Chapter
eleven- In the End
Time
is a valuable thing
Watch it fly by as
the pendulum swings
Watch it count down
to the end of the day
The clock ticks
life away
<<
E’ felice. >> Disse Annabeth, a mezza
voce. Teneva in mano un bicchiere di aranciata, ma non aveva ancora
bevuto
niente. Seguii il suo sguardo tempestoso, trovandomi a fissare Nico. Il
cortile
della casa grande non era mai stato così tanto pieno di
gente. Praticamente
tutto il campo era stato invitato alla festa a sorpresa,
perciò l’ambiente era
un pochino sovraffollato. Due enormi tavoli da buffet erano stati
posizionati
al centro, e i semidei ballavano a ritmo di musica, o chiacchieravano
amabilmente. La figlia di Atena sorrise. Era un sorrisetto tenero,
quasi
materno. Mi chiesi se sapesse che quel ragazzo era stato innamorato di
Percy,
ma credevo di si. Era troppo intelligente per non averlo capito.
<<
Organizzate feste a sorpresa per tutti
quanti? >> Domandai, incrociando le braccia al petto.
Nico sembrava
totalmente fuori dal suo elemento e molto imbarazzato, in mezzo a tutta
quella
gente che gli faceva gli auguri e batteva pacche sulle spalle, ma
sorrideva. Un
sorriso impercettibile, ma raggiungeva gli occhi.
<<
Nah, soltanto per quelli speciali. >>
Annabeth mi fece l’occhiolino. Dava l’impressione
di essere rilassata, ma
sapevo che non era così. Lo si notava dalla scintilla di
inquietudine che le
balenava ogni tanto nelle iridi, o dalla postura tesa delle spalle. Non
la
biasimavo. Non era un bel periodo per chi sapeva cosa stava succedendo.
<<
Hai paura? >> Chiesi, senza quasi
pensarci. Forse avevo semplicemente bisogno di qualcuno con cui
sfogarmi, di
qualcuno che provasse i miei stessi sentimenti. Non volevo parlarne con
Nico,
perché lui mi considerava abbastanza forte da riuscire a
cavarmela da sola.
Avrei voluto credergli, ma non era vero.
<<
Non per me. Ho paura per Percy, per nostro
figlio, per i miei amici… Il solito. >> Si
strinse nelle spalle. Le
lanciai un’occhiata di sottecchi. Non sembrava incinta. La
pancia non si vedeva
ancora, e poi era molto giovane. Lei e il suo ragazzo avevano ventuno
anni, ma
sembravano una coppia molto consolidata. Dovevano averne passate tante
insieme.
<<
Sono sicura che andrà tutto bene. >>
Mormorai, ma lo dissi soltanto per convincere me stessa. Annabeth
sorrise. Un
sorriso falso, e tirato. I suoi occhi rimasero vigili ed inquieti. Mi
strinse
la spalla per un momento.
<<
Vado a vedere dov’è Leo. Non vorrei che
avesse fatto esplodere qualcosa. >> Poi si
allontanò. Sapevo che la sua
era soltanto una scusa per rimanere sola, ma non dissi niente.
Inclinai la
testa, finché la mia nuca non toccò il tronco a cui mi ero
appoggiata. Le fronde
degli alberi coprivano parzialmente il cielo, ma si vedevano le stelle.
Era
luminose, ed immobili. Mi sarebbe piaciuto essere una stella.
Sembravano così
lontane ed intoccabili… Come se niente e nessuno potesse
sfiorarle. Brillavano
di luce propria, ed erano bellissime. Sarebbero rimaste per sempre
lassù,
proprietarie di un piccolo pezzo di universo. Diedi un calcio alla
corteccia,
sbuffando. Perché stavo facendo pensieri poetici sulle
stelle? Avevo cose più
importanti a cui pensare. Per esempio, erano le undici e trenta. Nella
visione
alle undici e trenta il mondo stava cominciando ad andare in rovina.
