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CAPITOLO
21: IL GIORNO DI NATALE
Ero nei guai.
In grossi guai.
Non potevo rivedere
Chris, non potevo, non ce l’avrei fatta. Soprattutto dopo tutti quei mesi di
totale assenza dalla mia vita; nonostante una parte di lui fosse letteralmente
così dentro di me.
Sbiancai e l’unica
risposta che riuscii a dare a mio padre fu: «Oh».
Andai immediatamente
al piano di sopra, presi il cellulare e chiamai Ryan.
«Buon Natale!», mi
rispose la sua voce allegra dopo qualche squillo.
Buon Natale?! Buon
Natale?! No, quello sarebbe stato un disastro di proporzioni epiche.
«Ryan!».
«Ehi, che cosa
succede? Stai bene, vero Chelsea?!», lui sembrava piuttosto spaventato.
«No! Cioè… sì, nel
senso che interessa a te. Io… non ho problemi, ma ho appena scoperto che Chris
e tutta la sua famiglia verranno da noi per il pranzo».
«Merda. Houston,
abbiamo un problema».
Rimasi interdetta e
mi misi a ridere alle parole del mio amico.
«Tu sei fuori di
testa».
«Almeno ti faccio
ridere».
Sospirai.
«Ryan, io… io non so
se ce la faccio. Non posso averlo davanti agli occhi per tutto il giorno e… non
dirgli niente della gravidanza. Non ce la faccio, io… io…».
«Chelsea, ehi, adesso
calmati e respira, d’accordo? Hai detto che verrà tutta la sua famiglia, quindi
ci sarà anche Adam e lui ti aiuterà, ne sono certo. Ma per favore, non ti
agitare, ok? Non ti fa bene, abbiamo visto che cos’è successo l’ultima volta».
Annuii, cercando di
calmarmi e in quel momento il campanello della porta d’ingresso suonò.
Mi affacciai dalla
finestra, vedendo la famiglia di Chris riunita fuori.
«Oh, maledizione.
Sono loro, sono arrivati».
«Va bene, allora vai.
Ma Chelsea… non farti prendere dal panico. Sei stata così forte in questi mesi,
sono fiero di te, quindi… non lasciare che la paura abbia la meglio; affrontala
come hai sempre fatto».
Sorrisi alle parole
del mio amico.
«Grazie Ryan e… buon
Natale anche a te».
Lo sentii ridere
piano all’altro capo del telefono, poi riagganciai.
Mi sedetti sul letto
e presi qualche respiro profondo. Quanto avrei voluto avere Buster lì con me in
quel momento. Ma lui non c’era ed io non potevo indugiare un minuto di più,
perché le voci al piano di sotto si fecero concitate.
Chiusi gli occhi e
presi qualche respiro profondo, accarezzandomi il ventre, poi mi alzai dal
letto e scesi al piano inferiore.
La prima che si
accorse di me fu la piccola Holly, che si sbracciò per salutarmi e strillò con
la sua vocetta acuta di quattro anni: «Ciao, Chelsea!».
Molte teste si
voltarono verso di me, ed io avrei soltanto voluto sparire nel terreno, ma mi aprii
nel sorriso migliore che riuscii a tirare fuori e salutai tutti.
Sapevo che Chris mi stava fissando, sentivo il
suo sguardo su di me, ma non osai osservarlo apertamente, quindi risposi
all’abbraccio dei suoi genitori, che in quel momento vennero verso di me e a
quello di Adam, che, non facendosi notare, sussurrò al mio orecchio: «Ho saputo
solo stamattina dell’invito di tua madre, altrimenti ti avrei avvertita».
Sorrisi, più
realisticamente possibile.
«Tranquillo».
Non appena Adam si
scostò, mi trovai davanti Chris e a quel punto non guardarlo fu impossibile.
Mi sovrastava, i
soliti dieci centimetri più alto di me, ma… sembrava stranamente invecchiato.
Adam osservò la
scena, come pronto a intervenire in ogni momento.
«Ti trovo bene,
Chelsea».
Il suono della sua
voce, che non udivo da mesi, mi fece sentire le farfalle nello stomaco.
«Ti ringrazio. Tu,
invece… sembri un po’ stanco».
Lui fece un sorriso
amaro.
«Sai com’è… il lavoro
è più pesante, soprattutto adesso che la migliore se n’è andata».
