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Autore: Elric_Kyoudai    18/09/2008    8 recensioni
Al percepì, nella voce del fratello, una totale assenza di… tono. Era come asettica, quasi uscisse da un guscio di metallo – non un’armatura in cui era imprigionata un’anima, ma un contenitore, una lattina. Ne usciva un insieme di suoni modulati ma totalmente estranei, freddi. Un collettivo di parole che parevano pronunciate da un computer, non da una persona – non da un fratello che dovrebbe usare solo toni dolci, o perlomeno umani. (Un pizzico - ma quasi invisibile - di Elricest, Emo!Psycho!Ed)
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E dopo mesi e mesi di silenzio, eccoci di nuovo qua!*muoiono male* Siete stati bene durante le vacanze?&hearts; Speriamo di sì*^*

Bene, prima di passare al secondo capitolo, via alle risposte ai commenti è__é!

Beautiful_disaster: sì che è vera XD Ci sono persone che soffrono di questo disturbo... Siam contente ti piaccia, speriam di soddisfarti anche con questo^w^

Shichan: inquieta vero?8D Spero che il diabete non te lo sia beccata da noi XD *specie da Na che ne ha scritte davvero troppe e troppo mielose.* Grazie mille tata *w*

Chibisimo: Speriamo che andando avanti non ti sembri più tanto dolce XD Grazie del commento comunque^^

Paper Doll: Grazie tata *w* Ed è bello perché lo muove Mika, mica per altro ;__;!

Betta90: speriamo intanto che tu sia ancora una nostra fedele seguace ;_;! Ecco il seguito, speriamo ti gusti *O*<3

Sarazaretta: Grazie mille tata ^w^ Eh, fa il geloso male però...;A; Siamo tutte un po' preoccupate per Al, voi no?

Damaris: Eccolo*w* Siamo felici di aver reso bene una cosa così inusuale... speriamo di non deluderti andando avanti è_é

Prima di iniziare, pubblicità!

http://elricest.forumfree.net, venite numerosi/e!*^^*

And now, let's go on!

 

 

 

 

 

 

Mugolò appena, la testa pesante come un macigno.

Tentò di aprire gli occhi, ma la stanza era immersa così tanto nel buio che non riusciva a capire se effettivamente ci fosse riuscito o meno.

Che diavolo era successo? Ricordava solo che stava per uscire per fare da guida alla cugina di Mustang, e che suo fratello gli aveva porto il cappotto; dopo era tutto velato di nebbia, le orecchie infastidite da un ronzio continuo e molesto, anche ora che era sveglio.

Tentò di portarsi una mano al viso - stanco, stravolto, e chissà cos'altro - ma l'unica cosa che ottenne fu il rumore di metallo appena dietro di lui, e una stretta gelida attorno al polso.

"M-ma... che...?"

“Ben svegliato, fratellino.”

Alphonse si ritrovò il volto sorridente del suo niisan davanti.

Sorrideva, Edward, ciondolando le gambe sulla sedia troppo alta.

Sembrava un bambino – di tale innocenza era il velo dipinto sulle sue labbra curvate.

"Nii... niisan, che che cosa...!"

Cominciò ad agitare le braccia, quasi isterico - nonostante la debolezza attanagliasse ancora i suoi arti, ogni suo muscolo - ma ottenne solo la fitta di due profondi solchi doloranti nei polsi, e il tintinnare di quelle che non pensava avrebbe mai avuto addosso.

Un paio di manette.

“Mi sembra semplice.”

E ancora un sorriso – era quasi puro, infantile. Perché così gli sembrava la risposta che doveva dare allo spaventatissimo Alphonse.

“Ti ho legato, così non andrai più via.”

E lo disse con un tono di totale innocenza che sembrava davvero un infante che risponde in assoluta sincerità ad una domanda totalmente elementare (“Hai fatto i compiti oggi, Edward?” “Sì, mamma, e prima di Alphonse!”).

Alphonse spalancò gli occhi, sentendo forte il cuore battergli nella gola, nello stomaco, dappertutto.

Terrorizzato. Né più né meno. Al non riusciva a pensare a niente, se non a fuggire il più lontano possibile.

La paura aveva preso il posto del sangue, scorrendo veloce nelle sue vene. E il fatto di vedere appena suo fratello - quel bagliore lunare che si poggiava sui suoi lineamenti perfetti, rilassati, come se non stesse effettivamente succedendo nulla - lo terrorizzava, se possibile, ancora di più.

