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Autore: arya_stranger    22/08/2014    1 recensioni
Quando ti svegli in un luogo assurdo e non ti ricordi più niente la paura ti attanaglia lo stomaco e le viscere. Però un piccolo ricordo affiora lentamente, un viso, quello di un ragazzo. E se poi scoprissi che sei morto e che l’unica soluzione per tornare in vita è superare una missione? E se la missione fosse quella di aiutare delle persone confuse a ritrovare il loro cammino? Accetteresti?
E se poi ti innamorassi? Cosa faresti?
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(dal testo)
«Non sarei riuscito a descrivere a parole lo spettacolo delle stelle in una notte d’inizio agosto come quella. Forse perché non ce ne sono. Se non l’hai visto non potrai mai capire come è realmente. Sarebbe come spiegarlo ad un cieco. [...]
Da dove stavo, le stelle mi sembravano solo minuscoli puntini brillanti che luccicavano accanto alla luna; ma il realtà sono enormi masse di gas e nemmeno concentrandomi riuscivo ad immaginare la loro grandezza. Ci sono concetti, come l’infinito, che l’uomo non potrà mai capire per quanto si possa sforzare. [...]
Non siamo concepiti per comprendere queste cose. L’uomo è piccolo e non è altro che un acaro di polvere paragonato all'universo.»
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[FANFICTION REVISIONATA IL 19/08/15]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Second Chance'
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19

La promessa di una notte




 
 
Il soggiorno da Anthony trascorse come solo le cose belle posso fare. Perché quel tizio di cui mi aveva parlato mia madre da piccolo aveva fottutamente ragione. Il tempo non è quello che si misura sugli orologi, il tempo è una cosa molto più grande e complessa. È l’unione dei momenti che passi con i tuoi sentimenti, le emozioni, le persone che ti circondano. Se una mattina passata in solitudine, perché Frank era a scuola, non passava mai, un’ora con lui passava in un secondo da quanto stavo bene. Vi sembra giusto? A me no, perché non era essere il contrario? Sarebbe tutto più piacevole e la gente sarebbe meno nervosa, sarebbe un vantaggio per tutti, nessuno escluso. Comunque non era una cosa possibile, perché se qualcosa è in una certa maniera forse c’è un motivo e io l’avevo capito, quella esperienza mi aveva aperto gli occhi.
I momenti belli sembrano passare velocemente per farci capire che non ne va sprecato nemmeno un secondo, bisogna goderseli a pieno, perché quando meno te lo aspetti qualcosa o qualcuno potrebbe portarteli via, senza che tu possa fare nulla. Le persone normali sono troppo impotenti davanti a questi fatti. Però, a pensarci bene, chi sono questo “persone normali”? Perché io non lo ero di certo. Tutti usano quell’appellativo, ma nessuno ha mai chiarito chi siano le persona anormali. Insomma, la concezione di normale e anormale è diversa per ciascuno di noi. In questo senso (okay, in tutti i sensi) non esiste una verità assoluta, mai. Per esempio, il fatto che io amassi un altro ragazzo a me sembrava normalissimo, perché faceva parte della mia vita, di me e di Frank. Ma per molte persone non era normale che due persone dello stesso sesso si possano amare, ragazzi e ragazze che siano. Però non si può scegliere chi amare, è una cosa che accade così (e quando accade è bellissimo, ve lo posso assicurare), perché la gente non lo capiva? Sarebbe bastato un minuto con me e Frank per capire che vivevamo l’uno per l’altro, e non è forse una cosa fantastica questa?