Cosa cavolo potevo
dirgli a quel punto?
Lanciai uno sguardo
ad Adam, che subito venne in mio soccorso.
«Allora… che dite se
ci sediamo?».
Chris gli rivolse una
strana occhiata ed io sperai soltanto che non ce l’avesse ancora con lui per
essere venuto a trovarmi.
Quando arrivò
Shereen, poi, parve che l’atmosfera si raffreddasse ulteriormente, ma lei andò
a sedersi vicino al fidanzato, intrecciando le dita alle sue.
Sentii una fredda
fitta nel petto e fui ben felice di alzarmi quando suonarono di nuovo alla
porta.
«Ciao, zio!», salutai
l’uomo che somigliava così tanto a mio padre.
Dopo di lui entrarono
mia zia e i loro due figli; la maggiore accompagnata dal marito e dal loro
bambino di tre anni: Chuck.
Quando tutti si
furono presentati, il piccolo Chuck venne da me, allungando le braccia verso
l’alto.
«Chel-sea», mi
chiamò.
«Hai imparato a
pronunciare il mio nome, finalmente!», lo presi in giro facendo ridere tutti.
«In braccio!»,
esclamò.
Dannazione. La mia
dottoressa non mi aveva raccomandato altro che non sollevare pesi e già mi ero
messa alla prova con la valigia, il giorno prima.
Mi feci tesa e notai
anche lo sguardo allarmato di Adam, poi, decisi di sedermi e a quel punto lo
presi in braccio, cercando sempre di tenerlo a debita distanza dalla mia
pancia.
«Però… qualcuno qui
si sta facendo pesante».
Lui sorrise, tutto
compiaciuto, e Jackson, il marito di mia cugina, disse: «Tu gli fai davvero uno
strano effetto. A casa è una peste tutto il giorno, ma appena ti vede si calma
subito».
Risi e il bambino mi
abbracciò.
Parlammo un po’ del
più e del meno, l’atmosfera si distese e genitori di Chris mi chiesero come
stesse Gale e come mi trovassi a Santa Barbara.
«Benissimo, davvero.
Anche al lavoro è un bell’ambiente e poi… è praticamente lo stesso che prima
avevo in clinica; solo che ora, invece delle cartelle mediche, ho le pratiche
legali».
«Chris dice che alla
clinica si sente la tua mancanza. Che il vostro capo non fa che dare di matto
tutti i giorni», quelle parole, provenienti dal padre del ragazzo, mi
stupirono, ed io guardai Chris.
«Jefferson?
Davvero?».
Lui sorrise,
tagliando un pezzo di arrosto.
«Già, è davvero
intrattabile. Non si può dire niente che comincia a dare i numeri. Inizio a
sospettare che, se non torni, verrà a cercarti».
Risi.
«Temo di deluderlo,
allora».
Dopo quell’arrosto,
io ero veramente piena da scoppiare; sentivo che se avessi messo in bocca solo
un’altra forchettata di cibo, sarei di nuovo stata presa da una nausea feroce.
«Vino?», mi chiese
Peter, il fratello minore di Chris, seduto al mio fianco.
«No, ti ringrazio,
sono a posto così».
«Ma tesoro, l’ho
preso apposta per te perché so che è l’unico che ti piace!», esclamò mio padre.
Cominciai ad agitarmi
e anche Adam mi lanciò uno sguardo attento.
«Veramente papà, non
credo che riuscirei a mandare giù qualcos’altro».
Detto questo mi alzai
per la milionesima volta per andare in bagno.
Sperai soltanto che i
presenti non si accorgessero della cosa, o che almeno… non si facessero domande
al riguardo.
Quando misi
nuovamente piede in sala da pranzo, prima che potessi sedermi, mia madre disse:
«Chelsea, potresti andare a prendere il pesce? Stai attenta, la teglia è molto
pesante».
Splendido.
A quel punto si alzò
Adam.
«Ti do una mano,
allora!», esclamò.
Ed io lo ringraziai
mentalmente.
Non ebbi neanche il
coraggio di vedere le espressioni del resto dei presenti, quindi mi voltai,
diretta alla cucina.
«Tua madre ha
cucinato per un esercito», disse Adam, con un sorriso.
«Beh, lei lo fa per
lavoro. E, Adam… grazie, stai cercando di coprirmi in tutti i modi».
«Ma figurati.
