Serie TV > Violetta
Segui la storia  |       
Autore: syontai    23/08/2014    5 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 50
Nuestro Camino

Natalia camminava spedita verso il Pentagono; sul capo la corona si manteneva miracolosamente in equilibrio tra la folta capigliatura riccia. Era seguita da uno stuolo di guardie, comandanti e consiglieri. Chiudeva poi la fila un piccolo gruppo di maghi dalle lunghe tonache grigie. Erano passati solo pochi minuti dal terremoto che aveva completamente stravolto Fiordibianco, spaccando a metà la reggia di Fiori come se fosse fatta di creta. Le crepe infestavano ogni parete, ogni angolo del pavimento. Nulla si era salvato di fronte alla furia di quella potente magia. Le porte del Pentagono erano state sventrate e dentro giaceva per terra, seduta sulle ginocchia, Ana. Teneva lo sguardo basso, ma era visibile un ghigno folle. Un ghigno pericoloso. Nata però non badò minimamente alla stanza ridotta a una cripta in rovina, la sua attenzione era tutta per il piedistallo al centro, completamente vuoto. Non poteva essere successo. Non l’elmo. Si guardò intorno terrorizzata, nella vana speranza che il prezioso oggetto le rotolasse incontro, ma quel miracolo non avvenne. Ora come avrebbe fatto a ripagare il suo debito nei confronti di Ludmilla? Maledetto il giorno in cui aveva deciso di vendersi per conseguire i suoi scopi! La sua ingenuità e stupidità le stava costando la vita. Fece un cenno con la mano, pallida in viso, e due guardie si avvicinarono ad Ana, prendendola sotto le ascelle e cercando di rimetterla in piedi. La ragazza alzò il palmo della mano e i gli uomini vennero scaraventati a metri di distanza.
“Non ho bisogno di aiuto” biascicò Ana. Dopo aver scagliato quella magia le mani le sanguinavano, ma lei non era affatto sorpresa: aveva provato a lanciare un incantesimo maledetto e la sua anima ne era stata
 provata. “Sto bene”. Lentamente si mise in piedi barcollando mentre un ciuffo di capelli le copriva parte del viso e l’occhio destro.
“Come hai potuto lasciargli prendere l’elmo?” strillò la regina con voce stridula, ottenendo un’occhiata sanguinaria della suddita. La maga prese dei profondi respiri, quindi si avvicinò alla parete demolita che dava una visuale completa della città. Da lì aveva visto allontanarsi l’onda magica richiamata da Dj. Un sorriso freddo, privo di sentimenti, le animò il volto: non se lo sarebbe mai aspettata da quel patetico ragazzino. E pensare che si era sempre rivelato uno scansafatiche; da dove aveva tirato fuori tutta quella forza? Lei aveva impiegato anni e anni di studio per ottenere un livello simile. Un rivolo di sangue scuro le uscì dalla bocca e si affrettò a ripulirlo con la manica. Nata le ripeté la domanda, ma non ritenne necessario darle una risposta: quel disastro parlava per lei. “Ho bisogno di andare in biblioteca. E’ ancora in piedi?”. Nata rimase a bocca aperta a fissarla, poi annuì: “Fortunatamente si è salvata…l’ala est non è stata colpita dal terremoto come quella ovest”. “Ma ora non sei in grado di sostenere alcuno sforzo. Riposa” aggiunse un po’ timorosamente, ma la maga scosse la testa lentamente. “Vado. Devo. Vendicarmi” sibilò, mettendo un piede avanti all’altro per trascinarsi alla sua meta. Non riuscì nemmeno a mettere naso fuori dalla stanza che cadde a terra con un tonfo. Nata si affrettò a dare ordine che Ana venisse portata nella stanza e affidò le cure mediche ad uno dei maghi che l’avevano seguita, quindi si portò una mano sulla guancia pensierosa. Era fredda come il marmo.
