PARTE DODICESIMA: LA DONNA DEL FUTURO
-Come fai a
conoscermi?
La voce del ragazzo era forte e la pronuncia ben scandita, diversa dal rantolio
sofferente che avevo sentito nella base degli Skatos.
Anche i suoi lineamenti erano diversi. Senza più la contrattura portata dal
dolore e con un nuovo bagliore vitale negli occhi scuri, mi resi conto che quel
ragazzo era davvero identico a Vegeta. Mio figlio sarebbe stato così se avesse
preso da suo padre.
Lo fissai per un lungo istante senza riuscire a distogliere gli occhi dalla sua
espressione indagatoria.
Al mio fianco Spartack fissò con attenzione prima me
poi Vegeta.
-Conoscerlo?
Vegeta emise un brontolio e cerco di tirarsi a sedere, ma a causa del gesso
ricadde subito sulla schiena. In un ambito normale quel gesto sarebbe stato
divertente. Come un tartaruga che tenta di rimettersi dritta dopo essersi
rovesciata sul guscio per sbaglio. Ma in tutti quei gesti Vegeta non distolse
mai lo sguardo da miei occhi, e anzi man mano che tardavo a replicare
l’ostilità sembrava crescere.
Al contrario Spartack sembrava curioso. Non
spaventato o preoccupato, soltanto curioso e sottilmente divertito dalla scena
del ragazzo simil-tartaruga.
Mentre tornavo ad avere tutti gli occhi puntati addosso, pensai che forse era
meglio temporeggiare.
-Sì, ieri nella base degli Skatos ho pronunciato il
suo nome pur non conoscendolo.
Spartack continuò a fissarmi aspettandosi che
continuassi, ma io non sapevo cosa aggiungere.
-Gli Skatos ci stanno studiando, non so come ma ci
stanno studiando per distruggerci!-proruppe Vegeta –E dannazione Talora, levami
questa roba di dosso!
All’alzata improvvisa del tono di Vegeta Celia si svegliò di colpo. La ragazza
scostò si scatto la testa dal muro e con un gesto meccanico saltò in piedi,
assumendo una strana posizione di guardia. –Cosa succede, ci attaccano?
Talora fissò la sorella e notò che in tutti i gesti non aveva mosso il polso.
–Lascia stare Celia. Siediti.
L’atmosfera nella capanna era confusa e piena di sentimenti contrastanti.
Spartack continuava a fissare prima me poi Vegeta con
curiosità, Vegeta invece non smetteva di fissarmi con una diffidenza che era in
gran parte dettata dalla paura. Sembrava turbato dal mio comportamento del
giorno prima, perché gli avevo salvato la vita e mostrato un attaccamento che
non sarebbe dovuto esistere, ma al tempo stesso sapeva ciò fosse accaduto nella
tana dei suoi nemici.
Chi sei?- sembravano dire i suoi occhi.
Io nondimeno non sapevo cosa dire. Come potevo spiegare loro la verità e
sperare che mi credessero? Per quanto ne sapevano, sarei davvero potuta essere
un’aiutante degli Skatos addestrata a confondere i Sayan fingendo attaccamento nei loro confronti.
Vegeta era diverso da Talora, molto più Sayan nel
senso ortodosso del termine, rispetto al ragazzo e a suo padre.
Era in preda a una confusione che lo irritava e spaventava, esattamente come il
mio Vegeta quando si allenava pensando a quel ragazzo del futuro di cui non
conosceva l’identità. Era pronto ad attaccarmi per evitare di essere attaccato.
Ma Spartack e forse anche Talora sembravano dell’idea
di permettermi di spiegarmi.
Mentre Talora controllava il polso della sorella, poi prendeva un paio di
grosse forbici e cominciava a incidere il gesso sul petto di Vegeta, mi resi
conto che Spartack si era avvicinato al sacco su cui
stavo seduta.
-E così tu conoscevi il nome di Vegeta senza conoscere Vegeta…-
disse.
Mi fissai i piedi fasciati poi tornai a guardare Spartack.
–Esatto.
-E immagino che ci sia una buona spiegazione a tutto questo…
Un sonoro Clank precedette il tonfo del gesso che
cadeva in terra. Vegeta sembrava assorbito a realizzare se le sue ossa erano di
nuovo tutte intere, sotto la supervisione di Talora e Celia.
