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Autore: ChildOfTheDeath    22/08/2014    3 recensioni
" Cosa vedi nelle tue visioni? "
" Soltanto sabbia. Sabbia rossa, infuocata. E paura, tanta paura. "
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Quando Nico Di Angelo trascina una ragazzina al campo mezzosangue, nessuno si aspetta che quella semidea dall'aria spaurita possa rappresentare una vera minaccia. Ma Genesis Hale sa di essere completamente pazza. Sente le voci, ha gli incubi e le visioni. Visioni spaventose, di scenari apocalittici, sangue e morte.
Qualcosa di oscuro e potente si sta risvegliando, e lei l'ha visto in anticipo. Quando Rachel Elizabeth Dare pronuncia la profezia è troppo tardi.
Chaos si è ridestato dal suo profondo sonno, e reclama vendetta.
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" E' tutto nelle tue mani, ragazzina. "
" Cosa scegli? Te stessa o il mondo? "
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[ FUTURO APOCALITTICO, QUATTRO ANNI DOPO LA GUERRA DI GEA ] [ NICO/OC ]
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter Ten- Bleeding Out

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

When the day has come 
But I’ve lost my way around 
And the seasons stop and hide beneath the ground 
When the sky turns gray 
And everything is screaming 
I will reach inside 
Just to find my heart is beating


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricapitolando:

a)     Sono a New York.

b)     Sono a New York con Nico Di Angelo.

c)     Nico Di Angelo mi ha appena offerto un gelato.

 

Appoggiai i gomiti al bancone del bar, passandomi una mano tra i capelli. Lanciai un’occhiata preoccupata all’orologio da parete attaccato di fronte a me. Erano le cinque e mezza del pomeriggio. Entro le sette saremmo dovuti ritornare al campo mezzosangue, altrimenti il “piano” sarebbe andato a monte. Quella mattina ero stata buttata giù dal letto da un Trevis più iperattivo del solito, che mi aveva comunicato in meno di trentacinque secondi che quel giorno era il compleanno di Nico, ma con lui tra i piedi era impossibile organizzargli la festa a sorpresa, perciò dovevo trovare il modo di distrarlo. Avevo impiegato un’ora e mezza per convincerlo ad accompagnarmi a “fare shopping in città” perché “ti prego, Nico, sai che mi odiano tutti, sei l’unico che non ha paura di me”. Avrei voluto tanto darmi un migliaio di botte in testa, perché mi ero comportata da bambinetta capricciosa, ma era l’unico modo perché si decidesse a dirmi di si.

<< Non ti ho mai vista qui, prima. >> Mi voltai di scatto. Un ragazzo biondo mi sorrideva. Era abbronzato, e indossava un’uniforme scolastica, con la cravatta annodata male. Doveva avere più o meno la mia età.

<< New York è una grande città. >> Mi strinsi nelle spalle, ma ricambiai il sorriso. Lui era piuttosto carino. Si grattò la testa, quasi imbarazzato. Lasciò scivolare lo zainetto su una spalla sola, poi appoggiò un braccio accanto al mio, sul bancone.

<< Beh, vengo qui tutti i giorni da più o meno due anni, e mi sarei ricordato di te. >> Mi lanciò un’occhiata birichina.

<< Credimi. >> Aggiunse poi, e mi squadrò da capo a piedi, senza curarsi troppo del fatto che sembrasse un maniaco. Mi sentii arrossire istantaneamente. Poi ridacchiai come un’idiota, cercando disperatamente qualcosa da dire. Ero una vera frana con i flirt. Nessun ragazzo mi aveva mai abbordata in quel modo. Anzi, nessun ragazzo mi aveva mai abbordata. Nelle scuole che avevo frequentato il popolo maschile preferiva le cheerleader alle sfigate con le visioni.