Piuttosto… non ho ancora avuto occasione di chiederlo… come state tu e il mio
nipotino?».
«Stiamo bene. Io e… la tua nipotina».
Lui mi guardò,
meravigliato.
«È una femmina?!».
«È una femmina»,
confermai.
Il sorriso dell’uomo
era luminoso e lui mi abbracciò.
«Mio Dio, è… è
meraviglioso».
Proprio in quel
momento la porta si aprì e noi due ci facemmo di nuovo seri. Era Jenna.
«Ciao, Jen», la
salutò il fratello.
«Ciao», disse lei con
un sorriso che la diceva lunga. Che non pensasse che… io e Adam? Oh no, non era
il caso, decisamente.
«Chelsea, tua madre
chiede se puoi portare anche l’insalata».
«Certo, la preparo
subito!», esclamai.
«Sai, io e te non
abbiamo mai avuto la possibilità di parlare e questo mi dispiace», continuò poi
la ragazza, appoggiandosi contro il bancone della cucina.
«Jen…?», disse Adam.
«Oh, stai zitto tu,
voglio parlare con Chelsea».
La situazione si
faceva sempre più imbarazzante.
«E c’è qualcosa in
particolare di cui vorresti parlare?».
«Sì, mio fratello.
Non del marpione qui presente, ma di Chris… ».
«Il marpione?», le fece eco Adam, ma la
sorella lo ignorò.
«Sai, nell’ultimo
anno e mezzo, Chris non ha fatto altro che parlarmi di te; dalla mattina alla
sera, era snervante, mi veniva da appenderlo ad un albero ogni volta che entrava
in camera mia. Poi più niente, così, all’improvviso. E dopo qualche mese, se
n’è spuntato fuori con Shereen, che, non offenderti, io non la conosco
benissimo, ma mi sembra un po’ arpia».
«Jenna!», la riprese Adam, ma lei continuò a non dargli ascolto.
«Quindi la domanda
che da quel momento mi ha tormentata, è stata “E cosa diavolo è successo a
Chelsea”? Poi ti ho conosciuta, quella sera a cena a casa nostra e, credimi,
sono rimasta alquanto scioccata quando ho scoperto che eravate sorelle.
Dopodiché siete ripartiti tutti e, da quando Chris è tornato… il vuoto. Con me
parla pochissimo, odia Adam da quando è venuto a trovarti a Santa Barbara e con
Shereen le cose sono in rotta di collisione».
Ci fu una pausa
imbarazzata, quando, ad un tratto, sentii come un colpo al mio ventre ed
esclamai un acuto: «Ahi!», portandomi una mano alla pancia.
Jenna rimase
interdetta, Adam impallidì e fu subito al mio fianco.
«Chelsea!».
Ma poi capii.
Non era stato un
dolore, un crampo come quelli che avevo avuto l’ultima volta.
Quello era un calcio.
Sorrisi ad Adam,
dimenticandomi completamente che Jenna fosse lì.
«Mi ha dato un
calcio; si sta muovendo!».
A quel punto, anche
l’espressione contratta sul volto dell’uomo si distese e posò una mano sul mio
ventre.
«Oddio… ma sentila…
».
«ASPETTATE!», di
nuovo, la voce di Jenna a riportarci alla realtà. Ora non era più appoggiata al
bancone.
«Cosa diavolo
significa tutto questo? Chelsea, non sarai mica… ».
«Sì, Jenna, Chelsea è
incinta. È incinta di tua nipote, di
nostra nipote».
«Un momento… che
cosa?!».
«Senti, dobbiamo
andare a portare queste cose a tavola, altrimenti si chiederanno dove siamo
andati a finire, ma appena terminato il pranzo, ti racconteremo tutto».
«No, io voglio sapere
adesso!»
«Jen… non è il
momento».
Convincemmo la
ragazza ad aspettare, poi tornammo in sala da pranzo.
Io non riuscivo a
togliermi la mano dal ventre e almeno, dopo una mangiata del genere, potevo
farlo senza dare nell’occhio.
Mia figlia si stava
muovendo ed era una sensazione così… strana, forte e bella, che quasi mi
sentivo scoppiare.
Passammo a tavola
altre due ore, poi, quando il pranzo finalmente volse al termine, Jenna si alzò
di scatto dalla tavola e prese me e Adam, quasi trascinandoci al piano di
sopra.
Giusto per non dare
nell’occhio.