Tornai a guardare Spartack. –Non credo che mi
crederesti se ti dessi la mia spiegazione.
Anche Spartack si rese conto che nessuno prestava
ascolto a quello che io e lui stavamo dicendo. Con noncuranza si sedette su un
grosso sacco poco distante dal mio.
-Tu prova, ti assicuro che sono poche le cose in grado di stupirmi.
Non so per quale motivo quel Sayan mi ispirasse
fiducia, ma in quel momento provai la stessa tranquillità di quando ero uscita
dalla capanna e avevo visto Talora attizzare il fuoco. Potevano essere i
lineamenti, o l’espressione calma e non ostile dei loro volti, ma Spartack e suo figlio erano molto più simili a me di quanto
non lo fossero mai stati Goku e tanto meno Vegeta.
Spartack mi studiava, analizzando gesti ed
espressioni, come io avevo studiato gli Skatos una
volta nella base.
Poteva vedere che ero innocua, forse non in generale, ma per loro non ero un
pericolo.
Dovevo farmi forza e sputare fuori la
verità. Solo se l’avessi fatto forse sarei tornata a casa.
-Io vengo dal futuro. Nel mio mondo vivo con un Sayan
che si chiama Vegeta ed è molto simile a quel ragazzo, per questo quando ho
visto che se non l’avessi fermato si sarebbe ucciso con un’arma degli Skatos istintivamente ho urlato il suo nome.-
Sospirai tra me e me.–Non sapevo che si chiamasse anche lui Vegeta.
Spartack non parve sorpreso dall’udire le mie parole,
o forse se lo fu riuscì a fingere molto bene. Con un gesto naturale accavallò
le gambe e controllò Vegeta e gli altri.
-Dal futuro…
Mi fissai di nuovo i piedi. –Sì.
-Quanto futuro?
Anno 75 della galassia di settentrione. –Circa settecento anni.
Spartack fissò l’uscio della capanna.
-Settecento anni…
-Sì.
-E tu vivi in una comunità Sayan?
Sollevai di nuovo lo sguardo e guardai gli occhi di Spartack.
Come potevo dire a un uomo che stava combattendo per far avere una casa alla
propria gente che anni dopo quella casa non sarebbe più esistita? Come potevo
trovarne il coraggio?
Pensai allo sguardo del mio Vegeta quando uscendo dal trainer si perdeva un
attimo a fissare il cielo.
Come potevo dire la verità?
Spartack mi stava fissando come aveva fatto anche Lektar. Come se riuscisse a vedermi dentro.
Come potevo mentire?
-Nel mio mondo non esistono comunità Sayan. Il mio
pianeta si chiama Terra, e il Vegeta che conosco io vive con me tra i suoi
abitanti.
Mi fermai un attimo e guardai Spartack.
-Nel mondo gli unici Sayan rimasti sono lui e un mio
amico. Gli altri sono tutti morti.
Vegeta roteò il braccio a 360 gradi
tenendosi ferma la spalla con una mano esattamente come gli aveva detto di fare
Talora. Gli sembrava impossibile riuscire ancora a muoversi, e l’osso girava
con una facilità che gli era persino sconosciuta. Sembrava che improvvisamente
i segni delle vecchie fratture fossero spariti. Non si ricordava nemmeno
l’ultima volta in cui non aveva provato un leggere senso di fastidio nel
compiere quel gesto.
Accanto a lui anche Celia continuava a non capire. Fino alla sera prima Vegeta
era stato in fin di vita, anzi, se ci pensava, persino in quei pochi istanti in
cui era stata sveglia verso l’alba Vegeta aveva ancora la febbre alta. Eppure
adesso sembrava guarito di colpo, e persino più in forma di prima dell’attacco
alla base degli Skatos.
Com’era possibile che fosse guarito così
in fretta?
Celia guardò con la coda dell’occhio la donna dai capelli azzurri che stava
seduta accanto a suo padre. Stava con la testa china e un’espressione
preoccupata in viso che non faceva che irritarla. Magari era una Skatos e aveva dato delle medicine strane a Vegeta. Magari
quello non era neanche Vegeta ma una macchina uguale a lui costruita dagli Skatos. Celia tornò a fissare Vegeta e notò che per un
istante anche lui si era distratto ad osservare quella donna.
