Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Segui la storia  |       
Autore: wilderthanthewind    22/08/2014    1 recensioni
Tra i banchi della Edgemont High School tante sono le cotte che sbocciano, i sogni che si distruggono, le passioni che si coltivano, le storie che iniziano e che finiscono.
Una storia di certo inizia.
È quella di Denise McCoy, una ragazza muta, e Ashton Irwin, il ragazzo che ritroverà tutte le sue parole.
La loro storia è scritta su pezzi di carta, ma chi non sa del resto che la carta è così fragile?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




Capitolo 5


 

8 settembre 2013, 7.40

Caro diario,

non mi trova anormale, né ridicola.

Non pensa che io faccia pena.

Non vuole che sparisca.

Scusa. Non volevo spaventarti.”

La sua grafia era instabile e irregolare, come se la sua mano stesse tremando nel momento in cui l'aveva posata su quel foglio di carta.

Ho osservato i suoi occhi: erano grandi, e verdi, ma a volte sembravano sfumare verso il nocciola. Brillavano.

Aveva le labbra contratte in una linea sottile, che formava un leggero sorriso sghembo. L'angolo della bocca che aveva lievemente sollevato era seguito da una profonda fossetta.

Caro diario,

quel pezzo di carta apparteneva ad Ashton Irwin, il ragazzo con la bandana.

Il ragazzo che voleva farmi del male.

O forse no?

 

 

 

Denise scosse leggermente il polso per fare in modo che il quadrante fosse ben visibile. Le 7.28.

Quella notte la madre non era tornata a casa, e senza un fil di sconcerto né la minima preoccupazione di dove si trovasse e cosa stesse facendo, aveva impostato la sveglia mezz'ora prima del solito per avere tempo a sufficienza per preparare anche Joseph e accompagnarlo a scuola. Le lezioni del piccolo sarebbero iniziate alle 8, ma non poteva permettersi di presentarsi in ritardo alle proprie, dunque lo aveva lasciato davanti al cancello dell'istituto con circa trentacinque minuti di anticipo. Non era la prima volta che Denise si ritrovava costretta a comportarsi da madre, anzi, capitava sempre più spesso; Joseph era abituato a restare solo per molto tempo e non se ne lamentava.

Gli aveva lasciato la manina e sistemato il colletto della camicia bianco latte; passata una carezza sul viso, gli aveva stampato un bacio sulla fronte. Quando si era allontanata da lui non aveva spostato lo sguardo dalla sua figura minuta per i primi metri, notandolo alzare una mano e scuoterla leggermente per salutarla. Lei gli aveva accennato un sorriso in risposta e aveva annuito, dopodiché si era girata e aveva raggiunto la Edgemont (poco distante dalla scuola elementare) addirittura in anticipo.

Da un angolo deserto del cortile osservava gli altri studenti, come sempre divisi in piccoli gruppi che usavano etichettarsi tra di loro. Il gruppo degli sportivi, il gruppo degli alternativi, dei secchioni, dei popolari, duri, provinciali, rapper. Suddivisioni ridicole, eppure all'apparenza funzionava così. Ad ogni caso lei era un elemento a parte. Lei non apparteneva ad alcun gruppo o contesto sociale. Lei era un puntino nero in un'enorme distesa di bianco: totalmente sola, senza simili. La sua anima vagava nel nulla più assoluto.

Dopo due minuti suonò la campanella e le imponenti porte del colossale edificio si aprirono, lasciando che i gruppetti sparsi per il curatissimo giardino si unissero in un'informe massa non troppo impaziente di entrare. Raggiunse lentamente l'ingresso, dirigendosi dunque verso l'aula di spagnolo.

Strisciò i piedi verso il proprio posto e scaraventò come ogni mattina il proprio zaino sul pavimento. Un attimo prima di sedersi gettò un'occhiata sulla superficie del banco.

Si chinò leggermente, abbastanza da poter vedere che nel ripiano inferiore il bigliettino che il giorno precedente aveva deciso di ignorare non c'era più. Riprese a osservare il foglietto incollato al banco, riconoscendone la carta.

Schiuse le labbra; sentì il cuore fermarsi.

Lesse e rilesse, come se le parole tatuate con un inchiostro scadente su quelle righe potessero mutare da un momento all'altro.

Alzò il capo e iniziò a guardarsi intorno, finché non incontrò gli occhi verdi di Ashton, che riuscirono a sostenere il suo sguardo per poco più di un secondo, dopodiché si spostarono. Restò ad osservare il ragazzo per alcuni minuti: ora aveva lo sguardo basso, sulle proprie cosce; probabilmente stava smanettando col proprio cellulare, facendo finta di nulla. Quel giorno le sue ciocche mosse e ribelli erano libere da bandane o cappelli; indossava una maglietta rossa e i soliti jeans scuri, strappati all'altezza delle ginocchia.

