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Autore: _Arika_    18/09/2008    2 recensioni
-Conosci i Sayan?
Lektar sembrava leggere i miei pensieri. Mi scrutava in attesa che dentro di me prendessi una decisione.
Decisi di mantenere una linea il più corretta possibile.
-Non credo di poterti dire davvero come li conosco- dissi –Però vengo da talmente avanti nel tempo che non credo di poter essere un pericolo per voi. Io non sono una Sayan, se questo può tranquillizzarti, ma sono sicura che l’avessi già capito. E’ anche vero quanto ho detto prima, e cioè che la mia razza è molto debole, quindi non credo di poter essere un pericolo. E in ogni caso io NON VOGLIO, essere un pericolo.
Lektar si avvicinò di nuovo e si risedette sul cubo bianco.
–Quindi li conosci da vicino, se dici che è per via del divario temporale che non puoi essere un pericolo.
Anuii lentamente. –Li conosco bene. Ma nel mio mondo credo che loro siano molto diversi da come credo siano nel vostro.
-Sono esseri crudeli e sanguinari?
-No.
-Allora sì, sono molto diversi.
Genere: Drammatico, Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Nuovo personaggio, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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PARTE DODICESIMA: LA DONNA DEL FUTURO

-Come fai a conoscermi?
La voce del ragazzo era forte e la pronuncia ben scandita, diversa dal rantolio sofferente che avevo sentito nella base degli Skatos.
Anche i suoi lineamenti erano diversi. Senza più la contrattura portata dal dolore e con un nuovo bagliore vitale negli occhi scuri, mi resi conto che quel ragazzo era davvero identico a Vegeta. Mio figlio sarebbe stato così se avesse preso da suo padre.
Lo fissai per un lungo istante senza riuscire a distogliere gli occhi dalla sua espressione indagatoria.
Al mio fianco Spartack fissò con attenzione prima me poi Vegeta.
-Conoscerlo?
Vegeta emise un brontolio e cerco di tirarsi a sedere, ma a causa del gesso ricadde subito sulla schiena. In un ambito normale quel gesto sarebbe stato divertente. Come un tartaruga che tenta di rimettersi dritta dopo essersi rovesciata sul guscio per sbaglio. Ma in tutti quei gesti Vegeta non distolse mai lo sguardo da miei occhi, e anzi man mano che tardavo a replicare l’ostilità sembrava crescere.
Al contrario Spartack sembrava curioso. Non spaventato o preoccupato, soltanto curioso e sottilmente divertito dalla scena del ragazzo simil-tartaruga.
Mentre tornavo ad avere tutti gli occhi puntati addosso, pensai che forse era meglio temporeggiare.
-Sì, ieri nella base degli Skatos ho pronunciato il suo nome pur non conoscendolo.
Spartack continuò a fissarmi aspettandosi che continuassi, ma io non sapevo cosa aggiungere.
-Gli Skatos ci stanno studiando, non so come ma ci stanno studiando per distruggerci!-proruppe Vegeta –E dannazione Talora, levami questa roba di dosso!
All’alzata improvvisa del tono di Vegeta Celia si svegliò di colpo. La ragazza scostò si scatto la testa dal muro e con un gesto meccanico saltò in piedi, assumendo una strana posizione di guardia. –Cosa succede, ci attaccano?
Talora fissò la sorella e notò che in tutti i gesti non aveva mosso il polso. –Lascia stare Celia. Siediti.
L’atmosfera nella capanna era confusa e piena di sentimenti contrastanti.
Spartack continuava a fissare prima me poi Vegeta con curiosità, Vegeta invece non smetteva di fissarmi con una diffidenza che era in gran parte dettata dalla paura. Sembrava turbato dal mio comportamento del giorno prima, perché gli avevo salvato la vita e mostrato un attaccamento che non sarebbe dovuto esistere, ma al tempo stesso sapeva ciò fosse accaduto nella tana dei suoi nemici.
Chi sei?- sembravano dire i suoi occhi.
Io nondimeno non sapevo cosa dire. Come potevo spiegare loro la verità e sperare che mi credessero? Per quanto ne sapevano, sarei davvero potuta essere un’aiutante degli Skatos addestrata a confondere i Sayan fingendo attaccamento nei loro confronti.
Vegeta era diverso da Talora, molto più Sayan nel senso ortodosso del termine, rispetto al ragazzo e a suo padre.