Non avevo mai
conosciuto qualcuno con la stessa vitalità di quella ragazza.
Guidai i due in
camera mia e, una volta lì, chiusi la porta.
«Ebbene?».
Con calma, poco alla
volta, raccontai ad entrambi ciò che era accaduto quell’estate. Impiegai più di
un’ora.
«Cristo santo», fu
l’unico commento di Jenna. «Con tutto quello che mi sono potuta immaginare in
questi mesi… non mi sarei mai aspettata
una storia del genere e… quindi adesso qui dentro c’è la mia nipotina?», chiese
inginocchiandosi di fianco al letto, su cui ero seduta, e mettendomi una mano
sul ventre.
«Già».
«Allora… beh,
insomma, che si fa adesso? Chris lo deve sapere!».
«No, sei matta!? Ti
sembra il momento di dirglielo, adesso?».
«Chelsea, se aspetti
il momento giusto per dirglielo, allora aspetterai per tutta la vita, perché
quel momento non arriverà mai! La situazione è troppo complicata, tua sorella
gli sta addosso di continuo».
«È questo il punto:
lui sta con mia sorella».
«Ma ti prego».
«Jenna!».
«No, Adam, tu non
puoi sapere. Ero io quella con cui Chris parlava, ero io quella a cui è venuto
a rompere le palle giorno e notte non facendo altro che parlarmi di Chelsea.
Lui ti ama. Lui. Ti. Ama. E lo deve sapere. Sei già al quarto mese, quasi al
quinto! Quanto ancora vuoi aspettare, prima di parlargli?».
Sospirai, una mano
sempre ad accarezzarmi il ventre.
«Ho promesso anche ad
Adam che glielo avrei detto. Ma dopo le feste».
Jenna sbuffò forte e
si lasciò cadere su una sedia.
«D’accordo».
Tornammo al piano
inferiore e Chris ci lanciò una strana occhiata non appena rimettemmo piede
nella stanza.
I suoi occhi mi
facevano ancora quell’effetto, facendomi battere il cuore più velocemente.
Inconsciamente, sperai che nostra figlia ereditasse i suoi occhi.
Distolsi in fretta lo
sguardo; Chuck stava richiedendo le mie attenzioni.
Il resto della
giornata passò tranquillamente e, a sera, tutti andarono via.
I giorni trascorsero,
arrivò il trentuno dicembre; io sarei ripartita il giorno dopo Capodanno.
Quella sera, Chris e
famiglia erano di nuovo invitati da noi, ma io non mi sentivo bene, stavolta.
La testa mi faceva
tanto male da non riuscire neanche a muoverla, ma grazie al cielo non erano
problemi con mia figlia.
Rimasi a letto, le
voci dal piano inferiore giungevano a me in modo indistinto e lontano. Solo dopo
un po’, venni distolta da quel mio stato di torpore da una voce vagamente
familiare.
«Adam… »; Jenna era
poco dietro di lui.
«Ehi, cosa succede? È
la bambina?», chiese prendendomi una mano. Il suo sguardo era apprensivo, come
quello di Jenna, che si sedette alle mie spalle e cominciò ad accarezzarmi la
schiena, io ero distesa su un fianco.
«No, la bambina sta
bene. Solo mal di testa, non vi preoccupate».
«E… è normale?».
«Qualche volta mi
vengono attacchi simili, non cominciate a fare gli zii paranoici».
I due sorrisero,
restando un altro po’ con me.
«Come mai non siete
giù?».
«La cena è finita,
adesso si aspetta la mezzanotte. Chelsea, ti avverto che potrei rapire tua
madre; a cucinare… è divina. Se fossi io sua figlia, sarei grassa almeno tre
volte te», disse Jenna, facendomi ridere.
«Aspetta a parlare;
tra un paio di mesi sì, che sarò grassa».
«Ma grassa a fin di
bene».
Parlammo ancora un
po’, finché non sentimmo una voce proveniente dalla porta e a quel punto restai
raggelata.
Chris era lì.
Deglutii a vuoto
mentre entrava nella mia stanza e anche Adam e Jenna si facevano seri.
Aveva qualcosa in
mano, una scodella, che posò sul mio comodino.
«Posso restare un po’
da solo con lei?», chiese ai fratelli.
Loro sembrarono un
po’ allarmati, così come lo ero io, ma non riuscirono a trovare una scusa per
rifiutarsi, quindi uscirono, richiudendosi la porta alle spalle.