Per il
momento non c’era stato alcuno spargimento di sangue, niente
tempeste di sabbia
o mostri che risorgevano dalle profondità della terra. Ma io
non ero per niente
tranquilla. Avevo persino rifiutato l’enorme ed
invitantissima fetta di torta
al cioccolato che Rachel aveva minacciato di infilarmi in gola,
perché non ero
sicura che sarei riuscita a tenerla nello stomaco. Mi passai una mano
tra i
capelli, ripensando alla giornata trascorsa. Mi ero divertita, se si
escludeva
la parte in cui Apollo mi consegnava le pasticche di XANAX. Nico si era
comportato complessivamente bene, e avevamo parlato come due persone
civili. Ci
mettevamo a litigare per cose stupidissime, ma finiva tutto in una
risata e
sguardi divertiti. Avrei voluto che durasse di più. Strinsi
i denti. Non dovevo
pensare a lui in quel momento. Non in quel modo.
<<
Genesis, vieni con noi, dai! >> Emma
sbucò dal buio, prendendomi per mano. Sorrisi, dandole un
buffetto in testa.
Aveva dodici anni, ma sembrava molto più piccola. Mi sentivo
come in dovere di
proteggerla. Mi ricordava me quando ero più giovane.
Così ingenua ed innocua…
Ancora inconsapevole del fatto che alcune persone potessero essere
davvero
cattive. Adrian mi salutò da lontano. Stava parlando con
Lux. Lei rideva. Un
sorriso bellissimo, che le illuminava il volto perfetto.
<<
Agli ordini, Em… >>
Poi qualcosa
dentro di me si spezzò.
Mi inginocchiai,
con il fiato bloccato in gola.
Mi sembrava di
essere tornata a qualche giorno
prima, quando Ipno aveva spezzato il blocco. Ma quella volta era
più forte.
Come se migliaia di persone stessero gridando nelle mie orecchie
contemporaneamente,
come se qualcuno si stesse divertendo a trapanarmi il cervello con un
martello
pneumatico. Sentii la gola bruciare, e mi resi conto soltanto in quel
momento
che stavo urlando. Sentivo la voce di Emma che cercava di farsi strada
in quel
mare di dolore, ma non capivo cosa stesse dicendo. Mi aveva afferrata
per un
braccio, mi parlava. Volevo soltanto che smettesse di fare male. Volevo
svenire, volevo cessare di sentire. Qualsiasi cosa, ma non quella
tortura. Ondate
rosso fuoco si abbattevano su di me, scuotendomi
dall’interno. Mi sembrava di
distruggermi in mille piccoli pezzi di ossa e anima. I polmoni mi
facevano male
da tanto stavo urlando, ma volevo coprire il suono di quel dolore. Basta, basta.
<<
Genesis! >> Sentii una presa sulle
braccia. Una presa troppo forte.
Erano i mostri.
I
mostri
delle mie visioni che reclamavano vendetta. Reclamavano il mio corpo,
per trascinarmi
con loro nel Tartaro. Gridai qualcosa di insensato, perché
non riuscivo a
parlare. Cercai di liberarmi, ma gli artigli che mi avevano afferrata
non mi
lasciavano scampo. Strinsi i denti, scalciai, colpii
l’aria… Ma niente. Lo
sapevo. Sapevo che prima o poi sarebbe successo.
Dov’era
Nico? Avevo bisogno di lui. Apollo gli aveva
detto di proteggermi, perché mi aveva abbandonata? Sbraitai
il suo nome,
disperatamente. I mostri mi stavano trascinando via, mi avrebbero
uccisa. Non
avrei mai più visto mio padre, non avrei avuto una vita. Non
volevo morire. Non
volevo provare quel terrore viscerale, non volevo avere
paura. Ma erano dappertutto, con la loro pelle butterata e
la
bocca spalancata in un’espressione ripugnante. E non potevo
scappare, non
potevo fare niente. Soltanto urlare il suo
nome, sperando che riuscisse a sentirmi.
<<
Genesis, sono qui! >> Una voce umana.
Spalancai gli
occhi, e improvvisamente tutto si
fermò.
Il mondo
tornò il luogo che era veramente. Niente
rosso, niente dolore, niente mostri… Soltanto una marea di
facce terrorizzate
che mi fissavano, ad occhi sgranati. Ero in ginocchio, con le unghie
piantate
nei palmi delle mani. Il sangue mi colava lungo i polsi, lento,
cremisi… Vitale. Con la
coda dell’occhio scorsi
Rachel. Era pallidissima, aggrappata ad un braccio di Piper. Poi trovai
il
coraggio di alzare lo sguardo. Nico mi fissava, e per la prima volta
nelle sue
iridi scorsi una scintilla di vera paura. Repressi un singhiozzo, e lui
se ne
accorse.
