finestra di camera mia e guardai in basso.
Justin era lì, così vicino, così raggiungibile, finalmente. Aveva ancora addosso gli abiti formali che aveva indossato quella mattina al funerale. Mi era mancato, mancato da farmi male. La sensazione che provai nel momento in cui i miei occhi incontrarono i suoi non era descrivibile a parole, ma di una cosa ero certa: non potevo aspettare un secondo di più, avevo bisogno di lui, di abbracciarlo, di baciarlo e di parlargli. Mi mancava tutto di lui.
Sorrisi, un sorriso vero, quello, poi mi diressi verso la porta di camera mia e, aprendola piano, percorsi il corridoio che mi separava dalle scale. Una volta uscita all'esterno, lo vidi avvicinarsi a me e fermarsi poco distante. Mi sembrava di non vederlo da una vita e forse era così.
   “Ehi”, mi disse lui senza staccare lo sguardo da me.
Era così bello vederlo, averlo davanti dopo quasi due settimane di lontananza, che non riuscii a spiccicare parola. Gli occhi mi bruciarono nel tentativo di fermare un pianto quantomeno ridicolo, ma Justin lo notò e quando mi strinse a sé, non riuscii a non scoppiare. Piangevo per Thomas e piangevo perché finalmente Justin era con me, piangevo perché in due settimane si erano creati più problemi che in tutta la mia vita.
   “Sono qui, Scar, sono qui.”
Il suo profumo così famigliare mi faceva finalmente sentire a casa, il modo stesso in cui mi stringeva a sé lo faceva. Rimanemmo così per diversi minuti, prima che mi calmassi e mi staccassi da lui. Mi offrì un fazzoletto per asciugare quella valle di lacrime creatasi sul mio viso, sorridendomi come solo lui sapeva fare.
   “Sono un disastro”, dichiarai non appena mi fui passata il fazzoletto sotto gli occhi e sulle guance.
   “Mi piacciono i disastri.”
Sorrisi senza accorgermene, mentre lui si avvicinava a me per abbracciarmi ancora.
   “Mi dispiace, Scarlett, mi dispiace tantissimo.”
Io annuii contro il suo petto e farfugliai un “lo so”. Quando finalmente riuscii a guardarlo negli occhi, mi resi conto di avere un bisogno fisico di lui e delle sue attenzioni, che sarei stata per ore attaccata a Justin, se fosse stato possibile.
Mi baciò prima che potessi farlo io. Indietreggiai fino alla porta di casa, mentre Justin continuava a baciarmi. Mi ritrovai schiacciata tra la porta e il suo corpo e la cosa mi mandò così su di giri da desiderarlo ancora più vicino a me, anche se era materialmente impossibile. Non fu un bacio dolce all'inizio, anzi, pensai che Justin potesse consumarmi con il suo ardore e la sua passione. Ne ero contenta, perché era tutto ciò che desideravo da quando ero salita su quell'aereo per Londra, da quando ci eravamo lasciati. Le sue labbra erano così morbide e calde che per un attimo mi persi nel mordergliele, il che provocò un lamento da parte sua, un lamento roco che non fece altro che farmi perdere del tutto il controllo. La porta cigolò dietro di me e per un attimo temetti che i miei genitori o William potessero sentirci, ma un secondo dopo il pensiero era già svanito. C'eravamo solo io e lui. Justin mi tormentava le labbra con le sue, la sua lingua contro la mia, le sue mani sul mio corpo che mi stringevano come se quella fosse l'ultima volta che avrebbero potuto farlo.
Riprendemmo fiato e quello che mi disse mi paralizzò per la sorpresa, ma accese anche una piccola speranza dentro di me.
   “Vieni con me, andiamocene per qualche giorno. Andiamocene via da tutti e da tutto.”

 

SPAZIO AUTRICE.

Ehilà, girlzz! Beh sì, lo ammetto senza problemi:
mi piace ammazzare i personaggi nelle mie storie.
E ammetto anche che sono lenta ad aggiornare, 
ma...ho iniziato i compiti delle vacanze,quindi ca-
pitemi, please! Finalmente Justin è arrivato, ma la
domanda è: dirà di sì, Scarlett? Beh, ditemi voi...
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber / Vai alla pagina dell'autore: firstmarch