Anime & Manga > Ranma
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Autore: xingchan    22/08/2014    6 recensioni
“Uno dei più grandi astrofisici del mondo, Jeremy Garrad, un uomo dai capelli oramai brizzolati e con enormi occhiali da vista dalla montatura scura sul naso, dopo l’accaduto, attraverso un semplice telescopio, rivelò un corpo celeste di proporzioni mastodontiche della stessa traiettoria dei piccoli meteoriti, che nel frattempo si avvicinavano a gran velocità.
§§§
“Avanti pigrone, alzati!”
Dall’altra parte del mondo, precisamente nel distretto di Nerima, Tokyo, Ranma Saotome stava tentando disperatamente di coprire le sue orecchie servendosi del cuscino del suo futon, in modo da attutire le urla di Akane Tendo, che troneggiava su di lui con un’arcigna espressione di disgusto e collera disegnata sul visino, le gambe divaricate (a guisa di lottatore di sumo, come non mancava di evidenziare il ragazzo con il codino) e le mani sui fianchi.”
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Akane Tendo, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il Kennedy Space Center era gremito di persone, tenute a debita distanza dalla piattaforma di lancio. Molti erano giornalisti, altri rappresentanti di autorità, altri semplici appassionati e curiosi. Non c’era nessuno ora che non sapesse della missione che attendeva quei giovanissimi ragazzi della periferia di Tokyo, e di come fosse sconvolgente una notizia del genere.
Solo vedendo questa scena, il gruppo di Nerima, con le tenute spaziali, ebbe davvero il sentore che il mondo era tutto nelle loro mani. Si sentirono a disagio, caricati di una responsabilità molto, troppo grande. Si resero conto che scongiurare l’impatto di un asteroide sul pianeta Terra non era affatto una passeggiata. Certo, avevano più o meno realizzato che sarebbe stata un’impresa di proporzioni colossali, ma ora credevano che fosse ancora più mastodontica.
E si sentirono per la prima volta così piccoli in confronto all’universo.
Era stato spiegato loro di sganciare la bomba nella voragine da loro stessi creata, e di partire immediatamente per ritornare indietro. Avrebbero avuto solo una possibilità per ciascun equipaggio di atterrare sull’asteroide, e solo qualche limitata ora per perforarlo. Sarebbe partito un countdown automatico che collegava le testate nucleari dalla Terra che avrebbe fatto il resto, spaccando in due l’asteroide cambiandone la traiettoria.
“Tornerò, sorella, come ti ho promesso!”
Kodachi piangeva istericamente, e questo non faceva altro che peggiorare la già difficile situazione, scoraggiando di molto gli animi.
Non c’era bisogno di parole di conforto da scambiarsi in quel frangente: anche un semplice “In bocca al lupo” sarebbe stato superfluo. I saluti che invece i ragazzi si concedevano l’un l’altro erano dei sorrisi appena accennati e sguardi carichi di speranza e paura.
Tutto sembrava vorticare in un’infinità di sensazioni nuove, mentre ciascuno di loro si scoprì innamorato della Terra come mai era parso. Percepirono ancora una volta l’usuale quanto sconosciuta meraviglia dell’essere parte di un pianeta, con i piedi ben piantati in terra, ignari di tutto quello che girava intorno.
Attraversarono il margine di sicurezza, sostando davanti agli ingressi dei due shuttle in attesa di ordini. Eartha, Hunter e Ralston erano con loro, mentre Brockley e Garrad erano rimasti all’interno della NASA per seguire entrambi gli equipaggi.
Eartha parlò per qualche secondo con Ralston, poi invitò Ranma, Ryoga, Ukyo e Tatewaki a varcare la soglia dello shuttle Freedom con loro. Lo stesso face Stewart Hunter con Nabiki, Akane Shan Pu e Mousse.
Quando fu il momento di muovere i primi passi però, sentirono che quelli potevano essere gli ultimi sul loro pianeta, e nel constatare questo furono tentati di ritornare indietro. Ma se ne pentirono subito: con che faccia potevano abbandonare la missione, e condannare a morte certa l’intera umanità?