"Sl-slegami, niisan, slegami, Dio!", alzò la voce, agitandosi sul letto sfatto.

Un brivido di eccitazione attraversò la spina dorsale del fratello maggiore.

“Perché, Al…?”

Edward portò il viso a due millimetri da quello del fratello.

“Per farti fuggire, mio piccolo uccellino?”

No, questo non sarebbe mai accaduto. Lo avrebbe continuamente impedito. Mai, mai.

Al era solo suo. Incatenato a lui.

Per sempre.

Un brivido scosse il corpo della vittima, mentre incontrava le iridi d'oro dove neppure la luna riusciva a specchiarsi.

Non aveva mai avuto paura di lui, neanche per un solo istante.

Prima di quel momento.

Spalancò la bocca, cominciando a urlare disperato, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.

Scappare scappare scappare.

Ed, infastidito da quelle urla insensate, gli tappò la bocca con la mano.

“Perché urli, niichan? Che bisogno c’è di farlo, mio carissimo niichan?”

Quello tentò di cacciare via la mano, sentendo la sua stessa voce soffocata e provando una sensazione tremenda al livello dello stomaco. Era come se tutto si stringesse al suo centro, come se ci fosse un buco nero che stava risucchiando tutte le sue viscere.

Agitò le gambe in segno di protesta, urlando parole che filtrate da quella mano calda diventavano mugugni incomprensibili.

Poi si fermò – niente più urla, niente più calci, solo lacrime che cominciavano a scivolare dalle sue guance, gelide rispetto al calore del suo viso.

Le labbra del Fullmetal andarono a baciare le perle liquide che scivolavano sulle guance dell’altro.

“Perché piangi, mio adorato niichan?”

Ripeteva le stesse domande, vuotamente, aspettando una risposta da Al.

Perché piangeva? Se l’era meritato, in fondo. Aveva tentato di fuggire.

Ed era stato anche buono in fondo. C’era chi gli avrebbe spezzato le gambe, per non farlo andare via.

Dal canto suo, Alphonse si limitò a singhiozzare pesantemente, il petto che andava su e giù senza controllo, rantoli che tentavano ora di venir soffocati, anziché liberati.

… perché non se n'era accorto prima?

Perché suo fratello - quello che gli faceva gli scherzi sulla culla, quello che gli spingeva l'altalena, quello che gli aveva ridato una vita fatta di sole sulla pelle e risate nelle orecchie - si era d'un tratto trasformato di qualcosa di orribile?

Non riusciva a smettere di piangere, impaurito al solo pensiero di quello che poteva succedere.

"L… lasciami… " sibilò, lo stomaco che si contorceva ancora.

“Perché mai? Non ti piace stare con me, Alphonse?”

E la voce si incrinò leggermente, spezzandosi come un vetro cosparso di sassolini.

Il suo cuore mancò un battito, mentre le lacrime continuavano copiose a scendere dal suo viso.

"Mi… mi fa male…" sibilò soltanto, in risposta.

Perduto.

“Ti farebbe più male se scappassi di qua.”

Perché il Fullmetal si era fissato sull’idea che Alphonse sarebbe fuggito.

Sì, la cugina di Mustang era una scusa, di certo. Voleva solo scappare, non averlo più tra i piedi, non volerlo più vedere.

Di certo era così, per forza!

E questo non doveva accadere.

"No… non me… non me ne vado…" disse, la voce roca, il leggero solletico sul collo di una lacrima fuggiasca.

Non era neanche sicuro che l'avesse sentito.

Non era neanche sicuro che quella che andava dicendo fosse la verità.

Sapeva solo che suo fratello aveva un problema.

E no, non era solo una stupida lite per bere il latte.

“… davvero?”

Quella promessa strappata sembrava aver rassicurato il più grande dei due. Lo aveva calmato, forse.

“Non scapperai mai da me, Al?”

Gli accarezzò il viso, sfiorandolo con dita ghiacciate.

L’altro mosse la testa, piano, in segno di assenso.

Probabilmente la testa di Edward era confusa quanto la sua, forse in un modo diverso.

Non si sarebbe mai sognato di andare via, lasciarlo da solo.

Solo in quel momento. Perché la paura aveva attanagliato ogni sua membra, senza dargli via di scampo.

“Me lo giuri, Alphonse?”

Gli toccava a malapena le gote con un’accuratezza da amante.

