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Autore: Night_    21/08/2014    1 recensioni
Takeshi era un guerriero. Un distruttore senza patria e senza scrupoli. Quelle sillabe... quel nome le apparve a dimensioni piccole piccole nella sua testa, fra tantissimi altri scritti più grandi, in modo quasi ingombrante.
Eppure, anche se era così minuscolo, era il primo che i suoi occhi della mente leggevano all'istante – brillava.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era una sensazione anestetizzante.

Imperatrice.

 

 

 

 

 

 

 

 

Un diario dell'amore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

01/06/--
«L'essere umano è dotato di un incredibile potere: la possibilità di catturare la percezione. Farla propria, racchiudendola con la mente. Gli umani--- giocano con il pensiero. Lo plasmano, gli danno altre forme: ma il punto è che, alla fine, resta un “pensiero”. I vampiri, i demoni, la magia; tutto ciò ha sempre avuto un'unica distinguibile forma, non possono camuffarsi come tentano di dimostrare – ostentare.
D'altronde, è improbabile – anzi, assurdo – che centinaia di persone vadano in giro per una città, tutti affetti dall'insonnia o, addirittura, dal sonnambulismo.
Sono stati distratti. Anzi, hanno semplicemente sottovalutato l'umano. Hanno creduto che quella gente non sarebbe mai giunta alla conclusione più inverosimile – per loro certamente è inverosimile, e come biasimarli? – e che la “convivenza” avrebbe progredito.
E invece.
E' accaduto il peggio – da questo momento, non saprò neanche io cosa dirò».

 

 

 

04/06/--
«Bael sta diventando strano. Molto, strano. Non mi sorride più, non mi parla più; quando ci incrociamo dentro questo mastodontico palazzo, lui va via. Mi sta sfuggendo via dalle dita, vero? Eppure, nella testa ho tutti i momenti in cui ho pensato per davvero che i demoni non erano male.
Tutti i momenti passati con lui. Il numero dei suoi sorrisi, della loro intensità, del modo in cui mi scompiglia i capelli--- ma non fa più niente di niente».

 

 

06/05/--
«Stanotte ho sentito qualcosa.
Sto provando ad usare quella roba strana a cui i nostri scienziati stanno lavorando; visto che noi non possiamo dormire e, la maggior parte delle notti, le passiamo a fissare quella forma rotonda giallognola in cielo, hanno pensato di ideare qualcosa che ci addormentasseNon so se sia giusto averne fiducia ma sto facendo da cavia per loro. D'altronde, non morirò mai – quindi lo faccio.
E so che non funziona.
Stanotte, di certo non ha funzionato – altrimenti--- non avrei sentito quel rumore. Quel qualcosa. Sono le tre di notte e sono in camera da letto – l'ho aspettato ma... .Il rumore – il suono – l'ho sentito verso l'una e adesso sto scrivendo perché, beh, sono spaventata.
Ho paura. Ho paura perché era strano.
Era--- cos'era? Non voglio ancora crederci, anche dopo due ore passate a rimuginarci – mi sono seduta sul davanzale della finestra, la luna mi è testimone. Dovrei darmi una mossa e scrivere cos'è che ho sentito, giusto?
Ma le mani mi tremano, non riesco a scrivere per bene, quindi mi scuso in anticipo: non capirete molto». Lasciò per un attimo la penna. «La carne che si dilaniava. Era il rumore di denti che affondavano sulla carne di qualcuno – o qualcosa – non più vivo, perché non c'era un lamento. O forse era stata usata l'ipnosi. Non lo so. So solo che--- è arrivato alle ossa, questo lo so, sì. Si è sentito un netto crack e poi un tonfo. Non lo so. Non lo so. Ho paura.
Ho paura e Bael non è qui. Dove sei, ho bisogno di te. Non voglio stare qui da sola. Non con quel rumore così vicino-- sembrava proprio a due passi. Non so come andranno le cose da ora in avanti, non so se continuerò a scrivere – se potrò. In ogni caso, dovete sapere che c'è un pericolo dentro il palazzo e che deve essere fermato.
Ve ne prego.
Fate il vostro dovere, per tutti».