Akane fu la prima a scuotere la testa e ad ignorare le occhiate del fidanzato che cercava disperatamente il suo sguardo. Nel suo invece non sembrava esserci nulla, se non una smania cocente di salire su quello shuttle e finire il lavoro assegnato loro. Non c’era nulla in quel momento che riusciva a distoglierla dall’impresa. Neanche il bacio di Ranma. Aveva deciso di pensarci il meno possibile, per il bene di tutti: e ci stava riuscendo.
Entrarono, sedendosi su dei sedili muniti di cinghie, e vennero fissati ad essi dai loro rispettivi esperti. Nabiki si rivelò essere molto celere nel compiere il proprio dovere. Hunter ne fu soddisfatto.
“Come ti senti?” chiese Ranma a Ryoga mentre venivano legati. Voleva che i suoi compagni di viaggio stessero in perfette condizioni, sia psichiche che fisiche.
“Non so dirti con sicurezza, ma sento che esploderò per l’emozione... Sembra adrenalina, ma è anche paura... ma...”
“Piantala, Ryoga!” lo interruppe Ukyo “Siamo tutti tesi; ci manchi tu che entri in crisi proprio adesso!”
Il giovane Saotome si voltò per quel che poté per osservarla. Era molto nervosa, e appariva molto sofferente, come se si sarebbe messa a piangere da un momento all’altro.
“Restiamo uniti, e nessuno ci lascerà le penne, ok?” disse Ranma. “Non possiamo permetterci di lasciarci prendere dall’ansia.”
“Sono fiero di lei, signor Saotome!” gli disse d’un tratto Ralston sorridendogli. “Sta cercando di mantenere il controllo del suo equipaggio!”
“Grazie, anche se non mi sono mai sentito così inadatto ad essere un capo.” confessò. I ragazzi parvero perplessi dalla sua affermazione. In tutte le avventure vissute insieme, era sempre il ragazzo con il codino a farla da padrone; era sempre lui a guidarli nelle spedizioni più pericolose. Ora si giudicava negativamente, come mai avevano udito.
“Beh, questa è un’esperienza nuova; è normale che ci si senta così.” affermò Ralston per tranquillizzarlo. “Non mollare proprio ora che stai vivendo questa avventura così rischiosa. I tuoi amici, qui, hanno bisogno di tutto il tuo coraggio. Ora più che mai.”
Ukyo annuì ad un Ranma sempre più dubbioso, mentre si rese conto  che Tatewaki non aveva replicato. Lo vide concentrarsi su ciò che aveva appena ascoltato, riflettendoci su. Persino uno stupido come lui doveva riconoscere che Ranma lo aveva salvato innumerevoli volte.
 
***
 
“Ma è siculo che è necessalio?”
“Se non vuole essere sballottata durante il viaggio, sì signorina!”
Stewart Hunter come al solito non ammetteva obiezioni. Il suo lavoro era per lui come una vocazione, e detestava sentire lamentele durante le missioni. Che arrivassero da pivellini che non sapevano un’acca di spazio e dintorni ancora peggio. Ma Shan Pu non era al corrente delle sue facili irritazioni e del suo sarcasmo. Nabiki ne aveva avuto un più che valido assaggio durante il suo personalissimo addestramento, rimanendone perfino divertita.
“Zitta, Shan Pu. Ne abbiamo abbastanza!”
Mousse ed Akane si scambiarono un cenno d’intesa, infondendosi coraggio.
Akane non credeva che quel ragazzo fosse così mite e buono. Spesso si era chiesta come mai Shan Pu non apprezzasse la sua sensibilità e la sua devozione nei suoi confronti. Perché si comportasse con lui così acidamente, nonostante non fosse l’uomo che voleva sposare.
Ricordò che una volta lo aveva spronato a lottare per colei che amava, ma ora si stava rendendo conto che non c’è competizione nell’amore. C’era solo gente che come lui non veniva ricambiato e soffriva. Non c’era nulla per cui combattere, specie quando la persona dei propri sogni non ti considera neanche come un amico.