“Me lo giuri su nostra madre?”

Vicino, vicino, sempre più vicino – sempre più pericolosamente vicino.

“Me lo giuri su te stesso?”

Il piccolo si morse il labbro, singhiozzando e annuendo di nuovo, gli occhi stretti stretti, sapendo che tanto non avrebbe potuto vedere, con quel buio a coprire la stanza.

Sentiva il suo respiro sul viso... lo scaldava, lo arroventava.

Sudava, sudava paura.

"Sì…" bisbigliò, assicurandosi che comunque lo sentisse.

E di nuovo, Edward sorrise. Il sorriso puro di bambino gli illuminò il viso.

Lo liberò, abbracciandolo.

“Ne ero sicuro che non mi avresti lasciato, Al!”

Al, è davvero tuo fratello, questo?

Si lasciò sollevare dal materasso, senza accennare un minimo di resistenza. La debolezza, lo spavento, e tutti i - troppi- sentimenti provati in un solo tempo avevano intorpidito ogni suo muscolo.

Si limitò a singhiozzare sulla sua spalla, senza dire una parola.

Va e viene, sembra l'anima di un bambino disperso in un tunnel buio, un omicida prima del suo delitto.

“Scusa se ho usato questi metodi… un po’ bruschi.”, fece, grattandosi la testa, come a farsi perdonare di una marachella da mocciosi.

Iniziò a massaggiare i polsi del fratello, dopo aver sciolto l’abbraccio, col volto sereno.

Cosa stava succedendo nella sua mente?

C'era ancora qualche traccia del vecchio Edward lì dentro?

Alphonse mugolò di dolore, a quel contatto. Probabilmente qualche taglio, o la manetta troppo stretta. Ma faceva male.

Faceva male tutto.

Ed, dimentico dell’empatia naturale che lo collegava al fratello, continuò a massaggiarlo, tranquillo e beato come un fanciullo di pochi anni.

“Mi sembrava l’unico modo buono di convincerti, scusa…

Al ritrasse le mani con uno scatto, preso da un improvviso brivido alla schiena.

Si sentiva a disagio, con le sue mani addosso.

"Mi fa male." si giustificò, portando i polsi dietro la schiena.

“… ti ho già chiesto scusa, mi pare.”, mormorò Edward, con lo sguardo basso sulle proprie dita che prima toccavano la pelle tiepida del fratello. “Non ti sembra abbastanza? Perché ti arrabbi?”

Era lui ad avere ragione, non certo Alphonse!

"Non… non mi sto arrabbiando… - mormorò il fratello, retrocedendo un poco sul materasso (un pochino solo, piano, pianissimo, perché lui non se ne accorgesse) - Stavo solo dicendo che… che mi fa male…"

“Te l’ho già detto, era l’unico modo per farti ragionare.”

Lo era davvero, Al?

“Saresti andato via.”

"Non… non me ne sarei andato…" mormorò, stringendo i lobi della coperta, un sospiro soffice che si schiantava con la tensione che aleggiava nella stanza.

"... devo chiamare la... cugina del colonnello..."

“… cosa?”

Le parole di Alphonse erano come forbici, che recidevano ogni più piccolo e sottile filo che collegava ancora Edward alla normale realtà umana. Tagliavano ogni contatto, poco a poco, involontariamente.

“Vuoi organizzarti con lei per fuggire?”

Ogni parola rassicurante precedente del fratello era stata cancellata, lavata via con un minimo tocco di spugna bagnata.

"Niisan… - cantilenò, scuotendo piano la testa - Non voglio fuggire da nessuna parte… voglio solo scusarmi…"

Pigolò, stanco, attraverso le coperte tirate sulle labbra.

Non capiva da dove suo fratello avesse tolto fuori un'idea tanto assurda. Non aveva mai avuto l'intenzione di lasciarlo, mai. E adesso, si vedeva assalito dai suoi inutili dubbi.

Quando aveva cominciato a diventare così? Aveva perso qualche passaggio, in tutto quel tempo? Aveva forse sbagliato qualcosa?

“… vai a fare questa telefonata.”

Facendo stridere le gambe della sedia sul pavimento, si alzò e se ne andò, precedendolo in salotto, dove si trovava il vecchio telefono, regalo di zia Pinako.

Sembrava essersi calmato. Acido, scorbutico, ma calmo.

Alphonse piegò le gambe al petto, passandosi le mani sul viso e sospirando.