Improvvisamente
mi sentii crollare. Tutti i
semidei del campo mi avevano vista in quello stato pietoso, sapevano
che avevo
un punto debole. Avevano capito che qualcosa in me non andava, e non
soltanto
perché ero una figlia di Eris. Perché avevo avuto
una visione nel bel mezzo di
una festa, e dopo anni ci ero ricascata. Mi era sembrata
così vera… Così reale.
Mi sentii mancare il respiro. La
mia mano scattò verso la tasca dei jeans, dove tenevo le
pastiglie di XANAX.
Nico mi afferrò il polso prima che potessi fare un solo
movimento.
<<
Sta succedendo. >> Mimai con le
labbra. Poi mi alzai di scatto, liberandomi dalla sua presa. Non ci fu
nemmeno
bisogno di prendere a spintoni la calca, perché al mio
passaggio si apriva un
sentiero tutto mio. Alzai gli occhi, arrivata al centro del cortile
della casa
grande. Sentii soltanto un colpo al cuore, ma la mia mente
analizzò freddamente
la situazione.
C’era
la sabbia.
Tanta
sabbia.
Si abbatteva
contro la barriera del campo
mezzosangue, non riuscendo a scalfirla, ma il bosco circostante era
percosso
dalle ventata infuocate. Il cielo notturno era illuminato di rosso e
arancione,
ma non dai bagliori del tramonto. Era come se qualcuno avesse deciso di
rovesciare un enorme secchio
di vernice
addosso al mondo. Guardai l’orologio. Erano le
ventitré, trentanove minuti e
cinquanta secondi.
Nove.
Sapevo cosa
sarebbe successo. Il legame tra me e
Rachel sembrava essere diventato incandescente. Le parole
dell’Oracolo di Delfi
risuonarono nell’aria, leggere come il vento, ma allo stesso
tempo pesanti come
un macigno.
<<
Nel diciottesimo giorno dell’angelo, i semidei oscuri alla
chiamata
risponderanno. >> Il diciottesimo
giorno dell’angelo;
il compleanno di Nico.
Otto.
<<
Il calice della vita nascosto sarà nella terra della morte,
dove l’antico
potere regna senza Sorte. >> Non avevo
bisogno di
abbassare lo sguardo per sapere che più o meno tutti erano
sul punto di
vomitare, o di svenire. Mi sentivo così anche io.
Sette.
<<
Il padre del mondo si sta risvegliando, i cinque semidei sconfiggerlo
dovranno.
>>
I cinque
semidei. Nico, Lux, Adrian, me… Ne mancava
uno.
Sei.
<<
Il figlio della Morte, Paladino, protegge gli altri contro il suo
destino.
>> Cosa
significava? Stavo cominciando ad odiare le
profezie.
Cinque.
<<
La Ladra di ricordi giurerà vendetta. >> Lux.
Quattro.
<<
La figlia della Notte ad uccidere sarà costretta. >>
Una sensazione di gelo mi investì. Il quinto semidio era un
altro figlio di
Nyx. Emma, la sorellina di Adrian.
Tre,
due, uno.
<< Il sangue
della bambina maledetta
verrà versato. >>
<<
Soltanto così il mondo può essere salvato.
>>
Zero.
La tempesta di
sabbia cessò improvvisamente, come
avevo previsto. Un silenzio tombale calò sul campo
mezzosangue. Un silenzio che
valeva più di mille grida, esclamazioni, gemiti o parole. Ma
dentro di me il
tornado imperversava ancora, lasciandomi al posto del cuore e dello
stomaco una
landa brulla e desolata. Avevo pregato così tanto per la
profezia… Ma mi
ritrovavo a fare i conti con le conseguenze. Non avevo più
scuse. Il giorno
seguente si sarebbe tenuto il consiglio di guerra, con tutti i semidei,
e
avremmo organizzato l’impresa. Però io non ero
pronta. Non sapevo combattere i
mostri, non sapevo dove si trovasse questo calice della
vita… Ma Rachel era
stata chiara. Non c’era via di scampo.
Il mio sangue
doveva essere versato, per la salvezza
del mondo.