<< Mi chiamo Genesis, piacere di conoscerti. >> Gli strinsi la mano, con insolita sicurezza. I suoi occhi erano di un bel castano scuro, ma niente a che vedere con quelli di Nico. Stop. Perché stavo pensando a Nico?

<< Mattew, il piacere è tutto mio. >> La sua mano indugiò a lungo nella mia. Sorrisi come un’ebete. Dovevo sembrare una ragazzina alla sua prima cotta, così raddrizzai le spalle e mi schiarii la gola, trasformandomi in una donna vissuta ed esperta. Ma chi volevo prendere in giro?

<< Sei qui da sola? Perché sarei davvero contendo di offrirti un caffè, o un frappè. Insomma, quello che vuoi! >> Esclamò, sbattendo le ciglia. Oh, ma ci stava davvero provando? Insomma. Un ragazzo carino ci stava provando. Con me. Volevo dirgli che in realtà c’era Di Angelo nei paraggi, che non avevo tempo per un caffè e che non saremmo mai potuti uscire insieme, perché quasi sicuramente sarei stata braccata da mostri vari e avrei potuto avere una visione nel bel mezzo del Central Park, ma non lo feci. Che male c’era a desiderare di volersi sentire normale, almeno per un momento?  Aprii la bocca, per dirgli che mi avrebbe fatto molto piacere, ma qualcuno mi precedette.

<< No, non è qui da sola. E no, tu non le offrirai proprio niente. >> La voce di Nico mi fece rizzare i peli sulle braccia. Digrignai i denti.

<< Scusalo, oggi è di cattivo umore. >> Sorrisi, in direzione di Mattew, poi mi voltai verso il figlio di Ade, che teneva in mano un frullato alla fragola e un cono due gusti cioccolato e nocciola, come gli avevo chiesto. Mi piazzò in mano il gelato, poi posò il bicchiere sul bancone, lanciando al povero malcapitato un’occhiata che avrebbe ammazzato un piccione in volo.

<< Non sapevo che avessi il ragazzo. >> Commentò Mattew. Non capivo se fosse spaventato o arrabbiato. Forse un po’ tutte e due. Sorrisi, pestando un piede a Nico. Come si permetteva di rovinarmi il flirt?

<< Non è il mio ragazzo. Siamo soltanto… >> Mi bloccai. Cosa eravamo noi due? Amici? Conoscenti? Non ne avevo la minima idea.

<< Amici? >> Suggerì il biondo, con aria più rilassata. Tirai un mezzo sospiro di sollievo, felice che non fosse scappato a gambe levate. Non sarebbe stato carino abbandonare Nico nel giorno del suo compleanno, e non volevo farlo. Ma procurami il numero di quel tipo non mi sembrava un reato punibile con la pena di morte.

<< Ascolta, se oggi sei impegnata posso lasciarti il mio numero, così ci si sente più tardi. >> Suggerì Mattew, allargando le braccia.

<< Oh, sarebbe… >>

<< Una pessima idea. >> Sibilò il ragazzo dietro di me, afferrandomi per un polso. Provai a divincolarmi, ma lui era troppo forte. Fui tentata di rovesciargli il frappè in testa, ma non avevo voglia di scatenare una lite furibonda in un bar nel centro di New York.

<< Amico, stai tranquillo, non sono un maniaco. >> Provò a difendersi Mattew, alzando le mani in segno di resa. La presa sul mio polso non fece altro che stringersi. Magari avrei potuto estrarre Gioiosa dallo zainetto, e dare una botta in testa a Nico con il piattone. Chissà cosa avrebbero visto gli umani. Magari io che picchiavo un tipo dall’aria inquietante con una mazza da baseball.

<< Genesis, dobbiamo andare. >> Si limitò a ringhiare il figlio di Ade. Poi, prima che potessi scusarmi o dire qualcos’altro, mi trascinò via, afferrando il suo frappè con la mano libera. Mi lasciò andare soltanto quando fummo sul marciapiede, lontani dall’entrata del bar. Assaggiai il mio gelato, cercando di non farlo sciogliere tra le mie mani. Poi mi piantai davanti a Nico, assumendo un’aria feroce. Per quanto me lo permettesse il cono che avevo tra le mani, ovviamente.