I giorni passavano e le notizie non miglioravano: per ordine di Diego aveva mandato una truppa alla foresta di Oberon dove avrebbero dovuto ritrovare l’elmo. Non si chiese come mai il consigliere di Quadri sapesse dove si trovavano i ladri: avevano mezzi molto potenti e gliel’avevano dimostrato più di una volta. Sfortunatamente al suo cospetto erano tornati solo pochi superstiti per riferire che l’assalto non era andato secondo le aspettative e che con l’aiuto della notte e dell’intricata foresta i fuggitivi erano riusciti a far perdere le tracce. Ludmilla le aveva mandato un messaggero in cui esprimeva tutto il suo biasimo arrivando a minacciarla di muovere guerra contro di lei; sentiva che di lì a poco sarebbe scoppiata a piangere in mezzo ai consiglieri, ma fortunatamente per ora si limitava a sfogarsi al sicuro tra le quattro mura della sua stanza. Non doveva mostrare debolezza o i già precari equilibri dopo la cacciata di Francesca sarebbero stati messi a dura prova. Chissà se Ana aveva fatto progressi nella sua ricerca. Da quando si era ristabilita con la salute aveva passato intere giornate chiusa nella biblioteca del palazzo, senza metterci naso fuori; si faceva portare persino il cibo là dentro. Era curiosa di sapere a cosa stava lavorando, ma quando la andava a trovare veniva sempre tenuta all’oscuro. Adesso però aveva assolutamente bisogno di sapere cosa stesse architettando: ne andava del suo Regno. Raccolse quante più pieghe possibili dell’ampia gonna turchese e camminò velocemente, rinunciando persino alla scorta, che in quei tempi era diventata necessaria. Si fermò di fronte a una porta di cristallo scuro e osservò il suo riflesso evanescente: profonde occhiaie le solcavano gli occhi e il viso sembrava piuttosto smunto. Si guardò attentamente attorno spaventata: che anche la servitù si fosse resa conto del suo cambiamento? Già poteva sentire le voci circolare per Fiordibianco. ‘La regina è così strana: che stia nascondendo qualcosa?’. ‘L’avevo detto che non era adatta ad essere regina. Non è in grado di fronteggiare i tempi duri!’. Nel riflesso una lacrima accesa scivolò lungo la guancia fino a cadere sul pavimento. Eppure l’aveva desiderato così tanto! Fin da piccola aveva sognato di indossare la corona e spesso giocava con Francesca a fare le regine, senza ancora sapere che solo una di loro avrebbe potuto avere quel privilegio e che quel qualcuno non era lei. Francesca era discendente diretta dei precedenti sovrani e dopo Luca sarebbe stato il suo turno. Ricordava bene il giorno in cui aveva incontrato Ludmilla Ferro. Fu la sua salvezza e la sua maledizione insieme. Salvezza perché grazie a lei sarebbe uscita dal suo essere invisibile agli occhi di tutti, maledizione perché l’avrebbe tenuta stretta a lei grazie al ricatto. Se non le fosse stata fedele avrebbe fatto sapere a tutti che era stata lei a condurre alla morte i genitori di Francesca, con un veleno speciale che non lasciava alcuna traccia. Era stata lei a organizzare un’imboscata nei confronti di Luca, sebbene avesse rinunciato alla corona, per non avere altri ostacoli. E pazientemente, molto pazientemente, aveva fomentato il malcontento tipico di un Paese in guerra, aiutata poi militarmente dalle truppe di Quadri. Era stata lei a voler essere regina, ma solo adesso si stava rendendo conto che Ludmilla la voleva lì per suo interesse e il suo aiuto non era stata affatto disinteressato. Si trovava con le mani legate e non riusciva a tollerare quella sottomissione forzata. Le ci volle qualche secondo per sciogliere quel groppo in gola che le era venuto al pensiero e fece scorrere la mano lungo la maniglia lavorata in modo tale da sembrare la coda di un drago. Una volta dentro rimase inorridita di fronte alle librerie di legno per terra con i libri sparsi sul pavimento a causa delle scosse. Era passato del tempo ma i lavori procedevano a rilento: c’erano ancora tanti problemi da risolvere in città. Attenta a non calpestare nessuno di quei tomi preziosi si fece strada fino a raggiungere la parete opposta all’entrata, dove era stato aperto il passaggio segreto che conduceva in un piccolo studio. Scese i tre scalini uno ad uno e piegò la testa per non sbattere il capo contro una trave di legno. Ogni parete della piccola stanza era stracolma di libri e pergamene diligentemente ripiegate e sistemate secondo un ordine preciso. Al centro c’era una semplice scrittoio dove Ana era immersa in una lettura parecchio impegnativa a giudicare dall’espressione concentrata e accigliata.
“Ana” sussurrò Nata, avvicinandosi al tavolino. La maga alzò a malapena lo sguardo con un ghigno raccapricciante alla luce dell’unica fonte di luce della stanza, ossia una candela la cui fiamma tremolava. “Ana, la situazione è tragica…abbiamo perso l’elmo. Di nuovo”. La maga scrollò le spalle come se l’intera faccenda non le riguardasse e scorse con il dito la pagina ruvida e giallognola su cui prima si stava concentrando.
“Devi fare in modo che cerchino di raggiungere Quadri” sibilò Ana. Quadri? Che c’entrava adesso il Regno di Ludmilla? “Se hanno intenzione di prendere gli altri pezzi penso proprio che ci andranno…anche se non sono molto chiare le loro intenzioni” rispose perplessa, girandosi i pollici con fare ben poco regale.
Ana alzò lo sguardo e un lampo maligno attraversò i suoi occhi scuri. “Bene”.
“Che cosa hai in mente?”. Natalia fremeva dalla voglia di saperne di più ed era certa che era proprio a quello che stava lavorando ininterrottamente. “Diciamo un trappola” sorrise Ana diabolicamente.
“Di che sorta?” chiese la regina con un’agitazione crescente. La maga scosse la testa pensierosa e tornò immergersi nella sua lettura. La conversazione era finita lì.
 
“Camilla!” esclamò Violetta, cercando di coprirsi come meglio poteva di fronte alla faccia maliziosa dello Stregatto, steso ai piedi del letto, che sembrava alquanto divertito. “Non lo leggi?” chiese Camilla senza alcuna traccia di disagio indicando il biglietto che teneva stretto nella destra.