"Dio..."

Prendendo coraggio - ed invocando la divina provvidenza affinché le sue gambe reggessero (si sentiva ancora come se gli avessero dato una botta in testa, di quelle pesanti, che ti rimane addosso la confusione per tutto il giorno) - poggiò i piedi sul parquet, seguendo suo fratello.

Buttò un occhio all'orologio, inarcando le sopracciglia. Sperava solo che quella ragazza fosse restata a casa e non fosse uscita.

In malo modo, Ed gli diede in mano la cornetta, e si sedette di fianco a lui, per assicurarsi che dalle sue labbra non uscisse nulla che non gli andava a genio.

“Su, muoviti. È tardi.”

Al sì limitò a prendere la cornetta e a comporre il numero della ragazza, scritto di gran fretta dal colonnello su uno scontrino che ancora aveva in tasca. Aspettò che il telefono smettesse di squillare, e quando sentì la voce dall'altra parte, deglutì, prima di salutare.

"Salve, sono Alphonse... sì, l'amico del colonnello Mustang... mi dispiace per non poter essere venuto ma..."

Buttò un occhio su suo fratello, le labbra serrate e gli occhi fissi sui suoi.

"... ma non sono stato bene e quindi..."

Edward, riducendo gli occhi a fessure, gli strappò il telefono di mano.

“Quindi ciao.”

E ributtò giù, sorridendo poi ad Alphonse, senza proferir parola alcuna.

"Ma... niisan! – esclamò, stringendo un pugno e incrociando il suo sguardo. – Ce n'era bisogno?!"

Poteva capire l'astio nel confronti di Mustang - quello c'era sempre stato, e sempre avrebbe continuato ad esserci - ma non verso quella ragazza.

"Potevi evitare, sai!"

“Anche no.”

E il sorriso non mutò, assolutamente, neppure per un istante.

Ed era questa la cosa che più spaventava Al.

Sentiva il cuore battergli in gola.

Era diventato quasi... temibile.

Prima lo scatto d'ira, poi... Dio, non aveva neanche capito ancora cosa gli aveva fatto - doveva essere stata quell'acqua ad averlo mandato k.o., non c'era altra spiegazione - e ora questo.

"Tu non..."

“Io non cosa, niichan?”

Il sorriso, sempre lo stesso, si velò di una sorta di malignità. Affilato, divenne, come un coltello.

“Cosa non posso fare, niichan?”

Si avvicinò sempre di più ad Al, facendolo retrocedere.

“Credi di potermi dire che fare e che non fare, niichan?”

Passo dopo passo - piccoli, lenti, appena percettibili - sentì il muro sfiorare la sua schiena. E di nuovo la paura gli attanagliava lo stomaco.

"Tu... tu..." balbettò ancora, senza riuscire a concludere la frase.

Edward gli tappò la bocca per l’ennesima volta col palmo della mano.

“Io cosa, Al? Che vuoi dire, eh?”

Sempre più forti attorno alle labbra, Alphonse si sentiva soffocare, morire.

“Pensi forse di potermi ordinare qualcosa, bambino mio? Tu, che mi devi tutto? Tu, che mi devi la vita intera? Chi credi di dover ringraziare per il tuo corpo? Chi credi di dover adorare per sempre, per la vita di ora?”

Mentre quello lo fissava con occhi quasi inespressivi, la cui unica cosa che riuscivano a trasmettere era il terrore che saliva dallo stomaco, Alphonse si aggrappò al polso d'acciaio di suo fratello, tentando di liberarsi da quella stretta, dolorosa più per la persona che gli stava facendo così male, piuttosto che per il dolore in sé. Farfugliò un lasciami a labbra serrate, spingendo con tutta la sua forza.

Gli occhi di Edward erano due puntini opachi.

“Bambino ingrato, di chi credi sia il merito, eh? Che credi che abbia dato in cambio della tua carne pulsante? Cosa, eh? La cosa più preziosa che avevo! E tu, irriconoscente, ora vuoi scappare!”

Il più giovane scosse nervosamente la testa, un po' per rispondere a quelle accuse, un po' per trovare un modo per liberarsi. Inutilmente. Sentì gli occhi pizzicare, mentre il cuore correva dannatamente veloce.

Temeva quasi stesse per scoppiare, come era scoppiata l'ira di suo fratello.

Implorò ancora di essere liberato da quella stretta, senza risultato.