<< Ma sei impazzito? Quel ragazzo era carino! Voleva soltanto scambiare due parole, e tu l’hai fatto spaventare.  >> Sbottai, con voce un po’ troppo alta. Nico mi guardò dall’alto, incrociando le braccia al petto. Poi ghignò.

<< Scambiare due parole? Mi prendi in giro? >> Domandò, sarcastico. Inarcai un sopracciglio.

<< Quel tizio ti fissava come se fossi un pezzo di carne dal macellaio. Ci mancava poco e ti avrebbe sbavato addosso. >> Ringhiò, con cattiveria. Poi sorseggiò un po’ della sua bevanda, con espressione truce. Dovevamo sembrare ridicoli.

<< E anche se fosse? Saremmo potuti uscire insieme, e poi… >>

<< Oh, ti prego, Genesis. Era un mortale. Credi davvero che saresti potuta uscire con lui? Non so se te ne sei accorta, ma non fai più parte di quel mondo! >> Esclamò, scuotendo la testa. Socchiusi gli occhi, ma poi abbassai lo sguardo. Sapevo che lui aveva ragione. Non potevo mettermi con un umano, e anche solo farci amicizia sarebbe stato pericoloso per entrambi.

<< Scusa se per una volta ho provato ad essere normale. >> Sputai tra i denti. Poi girai i tacchi. Speravo con tutto il cuore che Nico non mi seguisse, ma in due falcate mi aveva già raggiunta. Alzai la testa, orgogliosamente.

<< Central Park è dall’altra parte, ragazzina. E poi non dirmi che ti sei offesa. >> Il suo tono era quasi divertito. Fissai il cielo, come per chiedere aiuto agli dei. Però mi bloccai, evitando di fare la figura dell’idiota. La mia teatrale uscita di scena era stata indubbiamente rovinata.

<< Certo che mi sono offesa, mi hai rovinato il flirt! >> Esclamai, passandomi una mano tra i capelli. Nico alzò gli occhi al cielo, poi mi affiancò. Dovevamo sembrare proprio una coppia strana. Nonostante fosse ancora il cinque settembre- perciò faceva caldo- lui indossava i jeans neri strappati,  un giubbino di pelle che mi sarei messa soltanto in inverno inoltrato e pesanti anfibi ai piedi. Io, invece, avevo una semplice canottiera bianca e un paio di shorts da battaglia, di quelli che si comprano al mercatino dell’usato per qualche dollaro.

<< Non ti chiederò scusa, se è questo che vuoi. >> Ribatté, risoluto. Oh, ma sentitelo un po’.

<< E’ quello che fanno le persone normali. >> Sibilai. Per colpa sua non stavo nemmeno riuscendo a gustarmi quel buonissimo e dolce gelato, che si stava rapidamente squagliando sulla mia mano.

<< Primo, non sono normale. >> Cominciò, alzando il pollice.

<< Secondo, non mi dispiace, perciò non vedo il motivo per cui dovrei scusarmi. >> Concluse, soddisfatto delle sue argomentazioni. Fui tentata di strozzarlo, ma non mi sembrava il caso, nel bel mezzo di New York. Avevo detto a Trevis che ero la persona meno indicata per uscire con Nico. Per un momento avevo pensato di chiedere a Lux di prendere il mio posto, ma poi era tornata la brutta sensazione alla bocca dello stomaco. Al solo pensiero di lei e il figlio di Ade in giro per Manhattan mi veniva voglia di picchiare qualcuno.

<< Lascia perdere. >> Mi limitai a borbottare. Il Central Park distava più o meno venti minuti di cammino. Venti minuti che passarono in assoluto silenzio. Stranamente, però, non era uno di quei silenzi tesi ed imbarazzanti. Era più una specie di momento di riflessione per entrambi. Ognuno era immerso nei suoi pensieri.