“Lo leggerò dopo, quando sarò da sola” rispose Violetta, diventando sempre più rossa e sottolineando l’ultima parola. “Cosa ci fai qui?” chiese poi con un tono di voce più alto di un’ottava. Camilla fece il suo enorme sorriso misterioso e cominciò a fluttuare a mezz’aria stiracchiandosi ed emettendo un vigoroso sbadiglio.
“Mi dispiace che Leon non sia più qui, ma come ben sai le cose dovevano andare in questo modo” sospirò senza però smorzare il suo sorriso. “Ora che Leon non è qui le cose si complicheranno parecchio, Violetta”. Un raggelante silenzio calò nella stanza dopo quell’affermazione. Violetta si sporse al lato del letto per raccogliere la vestaglia da notte con cui si era presentata nella stanza di Vargas la sera prima e la indossò frettolosamente: si sentiva fin troppo a disagio a cercare di coprirsi con le lenzuola mentre Camilla la guardava con apprensione.
“Tu sai come finirà questa storia, vero? Nessuno ti ha accennato del futuro che riguarda te e Leon?” domandò improvvisamente seria. Violetta scosse la testa sempre più confusa: ma di che stava parlando? Come poteva conoscere il futuro prima che si realizzasse?
“La storia si è abituata in fretta al tuo cambiamento…Violetta, tu salverai il Paese delle Meraviglie, ma ad un prezzo. Leon sarà inghiottito nell’odio, finirà per impazzire e anche tu verrai coinvolta in questa terribile spirale di devastazione”.
Violetta distolse lo sguardo sprezzante: non credeva ad una sola parola. Non le avrebbe mai creduto. Leon un tempo era stato un assassino crudele, un guerriero spietato, ma sapeva che era cambiato. Srotolò il foglietto sotto lo sguardo intenso di Camilla e riconobbe subito la scrittura di Leon.
‘Non ho mai avuto tanta paura di dire addio a qualcuno, come è successo stamattina con te. Non potevo guardarti negli occhi, altrimenti non avrei più lasciato questo castello. E invece devo farlo. Ricordati la nostra promessa, non infrangerla mai, ti prego. Io la porto scolpita nel cuore, spero che per te sia lo stesso. Non avere paura, non piangere. Non merito le tue lacrime di compassione, rimango pur sempre un mostro, nonostante tutto.
Tuo, sempre.
Leon Vargas’
E così ancora si considerava indegno del suo amore. Un mostro. Calcò quella parola con l’indice con l’intenzione di cancellarla dalla sua mente.
“Cosa dice?” sussurrò Camilla, atterrando dolcemente di fronte a lei, con le gambe incrociate. “Leon non è un mostro…è stato costretto a comportarsi come se lo fosse” ribatté Violetta, ignorando la precedente domanda.
“Capisco”. Lo Stregatto sospirò e per la prima volta un velo di tristezza gli oscurò i grandi occhi espressivi. “Ma non potrai fermare il destino che è stato scritto per voi. O forse si, chi lo sa”. Lentamente la figura cominciò a svanire, circondata da un alone opaco.
“Non andare! Devi spiegarti…che cosa intendi dire?”. Violetta allungò il braccio ma non avvertì la consistenza morbida del pelo dell’animale, bensì un vento alito gelido gli intirizzì le dita, facendole ritrarre la mano spaventata.
“Assicurati solo di avere sempre il regalo di Beto con te…è importante”. Camilla le rivolse un sorriso incoraggiante, ma nulla poteva spegnere i terribili presentimenti che aveva su Leon. Di colpo le venne in mente il terribile sogno in cui loro due erano su una radura e Leon le moriva tra le braccia. Era stato solo un incubo. Se lo ripeteva continuamente mentre si stendeva nuovamente . Appoggiò la testa sul cuscino, osservando il lato del letto dove solitamente riposava il principe e per un attimo le sembrò di scorgere il suo sorriso timido. Non poteva sopportarlo; avrebbe voluto abbracciarlo un’ultima volta, imprimere nella mente il profumo della sua pelle, accarezzargli il viso mentre la guardava con un misto di dolcezza e stupore. Una lacrima le sfuggì al controllo. Non erano una lacrima di compassione, era una lacrima di dolore. Subito seguì un singhiozzo che preannunciava il pianto e non riuscì più trattenersi.
Una volta tornata nella sua stanza, Lena le aveva fatto tante domande, ma lei non aveva trovato la forza per rispondere a nessuna di esse.