Era in preda a una confusione che lo irritava e spaventava, esattamente come il mio Vegeta quando si allenava pensando a quel ragazzo del futuro di cui non conosceva l’identità. Era pronto ad attaccarmi per evitare di essere attaccato.
Ma Spartack e forse anche Talora sembravano dell’idea di permettermi di spiegarmi.
Mentre Talora controllava il polso della sorella, poi prendeva un paio di grosse forbici e cominciava a incidere il gesso sul petto di Vegeta, mi resi conto che Spartack si era avvicinato al sacco su cui stavo seduta.
-E così tu conoscevi il nome di Vegeta senza conoscere Vegeta…- disse.
Mi fissai i piedi fasciati poi tornai a guardare Spartack. –Esatto.
-E immagino che ci sia una buona spiegazione a tutto questo…
Un sonoro Clank precedette il tonfo del gesso che cadeva in terra. Vegeta sembrava assorbito a realizzare se le sue ossa erano di nuovo tutte intere, sotto la supervisione di Talora e Celia.
Tornai a guardare Spartack. –Non credo che mi crederesti se ti dessi la mia spiegazione.
Anche Spartack si rese conto che nessuno prestava ascolto a quello che io e lui stavamo dicendo. Con noncuranza si sedette su un grosso sacco poco distante dal mio.
-Tu prova, ti assicuro che sono poche le cose in grado di stupirmi.
Non so per quale motivo quel Sayan mi ispirasse fiducia, ma in quel momento provai la stessa tranquillità di quando ero uscita dalla capanna e avevo visto Talora attizzare il fuoco. Potevano essere i lineamenti, o l’espressione calma e non ostile dei loro volti, ma Spartack e suo figlio erano molto più simili a me di quanto non lo fossero mai stati Goku e tanto meno Vegeta.
Spartack mi studiava, analizzando gesti ed espressioni, come io avevo studiato gli Skatos una volta nella base.
Poteva vedere che ero innocua, forse non in generale, ma per loro non ero un pericolo.

Dovevo farmi forza e sputare fuori la verità. Solo se l’avessi fatto forse sarei tornata a casa.
-Io vengo dal futuro. Nel mio mondo vivo con un Sayan che si chiama Vegeta ed è molto simile a quel ragazzo, per questo quando ho visto che se non l’avessi fermato si sarebbe ucciso con un’arma degli Skatos istintivamente ho urlato il suo nome.- Sospirai tra me e me.–Non sapevo che si chiamasse anche lui Vegeta.
Spartack non parve sorpreso dall’udire le mie parole, o forse se lo fu riuscì a fingere molto bene. Con un gesto naturale accavallò le gambe e controllò Vegeta e gli altri.
-Dal futuro…
Mi fissai di nuovo i piedi. –Sì.
-Quanto futuro?
Anno 75 della galassia di settentrione. –Circa settecento anni.
Spartack fissò l’uscio della capanna.
-Settecento anni…
-Sì.
-E tu vivi in una comunità Sayan?
Sollevai di nuovo lo sguardo e guardai gli occhi di Spartack. Come potevo dire a un uomo che stava combattendo per far avere una casa alla propria gente che anni dopo quella casa non sarebbe più esistita? Come potevo trovarne il coraggio?
Pensai allo sguardo del mio Vegeta quando uscendo dal trainer si perdeva un attimo a fissare il cielo.
Come potevo dire la verità?
Spartack mi stava fissando come aveva fatto anche Lektar. Come se riuscisse a vedermi dentro.
Come potevo mentire?
-Nel mio mondo non esistono comunità Sayan. Il mio pianeta si chiama Terra, e il Vegeta che conosco io vive con me tra i suoi abitanti.
Mi fermai un attimo e guardai Spartack.
-Nel mondo gli unici Sayan rimasti sono lui e un mio amico. Gli altri sono tutti morti.

Vegeta roteò il braccio a 360 gradi tenendosi ferma la spalla con una mano esattamente come gli aveva detto di fare Talora. Gli sembrava impossibile riuscire ancora a muoversi, e l’osso girava con una facilità che gli era persino sconosciuta. Sembrava che improvvisamente i segni delle vecchie fratture fossero spariti. Non si ricordava nemmeno l’ultima volta in cui non aveva provato un leggere senso di fastidio nel compiere quel gesto.