Quell’aliena non le piaceva.
E non le piaceva nemmeno il fatto Vegeta la guardasse con tanto interesse. Lui
non aveva mai guardato lei in quel modo.
Terminato il movimento rotatorio anche all’altra spalla, Vegeta fissò Talora
che stava inginocchiato davanti a lui. –Cosa mi hai dato?
Talora di rimando scosse le spalle e posizionò meglio la protesi in
equilibrio sul terreno. –Una delle medicine che tua madre prese dalla base
degli Skatos quando eri piccolo. Ti ha guarito in
meno di due minuti.
Vegeta chinò gli occhi a fissarsi un braccio e strinse il palmo su sé stesso,
prima una, poi due, fino a sei volte.
Si sentiva dannatamente bene, doveva proprio ammetterlo.
Eppure poco per volta insieme alle forze cominciava anche a ricordare.
Non quanto era successo con l’aliena, ma quanto era successo prima. Si vide
comparire davanti il volto dello Skatos con il
martello in mano.
Improvvisamente Vegeta sentì salire in sé una rabbia talmente forte che avrebbe
voluto essere fuori per sfogarsi picchiando qualcuno.
Aveva scoperto un punto debole degli Skatos, ma ciò
non cambiava il fatto si fosse fatto catturare come un ragazzino.
Vegeta guardò la donna che a bassa voce parlottava insieme a Spartack.
-Che cosa ti hanno fatto, Vegeta?
Chi era quella donna?
-Che cosa ti hanno fatto…
Chi era?
Vegeta lasciò cadere l’ultimo pezzo di gesso con studiata pesantezza.
-Non ti sembra il caso di parlare anche con noi, aliena?
La donna sollevò lo sguardo e piantò gli occhi azzurri dentro i suoi.
-Mi chiamo Bulma. Non aliena, VEGETA.
Scandì quel Vegeta affinchè lui potesse udirlo bene,
con un tono deciso che a dire il vero lo stupì.
Vegeta si rese conto che quella non era più la stessa donna che aveva visto
andargli incontro in lacrime, con quel suo corpicino debole e le mani protese
verso il suo petto martoriato.
Era una donna che osava correggerlo quando parlava, e sembrava persino abituata
a usare quel tono con i più forti.
Vegeta si alzò in piedi con l’intenzione di intimorirla anche se
inconsapevolmente, ma la donna non sembrò sorpresa, né impaurita dal suo gesto.
Accanto a lui Vegeta scorse Celia guardare torvo l’aliena, e Talora fissare lui
come in attesa di intervenire.
Di rimando lei continuava a fissarlo in faccia. Non distoglieva lo sguardo,
anche se nei suoi occhi non era proprio sfida quella che leggeva.
Quella donna lo confondeva, e non gli era mai capitato di sentirsi”confuso” in
vita propria.
Quella donna aveva uno sguardo che sembrava scavargli dentro. Una coltre dura
nel colore azzurro, eppure un barlume di fondo che non era cattiveria, bensì
forse un attaccamento che non comprendeva. Come la madre che sgrida il figlio
per evitare che si ferisca.
Eppure in ogni caso quella situazione lo infastidiva.
Quella donna lo fissava, e nessuna donna aveva mai osato fissarlo in maniera
così sfacciata.
Persino Celia abbassava gli occhi quando durante i loro amplessi si ritrovavano
a fissarsi. Era questione di gerarchia. Ma quella donna continuava.
Seduto accanto all’aliena dai capelli azzurri, Spartack
osservava la scena senza accennare alcun movimento.
Il ragazzo si sentiva minacciato, e lui stesso comprendeva che quell’aliena pur
essendo fisicamente così debole era dotata di un carisma che nulla aveva da
rimpiangere a uno qualsiasi di loro sayan.
Spartack osservava Bulma
cercando di captarne ogni minima reazione, alla ricerca di qualcosa che la
smentisse o le desse ragione.
Era abituata a trattare con uomini forti, questo lo riconosceva, ma non era
sicuro che ciò bastasse per credere alla sua storia.
Spartack considerò che forse quella donna poteva
essere una trappola. Una specie di regalino per vendicarsi dello scherzo di
anni prima, quando lui e suo padre avevano concordato di mandare la madre di
Vegeta ad abbindolare i nemici e derubarli.
