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Autore: Clira    23/08/2014    1 recensioni
DAL CAPITOLO 11:
«Hai capito bene, Chelsea. Io… io non lo so. Viviamo sotto lo stesso tetto da tre settimane ormai, ancora un’altra e poi torneremo alle nostre vecchie vite e forse ci lasceremo alle spalle queste assurde vacanze, ma io ricorderò. Io ricorderò ogni singolo istante quando ci incontreremo nei corridoi, in atrio o alla mensa. Ricorderò la tua voce, la musica e la paura. Ricorderò com’è restare senza fiato. Ricorderò il tuo aspetto appena ti svegli la mattina e i tuoi pigiami improponibili. Ricorderò l’odore della tua pelle dopo una doccia e la luce nei tuoi occhi. Ricorderò la ruga che ti si forma sulla fronte mentre ti concentri su qualcosa e il modo buffo che hai di toglierti i capelli dalla faccia soffiandoci sopra. E per me sarà impossibile dimenticare queste settimane. Ma se tu lo vuoi, io farò finta di dimenticare».
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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21  


CAPITOLO 21: IL GIORNO DI NATALE

 

Ero nei guai.

In grossi guai.

Non potevo rivedere Chris, non potevo, non ce l’avrei fatta. Soprattutto dopo tutti quei mesi di totale assenza dalla mia vita; nonostante una parte di lui fosse letteralmente così dentro di me.

Sbiancai e l’unica risposta che riuscii a dare a mio padre fu: «Oh».

Andai immediatamente al piano di sopra, presi il cellulare e chiamai Ryan.

«Buon Natale!», mi rispose la sua voce allegra dopo qualche squillo.

Buon Natale?! Buon Natale?! No, quello sarebbe stato un disastro di proporzioni epiche.

«Ryan!».

«Ehi, che cosa succede? Stai bene, vero Chelsea?!», lui sembrava piuttosto spaventato.

«No! Cioè… sì, nel senso che interessa a te. Io… non ho problemi, ma ho appena scoperto che Chris e tutta la sua famiglia verranno da noi per il pranzo».

«Merda. Houston, abbiamo un problema».

Rimasi interdetta e mi misi a ridere alle parole del mio amico.

«Tu sei fuori di testa».

«Almeno ti faccio ridere».

Sospirai.

«Ryan, io… io non so se ce la faccio. Non posso averlo davanti agli occhi per tutto il giorno e… non dirgli niente della gravidanza. Non ce la faccio, io… io…».

«Chelsea, ehi, adesso calmati e respira, d’accordo? Hai detto che verrà tutta la sua famiglia, quindi ci sarà anche Adam e lui ti aiuterà, ne sono certo. Ma per favore, non ti agitare, ok? Non ti fa bene, abbiamo visto che cos’è successo l’ultima volta».

Annuii, cercando di calmarmi e in quel momento il campanello della porta d’ingresso suonò.

Mi affacciai dalla finestra, vedendo la famiglia di Chris riunita fuori.

«Oh, maledizione. Sono loro, sono arrivati».

«Va bene, allora vai. Ma Chelsea… non farti prendere dal panico. Sei stata così forte in questi mesi, sono fiero di te, quindi… non lasciare che la paura abbia la meglio; affrontala come hai sempre fatto».

Sorrisi alle parole del mio amico.

«Grazie Ryan e… buon Natale anche a te».

Lo sentii ridere piano all’altro capo del telefono, poi riagganciai.

Mi sedetti sul letto e presi qualche respiro profondo. Quanto avrei voluto avere Buster lì con me in quel momento. Ma lui non c’era ed io non potevo indugiare un minuto di più, perché le voci al piano di sotto si fecero concitate.

Chiusi gli occhi e presi qualche respiro profondo, accarezzandomi il ventre, poi mi alzai dal letto e scesi al piano inferiore.

La prima che si accorse di me fu la piccola Holly, che si sbracciò per salutarmi e strillò con la sua vocetta acuta di quattro anni: «Ciao, Chelsea!».

Molte teste si voltarono verso di me, ed io avrei soltanto voluto sparire nel terreno, ma mi aprii nel sorriso migliore che riuscii a tirare fuori e salutai tutti.

 Sapevo che Chris mi stava fissando, sentivo il suo sguardo su di me, ma non osai osservarlo apertamente, quindi risposi all’abbraccio dei suoi genitori, che in quel momento vennero verso di me e a quello di Adam, che, non facendosi notare, sussurrò al mio orecchio: «Ho saputo solo stamattina dell’invito di tua madre, altrimenti ti avrei avvertita».