 Avrei tanto voluto parlare di qualcosa, perché il mio cervello continuava a settarsi sulla modalità “Risveglio di Chaos” e “Profezie e imprese.”, “Apocalisse” e via dicendo. Con mia enorme sorpresa mi trovai a rimpiangere la mia vecchia vita. Di cosa mi lamentavo? Di Mark che mi faceva i dispetti e di mio padre che si mostrava freddo nei miei confronti? Mi venne da ridere e da piangere allo stesso tempo. Non sentivo Peter Hale da cinque giorni, eppure mi sembrava passata un’eternità. Osservai una coppietta felice che si teneva per mano, poi una madre che trascinava sua figlia lontano dalla strada, sgridandola per essere scesa dal marciapiede. Io non sarei mai stata quella madre, molto probabilmente. Non sapevo nemmeno se sarei vissuta abbastanza da compiere i miei diciassette anni, o da innamorarmi e avere dei bambini. Una vita normale. Lanciai un’occhiata di sottecchi a Nico. A volte lo ammiravo per la sua forza. Dopo tutto quello che aveva passato riusciva ancora a trovare il coraggio per andare avanti.

<< Come fai? >> Domandai, senza quasi nemmeno accorgermene. Il ragazzo mi guardò.

<< Riesci a non farti scalfire da niente. >> Continuai, a mezza voce. Lui sorrise. Un sorriso amaro.

<< Otto anni di esercizio. >> Rispose, stringendosi nelle spalle. Varcammo il cancello di Central Park senza accorgercene. Alle sei e venti avremmo preso il pullman per tornare a Long Island, perché Nico era stanco, e non era sicuro di riuscire a trasportare entrambi con un viaggio nell’ombra, fino al Campo. Aprii la bocca per parlare, ma le parole mi si bloccarono in gola. Mattew se ne stava appoggiato al tronco di un albero, e mi fissava. Sorrideva, come uno che la sa lunga. Inarcai le sopracciglia.

<< Vuole davvero essere picchiato? >> Chiese Nico, sbuffando. Il biondo ci fece un cenno con la testa, invitandoci a raggiungerlo. Il figlio di Ade ed io ci scambiammo un’occhiata. Poi ci dirigemmo verso Mattew. Dovevo piacergli proprio tanto. Magari ci aveva seguito per tutto il tempo, o forse ero troppo egocentrica, e lui aveva semplicemente scelto di passare un pomeriggio al parco.

<< Non c’è bisogno che tiri fuori la spada, Nico. >> Sorrise Mattew, facendoci l’occhiolino. Nico strabuzzò gli occhi. Poi il sedicenne biondo che ci trovavamo davanti scomparve, lasciando il posto ad un ragazzo sui venticinque, molto più bello e molto più abbronzato. E biondo. Davvero tanto biondo. L’avevo già visto nella sala del trono, sull’Olimpo. Era Apollo.

<< Miglioro di giorno in giorno con i travestimenti, lo so. >> Alzò i pollici, passandosi una mano tra i fluenti capelli color oro.

<< Divino Apollo. >> Nico sembrava accigliato, e preoccupato. Beh, non lo biasimavo. Aveva rischiato di scatenare una rissa con un dio. Il dio del sole, ma pur sempre un dio.

<< Ho scritto un haiku per questa occasione, volete… >>

<< No, grazie. >> Lo interruppi, un po’ troppo bruscamente. Ero piuttosto irritata. Pensavo di piacere davvero a “Mattew”. Invece Mattew era uno stupido dio che si divertiva un mondo a prendermi in giro, probabilmente perché non aveva il permesso di parlare con me, perciò era dovuto ricorrere ad uno stratagemma per sfuggire agli occhi vigili di quell’isterico di suo padre. La vita era ingiusta.