Lei era stata fortunata, per quanto non credesse a cose simili. Ranma, nonostante non avesse pronunciato le fatidiche parole, aveva dimostrato che oltre lei nel suo cuore non c’era nessun’altra, a dispetto delle miriade di spasimanti che Akane reputava anche più belle di lei.
“Come va, Akane?” chiese il giovane accortosi di essere osservato dalla piccola Tendo.
“Bene. Magari un po’ nervosa, sai com’è...”
Tentava di ridere, di sdrammatizzare, ma Mousse doveva riconoscere che non ci riusciva neanche per scherzo. Proprio lei, che aveva sempre cercato fin dall'inizio di regalare un po' della sua forza agli altri, ora cercava di fare buon viso a cattivo gioco, celando stancamente la sua paura.
“Indipendence, mi sentite?”
La voce proveniente dall’altoparlante dello shuttle Indipendence era sicuramente di Jeremy Garrad.
“Forte e chiaro, Houston!” rispose Hunter al microfono delle sue cuffie.
“Bene! Fra due minuti si parte, ragazzi!”
Successivamente si sentì un vociare fra Garrad, Brockley e gli altri membri della NASA, che impostavano le comunicazioni, la traiettoria, le ricetrasmittenti, ed altro che i giovani non seppero identificare. L’adrenalina saliva, si sentivano eccitati e vivi come pochissime volte nella loro vita. L’elettricità delle loro membra sembrava non voler accennare a diminuire, anzi. Cresceva, e si cibava del loro respiro, lasciandoli senza fiato. La salivazione si azzerò quasi del tutto, e si sentirono improvvisamente grati per aver ricevuto dell’acqua prima dell’imbarco. Ma non era abbastanza. Nonostante tutto, non si diedero per vinti. Non così presto.
“Indossate le visiere.” intimò Brockley dalla stazione di comando.
I giovani eseguirono senza batter ciglio, mentre un altro altoparlante annunciava l'imminente partenza.
“Manca un minuto al lancio.”
Il giorno in cui nacquero sicuramente non era così emozionante come lo era essere sparati nello spazio per salvare la Terra, così come tutte le esperienze più belle e più brutte. Mantennero la calma finché poterono, aggrappandosi alla sicurezza che emanavano le voci conosciute e gli esperti che erano a bordo con loro.
“Siete già degli eroi, ragazzi miei...” disse Garrad con una punta d’orgoglio nella voce. “Pensate a rilassarvi.”
Gli shuttle cominciarono a tremare, e da quel che potevano saperne sembrava un terremoto.
“Trenta secondi al lancio.”
Gli uomini che li accompagnavano erano seduti davanti a loro Così emozionati, eppure così tranquilli. Non sembravano naturali, quasi.
Dieci, nove, otto, ed il loro cuore cominciò a battere forte, e sentirono caldo. L’areazione all’interno delle tute spaziali mitigava solo in parte la sensazione di calura che avevano.
Sette, sei, cinque, e le luci intorno a loro assunsero tonalità rosse, gialle, azzurre e verdi. Le loro pupille si dilatarono, incapaci di opporsi ai comandi del cervello.
Quattro, tre, due, ed Akane strizzò gli occhi, esausta. Le emozioni erano al culmine della sopportazione, e non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire una lacrima.
Uno.
Gli shuttle partirono, lentamente, borbottando con i loro motori, mentre i sistemi di volo vennero regolarizzati.
La violenza degli scossoni era inaudita. Sentirono le orecchie ovattarsi.
“Siamo fuori dall’atmosfera!” osservò Ralston.
Il viaggio dei due shuttle procedette per il meglio. Da quel che potevano capire, nonostante gli scombussolamenti che di tanto in tanto subivano i mezzi, ora meno forti, non c’era nulla di cui preoccuparsi.
“La stazione orbitante russa è a due minuti da noi. Anche se appartiene alla Russia, il colonnello che vi abitava è dovuto ritornare sulla Terra per cause di salute e lo hanno sostituito con un esperto giapponese. È lassù già da un paio di mesi. Potrebbe essere un po’ strano, ma ci farete il callo.”