Mi riscossi dai miei pensieri e svegliai Frank. Era il ventitré di dicembre e noi dovevamo preparare le valige per tornare alle nostre case e passare il Natale. Il giorno prima Ed ci aveva chiamato e ci aveva informato che avremmo passato il Natale a casa nostra, io, Frankie, Victoria e ovviamente lui. Sarebbe stato bellissimo.
Dopo qualche minuto Frank si decise ad alzarsi e dopo un po’ anche il piccolo Sam cominciò a gironzolare per la camera facendo le feste a entrambi. Frank prese Sam in braccio e si rimise sul letto, per coccolarlo. Mi fece cenno di avvicinarmi. Gli stampai un bacio sulle labbra e dopo aver accarezzato Sam mi infilai in bagno.
Sarebbe stata una tragedia. Frank si era affezionato tantissimo a Sam e non avevo idea di come avrebbe reagito a lasciarlo. Suo padre gli aveva detto che poteva tornare tutte le volte che voleva e gli aveva anche dato le chiavi della casa così da poter entrare anche se lui era a New York o comunque a lavorare.
Uscii dal bagno e vidi che Frank stava ancora facendo le coccole a Sam. Quest’ultimo gli stava facendo il bagno da quanto lo leccava e non la smetteva.
«Frank» lo chiamai stropicciandomi gli occhi, «fra due ore abbiamo il treno, non vorrai perderlo?»
Lui sbuffò e mi consegnò Sam, andando in bagno. Sì, sarebbe stata decisamente dura separarlo da quell’animaletto.


Finalmente alle dieci di mattina fummo pronti per andare alla stazione. Per fortuna, quando venne il momento di salutare Sam, Frank non pianse o cose del genere, ma gli promise che sarebbe tornato presto. Appena usciti di casa cominciò ad abbaiare e piangere. Frank fece finta di non sentire per non stare ancora più male e tirò dritto fino alla macchina di suo padre, che ci portò alla stazione.
Il viaggio fu abbastanza silenzioso, si vedeva che Frank era abbastanza triste, ma non sapevo davvero cosa dirgli.
Victoria ci venne a prendere alla stazione e mi portò a casa, poi se ne andò con Frank. Molto probabilmente non avrei trascorso quel giorno con lui.

 
***
 

Un’irritante musichina natalizia mi svegliò troppo presto e arrabbiato andai di sotto ancora in pigiama. Ed stava facendo l’albero di Natale, come se normalmente le persona facessero l’albero la vigilia, non ha senso, è troppo tardi.
«Era proprio necessaria la musichina?» chiesi nervoso a Ed dopo essere andato in cucina a prendere un po’ di caffè per svegliarmi, come se quella canzoncina non mi avesse già svegliato a dovere.
Lui si girò verso di me. «Dai Gerard!» esclamò entusiasta. «È Natale!»
«No» dissi brusco, «Natale è domani e domani l’altro è una tragedia.»
Ed si incupì all’improvviso, non ci aveva pensato, eh?
Interruppe “l’operazione albero di Natale” e si sedette sul divano, lo imitai.
«Non la devi prendere così male» mi consigliò.
Come se fosse stato facile. «Perché?»
«Senti» cominciò, «stamattina ho ricevuto la risposta per la tua missione.»
Alzai le sopracciglia. «In che senso?»
«Mi hanno detto se la tua missione è stata superata o no.»
«Ma mancano ancora due giorni» osservai.
«Lo so» confermò lui, «ma danno la risposta sempre qualche giorno prima perché uno si abitui a quello che succederà dopo.»
«E quindi…» lo incitai impaziente.
«Era una risposta affermativa» sorrise. «Ce l’hai fatta, Gerard.»
«Fantastico» esultai non troppo convinto. Non lo era per niente.
«Dovresti essere felice» mi incitò.
«Davvero?» chiesi ironico. «Fra due giorni dovrò rivivere la mia morte e se possibile evitarla.»
«Detta così sembra una cosa tragica» osservò, «e se l’affronterai con questo spirito non ce la farai mai. Io so che tu hai la forza necessaria. E poi mi hai fatto una promessa.»
Chinai lo sguardo sulla tazza rossa vuota che avevo fra le mani.
«Lo so» annuii, «la manterrò.»
Ed mi sorrise e mi tirò una pacca sulla spalla, gli sorrisi anche io.
Feci per tornare su, ma Ed mi chiamò. «Mentre dormivi ha chiamato Rachel. Mi ha chiesto di dirti che ti viene a prendere dopo pranzo per fare un giro.»
Gridai a Ed dal piano di sopra che avevo capito e andai a vestirmi. Come era possibile che Rachel si fosse svegliata così presto? Sicuramente sarebbe nevicato.