Accanto a lui anche Celia continuava a non capire. Fino alla sera prima Vegeta era stato in fin di vita, anzi, se ci pensava, persino in quei pochi istanti in cui era stata sveglia verso l’alba Vegeta aveva ancora la febbre alta. Eppure adesso sembrava guarito di colpo, e persino più in forma di prima dell’attacco alla base degli Skatos.

Com’era possibile che fosse guarito così in fretta?
Celia guardò con la coda dell’occhio la donna dai capelli azzurri che stava seduta accanto a suo padre. Stava con la testa china e un’espressione preoccupata in viso che non faceva che irritarla. Magari era una Skatos e aveva dato delle medicine strane a Vegeta. Magari quello non era neanche Vegeta ma una macchina uguale a lui costruita dagli Skatos. Celia tornò a fissare Vegeta e notò che per un istante anche lui si era distratto ad osservare quella donna.
Quell’aliena non le piaceva.
E non le piaceva nemmeno il fatto Vegeta la guardasse con tanto interesse. Lui non aveva mai guardato lei in quel modo.
Terminato il movimento rotatorio anche all’altra spalla, Vegeta fissò Talora che stava inginocchiato davanti a lui. –Cosa mi hai dato?

Talora di rimando scosse le spalle e posizionò meglio la protesi in equilibrio sul terreno. –Una delle medicine che tua madre prese dalla base degli Skatos quando eri piccolo. Ti ha guarito in meno di due minuti.
Vegeta chinò gli occhi a fissarsi un braccio e strinse il palmo su sé stesso, prima una, poi due, fino a sei volte.
Si sentiva dannatamente bene, doveva proprio ammetterlo.
Eppure poco per volta insieme alle forze cominciava anche a ricordare.
Non quanto era successo con l’aliena, ma quanto era successo prima. Si vide comparire davanti il volto dello Skatos con il martello in mano.
Improvvisamente Vegeta sentì salire in sé una rabbia talmente forte che avrebbe voluto essere fuori per sfogarsi picchiando qualcuno.
Aveva scoperto un punto debole degli Skatos, ma ciò non cambiava il fatto si fosse fatto catturare come un ragazzino.
Vegeta guardò la donna che a bassa voce parlottava insieme a Spartack.
-Che cosa ti hanno fatto, Vegeta?
Chi era quella donna?
-Che cosa ti hanno fatto…
Chi era?
Vegeta lasciò cadere l’ultimo pezzo di gesso con studiata pesantezza.
-Non ti sembra il caso di parlare anche con noi, aliena?
La donna sollevò lo sguardo e piantò gli occhi azzurri dentro i suoi.
-Mi chiamo Bulma. Non aliena, VEGETA.
Scandì quel Vegeta affinchè lui potesse udirlo bene, con un tono deciso che a dire il vero lo stupì.
Vegeta si rese conto che quella non era più la stessa donna che aveva visto andargli incontro in lacrime, con quel suo corpicino debole e le mani protese verso il suo petto martoriato.
Era una donna che osava correggerlo quando parlava, e sembrava persino abituata a usare quel tono con i più forti.
Vegeta si alzò in piedi con l’intenzione di intimorirla anche se inconsapevolmente, ma la donna non sembrò sorpresa, né impaurita dal suo gesto.
Accanto a lui Vegeta scorse Celia guardare torvo l’aliena, e Talora fissare lui come in attesa di intervenire.
Di rimando lei continuava a fissarlo in faccia. Non distoglieva lo sguardo, anche se nei suoi occhi non era proprio sfida quella che leggeva.
Quella donna lo confondeva, e non gli era mai capitato di sentirsi”confuso” in vita propria.
Quella donna aveva uno sguardo che sembrava scavargli dentro. Una coltre dura nel colore azzurro, eppure un barlume di fondo che non era cattiveria, bensì forse un attaccamento che non comprendeva. Come la madre che sgrida il figlio per evitare che si ferisca.
Eppure in ogni caso quella situazione lo infastidiva.
Quella donna lo fissava, e nessuna donna aveva mai osato fissarlo in maniera così sfacciata.
Persino Celia abbassava gli occhi quando durante i loro amplessi si ritrovavano a fissarsi. Era questione di gerarchia. Ma quella donna continuava.
Seduto accanto all’aliena dai capelli azzurri, Spartack osservava la scena senza accennare alcun movimento.