 

 

 

***

 

 

 

«Aspetta, aspetta, sei Takeshi! Sei Takeshi, vero?». La voce di Hokori esplose come un fuoco d'artificio – purtroppo, appariva orrendo alle orecchie delle tre persone vicine a lei.
«Katugawa, per te». Gelo. Improvvisamente, il Giappone era diventato l'Alaska – ehi, alla faccia della tecnologia!
Occhi neri, occhi azzurri e occhi oro: addosso a lui. E il ragazzo non si sentiva poi tanto a disagio, era abituato a essere fissato con una certa insistenza – beh, non era abituato ai vampiri o ai demoni. O alle isteriche.
«Kat-- Takes--- … insomma, tu!», esclamò Yuki, incrociando le braccia al petto e aggrottando la fronte. Il chiamato chinò lo sguardo verso di lei, con uno sguardo quasi strano. Sembrava un po' ferito. Malinconico, forse. «Devo parlarti. Verresti un secondo con me?».
«... è meglio se vengo con te, decisamente», e allora, con tutta la naturalezza possibile, Yuki si avvicinò ancora a Takeshi per posargli una mano sulla spalla.
«Oh mio Dio, mi vuoi incoraggiare?», fu la prima cosa che disse lui, quando furono sulle scale parallele alla classe in fondo – dove Takeshi avrebbe dovuto urgentemente dirigersi.
Yuki lasciò scivolare via la mano, portandosela al petto.
«Cos'era quello sguardo?».
«A quale sguardo ti riferisci, pardon?».
«A quello», sussurrò la mezzosangue, con tono algido. E Takeshi aveva capito. Sarà stato il fatto che, di sguardi lanciati quel giorno, solo uno era certo che avesse catturato l'attenzione di lei.
Evidentemente, quelli febbricitanti d'amore non la sfioravano, tsk.
«Sei un po' frigida, Yuki?», rise lui.
«Sono un po' violenta, Takeshi», sibilò lei. Il diritto interessato sorrise, nonostante sapesse a cosa andava incontro. … ai calci dell'albina, già.
«Mi hai chiamato per nome, vuoi far venire la grandine? Con una così bella giornata... », cantilenò, mentre volgeva lo sguardo cioccolato alla finestra – proprio alla loro destra, urlava di essere aperta.
«... adesso ti ci lancio fuori», fu la risposta. Un sospiro. «Sarebbe davvero bello uscire. Non ne posso più di quella».
«Yamashita, eh? Che vuole, esattamente?».
«Bella domanda». Poi le venne in mente che Tetsuya doveva averle strappato qualcosa di bocca, ne era sicura, perché il vampiro sapeva come lavorare. Quindi sussultò, battendo un pugno sul palmo dell'altra mano. «Tetsuya saprà qualcosa. Ci ha parlato giusto dopo lo scontr-- … sconcertante incontro».
Takeshi riportò le iridi su Yuki. Era calmo. Calmissimo. Un velo di quiete. 
Ma che inquietudine quando fa così, pensò lei.
«Chi è... Tetsuya?», domandò l'umano, facendo un passo in avanti. In direzione di Yuki. Che sudava. Freddo, freddissimo. A cubetti.
«Ah. Un mio amico. Hm, d'infanzia. Ci conosciamo da tanti anni e credo due giorni fa... l'ho incontrato... ». … con Yumi, ma sorvoliamo.
Intanto, grazie a chissà quale Dio là sopra, il corridoio si era svuotato. Persino Sayumi e Hokori si erano dileguate, probabilmente entrambe erano andate nelle proprie classe. Doveva farlo anche lei, in verità.
Però, con Takeshi sempre più vicino, con le punte delle scarpe di entrambi che si toccavano, era abbastanza complicato. I nasi si sfioravano e Yuki sentiva il respiro caldo, terribilmente caldo, di Takeshi.
«Gentilmente, Takeshi, potresti spostarti? Devo andare in classe. Ho già---».
«Cosa?».
«Togliti dalle scatole, insomma».
«Yuki», come un appello, lei sollevò la mano destra all'altezza della propria testa. Il sorriso che rendeva leggermente più sottili le sue labbra – altrimenti carnose, rosee, decisamente... – le aveva fatto dimenticare per l'ennesima volta cosa volesse dirgli.
Perché lo aveva portato lì?
«Ricordi cosa ti dissi, al nostro primo incontro?».
«No. No, non... penso di ricordare».
«E' una sfida, questa?».
«No. Oddio, mi sta salendo la febbre».
«Pf--... ». Takeshi si allontanò. Teneva una mano contro le labbra, gli zigomi un po' più alti, gli occhi ridotti a due spille.
Era chiaro che stesse disperatamente trattenendo le risate. Ed era chiaro che anche Yuki lo stava facendo, visto che si era girata verso le scale, le braccia incrociate al petto – ancora.
«Non sei divertente!», esclamò, piccata.
«Tu, invece, tantissimo. Grazie a te sarò la persona più felice del mondo», ribatté Takeshi, mentre scendeva il palmo nella tasca del pantalone. Con l'altra mano, si passò il pollice all'inizio della mascella fino al mento, lentamente.
«Ah, per quella cosa? Ogni risata aumenta la propria felicità, corretto?».
«Correttissimo. Per lei, il massimo dei voti, signorinella».
Yuki si voltò.
Un largo, luminoso, inusuale sorriso sulle labbra. Ecco, le sue erano sottili. Quindi, in teoria, non dovevano essere più morbide di quelle di una ragazza nella sua classe, che aveva due cuscini apposto della bocca. In teoria.
Chissà, invece...
«Peccato, è ora di andare in classe. Anzi, l'ora di andarci è passata da un pezzo, ma è irrilevante. Giusto?», disse lei. Poi girò a destra, per dirigersi verso la propria classe.
«Ah-- aspetta, non fuggire!», esclamò Takeshi, facendo un passo come a volerla raggiungere.
«E chi fugge». Non l'aveva sentita granché bene, perché la voce era arrivata ovattata, in un certo senso confusa; e in un altro senso, guardare la schiena coperta dalla lunga chioma argentea, un colore assai strano per dei capelli – ma esistente, in natura –, era così limpido.
In quel momento, Takeshi si rese conto di chi stesse osservando.
La lama di una spada.