Dopo pranzo, come annunciato, qualcuno suonò alla porta. Presi la giacca e andai ad aprire. C’erano Rachel, Jimmy e Frank.
Uscii e mi chiusi la porta alle spalle. «Sono l’ultimo?» domandai.
«Sì» rispose la ragazza.
«Dove andiamo?» chiesi mettendomi le mani in tasca.
«Frank voleva provare a fare la danza della pioggia per far nevicare» spiegò Jimmy, «ma io gli ho detto che non ha senso: dovrebbe fare la danza della neve, ma non penso che esista.»
Sua sorella scoppiò a ridere io guardai Frank, stava sorridendo.
«Che c’è da ridere?» Jimmy rimproverò sua sorella.
Alla fine decidemmo di andare al parco, anche perché non c’erano molte alternative.
La rugiada sull’erba era congelata per il freddo e il terreno risultava abbastanza duro.
Ci sedemmo su una panchina e Rachel cominciò a raccontare cosa era successo in quel tempo che eravamo stati dal padre di Frank. In pratica sua madre aveva deciso di ridipingere la casa per le vacanze di Natale e aveva costretto lei e Jimmy ad aiutarla. Avevano cominciato dal salotto, però si erano dimenticati di coprire i mobili e il divano era tutto a schizzi.
«Pensavo che mia madre mi avrebbe uccisa» spiegò lei. «ma poi ha detto che il divano era più bello così. Allora ho preso altri colori e ho continuato a schizzarlo. È stato divertente!»
Risi, non capivo come potesse sua madre essere così felice dell’opera di sua figlia. «Voglio vedere il divano prima o poi» disse Frank.
«Per me è orrendo» intervenne Jimmy.
Sua sorella gli tirò uno schiaffo sulla spalla. «Non è vero!» protestò.
Ad un certo punto notai che Frank mi fissava insistentemente e non capivo il motivo. Lo guardai con sguardo interrogativo. Lui prese il telefono dalla tasca dei pantaloni e cominciò a scrivere furiosamente. Dopo qualche secondo mi porse il telefono cercando di non far notare nulla a Rachel e suo fratello che stavano ancora litigando. Lessi velocemente quello che c’era scritto e poi resi l’aggeggio a Frank annuendo e forse anche sorridendo.
«Che ne dite di un gelato?» propose Jimmy.
«Ma sei pazzo?» esclamò Rachel. «Si gela e tu vuoi il gelato.»
«Facciamo così» cominciò Frank, «andiamo tutti a casa mia, mia mamma non c’è e ha lasciato il risaldamento acceso. Ci saranno una trentina gradi. E c’è il gelato.»
Jimmy scattò in piedi alla parola gelato e cominciò a camminare in direzione della casa di Frank. Questo scosse la testa divertito e si alzò. Rachel andò incontro al fratello e io e Frank rimanemmo un attimo indietro.
«Sei sicuro che ti va bene?» sussurrai a Frank. Lui annuì convinto e mi prese la mano, per poi raggiungere gli altri.
Appena entrammo in casa, lo sbalzo di temperatura mi fece quasi mancare il respiro. Frank non scherzava quando diceva che c’erano almeno trenta grandi. Mi tolsi la giacca e anche la felpa per rimanere solo con una maglietta a maniche corte.
