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Autore: Black_Tear    22/08/2014    1 recensioni
La strada di una cacciatrice dal passato misterioso si incrocia per la seconda volta con quella dei fratelli Winchester, vecchi amici d'infanzia, che la aiuteranno ad ottenere la vendetta da lei agognata per tanti anni.
-Che fine ha fatto la ragazza dolce e timida che conoscevo?- chiese con un sorriso provocatorio stampato in faccia mentre si avvicinava di qualche passo.
-E' morta quella notte.-ribattei, più bruscamente di quanto avrei voluto, voltandomi verso la finestra per accertarmi che non ci fosse nessuno.
Con la coda dell'occhio vidi il suo sorriso incrinarsi in una smorfia.
Sentivo i suoi occhi su di me e fui travolta da un'ondata improvvisa di tristezza.
Deglutii cercando di sciogliere il nodo che si era formato in gola impedendomi di respirare.
-Ora è rimasta solo un cumulo di carne, sangue e rabbia- dissi con finto tono solenne, ma strinsi la pistola che avevo in mano mentre pronunciavo l'ultima parola.
-Non per migliorare la tua autostima, ma sei un po' più di questo- replicò serio.
-Cioè?- sospirai, tornando a guardarlo negli occhi, scettica.
-Sei un'irritante mozzarella sotuttoio- disse, una smorfia divertita sulla faccia.
Genere: Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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-Dovremmo dividerci- propose  Sam mentre uscivamo dal ristorante. Aprì la porta e mi cedette il passo con un sorriso dipinto in faccia, in un gesto galante che mi mise estremamente a disagio. Ero perfettamente in grado di aprire una porta con le mie forze.
Mormorai un grazie patetico e visibilmente falso, ma sembrò che non se ne accorgesse.
-Così raccoglieremmo informazioni più in fretta e forse riusciremo a risolvere il caso più velocemente- proseguì dopo aver lasciato che la porta sbattesse addosso a Dean che usciva dopo di me. C’era una certa tensione tra i due da quando eravamo partiti dalla casa dei Johnson, ma non erano affari miei. Per quanto mi riguardava potevano trattarsi come volevano a patto che non intralciassero il mio lavoro. Questo, purtroppo, lo stavano facendo piuttosto bene.
-Prima incastriamo quel bastardo, prima ce ne andiamo- commentò Dean, spingendo la porta stizzito e alzando lo sguardo verso il cielo nero. Piovigginava, ma nessuno dei tre sembrava intenzionato a muoversi da lì. Alzai a mia volta lo sguardo e mentre lasciavo che le gocce fredde mi bagnassero il viso riflettevo: Avevo bisogno di passare del tempo da sola per capire le prossime mosse della creatura, trovarla e ucciderla senza far male a nessuno e cercando di passare inosservata. Mi serviva qualche ore per ideare un piano e non potevo farlo con loro due fra i piedi. Dubitavo che i Winchester mi lasciassero da sola, data la poca fiducia che nutrivano nelle forze dell’ordine, ma dovevo almeno provare a convincerli di lasciarmi stare.
-Io potrei andare in giro a chiedere informazioni riguardo ai Johnson, magari in quel bar in cui Peter dice di essere stato la notte dell’omicidio. Voi potreste andare alla centrale di polizia e verificare se ci sono stati dei casi simili in zona.-
-E noi dovremmo lasciarla andare ad interrogare i testimoni da sola?- disse Dean con un tono che lasciava intendere benissimo che la risposta poteva essere una sola.
-Perché no? –ribattei.
-Be’, senza offesa, agente Ford, ma non mi fido di lei e non credo che sarebbe un buona idea lasciarla scorrazzare in giro a interrogare testimoni senza sapere quanto di quello che ci riferirà sarà vero.-
Strinsi i pugni fino a conficcarmi le unghie nei palmi delle mani.
-Il sentimento è reciproco, agente Olt, ma dato che a me non piace l’idea di lasciar scorrazzare in giro un assassino psicopatico direi di mettere da parte le nostre…divergenze-
-Proprio perché c’è in giro un killer psicopatico non mi va di mettere niente da parte con la prima persona che passa.-
-Se la persona in questione è un’agente dell’FBI dovrebbe metterle da parte senza creare tanti problemi-
Sorrise, arrogante. –Creare problemi è quello che mi riesce meglio-
-Ed è proprio per questo che non verrà con me.- sentenziai, avviandomi verso la mia Jeep, sicura di essere riuscita a liberarmi di loro.