Sorrisi, più realisticamente possibile.

«Tranquillo».

Non appena Adam si scostò, mi trovai davanti Chris e a quel punto non guardarlo fu impossibile.

Mi sovrastava, i soliti dieci centimetri più alto di me, ma… sembrava stranamente invecchiato.

Adam osservò la scena, come pronto a intervenire in ogni momento.

«Ti trovo bene, Chelsea».

Il suono della sua voce, che non udivo da mesi, mi fece sentire le farfalle nello stomaco.

«Ti ringrazio. Tu, invece… sembri un po’ stanco».

Lui fece un sorriso amaro.

«Sai com’è… il lavoro è più pesante, soprattutto adesso che la migliore se n’è andata».

Cosa cavolo potevo dirgli a quel punto?

Lanciai uno sguardo ad Adam, che subito venne in mio soccorso.

«Allora… che dite se ci sediamo?».

Chris gli rivolse una strana occhiata ed io sperai soltanto che non ce l’avesse ancora con lui per essere venuto a trovarmi.

Quando arrivò Shereen, poi, parve che l’atmosfera si raffreddasse ulteriormente, ma lei andò a sedersi vicino al fidanzato, intrecciando le dita alle sue.

Sentii una fredda fitta nel petto e fui ben felice di alzarmi quando suonarono di nuovo alla porta.

«Ciao, zio!», salutai l’uomo che somigliava così tanto a mio padre.

Dopo di lui entrarono mia zia e i loro due figli; la maggiore accompagnata dal marito e dal loro bambino di tre anni: Chuck.

Quando tutti si furono presentati, il piccolo Chuck venne da me, allungando le braccia verso l’alto.

«Chel-sea», mi chiamò.

«Hai imparato a pronunciare il mio nome, finalmente!», lo presi in giro facendo ridere tutti.

«In braccio!», esclamò.

Dannazione. La mia dottoressa non mi aveva raccomandato altro che non sollevare pesi e già mi ero messa alla prova con la valigia, il giorno prima.

Mi feci tesa e notai anche lo sguardo allarmato di Adam, poi, decisi di sedermi e a quel punto lo presi in braccio, cercando sempre di tenerlo a debita distanza dalla mia pancia.

«Però… qualcuno qui si sta facendo pesante».

Lui sorrise, tutto compiaciuto, e Jackson, il marito di mia cugina, disse: «Tu gli fai davvero uno strano effetto. A casa è una peste tutto il giorno, ma appena ti vede si calma subito».

Risi e il bambino mi abbracciò.

Parlammo un po’ del più e del meno, l’atmosfera si distese e genitori di Chris mi chiesero come stesse Gale e come mi trovassi a Santa Barbara.

«Benissimo, davvero. Anche al lavoro è un bell’ambiente e poi… è praticamente lo stesso che prima avevo in clinica; solo che ora, invece delle cartelle mediche, ho le pratiche legali».

«Chris dice che alla clinica si sente la tua mancanza. Che il vostro capo non fa che dare di matto tutti i giorni», quelle parole, provenienti dal padre del ragazzo, mi stupirono, ed io guardai Chris.

«Jefferson? Davvero?».

Lui sorrise, tagliando un pezzo di arrosto.

«Già, è davvero intrattabile. Non si può dire niente che comincia a dare i numeri. Inizio a sospettare che, se non torni, verrà a cercarti».

Risi.

«Temo di deluderlo, allora».

Dopo quell’arrosto, io ero veramente piena da scoppiare; sentivo che se avessi messo in bocca solo un’altra forchettata di cibo, sarei di nuovo stata presa da una nausea feroce.

«Vino?», mi chiese Peter, il fratello minore di Chris, seduto al mio fianco.

«No, ti ringrazio, sono a posto così».

«Ma tesoro, l’ho preso apposta per te perché so che è l’unico che ti piace!», esclamò mio padre.

Cominciai ad agitarmi e anche Adam mi lanciò uno sguardo attento.

«Veramente papà, non credo che riuscirei a mandare giù qualcos’altro».

Detto questo mi alzai per la milionesima volta per andare in bagno.

Sperai soltanto che i presenti non si accorgessero della cosa, o che almeno… non si facessero domande al riguardo.