«Cavolo» si lamentò Jimmy, «preferivo quasi fuori. Però voglio il gelato. Frank?»
Frank era sparito e ritornò dopo qualche secondo con una vaschetta di gelato in mano e quattro cucchiaini.
Ci sedemmo tutti sul divano e Frank ci chiese che film volessimo vedere.
Alla fine ne mettemmo uno a casa, tanto andava sempre  a finire che facevamo tutto escluso guardare il film.
Jimmy prese la vaschetta di gelato e cominciò a mangiare impugnando saldamente il cucchiaino come se fosse una spada.
Eravamo a metà del film che il gelato non c’era più e io ne avevo mangiato pochissimo.
«Ma è possibile che l’abbiate mangiato tutto voi?» chiesi arrabbiato. «Fate schifo.»
«Grazie Gerard» fece Rachel ironica.
Frank mi lanciò un’occhiata. Era il momento, anche se io forse non ero tanto sicuro di quello che stavamo facendo. Ero stato io a volerlo, ma forse in quel momento me ne stavo un po’ pentendo. Mi autoconvinsi che era la cosa giusta da fare. È un gioco per me autoconvincermi.
«Ragazzi» Frank richiamò l’attenzione di Rachel e Jimmy.
«Che c’è?» chiese la ragazza curiosa.
«Dobbiamo dirvi una cosa» annunciai. Forse, aggiunsi nella mia testa.
Frank mi rivolse  un sorriso di incoraggiamento. «Okay» cominciò, «non so come dirvelo, ma penso lo dobbiate sapere, insomma, sì, uhm…» Frank guardò Jimmy che lo fissava in attesa.
«State insieme» disse ad un certo punto Rachel. E non era una domanda, era un’affermazione. «Era ovvissimo, comunque. » La ragazza ci sorrise, e senza che nessuno se ne accorgesse mi fece l’occhiolino. Lei sapeva già tutto: gliel’avevo detto di persona.
«E…?» facemmo in coro io e Frank.
«Cosa?» chiese Jimmy.  
«Cosa ne pensate?» spiegò Frank. «Ci parlerete ancora?»
Rachel scoppiò a ridere. «Perché non dovremmo più parlarvi?»
«Non lo so» dissi io un po’ confuso ma felice per la loro reazione. «Non è un problema, vero?»
«Assolutamente no» affermò la ragazza. «Perché dovrebbe esserlo? E poi io l’ho capito la prima volta che vi ho visti che c’era qualcosa.» Sorrise.
«Bene» disse Frank felice. «Io non ve lo volevo nemmeno dire.»
«E perché?» chiese Jimmy alzando un sopracciglio.
«È complicato quello che stiamo passando, e forse non ero pronto.»
Ero felice. Avevamo detto a Jimmy e Rachel di noi due, e forse mi ero anche liberato di tutto quello che avevo dentro. Dirlo mi aveva come liberato da un masso che avevo fra il cuore e lo stomaco, e mi sentivo molto più leggero, avrei potuto volare.
Anche Frank lo era. Lo vedevo dai suoi occhi limpidi e allegri.
Passammo tutto il resto del pomeriggio sul divano a non fare essenzialmente nulla, semplicemente stando insieme a ridere. Ma io sapevo quello che sarebbe successo due giorni dopo e tutte le volte che il pensiero mi attraversava per sbaglio la mente, mi rattristavo, ma cercavo di non farlo notare, e nessuno se ne accorse, per fortuna.