Il ragazzo si sentiva minacciato, e lui stesso comprendeva che quell’aliena pur essendo fisicamente così debole era dotata di un carisma che nulla aveva da rimpiangere a uno qualsiasi di loro sayan.
Spartack osservava Bulma cercando di captarne ogni minima reazione, alla ricerca di qualcosa che la smentisse o le desse ragione.
Era abituata a trattare con uomini forti, questo lo riconosceva, ma non era sicuro che ciò bastasse per credere alla sua storia.
Spartack considerò che forse quella donna poteva essere una trappola. Una specie di regalino per vendicarsi dello scherzo di anni prima, quando lui e suo padre avevano concordato di mandare la madre di Vegeta ad abbindolare i nemici e derubarli.
Forse quella donna era solo una bella trappola, ma se era una di Loro doveva riconoscere che , era nata per mentire.
Spartack vide Vegeta avvicinarsi e fece cenno a Talora di non muoversi. Il ragazzo si avvicinò alla donna e lei non smise mai di guardarlo in faccia.
-Io ti posso chiamare come voglio- disse Vegeta, quando fu a neanche due metri dalla donna.
E in tutta risposta lei accennò un sorriso e scrollò le spalle con sarcasmo. –Fà come credi. Io rispondo solo a chi mi chiama per nome.
In quel momento Celia scattò in piedi e si avvicinò alla donna come una furia.
-Non permetterti di parl…
-Celia!
Al rimprovero di Vegeta la ragazza si bloccò come colpita da uno schiaffo. Senza che Vegeta dicesse nulla, Celia rientrò nei ranghi, borbottando qualcosa che nessuno nella stanza riuscì a capire.
Vegeta non si mosse e represse l’impulso di stringere i pugni dal nervosismo.
Quella donna lo fissava.
Non smetteva mai.
In quel momento pensò che non capiva perché diavolo avesse scelto di rapirla, rendendosi conto che quando l’aveva trascinata via con sé l’aveva fatto per salvarla più che per farla schiava.
Si chiese se per caso non fosse stato un sogno, lo sguardo preoccupato e la voce rotta con cui quell’aliena l’aveva chiamato e gli aveva liberato il collo dall’anello di metallo.
Quella che adesso lo fissava non era più la stessa donna.
E lui non sapeva nemmeno come schernirla, ecco cosa lo infastidiva.
Stava per dire qualcos’altro, quando un rumore di stoviglie rotte e le urla scomposte di alcune donne e uomini proruppe dalla piazza.
Vegeta riconobbe le voci di Bardack e Satora, e l’aliena dagli occhi azzurri parve riconoscerle anche lei. Vegeta la vide irrigidirsi e passare a guardare Talora con espressione preoccupata.
-Vado a vedere che succede- disse Vegeta, e senza attendere risposta lasciò la capanna e la strana aliena.
Mentre si dirigeva verso la stupida rissa scoppiata per la colazione, Vegeta si passò un dito sullo fregio della guancia.
Sembrava essere più caldo, tanto quella donna aveva insistito nel guardarlo.

-Non si può certo dire tu non abbia fegato, Bulma.
Vegeta era uscito da poco più di alcuni istanti, e seduto accanto a me Spartack si stiracchiò come lo spettatore di un cinema alla fine dello spettacolo.
Sentivo sulla guancia destra lo sguardo ostile della giovane Sayan, e sebbene cercasse di stare serio, persino Talora era divertito da quel breve scambio di occhiate e frecciatine che era avvenuta tra me e il loro Vegeta.
Ora che non era più in fin di vita quel ragazzo assomigliava ancora di più al mio Vegeta durante i primi tempi della nostra convivenza. Lo stesso piglio arrogante, lo stesso senso di superiorità. Persino lo stesso imbarazzo nel vedere che non ero per nulla debole come pensava.
L’espressione stizzita e al tempo stesso imbarazzata che gli era apparsa in volto alla mia ultima risposta era uguale a quella del giorni in cui gli avevo portato la camicia rosa. Quel ragazzo era Vegeta, e lo era in sensi persino più profondi della mera somiglianza fisica.
Sarebbero potuti essere lo stesso uomo, solo in età diverse della vita.
Solo che in questo ragazzo vedevo una luce diversa nello sguardo. Non la nota amara degli occhi del mio Vegeta, bensì gli occhi comunque di un ragazzo cresciuto in guerra ma non da solo. In questo Vegeta non leggevo la disperazione che vedevo negli occhi del mio. Questo Vegeta era un guerriero, ma non l’erede guerriero di un mondo morto.