Forse quella donna era solo una bella trappola, ma se era una di Loro doveva
riconoscere che bè, era nata per mentire.
Spartack vide Vegeta avvicinarsi e fece cenno a
Talora di non muoversi. Il ragazzo si avvicinò alla donna e lei non smise mai
di guardarlo in faccia.
-Io ti posso chiamare come voglio- disse Vegeta, quando fu a neanche due metri
dalla donna.
E in tutta risposta lei accennò un sorriso e scrollò le spalle con sarcasmo. –Fà come credi. Io rispondo solo a chi mi chiama per nome.
In quel momento Celia scattò in piedi e si avvicinò alla donna come una furia.
-Non permetterti di parl…
-Celia!
Al rimprovero di Vegeta la ragazza si bloccò come colpita da uno schiaffo.
Senza che Vegeta dicesse nulla, Celia rientrò nei ranghi, borbottando qualcosa
che nessuno nella stanza riuscì a capire.
Vegeta non si mosse e represse l’impulso di stringere i pugni dal nervosismo.
Quella donna lo fissava.
Non smetteva mai.
In quel momento pensò che non capiva perché diavolo avesse scelto di rapirla,
rendendosi conto che quando l’aveva trascinata via con sé l’aveva fatto per
salvarla più che per farla schiava.
Si chiese se per caso non fosse stato un sogno, lo sguardo preoccupato e la
voce rotta con cui quell’aliena l’aveva chiamato e gli aveva liberato il collo
dall’anello di metallo.
Quella che adesso lo fissava non era più la stessa donna.
E lui non sapeva nemmeno come schernirla, ecco cosa lo infastidiva.
Stava per dire qualcos’altro, quando un rumore di stoviglie rotte e le urla
scomposte di alcune donne e uomini proruppe dalla piazza.
Vegeta riconobbe le voci di Bardack e Satora, e l’aliena dagli occhi azzurri parve riconoscerle
anche lei. Vegeta la vide irrigidirsi e passare a guardare Talora con
espressione preoccupata.
-Vado a vedere che succede- disse Vegeta, e senza attendere risposta lasciò la
capanna e la strana aliena.
Mentre si dirigeva verso la stupida rissa scoppiata per la colazione, Vegeta si
passò un dito sullo fregio della guancia.
Sembrava essere più caldo, tanto quella donna aveva insistito nel guardarlo.
-Non si può certo dire tu non abbia fegato, Bulma.
Vegeta era uscito da poco più di alcuni istanti, e seduto accanto a me Spartack si stiracchiò come lo spettatore di un cinema alla
fine dello spettacolo.
Sentivo sulla guancia destra lo sguardo ostile della giovane Sayan, e sebbene cercasse di stare serio, persino Talora
era divertito da quel breve scambio di occhiate e frecciatine che era avvenuta
tra me e il loro Vegeta.
Ora che non era più in fin di vita quel ragazzo assomigliava ancora di più al
mio Vegeta durante i primi tempi della nostra convivenza. Lo stesso piglio
arrogante, lo stesso senso di superiorità. Persino lo stesso imbarazzo nel
vedere che non ero per nulla debole come pensava.
L’espressione stizzita e al tempo stesso imbarazzata che gli era apparsa in
volto alla mia ultima risposta era uguale a quella del giorni in cui gli avevo
portato la camicia rosa. Quel ragazzo era Vegeta, e lo era in sensi persino più
profondi della mera somiglianza fisica.
Sarebbero potuti essere lo stesso uomo, solo in età diverse della vita.
Solo che in questo ragazzo vedevo una luce diversa nello sguardo. Non la nota
amara degli occhi del mio Vegeta, bensì gli occhi comunque di un ragazzo
cresciuto in guerra ma non da solo. In questo Vegeta non leggevo la
disperazione che vedevo negli occhi del mio. Questo Vegeta era un guerriero, ma
non l’erede guerriero di un mondo morto.
Forse anche per questo mi ero lasciata trasportare dalla mia voglia di
provocare. Rivedendolo in salute l’enorme pena del giorno prima aveva ceduto
alla vista di un ragazzo giovane e impulsivo, tanto testardo da essere
divertente da provocare.