Tornai a casa per cena e appena entrai vidi la casa addobbata di tutti punto: ghirlanda alla porta, festoni ovunque e in salotto l’albero di Natale. Ed si era impegnato, dopotutto avremmo trascorso il Natale lì.
Andai a letto presto, ero sfinito, e la giornata successiva sarebbe stata l’ultima.


La mattina dopo non fu nessuna canzoncina a svegliarmi, solo un qualcosa che mi veniva addosso e mi leccava la faccia.
Aprii gli occhi. «Sam!» Cosa ci faceva sul mio letto? Mi voltai e vidi che non c’era solo lui sul mio letto, c’era anche Frank.
«Buon Natale!» gridò e anche lui venne a baciarmi come stava già abbondantemente facendo quell’animaletto agitato.
«Anche a te. Cioè, anche a voi.»
«Ci sarà anche mio padre oggi. A dire il vero è arrivato stamani presto, e io nemmeno lo sapevo!»
Sam mi stava ancora leccando la faccia. Frank si era invece sdraiato accanto a me.
«Comunque» dissi, «perché sei qui?»
«Victoria, cioè» si riprese, «mia mamma è venuta per aiutare Ed con il pranzo e anche mio padre è qui. Anche se non saranno molto d’aiuto, piuttosto d’intralcio.»
Sorrisi e lo avvicinai a me per poterlo baciare.
«Ti amo» gli sussurrai.
Mi alzai e mi vestii velocemente, poi scendemmo con Frank che teneva in braccio Sam come se fosse una parte di lui, tipo un braccio o una gamba.
In cucina c’era il caos più totale. Ed stava cercando di mettere qualcosa in forno mentre Victoria voleva assaggiare quello che c’era nella teglia.
«Non è pronto!» l’ammonì Ed.
Anthony stava girando un impasto e lo guardava come se fosse un strana sostanza aliena.
Cercai di farmi un piccolo spazio, presi il caffè e lo passai a Frank. Poi feci velocemente una cioccolata e presi un pacco di biscotti. Scappammo da quel casino e andammo in salotto per fare colazione. Poggiammo tutto sul tavolino davanti al divano e ci sedemmo. Frank prese la cioccolata e cominciò a inzupparci lentamente dei biscotti per bere qualche sorso ogni tanto. Sam stava sulle sue ginocchia e qualche volta chiudeva gli occhi per poi riscuotersi all’improvviso se Frank si muoveva.
«Gerard?» mi chiamò. «Non è che magari hai in mente di aprire un chiosco di cioccolata calda?»
Risi e gli scompigliai i capelli già spettinati. «Non penso proprio.»
«Perché?» chiese mentre Sam cercava di raggiungere la sua tazza.
«Non penso venderei molto» spiegai.
«Ma scherzi?» Frank scattò e quasi Sam cadde dalle sua ginocchia. «La tua cioccolata è buonissima, diventeresti famoso!»
«Tu dici?» chiesi ridendo.
«Sicuramente» borbottò con un biscotto in bocca.
Non so come, ma finimmo tutto il pacco di biscotti, che oltretutto avevo appena aperto. Non che mi dispiacesse, ma non era possibile mangiare tutti quei biscotti in due, anche se Frank ne aveva dati qualcuno a Sam che aveva sbriciolato tutto il tappeto.
«Tua madre ti ucciderà quando vedrà che casino hai fatto fare a  Sam» osservai.
«Ma non è il suo tappeto» protestò.
«Ma le mamme sono tutte fissate per la pulizia. Anche se il tappeto non è il suo si infurierà comunque» alzai le spalle.
Mi voltai per vedere la stanza e notai che sotto l’albero c’erano almeno una decina di pacchi colorati con dei nastri. Per fortuna mentre ero da Anthony avevo commissionato a Ed il regalo di Natale per Frankie, e anche se non era bello e originale come quello del suo compleanno, era il pensiero che contava.
Rimanemmo tutta la mattina sul divano a fare le coccole a Sam e a farci le coccole, finché il caos in cucina non fu sistemato e la tavola accuratamente apparecchiata da Victoria, che alla fine si era rivelata utile solo per quello.
Quando il pranzo fu pronto e messo in caldo, Victoria, Ed e Anthony presero i nostri posti sul divano, con la scusa che “erano vecchi”, e a me, Frank e Sam toccò il posto sulle briciole di Sam che ancora nessuno aveva notato.
«Apriamo i regali?» fece impaziente Frank.
«Certo» disse Ed mentre si avvicinava all’albero e prendeva un pacco.
Tornò al suo posto e lo diede a me. Lo aprii piano. Era una cintura di pelle, molto bella e penso anche costosa.
«Voltala» mi disse Ed.
Feci come aveva detto e sul retro della fibbia notai che c’era una scritta incisa. “Continua a vivere”.
Ringrazia Ed, non tanto per il regalo, ma per quello che aveva fatto per me in tutto quel tempo. Ovviamente non lo dissi esplicitamente, ma lui capì.
Fu la volta di Victoria che prese un regalo per Ed: un maglione. Anthony regalò a Ed un portafoglio. Frank una bracciale a sua madre. Io un altro bracciale a Victoria, ops. Avanti così finché non fu il mio turno di dare il mio regalo a Frank.
Presi il pacchetto e lo porsi a Frank che mi sorrise. Si rigirò il pacchetto rettangolare fra le mani e alla fine strappò la carta. Trovò un quaderno rilegato in pelle scura. Lo aprì, le pagine leggermente ingiallite per rendere l’idea di un quaderno antico erano attraversate da tante righe.
Frank notò che sulla prima pagina avevo scritto una dedica. La lesse in silenzio senza farla vedere agli altri. Ricordavo le parole a memoria.