Forse anche per questo mi ero lasciata trasportare dalla mia voglia di provocare. Rivedendolo in salute l’enorme pena del giorno prima aveva ceduto alla vista di un ragazzo giovane e impulsivo, tanto testardo da essere divertente da provocare.
Vedendolo uscire con il piglio del capo branco, più che amarezza mi era venuto da sorridere, e sebbene in un altro mondo e in un altro tempo, questo Vegeta non mi era sembrato molto diverso da Trunks quando cocciutamente andava a sistemare i bambini che all’asilo prendevano in giro i suoi amichetti.
Il rumore delle voci si smorzò a poco a poco, finchè l’unica rimasta fu quella del Sayan che Talora aveva chiamato Bardack, assieme a quella di Vegeta.
Talora si era seduto a per controllare la fasciatura del polso della sorella. Senza curarsi di ciò che stava succedendo fuori nella piazza, Spartack tornò a fissarmi alzandosi in piedi per sgranchirsi.
-Non ho mia visto nessuno capace di zittire Vegeta, se ti interessa saperlo- disse.
Dall’altra parte della stanza Celia sbuffò infastidita.
-Non so quanto ciò possa servirmi, dato che sto in un posto dove tutti lo rispettano- dissi.
Spartack andò all’uscio della capanna e guardò fuori per un istante, poi rientrò e chiuse la porta.
-Non hai nulla da temere. Vegeta è un ragazzo impulsivo ma non è una terza classe. –Mi fissò per sincerarsi che gli credessi. –Se avesse voluto ucciderti l’avrebbe fatto prima quando stava in piedi davanti a te, quindi non hai nulla da temere.
Spartack sollevò lo sguardo in direzione della finestra. –Purtroppo per te le persone che potrebbero darti noia sono molte di più che Vegeta da solo, in questo villaggio.
Anche se fino ad allora non aveva più parlato, Talora distolse lo sguardo dal polso della sorella. –Dobbiamo tenere d’occhio Bardack, padre.
Osservando la giovane Sayan che stringeva i denti per non mostrare sofferenza, pensai a quanto dura dovesse essere vivere lì per una donna. Lo sguardo ferino di quel Goku malvagio mi tornò in mente all’improvviso.
-Ma come potete tenere nella vostra comunità gente così?- mi lasciai sfuggire.
Ci fu un istante di silenzio in cui la voce di Vegeta arrivò forte e chiara alla capanna. Come se avesse dato un ordine o un comando, poi il silenzio più assoluto.
In quel preciso istante Bardack rise.
-Più o meno per lo stesso motivo per cui teniamo le aliene del futuro- disse. –Siamo stati un po’ tutti rifiutati da qualche buco dell’universo.

Vegeta sedò il tafferuglio nato attorno a una carcassa mezza marcia su chi fra il gruppo di terze classi avesse diritto alla parte meno marcia.
Quella bestia emanava un fetore orrendo, e Vegeta provò disgusto all’idea che Satora e un altro si fossero picchiati pur di mangiare quello schifo.
A fomentare tutto neanche a farlo apposta era stato Bardack, quell’emerita testa di cazzo di una terza classe.
Vegeta rise nel vedere l’espressione compiaciuta dell’ex compagno di allenamenti mentre i due Sayan si prendevano a pugni facendo cadere il proprio sangue su quello già rappreso della bestia.
-O guarda chi è tornato dal mondo dei morti!- disse Bardack quando lo vide avvicinarsi.
Vegeta lanciò un’occhiata a Bardack, poi prese i due Sayan per i capelli facendo cozzare le loro teste una contro l’altra.
-Dateci un taglio, razza di imbecilli! Quella bestia è talmente putrefatta che potremmo usarla per uccidere gli Skatos!
I due Sayan caddero in terra e Satora nell’indietreggiare inciampò nella bestia rovinandoci sopra. Sotto il peso del suo corpo il torace dell’animale si sfondò, e un folto gruppo di vermi e larve uscì dalla fenditura ricoprendo la terza classe ancora stordita e riempiendo l’aria di un fetore ancora peggiore.
-Pezzi di idioti- mormorò Vegeta allontanandosi da quella scena immonda.
Bardack lo attendeva appoggiato alla parete della propria capanna, con quell’aria compiaciuta da Sayan convinto di aver capito il mondo.