 

 

 

***

 

 

 

Il resto delle ore scolastiche erano scivolate via come saponette da mani bagnate. C'erano queste giornate, così strane, che sembravano finte. Una giornata con la chirurgia plastica.
«Vai subito a casa, immagino», disse Sayumi, mentre scendevano le scale del primo anno. Yuki si spostò una ciocca dietro l'orecchio, prima di rispondere all'amica. «Beh, se vuoi... possiamo fermarci da qualche parte. Lo so che lo vuoi». Sorrise, divertita.
Yumi scoppiò a ridere, socchiudendo le palpebre.
«E ho pure usato il tono più mite possibile», disse, la voce incrinata dai risolini. «Colgo la palla al balzo, allora. Hm... che ne dici... di un gelato?».
Yuki guardò Sayumi. Era stata astuta, l'amica, doveva concederle questa vittoria.
«Però non è valido», commentò. «Tu sai che ho un debole per i dolci e ne approfitti spudoratamente».
Sayumi alzò il mento e “pompò” il petto, tutta fiera di sé, ridacchiando in seguito. «Conoscere i punti deboli del nemico è la prima cosa da sapere prima di andarcisi a scontrare!».
«... sarei un nemico?».
«Il più pauroso!».
L'atrio, o meglio, i cancelli della libertà, a quell'ora erano sempre gremiti di studenti – allegri, drogati dell'aria aperta – che percorrevano le brevi scalinate e si disperdevano come formichine.
Non era l'orario migliore del mondo per tornarsene a casa. Yuki preferiva, difatti, l'orario un po' più sul tardi. Era più... comodo.
Sperava solo di non incontrare una certa sedicenne dai capelli neri e gli occhi del medesimo colore, un sorriso strafottente sulle labbra: Hokori. Naturalmente.
Anche se, effettivamente, negli ultimi tempi stava incontrando più sorrisi strafottenti che persone qualunque senza carattere...
«Vorrei un gelato alla stracciatella, sì», cantilenava Sayumi, mentre camminavano in mezzo agli alunni.
«Con un'aggiunta di cannella», disse Yuki. «E panna montata a coronare il tutto».
«... ho l'acquolina in bocca!».
Seguirono meste chiacchiere fra amiche, di quelle irrilevanti che sono però ripiene di sorrisi, ricordi e insieme un velo di malinconia. A Yuki piacevano molto. Si sentiva perfettamente a suo agio, cullata dalla voce di Sayumi – anche se non era proprio una ninna nanna, squillante com'era.
Perciò non voleva che niente e nessuno ci mettesse il naso.
Che interrompesse quella routine.
Eppure---
«Buonasera, ragazze».
«Guarda chi si vede!».
Eppure, erano appena state disturbate, da due presenze talmente diverse ma insieme simili da far rabbrividire l'albina.

 

  
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