Mi dispiace, ma non ho potuto fare di meglio questa volta per il tuo regalo ma spero ti piaccia
comunque. Voglio che tu conservi questo quaderno per sempre, te lo chiedo per favore,
non voglio nient’altro da te. Quella volta che mi hai raccontato del tuo baule ho capito che eri
molto solo, prima che arrivassi, e non voglio che sia più così. Però ci sono dei momenti in cui
la nostalgia, la paura, la solitudine ci assalgono, e non ci possiamo fare nulla.
Questo quaderno sarà colui che ti starà vicino anche quando io non ci sarò, sempre.
Se ne avrai bisogno (anche se spero di no) aprilo, prendi una penna, siediti o distenditi
sul letto e comincia a scrivere, tutto quello che vuoi, sfogati e non lasciare che le tue emozioni
ti cambino o non ti lascino esprimere ciò che davvero provi.
Se farai questo io sarò per sempre con te, sarò la tua ombra fedele, ti seguirò anche in capo al
mondo, sarò il tuo angelo custode.
Promettimi che farai ciò che ti chiedo, qui, adesso e io sarò felice, mi basta questo, Frank.
Voglio che tu sia felice, devi capire che la vita può avere i suoi lati positivi, li devi
solo cercare, e sai dove li puoi trovare? Nel tuo cuore, non c’è altro posto dove tu possa scovarli
Il quaderno ha molte pagine, ma so che prima o poi lo finirai, in tal caso te ne comprerò un altro, se potrò, e se così non fosse fallo tu.
Ricordai che anche se il mondo a volte fa schifo tu se la cosa più bella della mia vita.
Ti amo, Frank.

Il tuo per sempre e solo,

Gerard.