Dopo aver tirato via il foglio e averlo gettato nel cestino, Denise si sedette lentamente; la sua espressione sorpresa era rimasta invariata anche durante l'appello a cui, come sempre, non aveva risposto.

Guardò attentamente il proprio orologio: le 7.40.

Afferrò una penna e aprì il diario.

 

 

 

 

«Ash, pronto? Mi stai ascoltando?» Samuel agitò la mano a poche spanne di distanza dal suo viso, per attirare la sua attenzione.

«Eh? Che stavi dicendo?» Ashton scosse improvvisamente la testa, confuso.

«Si era incantato il coglione» Andrew Marshall rise sonoramente, seguito da Jeffrey Matthews e Samuel.

«Ma che volete...» mugugnò il biondiccio, e arricciando il naso li fece ridere ancora più forte.

Samuel grugnì, cercando di riprendere fiato; con una mano si teneva il ventre, con l'altra si asciugava una lacrima all'angolo dell'occhio destro.

«Siamo preoccupati per te» esordì dunque, facendosi più serio.

«Già amico, sei strano» aggiunse Andrew biascicando una patatina e indicandolo con un'altra che teneva tra le dita mentre gesticolava. Jeffrey si unì agli altri due, semplicemente annuendo, con la bocca piena.

«Strano?» inclinò la testa guardandoli accigliato, non capendo a cosa stessero alludendo.

«Strano» confermò Jeffrey, ingoiato il boccone.

«Strano» ripeté Ashton, imitando il suo tono, sul volto la stessa espressione.

Tutti e tre annuirono.

«E... cosa avrei di strano?» chiese dunque, con un sorriso sghembo sul volto, alzando le spalle. Accennò una risata sarcastica, velando della lieve frustrazione.

«Sono un paio di giorni» iniziò Samuel, interrompendosi per un istante per voltarsi in direzione dei compagni, che annuirono per confermare il lasso di tempo trascorso, su cui aveva dei dubbi. «Che fai così» disse.

«Così come?» domandò annoiato, ma allo stesso tempo curioso di sapere in cosa aveva peccato questa volta nel tentativo di risultare perfetto agli occhi degli altri – l'unico modo per essere preso in considerazione.

«Così come hai fatto adesso. T'incanti, non capisci un cazzo, stai per i cazzi tuoi e sei nervoso» spiegò Samuel.

«Cos'hai?» chiese dunque.

«Io? Nulla»

«Non si direbbe»

Ashton era sincero. Nei giorni precedenti non gli era capitato nulla di particolarmente interessante né si era sentito in modo diverso dal solito. Era piuttosto di buon umore e conduceva delle normalissime giornate.

Scrollò le spalle sporgendo leggermente il labbro inferiore: i dubbi e le preoccupazioni dei compagni non gli interessavano. Si alzò e portando con sé il proprio vassoio uscì dalla mensa, poggiandolo sul bancone prima di varcare la soglia della porta.

Si diresse verso il proprio armadietto con passo lento, stringendo la tracolla della propria borsa nella mano.

«Ehm, ciao» sentì improvvisamente una timida e dolce voce alle sue spalle. Si voltò per scoprire a chi appartenesse e si ritrovò di fronte a una figura familiare: una ragazza minuta, dagli occhi quasi tendenti al dorato; i capelli lunghi fino al seno sfumavano dal castano al biondo e le incorniciavano il bellissimo viso con una frangia.

Ashton alzò un sopracciglio e spinse leggermente le labbra in fuori, confuso.

«Sono... la ragazza... su cui sei, ecco, finita addosso, cioè, ieri»

Nella mente del biondiccio riapparve l'immagine del grattacielo dagli occhi azzurri che lo aveva minacciato e rabbrividì. Scosse la testa per allontanare quel pensiero e alzò una mano in segno di scusa.

«Mi... mi dispiace» sospirò, ricominciando a camminare. Non appena superò la ragazza, questa gli afferrò il polso.

«A-aspetta. Devo chiederti scusa» mormorò, e notando lo sguardo interrogativo del ragazzo continuò. «Per mio fratello... è iperprotettivo, sai, non volevo si comportasse così»

«Okay» rispose, impassibile.

«Io sono Judi» disse dunque porgendogli la mano, dopo aver esitato per alcuni secondi. «Judi Hemmings»

Il ragazzo gliela strinse annoiato, non potendo rifiutare un gesto di cortesia, nonostante in quel momento avrebbe preferito trovarsi da tutt'altra parte.

«Ashton Irwin»

Si schiarì appena la voce e ritrasse la mano, infilandola nella tasca dei jeans. Judi gli rivolse un dolce sorriso che tuttavia l'altro non ricambiò.

«Ci si vede» biascicò il biondiccio, riprendendo a camminare nella propria direzione.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: wilderthanthewind