Il cuore mi batteva
forte; erano mesi, ormai, che non restavo più da sola con Chris e sperai che il
ragazzo non si accorgesse di nulla.
Lui si sedette sul
letto accanto a me, spostandomi poi delle ciocche di capelli che mi ricadevano
disordinatamente sul viso.
A quel contatto
chiusi gli occhi e respirai a fondo, poi lo guardai: indossava un paio di jeans
scuri e un maglione nero a collo alto.
Da quanto non lo
vedevo più con i jeans? Davvero un sacco di tempo. Più lo osservavo, più non
riuscivo a smettere di pensare a quanto fosse bello, a quanto mi era mancato e
poi… mi tornò in mente quel giorno nel suo ufficio e non potei fare a meno di
arrossire.
«Cosa c’è, Chelsea?».
«Niente, io… niente».
Chris sospirò
pesantemente, passandosi una mano tra i capelli biondi.
«Ti fa male la
testa?».
«Un po’».
“Un po’ ”, era un
eufemismo e Chris lo sapeva.
«Non c’è bisogno che
fai la stoica con me, Chelsea, ti conosco. Avanti, vieni qui».
Mi prese da sotto le
ascelle e mi tirò un po’ più su sul letto.
Non me lo aspettavo e
mi strinsi forte le coperte sulla pancia, per fare in modo che non si
accorgesse di nulla.
«Cerca di rilassarti,
ok?», Chris si tolse le scarpe, sdraiandosi sul letto accanto a me, ma restando
sopra le coperte, poi, prese un elastico per capelli dal mio comodino e li legò
in una lunga coda.
«Cosa fai, Chris?».
«Non ti avevo appena
detto di rilassarti?».
Sbuffai divertita;
sapevo che quando faceva così, parlargli era inutile.
Il ragazzo a quel
punto, riprese la scodella che prima aveva appoggiato accanto a me e se la posò
sull’addome piatto. Dentro c’erano dell’acqua e una pezza.
«Ora chiudi gli occhi
e rilassati… davvero, stavolta».
Obbedii e, dopo qualche
istante, sentii il contatto della pezza bagnata sul mio viso. Non rabbrividii,
né mi scostai: la temperatura dell’acqua era tiepida, piacevole a contatto con
la pelle ed io mi abbandonai ancor di più contro il corpo solido e confortante
di Chris. Sarei rimasta così per sempre.
Ad un tratto, un
altro calcio della bambina mi fece sussultare, e la mano di Chris si fermò.
«Tutto bene?».
«Tranquillo, solo…
una piccola fitta alla pancia», mentii, ancora ad occhi chiusi.
«Vuoi che chieda a
tua madre di prepararti un thè caldo?».
Lo amavo. Dio, quanto
lo amavo; lui e il suo modo di preoccuparsi e prendersi cura di me.
«Magari dopo», volevo
che restasse al mio fianco, in quel momento.
La bambina continuò a
scalciare, piena di vitalità.
“Sì, amore, questo
qui è il tuo papà”, pensai senza neanche rendermene conto.
Mi feci cullare da
quelle sensazioni e dalla dolcezza che Chris metteva in ogni suo gesto nei miei
confronti, finché, talmente rilassata com’ero, mi addormentai, facendo cadere
tutte le mie barriere.
Quando mi risvegliai,
ero letteralmente avvinghiata al torace ampio di Chris, che si alzava e si
abbassava regolarmente ad ogni suo respiro.
«Ti sei svegliata… »,
disse piano.
«Quanto ho dormito?».
«Non molto; mancano dieci
minuti a mezzanotte».
«Perché non sei giù
con gli altri?».
«Perché è questo
l’unico posto in cui dovrei essere adesso».
A quelle parole,
anche se involontariamente, mi strinsi di più a lui e Chris mi accarezzò i
capelli.
«Credo di averti
lasciato molto spazio, Chelsea, ma non mi hai mai richiamato».
Sospirai.
«Questo lo so».
«E perché non lo hai
mai fatto? L’ultima volta che… “ci siamo dati spazio”, non è finita molto bene,
mi sembra».
«Già, tu che ti metti
con mia sorella, se non ricordo male».
«Una cosa del
genere», il suo tono era distaccato. «Allora?».
«Allora cosa?».