 
Appena ebbe finito di leggere chiuse il quaderno e se lo strinse al petto. Nel frattempo gli altri avevano cominciato a parlare, anche perché l’unico regalo che mancava era quello di Frak per me.
Vidi una piccola lacrima che gli scendeva sulla guancia. Mi avvicinai e gliela asciugai, poi, senza farmi notare, lo baciai. Sentii le sua labbra calde sule mie e poi la sua mano sulla mia guancia.
«Grazie» mi sussurrò. «Ti amo.»
Lo abbracciai, ma poi lui si staccò per andare a prendere sotto l’albero l’ultimo regalo che era rimasto.
Victoria si alzò e come lei anche Ed e Anthony.
«Ragazzi, noi andiamo a tavola» annunciarono, «fate veloce, è pronto.»
Si avviarono verso la sala da pranzo e rimanemmo solo io e Frank.
Strappai la carta del pacchetto e finalmente vidi il mio regalo.
All’inizio vidi solo una scatola di cartone marrone chiaro con una scritta in nero sopra che però non lessi.
Aprii subito. Dentro c’era una scatola di metallo. 120 matite lessi sopra. Conoscevo la marca delle matite, e non osavo nemmeno pensare quanto Frank avesse pagato quel regalo.
«Ma sei pazzo?» esclamai. Lo baciai e non gli diedi nemmeno la possibilità di rispondere.
«Gerard» fece, «senza offesa, ma le tue matite facevano schifo, sei troppo bravo per disegnare con della matite scarse.»
Lo ringraziai per i restanti sessanta secondi, quando Victoria ci gridò di andare a tavola.
Come sempre Ed aveva esagerato e aveva cucinato una quantità industriale di cibo.
Rimanemmo a tavola fino al pomeriggio a parlare e mangiare, soprattutto mangiare. Ero certo che da quando ero tornato sulla Terra e abitavo con Ed ero ingrassato qualche chilo.
Rimasero tutti anche a cena per mangiare tutto quello che nessuno aveva avuto il coraggio nemmeno di guardare, ovvero una teglia di lasagne, l’arrosto avanzato, una bistecca e un dolce intero.
Mentre mangiavamo il tiramisù, Sam cominciò a mugolare ai piedi di Frank, così questo gli preparò la sua ciotola con le crocchette.
Anche a cena rimanemmo a tavola fino a tardi.
«Anthony» cominciò Victoria, «non è un po’ tardi per guidare fino a casa tua?»
«Esatto» si intromise Frank, «Io rimango da Gerard e papà può dormire in camera mia. Va bene?»
Tutti annuirono e poi Victoria e Anthony se ne andarono.
«E Sam?» chiese Anthony a suo figlio sulla porta.
«Sta con noi» annunciò a suo padre, «non ti preoccupare.»
Frank prese Sam in braccio e andammo in camera mia.
Era davvero tardi, tuttavia non avevamo per nulla sonno.
Vidi Frank prendere uno zaino che non avevo notato ma che probabilmente aveva portato in camera mia quella mattina. Ne tirò fuori un pigiama e se lo infilò.
«Ma tu avevi già programmato tutto?» gli chiesi.
Lui mi rivolse un sorriso furbo e io gli andai incontro per baciarlo.
«Alla fine non sei tonto come pesavo» risi.
Mi tirò un pugno sulla spalla. «Che stronzo!»
Sam era finito sotto la scrivania e dormiva già, era stanco morto.
Ci mettemmo sotto le coperte e lui mi abbracciò.
«Hai sonno?» mi chiese.
«Per mia fortuna no» dissi, «altrimenti mi avresti tormentato.» Gli sorrisi.
Frank sbuffò e poggiò la testa sul mio petto.
«Gerard, cosa vuoi fare domani?» mi chiese.
Mi venne un groppo alla gola e le lacrime cominciarono a salirmi agli occhi, ma le ricacciai indietro.
«Lo decidiamo a colazione, okay?»
Lui annuì. «Certo.»
Avvicinò il suo viso al mio e poggiò piano le sue labbra sulle mie, delicatamente, e io feci lo stesso, come se avessimo potuto farci male. Schiusi leggermente la bocca e continuai a baciarlo.
La sua bocca sapeva di cioccolata, quasi come sempre e amavo quella cosa.
Mi staccai un attimo. «Ma lo sai che quasi tutte le volte che ti bacio sai di cioccolata?»
«Considerando che ci baciamo sempre, vuol dire che mangio tanta cioccolata.»
«Beh» dissi, «la cioccolata è buona.»
Frank mi stampò un bacio sulla tempia. «Non ha molto senso questo discorso» osservò.
«Lo so» ammisi, «ma mi piace tanto la cioccolata.»
Frank fece un risolino contro il mio viso e il suo fiato mi fece il solletico.
Si accorse che mi aveva fatto il solletico e, allontanando un po’ la sua bocca dal mio viso, mi soffiò sulla guancia e io mi ritassi. «Mi da fastidio» mi lamentai.
Lui mi si accoccolò addosso. «Dai» mi pregò.  
«Smettila, altrimenti te lo faccio io il solletico» lo minacciai. «E lo sai che è peggio.»
Sbuffò per l’ennesima volta. Sarebbe stata una delle ultime volte che lo sentivo sbuffare.