“Leon è partito all’alba” disse poi, tirando su la coperta del suo letto. “Ha avuto paura di dirti addio”. Violetta non rispose, cercando di concentrarsi su quello che stava facendo. Si sistemò la tenuta da lavoro; mai come in quel momento aveva desiderato immergersi nei lavori giornalieri. Aprì il cassetto e osservò intensamente la scatolina di legno che le aveva consegnato Beto durante la sua ultima visita. Perché Camilla voleva che tenesse sempre il fungo a suo portata? Con una certa riluttanza prese lo strano regalo e lo infilò nella capiente tasca della gonna grigia. Ancora una volta ebbe uno strano presentimento, che però allontanò a forza. Quel giorno avrebbe dovuto occuparsi della biblioteca e la cosa le metteva addosso un certo buonumore: era tanto che non entrava in quel posto e gli era mancato scambiare due chiacchiere con il saggio Humpty quindi si avviò a passo allegro fino all’enorme portone di quercia che aprì con cura. A passo felpato si introdusse nell’ambiente, ricercando con lo sguardo il custode dei libri, senza però scorgerlo. Si avvicinò a uno scaffale, incantata dal riflesso restituito da uno degli specchi posto tra i libri. Alice diceva sempre che tutti noi siamo come dei libri che attendono solo di essere scritti fino alla fine. Di nuovo quello strano presentimento. Assorta nei propri pensieri solo dopo intravide lo sguardo paterno e affettuoso di Humpty sulla superficie liscia dello specchio. Si morse il labbro nervosamente e si affrettò a voltarsi così da guardare direttamente negli occhi limpidi e quasi trasparenti l’uomo-uovo. Lo raggiunse con una lentezza quasi studiata e si inginocchiò di fronte a lui, in modo tale che i loro visi fossero alla stessa altezza, poi si slanciò tra le sue braccia, stringendolo forte.
“Andrà tutto bene…se prima Leon vendeva cara la pelle, ora che ha un motivo per combattere sarà indistruttibile” ridacchiò mestamente Humpty, separandosi dall’abbraccio e accarezzandogli la guancia con dolcezza. “Humpty, sono così confusa! Stamattina quando mi sono svegliata ero in compagnia dello Stregatto” spiegò rapidamente, per poi lanciarsi in un racconto dettagliato, riferendo parola per parola. Il bibliotecario annuiva di tanto in tanto, ma per lo più ascoltava attentamente. Quando Violetta ebbe finito di parlare aveva le guance rosse ed un leggero fiatone.
“Non posso credere che Leon tornerà quello di un tempo. Anzi, se le previsioni di Camilla sono esatte, la situazione sarà anche peggiore. Ma cosa potrebbe spingerlo a tanto odio?”. Violetta non distolse lo sguardo neppure un secondo e lo seguì passo dopo passo nella biblioteca; Humpty camminava e pensava, camminava e pensava, e a volte finiva per esprimere i suoi pensieri a voce più alta del normale. Erano finiti in un vecchio reparto di libri, era abbastanza evidente dall’enorme quantità di polvere che rivestiva non solo i tomi, ma anche gli scaffali. Quanto tempo era che nessuno puliva quella zona remota della biblioteca? Humpty non aveva mai fatto richiesta di addentrarsi fino a lì, e lei semplicemente si era limitata ad eseguire gli ordini, sebbene a volte le fosse venuto l’irrefernabile desiderio di curiosare in giro.
“Il fatto è che se Camilla ha detto qualcosa del genere l’ha fatto a ragione. Lo Stregatto è molto saggio e sa muoversi bene tra le primordiali colonne che reggono il nostro mondo. Che si sia riferita a qualche profezia? Potrebbe essere...ma allora perché ritiene che tu possa evitare quel destino?”. Humpty si era avvicinato ad uno scaffale e in punta di piedi aveva afferrato un tomo, il quale per poco non gli sarebbe caduto in testa riducendolo ad un uovo strapazzato. Violetta si affrettò ad aiutarlo e fu allora che notò una cosa strana. Per quanto la biblioteca fosse grande tutti gli scaffali erano stati doverosamente riempiti di libri e non vi era alcun buco. A volte qualcuno prevelava dei libri, per lo più i consiglieri di Jade o la famiglia reale, ma essi venivano rimessi al loro posto nel giro di pochi mesi. In quell’ala della biblioteca c’era uno spazio vuoto, uno spazio che non era più stato riempito. Si trovava alla destra del posto dove prima stava il libro che aveva preso Humpty, ma era talmente sottile da sembrare una fenditura, per di più esistente da parecchio vista la consistente quantità di polvere che si sollevava anche solo respirandovi vicino. Allungò la mano nel buco stretto e buio, senza che il bibliotecario se ne accorgesse, e trovò un pezzo di pergamena: era deteriorata e dava l’impressione che con uno strattone si sarebbe disgregata nell’aria. Su un lato era scritto un nome con una calligrafia elegante, ma alcuni tratti di inchiostro si erano scoloriti. Chissà da quanto tempo si trovava lì! Comincilò a cerare di decifrare la scritta, e subito distinse una grosso e voluminosa ‘C’ all’inizio. La seconda lettera era completamente illegibile, mentre la terza e la quarta erano inequivocabilmente due ‘r’. Che si trattasse di un carro? L’idea non la convinceva affatto: non poteva trattarsi di una parola che indicasse un oggetto comune. La lettera dopo era una ‘o’. Avrebbe voluto continuare a decifrare, ma Humpty era tornato all’angolo di lettura e la chiamava a gran voce, evidentemente preoccupato. Ripiegò accuratamente il foglietto e lo mise in tasca sperando con tutto il cuore che si conservasse.