<< Come vuoi. >> Apollo si strinse nelle spalle. Poi frugò nelle tasche, estraendo un piccolo contenitore di plastica. Sembrava quello per le pastiglie.

<< Non ho molto tempo, ma voglio aiutarvi. Gli dei pensano che sia una cattiva idea interagire con voi in questo momento, ma non mi interessa. >> Sorrise, smagliante. Almeno Apollo era un gran figo, senza ombra di dubbio.

<< Non potevi inviarci un messaggio iride? >> Chiese Nico, con le braccia incrociate al petto. La sua maschera imperturbabile era tornata a coprigli il viso. Se era spaventato, in quel momento, non lo dava affatto a vedere.

<< Nah, troppo rischioso. E poi mi sono divertito di più così. Comunque, Genesis, c’è un motivo per cui tu e Rachel siete collegate. >> Tagliò corto. Deglutii. Volevo davvero sapere perché?

<< Me lo chiese tua madre, perché tu fossi preparata a ciò che ti aspettava. Con l’aiuto di Circe preparammo un incantesimo, attraverso il quale i mostri non avrebbero sentito il tuo odore, e il collegamento con l’Oracolo si sarebbe presentato solo al momento giusto. >> Sparò tutto d’un fiato. Spalancai la bocca, incapace di parlare. Apollo sapeva già che io e Rachel eravamo collegate? E perché aveva accettato di aiutare mia madre? Non riuscivo a capire.

<< Ma… Mia madre era stata bandita, perché hai deciso di aiutarla? >> Sussurrai, quasi per paura che qualcuno mi ascoltasse. Apollo scosse la testa, per dirmi che quello non era il momento giusto per parlarne. Ogni volta che scoprivo qualcosa, le domande quadruplicavano.

<< Non posso dirti molto altro, soltanto che credo ad Eris perché… Rachel mi ha detto delle visoni, quelle che condivide con te. Sto cercando di convincere gli altri dei… Ma non è facile. Per niente. >> Si passò una mano tra i capelli, mostrando i bicipiti gonfi e dolcemente scuriti dalla luce del sole.

<< Ma a te devono credere. Che motivo avresti di mentire? >> Intervenne Nico, scuotendo la testa. Sbuffò, scostandosi dalla fronte una ciocca di capelli color del petrolio.

<< Gli dei sono diffidenti per natura. Se non agisco con cautela penseranno che io sia passato dalla parte di Eris. Che io sia un traditore. >> Spiegò. Non mi era difficile immaginare che il resto del consiglio non gli avrebbe creduto. Ero stata nella sala del trono per nemmeno mezz’ora, eppure avevo capito di cosa erano capaci gli dei.

<< Quindi… Le visioni non sono mie, ma di Rachel? >> Domandai, mordendomi un labbro.

<< Esattamente. E lei le condivide attraverso il vostro collegamento, senza accorgersene. >> Annuì Apollo. Sospirai. Almeno quel mistero era chiarito. Restava soltanto da capire per quale motivo mia madre sapeva già ciò che sarebbe successo, e come mai Circe aveva accettato di aiutarla. Mi sentii girare la testa. Troppe domande e troppe poche risposte.

<< Devo andare adesso, si sono accorti che manco. >> Alzò gli occhi al cielo. Poi mi mise in mano il contenitore di plastica. Magari custodiva informazioni top-secret che ci avrebbero permesso di fare un po’ di luce su quell’intricato mistero. Mi sembrava di dover sciogliere un nodo complicato. Uno di quelli in cui basta trovare l’estremità del filo, e tirare. Ma io non sapevo dove si trovava quell’estremità, né se avrei avuto la forza per riuscire  a tirare.

<< Devi proteggerla, Nico. >> Apollo si rivolse al figlio di Ade, la cui bocca era distesa in una linea sottile. Impiegai un po’ per capire che si stava riferendo a me.