Io
dovevo morire.
<<
L’importante è mantenere la calma.
>>
Sospirò Chirone per l’ennesima volta. Mantenere la
calma? Sul serio? Il mondo
stava andando a scatafascio e lui pretendeva che ci sedessimo attorno
ad un
tavolo a sorseggiare camomilla. Bella strategia. Clarisse La Rue
sembrava
pensarla come me, perché sbuffò sonoramente dalle
narici, come fanno i tori.
<<
Devono partire, subito. >> Sibilò tra
i denti, indicandoci con un ampio gesto teatrale. Io e i miei quattro
nuovi
compagni di avventura ce ne stavamo uno accanto all’altro. Il
gomito di Adrian
mi sfiorava le costole, mentre la mia mano e quella di Nico
continuavano a
toccarsi fugacemente, come se nessuno dei due volesse davvero quel
contatto.
Emma sembrava la più terrorizzata di tutti, e soltanto a
vederla mi si strinse
il cuore. Aveva soltanto dodici anni. Era una bambina.
Non che noi altri fossimo così grandi, ma io e Lux
perlomeno potevamo essere definite adolescenti, Adrian aveva
diciassette anni e
Nico era appena diventato maggiorenne. Sapevamo badare a noi stessi.
<<
Non sappiamo nemmeno cosa cercare, come
possiamo partire? >> Domandò il figlio di Nyx,
passandosi una mano tra i
capelli biondi. Mi trovai ad annuire. Aveva ragione. Cosa era un calice
della
vita? Per non parlare poi della terra della morte. Non credevo si
trattasse del
Tartaro. Sarebbe stato troppo… Scontato.
E
poi da quanto ne sapevo nel Tartaro non c’era la sabbia.
Soltanto rocce, fiumi
infernali e mostri.
<<
Adrian ha colto il punto. >> Borbottò
Percy. Lui, Annabeth e Clarisse non avrebbero preso parte
all’impresa, ma erano
i veterani del campo mezzosangue, e i migliori combattenti. La figlia
di Atena
e quella di Ares erano strateghe coi fiocchi, mentre Percy aveva
coraggio da
vendere. Quando avevano la mia età erano stati degli eroi. Al solo pensare quella parola mi
vennero i brividi. Sembrava
così strana ed irraggiungibile…
<<
Ma non possiamo nemmeno aspettare molto,
potrebbe scoppiare un’altra tempesta. >> Fece
notare Lux. Era la prima
volta che la vedevo con i capelli sciolti, senza la treccia.
Così sembrava
molto più giovane della sua età.
<<
Togli il “potrebbe”. >> Intervenni,
con tono monocorde. Nico mi lanciò un’occhiata. In
quel momento avevo bisogno
di Rachel, per capire se lei aveva avuto qualche visione che a me non
era
arrivata. Chirone aveva contattato Ipno dopo la mia performance da
cantante lirica,
quando il dolore alla testa mi aveva fatto desiderare di morire. Il dio
aveva
supposto che il mio corpo non era preparato per accogliere lo spirito
dell’Oracolo, perciò aveva tentato di espellerlo,
come si fa con le tossine. E
per espellerlo aveva bloccato il collegamento tra me e Rachel,
facendomi
provare quella straziante ed insopportabile sofferenza.
Divertente,
vero?
<<
Io credo… >> Cominciò Chirone,
passandosi una mano sul volto. Sembrava molto stanco.
<<
Che dovreste andare tutti quanti a dormire.
E’ mezzanotte passata, e ci aspettano giorni duri.
>> Concluse, battendo
a terra uno zoccolo.
Non potevo dirmi
più d’accordo, ma non sarei mai
riuscita a prendere sonno, ne ero sicura. Nonostante a malapena mi
reggessi in
piedi, sarebbe stato impossibile addormentarsi. Non dopo tutto quello
che era
successo quella sera. Avrei ripensato alla profezia, al suo
significato, a mia
madre… Mio padre. Sentii
un tuffo al
cuore, e la morsa che stringeva il mio stomaco mi artigliò
con più forza. Come
avevo fatto a dimenticarmene? Mio padre era a New York durante la
tempesta. E
se fosse stato fuori casa? Se la sabbia l’avesse risucchiato?