Quando misi nuovamente piede in sala da pranzo, prima che potessi sedermi, mia madre disse: «Chelsea, potresti andare a prendere il pesce? Stai attenta, la teglia è molto pesante».

Splendido.

A quel punto si alzò Adam.

«Ti do una mano, allora!», esclamò.

Ed io lo ringraziai mentalmente.

Non ebbi neanche il coraggio di vedere le espressioni del resto dei presenti, quindi mi voltai, diretta alla cucina.

«Tua madre ha cucinato per un esercito», disse Adam, con un sorriso.

«Beh, lei lo fa per lavoro. E, Adam… grazie, stai cercando di coprirmi in tutti i modi».

«Ma figurati. Piuttosto… non ho ancora avuto occasione di chiederlo… come state tu e il mio nipotino?».

«Stiamo bene. Io e… la tua nipotina».

Lui mi guardò, meravigliato.

«È una femmina?!».

«È una femmina», confermai.

Il sorriso dell’uomo era luminoso e lui mi abbracciò.

«Mio Dio, è… è meraviglioso».

Proprio in quel momento la porta si aprì e noi due ci facemmo di nuovo seri. Era Jenna.

«Ciao, Jen», la salutò il fratello.

«Ciao», disse lei con un sorriso che la diceva lunga. Che non pensasse che… io e Adam? Oh no, non era il caso, decisamente.

«Chelsea, tua madre chiede se puoi portare anche l’insalata».

«Certo, la preparo subito!», esclamai.

«Sai, io e te non abbiamo mai avuto la possibilità di parlare e questo mi dispiace», continuò poi la ragazza, appoggiandosi contro il bancone della cucina.

«Jen…?», disse Adam.

«Oh, stai zitto tu, voglio parlare con Chelsea».

La situazione si faceva sempre più imbarazzante.

«E c’è qualcosa in particolare di cui vorresti parlare?».

«Sì, mio fratello. Non del marpione qui presente, ma di Chris… ».

«Il marpione?», le fece eco Adam, ma la sorella lo ignorò.

«Sai, nell’ultimo anno e mezzo, Chris non ha fatto altro che parlarmi di te; dalla mattina alla sera, era snervante, mi veniva da appenderlo ad un albero ogni volta che entrava in camera mia. Poi più niente, così, all’improvviso. E dopo qualche mese, se n’è spuntato fuori con Shereen, che, non offenderti, io non la conosco benissimo, ma mi sembra un po’ arpia».

«Jenna!», la riprese Adam, ma lei continuò a non dargli ascolto.

«Quindi la domanda che da quel momento mi ha tormentata, è stata “E cosa diavolo è successo a Chelsea”? Poi ti ho conosciuta, quella sera a cena a casa nostra e, credimi, sono rimasta alquanto scioccata quando ho scoperto che eravate sorelle. Dopodiché siete ripartiti tutti e, da quando Chris è tornato… il vuoto. Con me parla pochissimo, odia Adam da quando è venuto a trovarti a Santa Barbara e con Shereen le cose sono in rotta di collisione».

Ci fu una pausa imbarazzata, quando, ad un tratto, sentii come un colpo al mio ventre ed esclamai un acuto: «Ahi!», portandomi una mano alla pancia.

Jenna rimase interdetta, Adam impallidì e fu subito al mio fianco.

«Chelsea!».

Ma poi capii.

Non era stato un dolore, un crampo come quelli che avevo avuto l’ultima volta.

Quello era un calcio.

Sorrisi ad Adam, dimenticandomi completamente che Jenna fosse lì.

«Mi ha dato un calcio; si sta muovendo!».

A quel punto, anche l’espressione contratta sul volto dell’uomo si distese e posò una mano sul mio ventre.

«Oddio… ma sentila… ».

«ASPETTATE!», di nuovo, la voce di Jenna a riportarci alla realtà. Ora non era più appoggiata al bancone.

«Cosa diavolo significa tutto questo? Chelsea, non sarai mica… ».

«Sì, Jenna, Chelsea è incinta. È incinta di tua nipote, di nostra nipote».

«Un momento… che cosa?!».

«Senti, dobbiamo andare a portare queste cose a tavola, altrimenti si chiederanno dove siamo andati a finire, ma appena terminato il pranzo, ti racconteremo tutto».

«No, io voglio sapere adesso

«Jen… non è il momento».

Convincemmo la ragazza ad aspettare, poi tornammo in sala da pranzo.