<< E buon compleanno! >> Ammiccò. Poi scomparve, così come aveva fatto Eris. Battei un piede per terra, frustrata. Aprii il palmo della mano, osservando la boccetta che mi aveva consegnato.

XANAX, COMPRESSE.

Non sapevo se ridere o piangere. Mi aveva regalato un contenitore di pasticche per gli attacchi di panico. Ma mi stava prendendo in giro? Srotolai il biglietto avvolto attorno alla boccetta.

Prendine un paio quando la paura diventa ingestibile. Ti serviranno.

La calligrafia era pulita e ordinata. Chi si credeva di essere? Il mio dottore? Fui tentata di scagliare via le pastiglie, ma mi bloccai. Mi bloccai, ripensando a quando avevo avuto l’attacco di panico al falò. Alla sensazione di annegare, alla sensazione che il mondo continuasse a muoversi senza lasciarmi via di scampo, e che i miei polmoni non fossero più in grado di svolgere il loro compito. Non volevo più sentirmi così. Impotente, debole.

<< Dovremmo tornare al campo. >> Mormorò Nico, con lo sguardo perso nel vuoto. Annuii, sospirando.

C’era una festa a sorpresa a cui partecipare.

 

 

 

 

 

 

 

L’orologio vicino allo specchietto retrovisore segna le ventitré e trenta. Mark sembra di cattivo umore, mentre mastica a bocca aperta la sua gomma alla fragola. Sono le sue preferite. Gli tocco un braccio, ma lui rimane fermo. Non si accorge che sono lì. Nemmeno il taxista lo fa. Ai loro occhi sono invisibile.

<< Scendi subito. Devi scappare. >> La voce di Rachel mi si insinua nel cervello. Lo so. So che sono in pericolo, lo sento fin nelle ossa. Provo ad aprire la portiera, ma le mie dita sembrano fatte di fumo. Il conducente suona sul clacson, sbuffando. Siamo intrappolati nel traffico di New York. Batto sul finestrino, ma nessuno si accorge di me.

Devo scappare, devo scappare. Morirò. Morirò se non scappo.

<< Ci vuole ancora molto? >> Borbotta il mio fratellastro, irritato. Adesso sono le ventitré e trentatré, sta per succedere qualcosa di brutto.

<< Vattene subito! >> Strilla la voce. Le lacrime mi bagnano le guance.

<< Non posso! >> Grido, disperatamente. Prendo a gomitate la portiera, ma non succede niente. Scalcio, contro al vetro del finestrino, ma non faccio altro che ferirmi i piedi. Salto addosso a Mark, ma lui non mi sente. Non può sentirmi. Sono fatta di fumo, non esisto.

Ventitré  e trentasei. Il taxista apre la bocca per parlare, ma si interrompe.

Una raffica di vento gelido penetra nella vettura. I finestrini esplodono in una pioggia di schegge. Sta cominciando. Mark urla, coprendosi la testa. La sabbia lo colpisce negli occhi, mentre io mi lancio fuori dal taxi. Atterrò sul cemento, e improvvisamente riesco a sentire di nuovo. Il sangue che mi cola dalle dita tagliate, il dolore alla spalla su cui sono caduta. E poi la sabbia.

Sono le ventitré e trentasette.

E’ così che segna l’orologio di un grattacielo di cui non mi ricordo il nome.

Non riesco ad alzarmi in piedi, perché il mostro rosso mi ha afferrato una caviglia. Tendo le mani verso Mark, che sta scappando. Lui mi guarda. Continua a fissarmi, con occhi vitrei. Poi se ne va, di corsa. Grido con tutto il fiato che ho in gola.

Sono le ventitré  e trentanove.

Un anziano signore viene risucchiato dalla sabbia.

Ventitré e quaranta; un’esplosione sconquassa New York.

E’ l’inizio della fine.

Chaos si è risvegliato.

 

 

 

 

Spalancai gli occhi, con il respiro incastrato in gola. L’autobus si fermò con uno scossone, ma io non mi mossi. La mia testa era appoggiata alla spalla di Nico. Mi ero addormentata durante il viaggio verso Long Island.