-Mi avevano detto che eri praticamente schiattato- disse Bardack, ponendo l’accento sul fatto lui non si fosse mosso di un millimetro in tutta quella storia.
Vegeta si fermò pensando che avrebbe voluto spaccargli la faccia e al tempo andarcisi ad allenare assieme, con quella zucca vuota.
-Sono molto più resistente di quanto tu non creda- disse, assumendo la stessa aria sarcastica di quello che era stato il suo rivale durante l’infanzia.
Erano rivali e amici da una vita, se in qualche modo ci si potesse definire “amici”, in quel posto maledetto da Dio. Non avevano nulla in comune se non l’essere stati abortiti da chissà che pianeta, eppure fin da piccoli avevano provato un certo gusto nel picchiarsi e farsi male in esclusiva.
Vegeta poi era salito in graduatoria, diventato figlio adottivo del capo comunità e primo guerriero nelle spedizioni. Bardack invece era rimasto debole e in mezzo a guerrieri che non valevano neanche la metà di lui benché lui non valesse già granchè.
Da qualche anno non si allenavano più assieme, e nessuno aveva cercato di continuare perché il divario era ormai diventato troppo grande.
Vegeta in un certo senso era legato a Bardack, ma allo stesso tempo comprendeva l’invidia che serpeggiava ogni volta tra di loro.
Da un po’ di tempo si tenevano a distanza, perché la loro vita era ormai così diversa da non poter divergere in nulla di buono.
Eppure quel giorno Vegeta vide un bagliore strano negli occhi del Sayan, come se lo stesse studiando per capire quanto effettivamente stesse bene.
Solo una volta di nuovo nella capanna, Talora gli raccontò di come Bardack aveva guardato male l’aliena dai capelli azzurri.

-Dal futuro. Certo, come no.
Celia emise una risata sarcastica finendo da sola di fasciarsi il polso.
Talora invece mi fissava in silenzio, con un misto di curiosità e timore. Nemmeno lui era convinto che stessi dicendo al verità, e sentivo di non poterlo biasimare.
Era stato Spartack a intimarmi di spiegare ai figli quello che prima avevo detto a lui, e mi aveva fatto aggiungere altre informazioni sulla mia condizione.
Come ad esempio che ero una scienziata. E che quel Sayan di nome Vegeta che io dicevo “vivere” con me era in realtà il mio “compagno”.
Non mi avevano ancora chiesto nulla riguardo a come fossi arrivata lì, e io mi ero ben guardata dal dire loro che sarei dovuta tornare dagli Skatos per riprendere la mia macchina.
Accanto a me, in ogni caso, Spartack sembrava l’unico a essersi convinto della mia storia.
-Era inutile tenere dei segreti- disse lui –anche se non so quanto la tua storia potrà esserci utile. In ogni caso tu non puoi provare di essere chi dici di essere e noi non possiamo provare il contrario, quindi non ci resta che tenerti qui e vedere se essendo una “scienziata” potrai tornarci utile.
Avevo maledetto mille volte in quell’ora di non avere dietro un documento o una foto di Vegeta.
Una foto Vegeta. Più o meno come rammaricarsi di non aver portato con me un intero armadio di vestiti.
Stavo per arrendermi all’idea di essere davanti a un vicolo cieco, quando un insetto mi si posò sul collo e istintivamente con una mano lo scacciai. E fu allora che mi resi conto che forse una prova ce l’avevo.
-Spartack?
Il sayan si voltò incuriosito dal mio tono incerto. –Sì?
Mi passai di nuovo la mano sul collo, sotto il tessuto della maglietta. –Forse c’è una cosa che potrebbe provare la mia storia.
E così dicendo tirai giù la maglietta quanto bastava perché i tre potessero vedere.
Il segno rosso dei denti di Vegeta con cui lui aveva siglato la nostra unione dopo la partenza di quel figlio che non era nostro.

Il segno rosso sul collo dell’aliena era troppo familiare per poter essere uno scherzo.
Vegeta entrò nella capanna giusto in tempo per vederlo, e per vedere lo stupore dipinto sul volto dei tre compagni.
La donna si voltò sentendo il rumore dei suoi passi.
E quel segno rosso era così evidente come l’azzurro di quei occhi.
Vegeta fissò il segno e poi gli occhi dell’aliena.
Chi diavolo era quella donna?


  
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