Questo non è mio fratello, questo non è mio fratello, questo non è...

Alphonse poteva sentire il respiro del fratello sfiorargli la pelle e riempirlo di brividi da capo a piedi – il corpo non riusciva a smettere di tremare, e questo non fece che indispettire ancora di più Edward.

Perché tremava? Perché? Che motivi ne aveva?

“Perché tremi?! Non ne hai diritto, perché lo fai?!”

E si stupì, il più piccolo, che ancora non riuscisse a comprenderlo.

Non è mio fratello, non è mio fratello...

Cominciò a sentire le gambe farsi molli, mentre il respiro andava al diavolo - sentiva in bocca il sapore del metallo, quelle dita grigie che premevano violente sulle sue labbra, bagnate dalle lacrime che non riuscirono più a stare al loro posto.

“Cos’hai da piangere, Al?”

Con la mano libera, gli asciugò le perle liquide. Anche le sue dita sembravano avere personalità differente. Un assassino e un fratello. Un pazzo e un amante.

“Perché piangi?”

Si ritrovò a piangere per la seconda volta, inerme.

Era una situazione subdola, impossibile. Pensava ad Edward , quello vero, quello che ha sempre il sorriso sulle labbra, quello che sa solo viziare il suo fratellino, "Niichan, niichan, niichan!" ,e vedeva davanti a se un uomo completamente diverso.

Vedeva quegli occhi, e si trovava in balia di un estraneo.

“Ti ho fatto qualcosa di male, Al?”

Ed parlava con un’innocenza totale e per nulla fittizia. Guardava Al chiedendosi che stesse succedendo.

Tutto cancellato?
Tutto dimenticato?

Non c’era più speranza di farlo tornare normale?

Non sapendo da dove avesse trovato la forza, riuscì finalmente ad allontanarlo - giusto in tempo per non cadere ai suoi piedi privo di sensi una seconda volta, per non farsi vedere più debole di quanto solo la sua visione riusciva a farlo essere  - e corse verso la camera, balbettando il nome del suo fratellone, ricamato da un Non è possibile qua e là.

Sì intrufolò tra le coperte, nascondendosi sotto di esse, tremando come un ramo sbattuto a destra e a manca dal vento.

Non era lui, non era lui, non era lui…

Quello che era teoricamente suo fratello sbuffò, allontanando un ciuffo di capelli (gli erano cresciuti incredibilmente, nella totale noncuranza) dagli occhi e si alzò.

“Bah…”, fu l’unico monosillabo che uscì dalle sue labbra.

Se fosse stato normale, si sarebbe gettato su Alphonse, cullandolo, tranquillizzandolo.

Se fosse stato normale, non sarebbe successo nulla, in realtà.

Se fosse stato normale, non ci sarebbero stati né vetri rotti, né lacrime, né occhi iniettati di quel principio di pazzia che sembrava star dilagando nel petto del maggiore, nel suo corpo, nel suo cervello.

I singhiozzi della vittima rimbombavano nelle pareti vuote della stanza, mentre tutto si faceva più scuro.

 

Per la prima volta, dopo anni, i due fratelli avevano dormito separati. Al nel letto in cui non aveva smesso di tremare e Ed sul divano. In verità, non aveva chiuso occhio, rimuginando su tutta la giornata precedente.

Aveva un mal di testa come quelli provocati dall’alcool. Ogni minimo rumore gli rimbombava nel cranio, insopportabilmente. Il cinguettio degli uccelli, i bambini che andavano a scuola, il telefono…

… il telefono?

“Chi diavolo è a quest’ora?”

Scocciato, si alzò, prendendo in mano la cornetta.

La sua alterazione aumentò incommensurabilmente, al solo sentire quell’odiata voce.

Un complotto, ecco cos’era, un meschino complotto architettato alle sue spalle!!

Ah, ma non l’avrebbero passato liscia, lui e quell’altro!!

“ALPHONSE, E’ PER TE!”

Alphonse si girò verso la porta, avvolto ancora nelle coperte.

Sotto le palpebre, due occhiaie di un viola appena accennato, gli occhi arrossati dalla paura che ancora gli circolava in corpo.

Non sapeva chi potesse essere, né cosa potesse volere. Ma con un briciolo di intelligenza pensò che forse era meglio andare da lui per non provocarlo ancora di più.

La sua voce era quella di un leone che non mangiava da giorni e reclamava il suo cibo furibondo.