 
Ludmilla guardava attentamente i bagagli che venivano caricati. Non ne poteva più di quel luogo orribile ed era contenta di potersene andare. Storse il naso al pensiero che sarebbe dovuta recarsi al Palazzo di Fiori per controllare di persona le mosse di Natalia, quindi prese a sventolare il piccolo ventaglio con più vigore. Era passata una settimana dalla partenza di Leon e nonostante i tentativi di affrettare la conclusione del patto, Jade si era mostrata fin troppo irremovibile. Per di più l’elmo era misteriosamente scomparso e la spada da sola con lo scudo sarebbe stata inutile. Adesso il suo nuovo obiettivo era diventato rintracciare quella banda di furfanti e mettere le mani su ciò che le spettava di diritto. Diego la affiancò mentre controllava che i servi di Cuori facessero il loro dovere.
“E’ stato un soggiorno interessante” sogghignò con aria attenta. Si voltò verso Ludmilla portandosi una mano sotto il mento pensieroso. “E’ stata una perdita di tempo!” sbottò in tutta risposta la regina, guardandosi intorno con disgusto.
“Non del tutto...quella Violetta ha qualcosa di interessante. Di diverso. E’ solo un’impressione, ma...ad esempio, come faceva a conoscere il mio nome prima ancora che mi presentassi?”.
“Nulla di così eccezionale, in fondo sei conosciuto! A me quella Violetta sembra solamente un’arrampicatrice sociale. E’ chiaro che vuole Leon solo per indossare la corona”.
“In fondo anche tu però vuoi il principe per interesse” disse a voce bassa il consigliere, facendola rimanere sbalordita: da quando in qua difendeva quella serva? La cosa stava iniziando a infastidirla più del dovuto e già stava progettando di prolungare il suo soggiorno e trovare il modo per versare una buona dose di veleno nel bicchiere di Violetta. Prese un respiro profondo per allontanare quella reazione impulsiva...freddezza, aveva bisogno di freddezza e distacco.
“Ringrazia quel po’ di considerazione che ho nei tuoi confronti, Dominguez, perché questi affronti non li tollero” sibilò scocciata, voltandosi di scatto verso la carrozza. Ad un cenno del cocchiere Diego si mise alla sua destra e le porse il braccio con fare galante. Ludmilla, con assoluta indifferenza, lo afferrò e si lasciò condurre fino alla carrozza. Proprio in quel momento poco vicino dalla parte opposta alla loro passava un gruppetto di ragazzi, tutti e tre dai capelli scurissimi, che si guardava attorno con aria spaurita. Erano scortati dalla guardie che si trovavano di solito all’ingresso, i quali li punzecchiavano di tanto in tanto con le punte delle lance. Non si preoccupò molto di quei tre, anche se gli sembravano vagamente familiari, quindi salì sulla carrozza e diede l’ordine di partire. Con uno scalpitare sostenuto i cavalli si mossero fino al portone che si aprì ad un segnale convenuto dal cocchiere.
“Pensate sia stata una buona idea presentarsi così, senza nemmeno camuffarsi?” sussurrò Maxi a Dj e Andres, mentre squadrava una delle guardie dall’aspetto tutt’altro che cordiale. Il loro piano era piuttosto semplice: infiltrarsi come dei semplici viandanti in cerca di riparo e protezione. In fondo il villaggio successivo distava intere giornate e non c’erano osterie lungo il cammino, per cui la menzogna poteva risultare perfino credibile. “Se stessero circolando delle informazioni sul nostro conto? Se sapessero come siamo fatti?”. Maxi sembrava terribilmente agitato, un po’ per il rischio che stavano correndo, un po’ perché c’era la vaga possibilità che di lì a poco avrebbe incontrato la ragazza dei suoi sogni. “Maxi, mi stai facendo salire il nervoso! Mamma mia, datti una calmata!” rispose Dj cercando di non dare nell’occhio. Era stata una mossa rischiosa la loro, ma...che altre possibilità avevano? Non aveva abbastanza forza per reggere un camuffamento per tutti e tre abbastanza a lungo, soprattutto perché sarebbe stato meglio conservare le energie per spezzare le barriere che proteggevano la spada di Cuori. Inoltre era abbastanza certo che Nata non avrebbe mai fatto diffondere la notizia del furto dell’elmo, perché sarebbe stato uno smacco per tutto il regno, dando così un forte segno di instabilità. Già la voce che era circolata del disastro naturale che si era abbattutto su Fiordibianco aveva dato adito a parecchie voci, tutte poco rassicuranti per la regina di Fiori. Oltre a questo, non restava loro che sperare in un bel colpo di fortuna, perchè la certezza assoluta delle sue considerazione non l’aveva. Sorrise nervosamente a una sentinella, che osservò con parecchio disgusto i suoi vestiti strappati e logori. Sempre meglio che gironzolare con una bara di cristallo che ti fluttuava a qualche metro di distanza. Federico e Emma erano rimasti al limitare della foresta vicina, rimanendo a custodire il corpo apparentemente privo di vita di Francesca, protetta da una bara magica rinforzata con un incantesimo dell’invisibilità identico a quello usato all’interno del palazzo di Fiori usato per proteggere Libi e Andres. Ovviamente aveva fatto in modo che lui e i suoi compagni ne fossero immuni.
“Ma ci stiamo praticamente avventurando nella tana del lupo, per di più senza elmo!”. Si beccò una gomitata in pieno di stomaco da parte di Andres. “Se continui a blaterare ci fai scoprire sicuro, Maxi” bisbigliò il capo, entrando nel salone principale.