Ranma e Ryoga si fissarono sconcertati. Non avevano mai detto che ci fosse un giapponese in una stazione spaziale russa. Sarà per quello che avevano ingaggiato proprio loro?
Non ci fu tempo per le domande.
“Abbassate le visiere di sicurezza. Fra poco ci agganceremo.”
D’un tratto, Shan Pu squittì: cominciò a sentirsi pesante, come sulla Terra, ma in modo instabile. Era una sensazione nauseante. Ukyo si sentiva strana, come se una parte del suo corpo galleggiasse nello spazio, e un’altra fosse pesante come piombo.
Mousse cominciò a sudare freddo, ma tenne duro così come Akane.
Sentirono un rumore metallico e un altro spasmodico scossone. Un’estremità dello shuttle Freedom era agganciato da una parte della stazione russa; ed un’estremità dell’Indipendence all’altra.
Vennero slegati, e scesero all’interno della stazione. Era come essere in un gigantesco tubo pieno zeppo di circuiti e schermi. I due gruppi si incontrarono nel centro, ma nessuno si lasciò andare a reazioni di nessun tipo.
“C’è nessuno?” esclamò Stewart Hunter.
Non ci fu risposta, se non l’avvicinamento di un essere piccolo, informe, la cui identità era nascosta dalla pesante seppur minuscola tuta spaziale che indossava. Man mano che si avvicinava, Ranma poté riconoscere il Chi di quella persona. Non ne era sicurissimo, ma probabilmente la conosceva.
“Chi diavolo potrebbe mai ingaggiare un uomo così piccolo e sgraziato?” domandò inorridita Ukyo.
Improvvisamente parlò, emettendo una vocina stridula e anziana.
“Benvenuti, ragazzi miei! Soprattutto a te, Ranma!”
L’interpellato sgranò gli occhi per la sorpresa, temendo che lo spazio gli avesse giocato brutti scherzi.
“Happosai?!”
La cuoca era già in procinto di vomitare di suo, figurarsi ora che aveva davanti l'incubo di tutte le ragazze.
 
***
 
“Forza!”
Il vecchietto cominciò a dare ordini a destra e a manca, vantando una notevole esperienza sul campo. Invitò Ranma ad osservare come si apriva il serbatoio di ossigeno liquido, sotto il completo sgomento dell’altro, mentre tutti gli altri si affaccendavano per trasportare l’estremità di un pesante tubo fino al serbatoio di ciascuno shuttle.
“Mi vuoi spiegare come diavolo hai fatto a finire fin qui? Non ti avrà spedito qui Akane, spero!” ironizzò Ranma mentre tentava di capire la sequenza di leve da abbassare e di pulsanti da premere, al di sotto di una sorta di buca.
“Spiritoso! Il mio allievo è sempre il solito stupido...”
“No, è che mi chiedo come mai sei in missione per la NASA. Uno come te non vedo come può essere utile per loro.”
“Se lo è un fesso come te, non vedo come non potrebbe esserlo un maestro come me...”
“Ehi, vecchiaccio! Io ti...”
“Attento! Non vorrai provocare un incendio, vero?”
Ranma gli ringhiò contro, per poi prestare nuovamente attenzione a quel che stava facendo. In poco tempo gli shuttle furono pronti a partire, al suono della voce di Ralston ed Eartha che riferivano a Houston che il primo passo dell’impresa era compiuto.
 
***
 
Arrivarono in prossimità della Luna. Dal Freedom la vista era magnifica, e Ukyo ebbe un tuffo al cuore nell’osservare quanto grande fosse il satellite che spesso aveva osservato dalla Terra. Aveva pianto così tanto in sua compagnia, sperando che come d’incanto Ranma cominciasse a considerarla come la sua donna, che le lacrime pian piano erano andate esaurendosi.
Aveva provato una felicità infinita quel momento in cui il colonnello annunciò che sarebbe stata al fianco del giovane Saotome al posto di Akane, ma vedendo che quell’entusiasmo non era condiviso dall’oggetto del suo interesse, aveva provato tristezza, sfinimento. Ma anche una strana rassegnazione, come se sapesse in cuor suo che non avrebbe mai avuto speranze con lui, non dal momento in cui Akane diventò la sua promessa sposa.