Si
sentì un coro di buonanotte mormorati a mezza
voce. Adrian ed Emma si allontanarono velocemente. La piccoletta era
aggrappata
al braccio di suo fratello, come se lo considerasse un’ancora
di salvezza. Lux
si passò una mano tra i capelli, poi scosse la testa. Mi
lanciò uno sguardo
d’intesa, ma non disse niente. Legò la lunga
chioma argentea in una coda
sbarazzina, e si diresse verso la cabina di Ermes a grandi passi.
<<
Genesis… >> Disse Nico, una volta che
fummo rimasti soltanto io e lui. Scossi la testa.
<<
No. Non adesso. Devo restare sola. >>
Non aspettai di sentire la sua risposta.
In
realtà non volevo restare sola. L’unica cosa che
desideravo con tutto il cuore era di scoppiare a piangere contro la sua
spalla,
e autocommiserarmi per il resto della mia vita. Ma non potevo.
Perché
probabilmente mio padre era ferito e spaventato, aspettando che
qualcuno lo
aiutasse. Forse avrei dovuto semplicemente odiarlo, e smettere di
preoccuparmi
per lui, ma non ci riuscivo. Mi aveva supplicato di perdonarlo, e io
gli avevo
chiesto di darmi tempo. Forse quel tempo era scaduto. Non potevo
lasciarlo
solo. Dovevo almeno assicurarmi che stesse bene, e dirgli di chiudersi
in casa
per il resto dei suoi giorni. Corsi nella cabina di Ermes. Grazie agli
dei
c’era la solita confusione, nonostante quello che era
successo, perciò nessuno
mi prestò troppa attenzione. Ficcai Gioiosa
nello zainetto, insieme ad una felpa e una barretta di
cioccolato che avevo
conservato dalla sera prima. Una risatina amara mi sfuggì
dalla labbra. Ma dove
stavo andando? Al campo scout? Al posto del cioccolato mi sarebbe stata
più
utile una fiala di nettare d’ambrosia, ma non potevo
concedermi il lusso di
fare una sosta in infermeria. Non
ci
avrei messo tanto. Un salto a casa, e poi sarei tornata al campo.
Nessuno si
sarebbe accorto della mia assenza.
Riuscii ad
arrivare alla barriera senza troppi
problemi. Mi imbattei soltanto in un figlio di Dioniso completamente
ubriaco,
che quando mi vide si limitò a ridacchiare, e a mollarmi una
pacca amichevole
sulla spalla. Per fortuna non aveva il caratteraccio di suo padre, che
era
stato convocato sull’Olimpo di grande urgenza. Immaginai
l’espressione che
doveva aver fatto Zeus quando si era accorto che mia madre ed io
avevamo
ragione. Un sorrisetto macabro mi si dipinse sulle labbra.
Attraversai il
bosco con la mia spada stretta in
mano, sobbalzando ad ogni minimo scricchiolio. Arrivai indenne alla
fermata
dell’autobus. Ero sicura che sarebbe passato nonostante
quello che era
successo. La tempesta era stata soltanto un avvertimento, un assaggio
di quello
che sarebbe successo dopo. Chaos si stava divertendo a giocare al gatto
e al topo.
Aspettai più o meno dieci minuti, con lo sguardo fisso sul
mio orologio.
Mancava poco all’una, ma non ero più stanca.
L’inquietudine e la voglia di
agire mi tenevano sveglia e vigile, pronta ad affrontare qualsiasi
minaccia. Non
che sapessi cosa avrei fatto se mi fossi imbattuta in un mostro.
Probabilmente
sarei scappata a gambe levate, o cose del genere. Mentre mi sedevo sul
sedile
consunto, vicino alla cabina dell’autista, pensai che non ero
tagliata per fare
l’eroe.
Per
niente.
NOTE
AUTRICE
Ciaaaoooo
:3 innanzitutto mi scuso per la
profezia. Io e le rime non andiamo per niente d’accordo, ho
fatto del mio
meglio, lo giuro. Nel prossimo capitolo succederà un altro
casino in mezzo al
casino. Un casino più piccolo, ma pur sempre incasinato.
Spero che il capitolo
vi sia piaciuto, e come al solito ringrazio i miei recensori, chi
segue,
preferisce, ricorda o leggere questa storia. Grazie mille!
Bacioni