“Sicuri di voler ancora un’udienza con la regina? Non credo vi convenga” esclamò il capo delle guardie guardandoli con un ghigno divertito. Fissò poi la spada nella custodia che aveva Maxi e tornò di colpo seria. “Quella non deve andare oltre...consegnatela”. Con parecchia stizza il ragazzo consegnò l’arma e si guardò intorno spaesato. Quel castello era magnifico e raccapricciante allo stesso tempo. Era come se la luce venisse inghiottita dalle mura restituendo una perenne penombra. Non avrebbe voluto vivere in un posto così angusto neppure per tutto l’oro del mondo. I tre si lasciarono guidare fino a raggiungere la sala del trono, quindi vennero scortati al suo interno. La regina Jade inctureva timore alla sola vista e Maxi sentì le gambe farsi molli. Andres gli lanciò un’occhiata di incoraggiamento, ma le mani continuavano a tremare. Però intorno a lui non c’era nessun paio di occhi verdi che lo scrutavano. Impallidì: e se Leon li avesse visti? Di certo avrebbe riconosciuto Andres, se non perfino lui. Come potevano non aver pensato a un dettaglio così importante? Avrebbe voluto dirlo ad Andres, ma si sentiva circondato da orecchie indiscrete e fu costretto a tenersi tutto dentro. Jade li guardava come solo una sovrana sapeva fare, dall’alto in basso, con un’evidente punta di disprezzo. “Popolani” sbottò come se fosse stata interrotta nel bel mezzo di un gioco che amava.
“Mia signora, sono dei viandanti provenienti dal Regno di Fiori, chiedono gentilmente ospitalità per una notte” spiegò una delle guardie più anziane, che sebbene fosse coperto dall’armatura era evidente stesse tremando per paura della reazione della donna.
“Non mi interessa, li voglio fuori dal mio castello” sentenziò la donna agitando la mano per farli portare via. Le guardie già stavano per spingerli fuori dalla sala, quando Dj tentò un ultimo disperato approccio. Osservò per un secondo il volto stanco e affaticato della regina e notò delle profonde occhiaie scure...che fosse vittima dell’insonnia? Eppure la donna emanava come delle vibrazioni, le stesse delle magia. Un sortilegio! Jade era vittima di un sortilegio: non poteva metterci la mano sul fuoco, perché non si era mai trovato di fronte ai sintomi di una maledizione perenne, ma ne era abbastanza certo. E quella era proprio la carta giusta da giocarsi.
“Io sono un medico, uno dei più richiesti!” esclamò, sperando che Jade cascasse nel tranello. La donna infatti sbiancò e le sue labbra si serrarono in uno smorfia inorridita. La sicurezza della regina svanì di colpo mostrando una donna insicura e attanagliata da qualche male. Frettolosamente ordinò alle guardie di fermarsi. “Loro sono i miei assistenti...mi stavo dirigendo a Cuori su richiesta di Ludmilla Ferro” inventò di sana pianta. “Ludmilla non era diretta a Fiori?” lo interrogò la regina, non del tutto convinta.
Dannazione, pensò Dj. “Ehm...no, infatti non mi reco lì per la regina! Bensì per un suo stretto confidente, colpito da una maledizione! Sono specializzato nella cura di morbi procurati dalla magia”. Jade si sporse sempre di più dal suo trono assottigliando lo sguardo e Dj si sentì piccolo e indifeso. “Dimostralo”. Il silenzio calò nella sala di fronte alla richiesta della donna. Maxi osservava la scena terrorizzato, mentre Andres riusciva a sembrare come sempre impassibile, come se fosse uno spettatore esterno. Il mago non aveva intenzione di ricorrere alla magia, a che sarebbe servito? Le maledizioni non possono essere curate con un incantesimo, per di più un uomo dotato di poteri era sempre una ghiotta preda per persone assetate di potere come Jade. “Ad esempio, mia signora, voi siete affetta da una malattia. Lo dimostrano chiaramente le vostre occhiaie, le pupille dilatate e il colorito pallido. Per di più non credo si tratti di una malattia comune, perché deduco dai sintomi che va avanti da un bel po’. Siete stata sicuramente maledetta, e io penso di poter trovare una cura che faccia al caso vostro”. Jade lo ascoltava attentamente, ma non rispose subito. Si rivolse quindi verso un paggio alla sua sinistra, ritto e immobile come un palo. Aveva gli occhi piccoli e scuri e una folta capigliatura castana tenuta in ordine, insieme a tutto il completo elegante che indossava. “Mostrategli gli alloggi...Ma il medico rimane qui, noi due dobbiamo parlare” ordinò con tono eccessivamente pacato per la sua natura. La verità è che temeva si trattasse di un altro ciarlatano, tutte promesse e niente fatti. In fondo però tentare non le costava nulla.