Io non riuscivo a togliermi la mano dal ventre e almeno, dopo una mangiata del genere, potevo farlo senza dare nell’occhio.

Mia figlia si stava muovendo ed era una sensazione così… strana, forte e bella, che quasi mi sentivo scoppiare.

Passammo a tavola altre due ore, poi, quando il pranzo finalmente volse al termine, Jenna si alzò di scatto dalla tavola e prese me e Adam, quasi trascinandoci al piano di sopra.

Giusto per non dare nell’occhio.

Non avevo mai conosciuto qualcuno con la stessa vitalità di quella ragazza.

Guidai i due in camera mia e, una volta lì, chiusi la porta.

«Ebbene?».

Con calma, poco alla volta, raccontai ad entrambi ciò che era accaduto quell’estate. Impiegai più di un’ora.

«Cristo santo», fu l’unico commento di Jenna. «Con tutto quello che mi sono potuta immaginare in questi mesi…  non mi sarei mai aspettata una storia del genere e… quindi adesso qui dentro c’è la mia nipotina?», chiese inginocchiandosi di fianco al letto, su cui ero seduta, e mettendomi una mano sul ventre.

«Già».

«Allora… beh, insomma, che si fa adesso? Chris lo deve sapere!».

«No, sei matta!? Ti sembra il momento di dirglielo, adesso?».

«Chelsea, se aspetti il momento giusto per dirglielo, allora aspetterai per tutta la vita, perché quel momento non arriverà mai! La situazione è troppo complicata, tua sorella gli sta addosso di continuo».

«È questo il punto: lui sta con mia sorella».

«Ma ti prego».

«Jenna!».

«No, Adam, tu non puoi sapere. Ero io quella con cui Chris parlava, ero io quella a cui è venuto a rompere le palle giorno e notte non facendo altro che parlarmi di Chelsea. Lui ti ama. Lui. Ti. Ama. E lo deve sapere. Sei già al quarto mese, quasi al quinto! Quanto ancora vuoi aspettare, prima di parlargli?».

Sospirai, una mano sempre ad accarezzarmi il ventre.

«Ho promesso anche ad Adam che glielo avrei detto. Ma dopo le feste».

Jenna sbuffò forte e si lasciò cadere su una sedia.

«D’accordo».

Tornammo al piano inferiore e Chris ci lanciò una strana occhiata non appena rimettemmo piede nella stanza.

I suoi occhi mi facevano ancora quell’effetto, facendomi battere il cuore più velocemente. Inconsciamente, sperai che nostra figlia ereditasse i suoi occhi.

Distolsi in fretta lo sguardo; Chuck stava richiedendo le mie attenzioni.

Il resto della giornata passò tranquillamente e, a sera, tutti andarono via.

 

I giorni trascorsero, arrivò il trentuno dicembre; io sarei ripartita il giorno dopo Capodanno.

Quella sera, Chris e famiglia erano di nuovo invitati da noi, ma io non mi sentivo bene, stavolta.

La testa mi faceva tanto male da non riuscire neanche a muoverla, ma grazie al cielo non erano problemi con mia figlia.

Rimasi a letto, le voci dal piano inferiore giungevano a me in modo indistinto e lontano. Solo dopo un po’, venni distolta da quel mio stato di torpore da una voce vagamente familiare.

«Adam… »; Jenna era poco dietro di lui.

«Ehi, cosa succede? È la bambina?», chiese prendendomi una mano. Il suo sguardo era apprensivo, come quello di Jenna, che si sedette alle mie spalle e cominciò ad accarezzarmi la schiena, io ero distesa su un fianco.

«No, la bambina sta bene. Solo mal di testa, non vi preoccupate».

«E… è normale?».

«Qualche volta mi vengono attacchi simili, non cominciate a fare gli zii paranoici».

I due sorrisero, restando un altro po’ con me.

«Come mai non siete giù?».

«La cena è finita, adesso si aspetta la mezzanotte. Chelsea, ti avverto che potrei rapire tua madre; a cucinare… è divina. Se fossi io sua figlia, sarei grassa almeno tre volte te», disse Jenna, facendomi ridere.

«Aspetta a parlare; tra un paio di mesi sì, che sarò grassa».

«Ma grassa a fin di bene».

Parlammo ancora un po’, finché non sentimmo una voce proveniente dalla porta e a quel punto restai raggelata.

Chris era lì.