-Mi sottovaluta. Ho risolto più casi di quanti immagina.-
-Ne sono sicura, ma tra risolvere un caso e parlare con le persone c’è una bella differenza- dissi voltandomi di nuovo verso di lui.
-Io parlo con le persone!-
-No, lei parla troppo e basta.-
A quelle parole il suo sorriso si irrigidì e Sam soffocò una risata conquistando uno sguardo omicida da parte del fratello.
-Vi raggiungerò alla stazione di polizia tra un paio d’ore, forse un po’ di più, okay?-
Sam annuì, mentre Dean andò verso la macchina- la mia macchina e si sistemava al posto del passeggero.
-Cosa…- iniziai a chiedere, confusa, ma mi interruppe quasi subito.
-Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro. Io vengo con lei.- disse rivolgendomi un sorriso strafottente. Strinsi la chiave che avevo in mano finché il dolore al palmo non divenne insopportabile. Respirai profondamente e mordendomi la lingua per bloccare le parole che avrei voluto dire salii in macchina chiudendo la portiera un po’ troppo violentemente. Guardai Dean con la coda dell’occhio. Mi stava fissando, con lo stesso sorriso stampato in faccia. Si stava divertendo. Mi venne una voglia improvvisa di prenderlo a pugni.
Inserii la chiave e misi in moto. Mi sforzai di no guardarlo, ma sentivo i suoi occhi verdi su di me e quasi non riuscivo a stare ferma sul sedile, tanto che quasi investii una coppia uscita da poco dal ristorante.
-Dove andiamo?- chiese. Sentii dal tono che usò che stava ancora sorridendo.
-A fare benzina.-
-Benzina?-  mi voltai verso di lui, notando con immenso piacere che il sorriso era sparito, lasciando spazio ad un’espressione vagamente confusa.
-Benzina. Sono a secco.- affermai, facendo un cenno verso il cruscotto dove lampeggiava una lucetta rossa.
-Non poteva farlo prima?-
-Se le dà fastidio è ancora in tempo per andare con il suo collega-
Sorrise, di nuovo.- Non vede l’ora di sbarazzarsi di me, eh?- Mi strinsi nelle spalle.
-Non si preoccupi, il sentimento è reciproco-
Il viaggio dal ristorante alla stazione di servizio durò meno del previsto. La pioggia aveva iniziato a cadere copiosamente e il posto era deserto. Circondati dagli alberi, due pompe di benzina e un edificio basso con le porte a vetri spiccavano per la loro trascuratezza. I vetri erano sporchi e coperti di poster strappati che pubblicizzavano prodotti venduti all’interno della stazione e sui muri scoloriti figuravano una serie di graffiti osceni e dichiarazioni d’amore sgrammaticate.
-Resti qui- dissi a Dean mentre scendevo dalla macchina.
-E dove vuole che vada?- fu la risposta che decisi di ignorare.
Dato che quell’ammasso di plastica, mattone e benzina non era dotato di un sistema automatico, per poter usare la pompa dovevo prima pagare all’interno dell’edificio. Dovetti spingere la porta un paio di volte per aprirla e quando la fece provocò un rumore acuto e vagamente inquietante. L’interno era persino peggio dell’esterno. Poco illuminato a causa delle luci poche luci a neon rimaste integre, sfoggiava pareti ammuffite e scaffali pieni di polvere e prodotti culinari e per la casa di scarsa qualità. Il pavimento esibiva macchie di dubbia origine quasi ovunque, fatta eccezione per il corridoio che passava tra due scaffali che serviva a raggiungere la cassa e che era più pulito, probabilmente grazie alle scarpe dei clienti che toglievano la polvere al passaggio. Seguii il sentiero pulito cercando di ignorare l’odore fetido che impregnava l’aria. Su uno scaffale erano esposte riviste da donne, fumetti e porno. Mi chiesi se a Dean avrebbe fatto piacere una di quelle riviste a luci rosse. Rosse. Rosso. Mi fermai  a metà strada. Sul muro dietro il banco della cassa un brillava un liquido rosso. Sangue. Colava lungo la parete. Il cuore iniziò a battere veloce. Estrassi istintivamente la pistola dalla cintura. Qualsiasi cosa fosse successa, era accaduta da poco. Tesi le orecchie per cogliere un eventuale rumore -passi, gemiti, un respiro troppo rumoroso- per capire se ci fosse qualcuno, ma a parte il ronzio di una lampadina rotta, lo scrosciare della pioggia e il battito del mio cuore non sentii niente. L’adrenalina aveva iniziato a scorrermi in corpo. Avanzai più silenziosamente possibile verso la cassa, concentrata sui rumori e su ogni piccolo movimento che vedevo. Camminando notai che anche il registratore di cassa e il banco erano sporchi di sangue. Accelerai il passo.