<< Stai piangendo. >> Disse il ragazzo. Sentivo le guance bagnate di lacrime, e un peso esattamente al centro del petto. Feci una smorfia. Almeno non mi ero messa ad urlare in mezzo a tutta quella gente. Sollevai la testa, asciugandomi il volto con l’orlo della canottiera.

<< Era soltanto un incubo. >> Sussurrai, ma la mia voce era ancora spezzata. Quel sogno mi era sembrato più reale dei soliti. Come se fossi davvero in quel taxi, ma nessuno riuscisse a vedermi. Come se una parte di me fosse volata fino a laggiù, mentre il mio corpo rimaneva da qualche altra parte. Mi guardai le mani. Niente sangue, niente tagli. Ma bruciavano ancora.

<< Non è mai soltanto un incubo, Genesis. >> Commentò il figlio di Ade. Sentivo il suoi occhi su di me, ma non avevo il coraggio di alzare la testa. Aveva ragione. Non avevo mai fatto un sogno così preciso, e mi ricordavo tutto quanto. L’orario dell’orologio sul taxi, quello del grattacielo… E la data. Il cinque settembre. Quel giorno. Significava qualcosa? Perché se Apollo e mia madre avessero avuto ragione, in meno di quattro ore sarebbe accaduta una catastrofe.

La sabbia avrebbe invaso New York, la gente sarebbe morta, e io non sarei stata in grado di fare niente. Perché ero troppo debole, troppo inutile… Perché il peso da portare sulle spalle era troppo gravoso per me. Sentii una sensazione di gelo strisciarmi nelle vene. Aprii lo zaino in fretta e furia, poi estrassi il contenitore con le pasticche. Ne mandai giù due in un colpo solo, ad occhi chiusi.

<< Cos’è quello schifo? >> Nico mi strappò di mano la boccetta di plastica. Appoggiai la testa al sedile, con il fiatone. Il cuore mi batteva ancora a mille, ma per lo meno riuscivo a respirare senza problemi. Lo Xanax aveva bloccato l’attacco di panico che stava per assalirmi in pullman.

<< Me le ha date Apollo. Sono per gli attacchi di panico. >> Spiegai brevemente, stringendomi nelle spalle. Una voce metallizzata avvisò che la fermata  successiva era quella di Lons Island. Altri dieci minuti a piedi e saremmo arrivati al Campo senza spargimenti di sangue.

<< Non dovresti prenderle, altrimenti non imparerai mai a controllarli. >> Scosse la testa, con tono di disapprovazione. Mi riconsegnò il contenitore, che ficcai prontamente nella tasca dei pantaloni. Volevo avere le pastiglie a portata di mano. Nico non capiva. Non sarei mai stata così forte. Forse lui si era già sobbarcato il peso del mondo sulle spalle, ma io non sarei stata in grado di reggere a lungo. Non ero un eroe. Non volevo esserlo.

<< Non riuscirò mai a controllarli. Sono troppo… Debole. >> Sputai, stringendomi le braccia attorno al torace. Poi l’autobus si fermò a Long Island, e scesi a grandi passi, afferrando lo zainetto. La fermata era praticamente in mezzo al nulla, ma di sicuro da quel punto avremmo raggiunto il campo senza difficoltà.

<< Non è vero. >> Ribatté il figlio di Ade. Nonostante stessi quasi correndo, lui non faticava a stare al mio passo. Ridacchiai. Una risatina piuttosto amara.

<< Sì, invece. E non c’è bisogno che fingi per farmi stare meglio, davvero. >> Mi stavo comportando come l’adolescente tormentava di cui parlavamo qualche sera prima, ma non mi interessava. Volevo soltanto stare da sola, e pensare a come sistemare quel casino della mia vita. E poi avrei dovuto avvertire Chirone del mio incubo, pregare che Rachel pronunciasse la stupida profezia, parlare con Lux… Nico mi afferrò per un polso, facendomi fermare bruscamente.