“Siete senza attrezzatura” notò acidamente. Dj sorrise imbarazzato: “La verità è che Ludmilla mi aveva promesso che...”. Non fece nemmeno in tempo a finire la frase che la regina alzò la mano rivolgendogli contro il palmo con il tono di chi non accettava ulteriori chiacchiere. “Rimarrete qui finché non lo deciderò io. Vi pagherò tre volte tanto e non accetto un rifiuto, e potrete disporre di tutto ciò che troverete al castello...se vi dovesse servire qualcosa ne farete espressa richiesta a me. Ci penserò io a mandare una corriera al Palazzo di Quadri per metterli al corrente della situazione, ci vorranno pochi giorni”. Andres lanciò un’occhiata eloquente: avevano a disposizione poco tempo per poter rubare la spada, ma quello era pur sempre meglio del loro piano originario. Anzi, non poteva definirsi neppure un piano. Vennero congedati tutti tranne il mago che rimase a parlare con la regina, probabilmente del modo in cui avrebbe dovuto operare.
Non appena uscito dalla sala del trono Maxi si paralizzò alla vista della ragazza dei suoi sogni, Violetta. Era uscita da una stanza vicina con una ragazza non troppo alta, probabilmente una sua amica. Incrociò gli occhi castani di Violetta e gli sembrò di avvertire una scarica di pura adrenalina lungo tutto il corpo. D’un tratto non aveva più paura di quel posto orribile, solo la presenza della ragazza lo faceva completamente estraniare da tutto, persino dalla sua missione. Fece qualche passo in avanti, ma le guardie intercettarono la direzione piazzandosi davanti. “Ehi, tu, devi seguirci” sbottò una di esse, facendo voltare impercettibilmente il paggio che li stava guidando. Una volta raggiunta la scalinata Violetta e l’altra ragazza si diressero nella sala d’ingresso mentre loro proseguirono dritto verso l’ala del palazzo riservata agli alloggi reali e degli ospiti.
“Strano che non abbiate incontrato la regina Ferro...fino a poco tempo fa è stata qui a castello”.
“Una vera sfortuna” mormorò a denti stretti Andres, continuando a studiare l’aria sperduta e trasognata dell’amico. “Ehi, va tutto bene?” gli chiese quando fu sicuro di non essere sentito. “L’ho vista, Andres. Non credevo sarebbe mai successo! Penso di essermi innamorato” spiegò Maxi senza giri di parole, tornando a quel breve incontro. Anche Violetta l’aveva visto e aveva assunto un’espressione indecifrabile. Sembrava sconcertata dalla sua presenza. Che anche lei l’avesse sognato? Era il destino a volerli insieme, ne era convinto. E lui avrebbe favorito questa bella spinta data dalla sorte, portandola via con sè una volta fuggiti. Aveva promesso che l’avrebbe liberata dalle grinfie di Leon, e così sarebbe stato. “Attento, amico. Non perdere di vista il motivo per cui siamo qui” si raccomandò Andres serio. Vedere Maxi così innamorato da una parte gli faceva piacere dall’altra gli dava una fastidiosa morsa allo stomaco, perchè anche lui era stato innamorato. Eppure si era lasciato scivolare quell’amore tra le dita, preferendo mascherarlo con l’indifferenza, o tutt’al più con una buona e solida amicizia. Ma ogni giorno che passava ripensava all’addio che si era dato con Libi, e si chiedeva cosa sarebbe cambiato se avesse lasciato cadere le sue difese mostrandogli i suoi effettivi sentimenti. Forse nulla, forse tutto. Provava un fortissimo rimorso e niente gli impediva di credere che avesse fatto un grande errore. Ma non poteva essere così egoista da pensare solo a se stesso quando il destino di un mondo intero era nelle mani sue e della sua missione. Serdna sicuramente sarebbe stato dalla sua parte, avrebbe appoggiato la sua decisione. O no? Gli mancava qualcuno con cui confidarsi. Maxi era un amico a cui teneva molto ma non capiva determinate situazioni, per lui era sempre tutto estremamente semplice. Per Dj era tutto uno scherzo. Federico lo conosceva da troppo poco tempo per esporsi in confidenze private. Non riusciva più a tenersi tutto dentro e sentì un forte bisogno di piangere. Ecco cosa gli mancavano, le lacrime. Doveva piangere, doveva liberarsi. Quando gli venne mostrata la stanza che avrebbe condiviso con gli altri due amici desiderò solo una cosa: stendersi sul letto e pensare.
 
Violetta stringeva al petto la lettera che gli era arrivata quel giorno. Leon era giunto finalmente al fronte in cui era stato richiesto il suo intervento, e stava bene. Da quando la missiva era arrivata quella mattina la portava sempre in tasca e appena aveva un momento libero la rileggeva. In quelle parole scritte con l’inchiostro si percepiva l’amore, la speranza, e anche il dolore nel dover stare separati. Leon aveva condiviso una parte della sua anima, mettendola nero su bianco, e lei la custodiva gelosamente. Aveva preso una terribile decisione: una volta tornato avrebbe detto a Leon la verità, sul fatto che lei non fosse di quel mondo e insieme avrebbero preso una decisione. Lena continuava a dirgli che al ritorno avrebbe avuto una bellissima sorpresa, ma subito dopo si rifiutava di dire qualcosa di più, con un sorriso eloquente stampato in faccia.