Arrivata davanti alla cassa vidi che anche sul pavimento, alla sporcizia accumulatasi negli anni si era unito del sangue. Ce n’era troppo. Il proprietario non poteva essere ancora vivo. Mi sporsi oltre il banco, cercando di non toccare nulla. Non riuscii a vedere molto, ma quello che vidi mi bastò. Un cappello da cow boy  e i brandelli di una camicia di flanella, entrambi intrisi di sangue erano appoggiati attorno ad un viso dalla barba color carota.
Stan.

-Stan verrà a cena da noi questa sera- proclamò mia madre mentre stirava i vestiti dell’ultimo bucato.
-Stai scherzando, spero!- protestò il diciottenne seduto scompostamente sulla poltrona.
-Michael, non ricominciare- lo ammonì la mamma con il tono autoritario che riservava solo a lui.
-Non piace nemmeno a me- disse Diana che, seduta dietro di me, cercava di acconciare i miei capelli in modo strano. Non mi piaceva che lo facesse ogni volta che ci sedevamo vicine, ma dopo quindici anni di convivenza sapevo che con la sorella maggiore era inutile protestare. Era famosa per la sua testardaggine.
-Neanche a me- si unì la bambina che, seduta per terra, giocava con le mie vecchie bambole. –E poi puzza!-
-Adesso basta, tutti quanti!- sbottò la mamma, piegando la camicia che stava stirando in malo modo.- Ci sta aiutando molto più di quanto vostro padre abbia fatto in tutti questi anni.-
-Sicuramente è più presente di lui- mormorai.
-Per una volta la mozzarella ha ragione- disse Michael, aggiudicandosi una cuscinata in faccia.
-Non chiamarmi mozzarella, asino- lo minacciai, sorridendo.
-E tu non chiamarmi asino, mozzarella- rispose, restituendomi la cuscinata e distruggendo l’acconciatura a cui stava lavorando Diana, che dopo averci fulminati smise di giocare con i miei capelli e commentò:-A quel vecchio piaci tu, mamma. Vuole prendere il posto di papà comprandoti con cose che non ha. Credi davvero che il suo sia un gesto di pura generosità senile?-
-Smettila.- fu tutto quello che mia madre riuscì a dire rima di scoppiare in lacrime.

Il rumore di un barattolo che cadeva mi riportò nella stazione di servizio facendomi sobbalzare. Strinsi la presa sulla pistola e mi diressi il più silenziosamente possibile verso il punto da cui era venuto il rumore. Sentivo i muscoli tesi, pronti all’azione. Chiunque si nascondesse fra quelli scaffali non aveva speranza di fuggire. Mi fermai in ascolto. Il battito del cuore rendeva difficile sentire qualcosa, ma riuscii a percepire qualcosa. Passi. Provenivano dall’altra parte dello scaffale dietro cui ero nascosta. Aspetta, mi dissi. Aspetta che sia a portata. Un passo. Un altro. Un altro ancora. Continuò per un tempo che sembrava interminabile. Aspettai, con il cuore in gola, finché riuscii a sentire l’ennesimo passo proprio dietro l’angolo. Allora attaccai. Accecata dall’adrenalina, lo colpii allo stomaco con una gomitata, gli afferrai un braccio e glielo torsi dietro la schiena. Sentii una cosa metallica cadere ai miei piedi. Era armato. Senza esitare gli sferrai un ginocchiata al fianco, costringendolo a piegarsi in due dal dolore. –Ferma! Ferma!- Gridò. Mi bloccai, il braccio a mezz’aria pronta per colpirlo di nuovo. Quando mi resi conto di chi avevo davanti, lasciai subito la presa sul braccio, lasciando che si appoggiasse allo scaffale.
-Scusa- mormorai, costandomi un ciocca di capelli dalla faccia. 
-Ma che diavolo ti è preso?!- Gridò Dean, senza fiato per il colpo allo stomaco, reggendosi il fianco.
Per tutta risposta gli indicai la macchia di sangue dietro la cassa.
-Dannazione- sussurrò.
  
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