<< Tu hai davvero una concezione sbagliata di te stessa. >> Commentò. Alzai lo sguardo. Eravamo molto vicini. Più vicini di quanto le norme sociali avrebbero consentito. Ma eravamo amici. Soltanto semplicissimi amici. Eravamo usciti come amici, e saremmo tornati a casa come amici. Niente di particolare.

<< Sono realista. >> Asserii a mezza voce. Non ero mai stata una persona coraggiosa, né particolarmente bella o brillante. A parte la pazzia ero una banalissima adolescente newyorkese. A scuola c’erano tantissime ragazze molto più carine di me, che avevano ottimi voti a scuola e ottenevano borse di studio per lo sport. Io non avevo mai spiccato in niente.

<< No, sei coraggiosa. >> Mi corresse lui. E per la prima volta sulle sue labbra si formò un sorriso sincero. Un sorriso comprensivo, e quasi dolce. Avevo l’impressione che in Nico Di Angelo bruciasse ancora il fuoco. Era soltanto nascosto da una spessa lastra di ghiaccio, che ero riuscita a scalfire. Abbassai lo sguardo, scuotendo la testa, ma il figlio di Ade mi infilò un dito sotto al mento, costringendomi a fissarlo.

<< Quella ragazza che ha sconfitto un’Empusa, che ha affrontato Clarisse, che ha avuto il fegato di contestare Zeus… Non è coraggiosa? >> Domandò. Mi sentii le lacrime agli occhi, perché quella era sicuramente la cosa più dolce che qualcuno mi aveva mai detto.

<< Cercavo soltanto di salvarmi la vita. >> Ribattei debolmente.

<< Cercavi di fare la cosa giusta. >> La sua fronte si posò sulla mia. Sentivo i suoi capelli ribelli sfiorarmi le guance. Ci separava soltanto un respiro, un soffio. I nostri nasi si toccavano quasi, mentre lo fissavo negli occhi, incantata.

<< D-dovremmo andare… >> Balbettai senza troppa convinzione.

<< Già, dovremmo. >> Ripeté, ma il suo tono era piatto. Chiusi gli occhi.

Ok, d’accordo.

Volevo baciarlo.

Morivo dalla voglia di baciarlo. Mi chiedevo come mi sarei sentita, se il tremore a tutto il corpo sarebbe sparito o se le farfalle allo stomaco si sarebbero placate. Il cuore mi batteva a mille, come a voler scappare dalla mia cassa toracica. Ma era sbagliato. Era tutto sbagliato. Ci conoscevamo da cinque giorni, continuavamo a litigare e probabilmente di lì a poche ore saremmo morti tutti. Non potevamo stare insieme. Non in quel modo. E poi io non gli piacevo. Lui non mi piaceva. O almeno credevo.

<< Nico. >> Soffiai. Mancava davvero poco. Quattro, cinque centimetri. Chiusi di nuovo gli occhi, mentre si avvicinava sempre di più.

<< Ragazzi, finalmente! >> Spalancai le palpebre, e saltai all’indietro. Trevis Stoll ci salutava da lontano con la mano. Cosa ci faceva lì? Mi lanciò un’occhiataccia d’avvertimento. Probabilmente avevamo tardato per la festa.

<< Vi stavamo aspettando! >> Esclamò.

<< Per cosa? >> Di Angelo sembrava sospettoso.

<< Oh, vedrai. >>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Zalve a tutti :3 allora, piaciuto questo capitolo? Apollo è sempre il solito gran figo, e finalmente si decide a spiegare qualcosa a Genesis. Nel prossimo capitolo succederà un gran casino, vedrete. Ringrazio i miei lettori, i miei recensori, chi segue, preferisce e ricorda questa storia. Grazie di cuore, tanti bacioni :3

   
 
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