Vedendolo uscire con il piglio del capo branco, più che amarezza mi era venuto
da sorridere, e sebbene in un altro mondo e in un altro tempo, questo Vegeta
non mi era sembrato molto diverso da Trunks quando
cocciutamente andava a sistemare i bambini che all’asilo prendevano in giro i
suoi amichetti.
Il rumore delle voci si smorzò a poco a poco, finchè
l’unica rimasta fu quella del Sayan che Talora aveva
chiamato Bardack, assieme a quella di Vegeta.
Talora si era seduto a per controllare la fasciatura del polso della sorella.
Senza curarsi di ciò che stava succedendo fuori nella piazza, Spartack tornò a fissarmi alzandosi in piedi per
sgranchirsi.
-Non ho mia visto nessuno capace di zittire Vegeta, se ti interessa saperlo-
disse.
Dall’altra parte della stanza Celia sbuffò infastidita.
-Non so quanto ciò possa servirmi, dato che sto in un posto dove tutti lo
rispettano- dissi.
Spartack andò all’uscio della capanna e guardò fuori
per un istante, poi rientrò e chiuse la porta.
-Non hai nulla da temere. Vegeta è un ragazzo impulsivo ma non è una terza
classe. –Mi fissò per sincerarsi che gli credessi. –Se avesse voluto ucciderti
l’avrebbe fatto prima quando stava in piedi davanti a te, quindi non hai nulla
da temere.
Spartack sollevò lo sguardo in direzione della
finestra. –Purtroppo per te le persone che potrebbero darti noia sono molte di
più che Vegeta da solo, in questo villaggio.
Anche se fino ad allora non aveva più parlato, Talora distolse lo sguardo dal
polso della sorella. –Dobbiamo tenere d’occhio Bardack,
padre.
Osservando la giovane Sayan che stringeva i denti per
non mostrare sofferenza, pensai a quanto dura dovesse essere vivere lì per una
donna. Lo sguardo ferino di quel Goku malvagio mi tornò in mente
all’improvviso.
-Ma come potete tenere nella vostra comunità gente così?- mi lasciai sfuggire.
Ci fu un istante di silenzio in cui la voce di Vegeta arrivò forte e chiara
alla capanna. Come se avesse dato un ordine o un comando, poi il silenzio più
assoluto.
In quel preciso istante Bardack rise.
-Più o meno per lo stesso motivo per cui teniamo le aliene del futuro- disse.
–Siamo stati un po’ tutti rifiutati da qualche buco dell’universo.
Vegeta sedò il tafferuglio nato attorno a una carcassa mezza marcia su chi fra
il gruppo di terze classi avesse diritto alla parte meno marcia.
Quella bestia emanava un fetore orrendo, e Vegeta provò disgusto all’idea che Satora e un altro si fossero picchiati pur di mangiare
quello schifo.
A fomentare tutto neanche a farlo apposta era stato Bardack,
quell’emerita testa di cazzo di una terza classe.
Vegeta rise nel vedere l’espressione compiaciuta dell’ex compagno di
allenamenti mentre i due Sayan si prendevano a pugni
facendo cadere il proprio sangue su quello già rappreso della bestia.
-O guarda chi è tornato dal mondo dei morti!- disse Bardack
quando lo vide avvicinarsi.
Vegeta lanciò un’occhiata a Bardack, poi prese i due Sayan per i capelli facendo cozzare le loro teste una
contro l’altra.
-Dateci un taglio, razza di imbecilli! Quella bestia è talmente putrefatta che
potremmo usarla per uccidere gli Skatos!
I due Sayan
caddero in terra e Satora nell’indietreggiare
inciampò nella bestia rovinandoci sopra. Sotto il peso del suo corpo il torace
dell’animale si sfondò, e un folto gruppo di vermi e larve uscì dalla fenditura
ricoprendo la terza classe ancora stordita e riempiendo l’aria di un fetore
ancora peggiore.
-Pezzi di idioti- mormorò Vegeta allontanandosi da quella scena immonda.
Bardack lo attendeva appoggiato alla parete della
propria capanna, con quell’aria compiaciuta da Sayan
convinto di aver capito il mondo.
-Mi avevano detto che eri praticamente schiattato- disse Bardack,
ponendo l’accento sul fatto lui non si fosse mosso di un millimetro in tutta
quella storia.