«Perché non mi hai
mai scritto neanche un maledetto messaggio?».
«Volevo farlo. Volevo
chiamarti, davvero, soprattutto dopo che Adam è venuto a trovarmi, ma… ».
«A tal proposito… »,
m’interruppe. « … cosa c’è tra te e mio fratello?».
Ora mi sciolsi dal
suo abbraccio e mi allontanai, per guardarlo bene in faccia.
«Non c’è niente tra
me e lui, Chris».
«Davvero? Perché ogni
volta che ti vede, si illumina come se fosse in presenza della madonna».
Gli presi una mano e
lui, quasi automaticamente, racchiuse la mia tra le sue.
«Adam è gentile con
me, ma… non c’è niente, siamo amici. Si comporta come se fosse anche un po’ il mio fratello maggiore».
Lo sguardo di Chris
ora parve stupito.
«Dici davvero?».
«Dico davvero».
Proprio in quel
momento, si sentì bussare alla porta e, poco dopo, Jenna fece capolino.
«È quasi mezzanotte…
vieni giù, Chris?».
Lui sbuffò,
cominciando a rialzarsi.
«Arrivo».
Poi guardò me.
«Avverto tua madre
per quel thè; tu è meglio se resti qui, sei ancora pallida».
«Grazie».
Mi sorrise un’ultima
volta, prima di uscire dalla stanza e Jenna mi si avvicinò.
«Cos’altro ti serve
per capire quanto ti ama? Davvero… con tua sorella non si è mai neanche
lontanamente preoccupato così».
«Lo so».
La bionda mi osservò
attentamente, poi spostò gli occhi sulla mia pancia.
«Si è accorto di
qualcosa?».
«No, per fortuna».
«Per fortuna? Io spero che glielo dirai presto perché io e Adam
possiamo darti una mano, ma… tu hai bisogno di lui e lui ha bisogno di te. E
vostra figlia ha bisogno di voi due insieme. Chelsea, io l’ho visto, stasera:
Chris sa come prendersi cura di te, forse lo sa meglio di chiunque altro. E ti
ama».
«Glielo dirò. Adesso
torna giù dagli altri».
Jenna annuì, poi uscì
dalla mia stanza.
Ed io risprofondai
nel sonno.
Note dell’Autrice:
Ed
eccomi qui con il ventunesimo capitolo! Scusate l’attesa, ma ero in vacanza dai
nonni e lì non avevo internet per aggiornare.
Comunque!
Ora sono qui e sono tornati anche Chelsea e Chris in un capitolo che li ha
visti molto uniti, finalmente dopo tanto tempo. Inoltre abbiamo scoperto che
Chelsea aspetta una bambina ed ora anche Jenna è a conoscenza del suo segreto.
Anche
la sorella di Chris ora, oltre Adam, sarà un personaggio molto presente e
importante e, dal prossimo capitolo, le cose cominceranno a cambiare.
Con
questo, vi lascio con l’anticipazione del prossimo capitolo, sperando che
questo vi sia piaciuto.
Alla
prossima!
DAL
CAPITOLO 22:
“Guardai
il mio telefono, poggiato su uno dei banconi. Sapevo cos’avrei dovuto fare.
Cosa dovevo fare, ma non ci riuscivo.
Presi
l’apparecchio e composi il numero di Chris a memoria, automaticamente, così
velocemente da non lasciarmi il tempo di pensare a ciò che stavo facendo.
La
voce inconfondibile del ragazzo, mi rispose al secondo squillo.
«Chelsea…
», sembrava davvero sorpreso.
«Ehi,
Chris… ».
«Va
tutto bene? Sembri strana».
Come
sempre, non potevo tenergli nascosto niente.
Presi
un respiro profondo.
«No.
Cioè… sì, ma… dovresti venire, Chris. Dovresti tornare a Santa Barbara. Io…
devo davvero dirti una cosa».
La
voce del ragazzo si fece allarmata.
«Chelsea…
tu stai bene, vero?».
Sorrisi.
«Io
sto bene, ma… un paio di mesi fa non lo sono stata, sono dovuta rimanere in
ospedale per due giorni».
«Che
cosa?! Quanti mesi fa, Chelsea? Perché non me lo hai detto?».
«È
stato prima di Natale e comunque… adesso sto bene, ho solo bisogno che tu venga
qui. Puoi farlo?».
«Sono
già in macchina»”.