Le parole di Ryoga, poi, avevano scavato e trovato quella consapevolezza remota, e l’avevano mostrata in tutta la sua crudezza. Si rivelò per quello che era, la piccola Ukyo: una sciocca ragazza che ha vissuto per anni appigliata ad un voto fatto tra infanti, e perciò non preso con le dovute responsabilità. Certo, lei e suo padre avevano subito un torto, e per questo i Saotome avrebbero dovuto risarcirli con la promessa di un’unione matrimoniale, ma come doveva essere un matrimonio combinato? Anche se conosceva Ranma da una vita, come avrebbe potuto vivere felice come se si fosse innamorata, scegliendo di sua spontanea volontà e senza l’intervento di un’amicizia fra bambini solitari? Ora che ci pensava, l’essersi conosciuti così piccoli le sembrava un forzato preludio al matrimonio.
Ranma non era mai stato favorevole al fidanzamento, ma si era innamorato. Era cresciuto, conosciuto Akane e si era innamorato.
E quando ci si innamora, niente ha più importanza, neanche le pretese che aveva avanzato lei per tutto quel tempo. Doveva smetterla di corrergli dietro, come le aveva consigliato Ryoga Hibiki, o si sarebbe consumata.
Un oggetto sbatté sulla fiancata del Freedom, proprio dove c’era Ukyo. La giovane Kuonji accantonò del tutto i propri pensieri, tentando, seppur con sovrastante paura, di capire che stava succedendo.
“Siete in prossimità della coda dell’asteroide! Attenzione, ragazzi!” disse la voce di Garrad.
“Mantenete il contatto radio, Freedom e Indipendence!” gli fece eco Brockley. “La pioggia di meteoriti può creare scompensi nelle comunicazioni.”
“Pioggia di meteoriti?”
“La coda è composta di frammenti di roccia e ghiaccio, signor Saotome.” spiegò Eartha. Accelerò in accordo con Ralston. L’eccesso di velocità li portò a sballottarsi contro i sedili: se non fossero stati nuovamente legati sarebbero andati a sbattere contro le pareti degli shuttle, rimettendoci così la vita.
I meteoriti e quelle che sembrava grandine bombardarono gli shuttle in modo irruento, provocando delle leggere ammaccature sull’acciaio. Andarono avanti in questo modo per quella che a loro parve un’infinità, con rumori terribili che sembravano evocare esplosioni d’ogni sorta, finché le turbolenze subirono una leggera battuta d’arresto.
“Tutto bene?” si assicurò Eartha voltandosi.
“Sono stato meglio!” borbottò Ryoga dal suo sedile.
“Pelché ho accettato?” si lamentava la cinesina a bordo dell’Indipendence, meritandosi il silenzio di Hunter e l’occhiataccia di Nabiki.
“Non ho mai avuto così paura in vita mia...” confessò Akane.
“Sono le pecche del mestiere, purtroppo. Siamo alla periferia della coda dell’asteroide. Ci siamo allontanati in modo da avere meno danni possibili.” le rispose il tono freddo di Hunter mentre armeggiava con i comandi sopra la sua testa.
“Tenetevi!”
La pioggia di meteoriti ricominciò a picchiettare contro gli shuttle, sempre più tenace. Si schiantavano con sempre più forza, incrinando i vetri. Nabiki divenne sempre più tesa, ma non cedette.
Al Freedom, Eartha controllava di continuo che non ci fossero aperture facilmente danneggiabili per lo shuttle; nel frattempo, Ralston eseguì quella che doveva essere una sferzata per schivare un pezzo di ferro particolarmente grande. Ma gli altri meteoriti colpivano lo stesso. I ragazzi non riuscirono più a tenere il conto e gli shuttle presero a tremare, tanto che gli equipaggi sentirono il bisogno di urlare per il dolore: era come essere agitati da giganti che non provavano pietà per esseri piccoli come loro.
Le comunicazioni radio si interruppero, e non poterono più udire Garrad.
“Houston, rispondete!”

 
   
 
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