Si issò con i gomiti sul mio petto per baciarmi e tenermi il viso fra le sua mani, che, se prima erano fredde, si stavano a poco a poco riscaldando. Anche le sue labbra diventavano sempre più bollenti.
Mi staccai un attimo dal bacio per riprendere fiato. «Ti amo» mormorai sulla sua bocca.
«Anche io ti amo» rispose, e riprese a baciarmi.
La sua bocca era morbidissima, anche se le labbra erano un po’ screpolate. Gli accarezzai piano i capelli e scesi fino al collo, appena lo sfiorai lo sentii rabbrividire. Sorrisi sulle sue labbra e lui fece lo stesso.
Sentivo il suo petto che stava sopra il mio, ma non mi pesava, solamente percepivo la sua presenza senza che mi desse fastidio.
Cominciai ad accarezzargli la schiena piano, soffermandomi sull’incavo che i muscoli e la spina dorsale creavano al centro.
Lui mi passò le braccia dietro al collo e mi abbracciò strettamente come se avesse paura che potessi scappare, come avrei mai potuto fare una cosa del genere?
Continuai a passare la mia mano sulla sua schiena e con l’altra presi ad accarezzargli il viso. Le guance morbide e levigate, gli occhi chiusi, le tempie lisce. Non so cosa avrei fatto per un altro momento del genere, perché quello sarebbe stato l’ultimo, ne avevo la consapevolezza, non c’erano altre alternative. Il giorno dopo avrei dovuto trovare una scusa per non stare con Frank e poi sarebbe successo. Sarei tornato indietro nel tempo, e lui si sarebbe completamente scordato di me, come se non mi avesse mai conosciuto, come se non si fosse mai innamorato di me, come se non mi avesse mai baciato, come se non fossi mai esistito. Da quel momento sarei stato solo un’ombra del passato, o in questo caso direi del futuro, forse un sogno mal ricordato. Ma era meglio se fossi letteralmente scomparso dalle menti di tutti quelli che avevo conosciuto: Frank per primo, Rachel, Jimmy, Victoria, Anthony.
Era terribile, ma era la realtà, era la mia realtà, e la dovevo accettare per forza. È come chi nasce cieco o con qualche handicap, purtroppo non ci può fare nulla, deve solo accettare la sua condizione e imparare a conviverci. Io dovevo imparare a convivere con il costante pensiero in testa che avevo amato una persona, e avrei continuato ad amarla, ma quella persona non mi poteva amare, semplicemente perché non sapeva chi fossi.
Interruppi un attimo il bacio e Frank poggiò la testa nell’incavo fra il mio collo e la spalla. Aveva il collo scoperto e ne approfittai per lasciargli qualche bacio. La sua pelle lasciava un tepore piacevole sulle mie labbra e continuai a baciargli lentamente il collo, lasciando che passasse qualche secondo fra un bacio e un altro.
Arrivai alla base del collo e succhiai leggermente la pelle.
Alzai la testa e mi soffermai un attimo a guardalo. Aveva gli occhi socchiusi, ma sapevo che riusciva a vedermi. Aveva le labbra leggermente incurvate verso l’altro come in un sorriso, e i capelli spettinati gli andavano un po’ sulla fronte.
«Sei bellissimo» mormorai.
Lui aprì gli occhi del tutto. Nonostante fosse praticamente tutto buio li vidi luccicare.
«Tu sei bellissimo» replicò e posò la sua bocca sulla mia riprendendomi a baciare.
Io ripresi ad accarezzargli la schiena e sollevai la leggera maglia del pigiama per accarezzare la pelle nuda  e liscia. Lo sentii rabbrividire. Frank si staccò dal bacio e poggiò la testa sul mio petto, esattamente dove c’era il cuore.
«Ti sento battere il cuore» disse piano, come se non volesse spezzare la bellezza di quel momento.
«Menomale» osservai, «altrimenti sarei morto.»
Frank rise per poi sollevarsi di nuovo facendo combaciare la sua fronte con la mia.
Gli alzai il mento e lo baciai, gli accarezzai la schiena e anche lui cominciò a fare lo stesso.
Riprese a baciarmi e ogni tanto io mi staccavo per lasciargli qualche bacio sul collo.
«Frank» lo chiamai dopo un po’. «Posso chiederti una cosa? Una promessa.»
Lui si appoggiò a me e annuì. «Mhmh.»
«Voglio che passiamo questa notte come se fosse l’ultima.»
Pensai per un momento che la mia richiesta potesse risultare assurda, dopotutto lui non pensava sarebbe stata l’ultima, ma io sapevo che era così.
Tuttavia non fece domande e mi diede un bacio sul cuore. «Te lo giuro» affermò. «e sarà così per sempre.»
Lo abbracciai e facendo attenzione che non mi vedesse lasciai che una lacrima mi scendesse sulla guancia.


 
   
 
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