Combattendo contro la voglia di restare nascosto sotto il tepore delle coperte, prese il piumone e se lo avvolse attorno alle spalle, mettendo piede sul pavimento freddo e dirigendosi verso la cucina.

"Chi... chi è?" mormorò appena, senza incrociare lo sguardo del fratello maggiore.

“Mustang.”

L’acido con cui, solitamente, pronunciava quel nome venne triplicato, quadruplicato, potenziato all’ennesima.

Tornò in camera, prendendo il fratello per il braccio in malo modo, stringendo le dita sulla carne morbida, portandolo in cucina praticamente di peso, e dandogli la cornetta in mano.

Vediamo cosa architettano alle mie spalle.

Alphonse la fissò per un attimo, la schiena scossa da un brivido.

E adesso, cosa gli avrebbe detto?

"... p-pronto?" mormorò, dopo aver portato l'apparecchio all'orecchio.

Dall'altra parte udì la voce squillante ed un pizzico preoccupata del generale chiedere spiegazioni.

"Io... - alzò lo sguardo cercando quello del fratello per riflesso incondizionato - Mi dispiace per... ieri sera, generale... ma ecco... non... non sono stato bene e..."

E non sentì più la voce del colonnello. Anzi, non sentì più nulla. Alzò lo sguardo sulla figura del fratello.

“Mi irritava. E mi ha sempre irritato il rumore del telefono. Così non avremo più questo problema, no?”

In mano, risplendevano assassine le forbici.

“Così nessuno ti disturberà più, non trovi?”

Alphonse tenne lo sguardo fisso sul suo viso soddisfatto.

"Ma..." boccheggiò, aprendo e chiudendo la bocca lentamente - era come se suo fratello fosse in piena metamorfosi, cambiava così rapidamente da un momento all'altro che gli faceva... paura.

"Niisan..." bisbigliò, guardando la cornetta ormai inutile nella sua mano.

“Tu non hai bisogno di nessun altro che non sia io, no?”

Lo guardava e sorrideva, estremamente convinto di quello che diceva.

Se fino a quando era un’armatura non erano vissuti che unicamente di loro stessi, perché ora qualcosa sarebbe dovuto cambiare?

“Non è così, Al?”

Il più piccolo sentiva la mano che reggeva il telefono tremare, mentre continuava a fissare terrorizzato il volto di suo fratello.

Il suo viso sembrava così rilassato da essere troppo... felice.

"S... smettila..." disse, un sospiro appena pronunciato, la gola che si chiudeva, e non lo lasciava respirare.

“Di far cosa, Al?”

Nella sua voce non c’era nulla che potesse tradire falsità, o artificiale. Tutto quello che pronunciava, ogni singola sillaba gli veniva dal cuore, e lui ci credeva profondamente.

Di che poteva abbisognare il suo adorato fratellino, se non di lui? Cos’altro poteva essergli fondamentale?

Nulla, ovviamente.

"Di... di fare così..."

La voce del minore degli Elric si faceva sempre più bassa, lo sguardo scendeva al pavimento, intimorito da quel contatto visivo.

"Di... di..."

Indietreggiò, quasi le sue gambe avessero deciso di comandare al posto della sua testa.

Non sapeva cosa fare.

I fili del telefono penzolavano dal mobile dov'era poggiato.

Era isolato, abbandonato. Solo.

“Cosa, Al?”

Edward lo seguì, e più avanzava più l’altro indietreggiava.

“Di fare cosa?”

Poteva sentire il suo respiro caldo contro il collo.

“Cosa sto facendo, Al, di male, secondo te?”

L'interessato sentì il gelido marmo del tavolo sbattergli contro i lombi.

Scosse la testa, il cuore ormai andato per altre strade.

"Mi stai..."

“Ti sto?”

Non capiva, semplicemente. Cos’aveva? Che succedeva al suo fratellino?

Eppure non stava facendo nulla di male.

Alphonse mise le mani davanti, le braccia tremavano, quasi ci fosse un terremoto.

"Non... non ti... avvicinare..."

Ad Edward montò su un’irritazione inimmaginabile.

Perché si comportava così? Cos’aveva fatto di male per meritarsi un’irriconoscenza simile?

“Merda, fai come cazzo ti pare!!”

Come una furia, tornò in camera da letto, sbattendo rabbioso tutte le porte che trovò nel suo cammino.

 

  
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