Vegeta si fermò pensando che avrebbe voluto spaccargli la faccia e al tempo andarcisi ad allenare assieme, con quella zucca vuota.
-Sono molto più resistente di quanto tu non creda- disse, assumendo la stessa
aria sarcastica di quello che era stato il suo rivale durante l’infanzia.
Erano rivali e amici da una vita, se in qualche modo ci si potesse definire
“amici”, in quel posto maledetto da Dio. Non avevano nulla in comune se non
l’essere stati abortiti da chissà che pianeta, eppure fin da piccoli avevano
provato un certo gusto nel picchiarsi e farsi male in esclusiva.
Vegeta poi era salito in graduatoria, diventato figlio adottivo del capo
comunità e primo guerriero nelle spedizioni. Bardack
invece era rimasto debole e in mezzo a guerrieri che non valevano neanche la
metà di lui benché lui non valesse già granchè.
Da qualche anno non si allenavano più assieme, e nessuno aveva cercato di
continuare perché il divario era ormai diventato troppo grande.
Vegeta in un certo senso era legato a Bardack, ma
allo stesso tempo comprendeva l’invidia che serpeggiava ogni volta tra di loro.
Da un po’ di tempo si tenevano a distanza, perché la loro vita era ormai così
diversa da non poter divergere in nulla di buono.
Eppure quel giorno Vegeta vide un bagliore strano negli occhi del Sayan, come se lo stesse studiando per capire quanto
effettivamente stesse bene.
Solo una volta di nuovo nella capanna, Talora gli raccontò di come Bardack aveva guardato male l’aliena dai capelli azzurri.
-Dal futuro. Certo, come no.
Celia emise una risata sarcastica finendo da sola di fasciarsi il polso.
Talora invece mi fissava in silenzio, con un misto di curiosità e timore.
Nemmeno lui era convinto che stessi dicendo al verità, e sentivo di non poterlo
biasimare.
Era stato Spartack a intimarmi di spiegare ai figli
quello che prima avevo detto a lui, e mi aveva fatto aggiungere altre
informazioni sulla mia condizione.
Come ad esempio che ero una scienziata. E che quel Sayan
di nome Vegeta che io dicevo “vivere” con me era in realtà il mio “compagno”.
Non mi avevano ancora chiesto nulla riguardo a come fossi arrivata lì, e io mi
ero ben guardata dal dire loro che sarei dovuta tornare dagli Skatos per riprendere la mia macchina.
Accanto a me, in ogni caso, Spartack sembrava l’unico
a essersi convinto della mia storia.
-Era inutile tenere dei segreti- disse lui –anche se non so quanto la tua
storia potrà esserci utile. In ogni caso tu non puoi provare di essere chi dici
di essere e noi non possiamo provare il contrario, quindi non ci resta che
tenerti qui e vedere se essendo una “scienziata” potrai tornarci utile.
Avevo maledetto mille volte in quell’ora di non avere dietro un documento o una
foto di Vegeta.
Una foto Vegeta. Più o meno come rammaricarsi di non aver portato con me un
intero armadio di vestiti.
Stavo per arrendermi all’idea di essere davanti a un vicolo cieco, quando un
insetto mi si posò sul collo e istintivamente con una mano lo scacciai. E fu allora
che mi resi conto che forse una prova ce l’avevo.
-Spartack?
Il sayan si voltò incuriosito dal mio tono incerto.
–Sì?
Mi passai di nuovo la mano sul collo, sotto il tessuto della maglietta. –Forse
c’è una cosa che potrebbe provare la mia storia.
E così dicendo tirai giù la maglietta quanto bastava perché i tre potessero
vedere.
Il segno rosso dei denti di Vegeta con cui lui aveva siglato la nostra unione
dopo la partenza di quel figlio che non era nostro.
Il segno rosso sul collo dell’aliena era troppo familiare per poter essere uno
scherzo.
Vegeta entrò nella capanna giusto in tempo per vederlo, e per vedere lo stupore
dipinto sul volto dei tre compagni.
La donna si voltò sentendo il rumore dei suoi passi.
E quel segno rosso era così evidente come l’azzurro di quei occhi.
Vegeta fissò il segno e poi gli occhi dell’aliena.
Chi diavolo era quella donna?