‘Cara Violetta,
qui le cose vanno bene. Vorrei aggiornarti sulla situazione qui al fronte, ma sarebbe davvero sgradevole da parte mia sprecare questo poco inchiostro a mia disposizione solo per procurarti dolore. Non scherzavo quando mi sono ripromesso che non avrei mai più permesso che tu soffrissi, men che meno per causa mia. La prima notte già ho sentito la tua assenza...allungavo le braccia sperando di poterti stringere a me, e invece incontravo solo l’aria. Fredda e invisibile aria. Senza di te mi sento indifeso ed era tanto tempo che non mi sentivo così, tu sai bene a cosa mi riferisco. Avrei voluto avere una tua immagine da portare con me, ma in fondo a me basta ricordare il tuo sorriso per dimenticare tutti gli affanni.
Voglio guardarti.
Voglio sognarti,
e vivere con te ogni momento.
Voglio abbracciarti.
Voglio baciarti.
Ti voglio accanto a me,
perché quello che sento è amore.
Sei tutto per me.
Leon’
“Violetta?”. Lena interruppe la rievocazione della splendida lettera, che stava provocando di nuovo in lei un misto di emozione e turbamento. Sembrava quasi una lettera d’addio, ma lei sapeva che Leon non sarebbe morto. Ne era sicura.
“Non è strano quel ragazzo che si è fermato a fissarti?” chiese con noncuranza, aprendo la porta della loro camera. Violetta annuì, riportando la sua mente a quello strano incontro, anche se la voce dolce a vellutata di Leon che le leggeva quella lettera prendeva sempre il sopravvento nella sua mente. In effetti quel tipo le era davvero familiare e subito si ricordò: quel ragazzo era apparso nel suo sogno quando lei aveva saputo del matrimonio di Leon e Ludmilla, dicendole che non valeva la pena di lottare per il principe. La dava uno strano senso di inquietudine la sua presenza lì al castello. “Chissà che ci fa con quel suo amico così affascinante. Quello con la cicatrice intendo” si lanciò Lena, che fortunatamente si era abbastanza ripresa dalla partenza di Diego per cui si aveva avutouna colossale sbandata. Lena usciì subito dopo per andare a prendere una brocca d’acqua e Violetta ne approfittò per tirare fuori dal cassetto il foglietto trovato giorni fa...lì vicino c’era un foglio con cui aveva fatto diverse prove, ma nessuna delle parole che aveva trovato la convinceva pienamente. Quasi senza più alcuna speranza si mise a scrivere delle lettere a caso...Carro. Di nuovo carro. Eppure era certa di distinguere due lettere quasi uguali subito dopo. Carross. Carrott. No, non le dicevano nulla. La mano si mosse da sola disegnando una l. E poi un’altra. Rimase basita di fronte al suo stesso lavoro.
Carroll.













NOTA AUTORE: Eccomi! Chiedo perdono se non ho potuto aggiornare, ma- mi si era rotto il computer :/ Per di più con quello nuovo non riuscivo a scaricare word, è stata una messa impresa (ora ce l'ho fatta, alleluia!). Chiedo perdono anche per non aver risposto alle ultime recensioni, appena ho tempo proverò a farlo, fatto sta che le ho lette e ovviamente le ho adorate; ho comunque preferito dare la priorità all'aggiornamento rispetto alle risposte perché non era corretto farvi aspettare oltre :P Detto, questo, come sempre vi ringrazio per seguire questa storia, vi ringrazio per le vostre parole sempre cariche di affetto, che mi spronano ad andare avanti, vi ringrazi- dovrei parlare del capitolo? Mhhh, in realtà parla molto da solo...Ana sta preparando una brutta sorpresa per i nostri rivoluzionari, e viene fuori la storia di Nata. Ecco perché è alla mercè di Ludmilla! D: Poooi, Maxi è arrivato a palazzo e si è preso una sbandata per Violetta (non che non l'avesse già prima ma- niente, ci rinuncio con quel ragazzo), mentre Andres ripensa a Libi (ç.ç). Poooi, viene fuori un nuovo indizio per il nostro rompicapo: CARROLL! Spero che sappiate tutti chi è, altrimenti vi prendo a pizze (?). Per chi non lo sapesse è l'autore di 'Alice nel Paese delle Meraviglie' e ovviamente il suo nome è li perché- *si interrompe la connessione* Avete capito insomma, no? :P (Ali mi ammazzerà un giorno, io lo so xD). FHUGHGUH4G, LO SAPETE CHE MI FANNO SCLERARE ANCHE SE NON CI SONO I MIEI LEONETTA? La lettera! *^* Riconoscete la parte finale? Ebbene si, è una strofa di Nuestro Camino tradotta *^* Mi piaceva troppo l'idea e suonava bene con il contesto, e quindi eccola lì xD Spero solo che il capitolo vi piaccia, e- e niente, cominciano tempi duri :( Alla prossima! E buona lettura! 
syontai :3
P.S: per chi se lo stesse chiedendo...si, ci stiamo avvicinando al finale, potete esultare xD Visto che io scrivo capitolo per capitolo non so obiettivamente quanto manca, conto di finire in una decina (?) di capitoli. Non voglio sparare cavolate, quindi non prendetelo troppo per vero xD 




 
 
 
 
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Violetta / Vai alla pagina dell'autore: syontai