Deglutii a vuoto mentre entrava nella mia stanza e anche Adam e Jenna si facevano seri.

Aveva qualcosa in mano, una scodella, che posò sul mio comodino.

«Posso restare un po’ da solo con lei?», chiese ai fratelli.

Loro sembrarono un po’ allarmati, così come lo ero io, ma non riuscirono a trovare una scusa per rifiutarsi, quindi uscirono, richiudendosi la porta alle spalle.

Il cuore mi batteva forte; erano mesi, ormai, che non restavo più da sola con Chris e sperai che il ragazzo non si accorgesse di nulla.

Lui si sedette sul letto accanto a me, spostandomi poi delle ciocche di capelli che mi ricadevano disordinatamente sul viso.

A quel contatto chiusi gli occhi e respirai a fondo, poi lo guardai: indossava un paio di jeans scuri e un maglione nero a collo alto.

Da quanto non lo vedevo più con i jeans? Davvero un sacco di tempo. Più lo osservavo, più non riuscivo a smettere di pensare a quanto fosse bello, a quanto mi era mancato e poi… mi tornò in mente quel giorno nel suo ufficio e non potei fare a meno di arrossire.

«Cosa c’è, Chelsea?».

«Niente, io… niente».

Chris sospirò pesantemente, passandosi una mano tra i capelli biondi.

«Ti fa male la testa?».

«Un po’».

“Un po’ ”, era un eufemismo e Chris lo sapeva.

«Non c’è bisogno che fai la stoica con me, Chelsea, ti conosco. Avanti, vieni qui».

Mi prese da sotto le ascelle e mi tirò un po’ più su sul letto.

Non me lo aspettavo e mi strinsi forte le coperte sulla pancia, per fare in modo che non si accorgesse di nulla.

«Cerca di rilassarti, ok?», Chris si tolse le scarpe, sdraiandosi sul letto accanto a me, ma restando sopra le coperte, poi, prese un elastico per capelli dal mio comodino e li legò in una lunga coda.

«Cosa fai, Chris?».

«Non ti avevo appena detto di rilassarti?».

Sbuffai divertita; sapevo che quando faceva così, parlargli era inutile.

Il ragazzo a quel punto, riprese la scodella che prima aveva appoggiato accanto a me e se la posò sull’addome piatto. Dentro c’erano dell’acqua e una pezza.

«Ora chiudi gli occhi e rilassati… davvero, stavolta».

Obbedii e, dopo qualche istante, sentii il contatto della pezza bagnata sul mio viso. Non rabbrividii, né mi scostai: la temperatura dell’acqua era tiepida, piacevole a contatto con la pelle ed io mi abbandonai ancor di più contro il corpo solido e confortante di Chris. Sarei rimasta così per sempre.

Ad un tratto, un altro calcio della bambina mi fece sussultare, e la mano di Chris si fermò.

«Tutto bene?».

«Tranquillo, solo… una piccola fitta alla pancia», mentii, ancora ad occhi chiusi.

«Vuoi che chieda a tua madre di prepararti un thè caldo?».

Lo amavo. Dio, quanto lo amavo; lui e il suo modo di preoccuparsi e prendersi cura di me.

«Magari dopo», volevo che restasse al mio fianco, in quel momento.

La bambina continuò a scalciare, piena di vitalità.

“Sì, amore, questo qui è il tuo papà”, pensai senza neanche rendermene conto.

Mi feci cullare da quelle sensazioni e dalla dolcezza che Chris metteva in ogni suo gesto nei miei confronti, finché, talmente rilassata com’ero, mi addormentai, facendo cadere tutte le mie barriere.

Quando mi risvegliai, ero letteralmente avvinghiata al torace ampio di Chris, che si alzava e si abbassava regolarmente ad ogni suo respiro.

«Ti sei svegliata… », disse piano.

«Quanto ho dormito?».

«Non molto; mancano dieci minuti a mezzanotte».

«Perché non sei giù con gli altri?».

«Perché è questo l’unico posto in cui dovrei essere adesso».

A quelle parole, anche se involontariamente, mi strinsi di più a lui e Chris mi accarezzò i capelli.

«Credo di averti lasciato molto spazio, Chelsea, ma non mi hai mai richiamato».

Sospirai.

«Questo lo so».

«E perché non lo hai mai fatto? L’ultima volta che… “ci siamo dati spazio”, non è finita molto bene, mi sembra».

«Già, tu che ti metti con mia sorella, se non ricordo male».

«Una cosa del genere», il suo tono era distaccato. «Allora?».

«Allora cosa?».

«Perché non mi hai mai scritto neanche un maledetto messaggio?».

«Volevo farlo. Volevo chiamarti, davvero, soprattutto dopo che Adam è venuto a trovarmi, ma… ».

«A tal proposito… », m’interruppe. « … cosa c’è tra te e mio fratello?».

Ora mi sciolsi dal suo abbraccio e mi allontanai, per guardarlo bene in faccia.

«Non c’è niente tra me e lui, Chris».

«Davvero? Perché ogni volta che ti vede, si illumina come se fosse in presenza della madonna».

Gli presi una mano e lui, quasi automaticamente, racchiuse la mia  tra le sue.

«Adam è gentile con me, ma… non c’è niente, siamo amici. Si comporta come se fosse anche un po’ il mio fratello maggiore».

Lo sguardo di Chris ora parve stupito.

«Dici davvero?».

«Dico davvero».

Proprio in quel momento, si sentì bussare alla porta e, poco dopo, Jenna fece capolino.

«È quasi mezzanotte… vieni giù, Chris?».

Lui sbuffò, cominciando a rialzarsi.

«Arrivo».

Poi guardò me.

«Avverto tua madre per quel thè; tu è meglio se resti qui, sei ancora pallida».

«Grazie».

Mi sorrise un’ultima volta, prima di uscire dalla stanza e Jenna mi si avvicinò.

«Cos’altro ti serve per capire quanto ti ama? Davvero… con tua sorella non si è mai neanche lontanamente preoccupato così».

«Lo so».

La bionda mi osservò attentamente, poi spostò gli occhi sulla mia pancia.

«Si è accorto di qualcosa?».

«No, per fortuna».

«Per fortuna? Io spero che glielo dirai presto perché io e Adam possiamo darti una mano, ma… tu hai bisogno di lui e lui ha bisogno di te. E vostra figlia ha bisogno di voi due insieme. Chelsea, io l’ho visto, stasera: Chris sa come prendersi cura di te, forse lo sa meglio di chiunque altro. E ti ama».

«Glielo dirò. Adesso torna giù dagli altri».

Jenna annuì, poi uscì dalla mia stanza.

Ed io risprofondai nel sonno.

 

Note dell’Autrice:

Ed eccomi qui con il ventunesimo capitolo! Scusate l’attesa, ma ero in vacanza dai nonni e lì non avevo internet per aggiornare.

Comunque! Ora sono qui e sono tornati anche Chelsea e Chris in un capitolo che li ha visti molto uniti, finalmente dopo tanto tempo. Inoltre abbiamo scoperto che Chelsea aspetta una bambina ed ora anche Jenna è a conoscenza del suo segreto.

Anche la sorella di Chris ora, oltre Adam, sarà un personaggio molto presente e importante e, dal prossimo capitolo, le cose cominceranno a cambiare.

Con questo, vi lascio con l’anticipazione del prossimo capitolo, sperando che questo vi sia piaciuto.

Alla prossima!

DAL CAPITOLO 22:

“Guardai il mio telefono, poggiato su uno dei banconi. Sapevo cos’avrei dovuto fare. Cosa dovevo fare, ma non ci riuscivo.

Presi l’apparecchio e composi il numero di Chris a memoria, automaticamente, così velocemente da non lasciarmi il tempo di pensare a ciò che stavo facendo.

La voce inconfondibile del ragazzo, mi rispose al secondo squillo.

«Chelsea… », sembrava davvero sorpreso.

«Ehi, Chris… ».

«Va tutto bene? Sembri strana».

Come sempre, non potevo tenergli nascosto niente.

Presi un respiro profondo.

«No. Cioè… sì, ma… dovresti venire, Chris. Dovresti tornare a Santa Barbara. Io… devo davvero dirti una cosa».

La voce del ragazzo si fece allarmata.

«Chelsea… tu stai bene, vero?».

Sorrisi.

«Io sto bene, ma… un paio di mesi fa non lo sono stata, sono dovuta rimanere in ospedale per due giorni».

«Che cosa?! Quanti mesi fa, Chelsea? Perché non me lo hai detto?».

«È stato prima di Natale e comunque… adesso sto bene, ho solo bisogno che tu venga qui. Puoi farlo?».

«Sono già in macchina»”.

  
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