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Autore: Reika_Stephan    25/08/2014    2 recensioni
*Storia scritta a due mani*
Reika Walter.
Ritardataria cronica.
Stephan Lordale.
Ricco studente modello, nuovo arrivato.
Amicizie indissolubili, amori travagliati, difficoltà da superare.
Ma insieme. Restando insieme.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Note autore:
Ed eccoci con il secondo capitolo!
Spero che vi piacerà, e che in molti seguiranno questa storia: il meglio deve ancora venire!
Qualche recensione magari?
Mi accontento anche di poco! E ben vengano consigli e critiche!
Detto questo, buona lettura!

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2. Prime incomprensioni


Il mattino dopo, quando mi svegliai, mi sorpresi nello scoprire che ero ampiamente in anticipo.
Mi preparai con calma e corsi di sotto: ‘Buon giorno, mamma!’
‘Reika?’ rispose lei affacciandosi dalla cucina, come se avesse visto un miracolo, ‘sei già in piedi? Mi sorprendi!’
Risi condividendo a pieno la sua sorpresa: ‘Beh, volevo fare colazione. Per una volta!’
 
Quando uscii dal cancello di casa, vidi Stephan fare lo stesso dalla sua villa.  Ora che ci pensavo, Stephan doveva essere incredibilmente ricco: quella villa era stata disabitata per anni!
‘Reika.’ Mi salutò, chiudendo il cancello.
‘Buon giorno, Stephan.’
‘Andiamo a scuola insieme?’ mi chiese, con un sorriso da mozzare il fiato.
‘Certo!’
‘Oggi non sei in ritardo, vedo’ osservò quando ci avviammo.
‘E tu come fai a sapere, che sono sempre in ritardo?’ chiesi perplessa.
Lui rise. ‘Non lo sapevo. Sapevo che lo eri ieri, però.’
‘Giusto, ti sono finita addosso...’
‘Infatti’ annuì tranquillo: ‘Quindi di solito sei una ritardataria?’
Oh, bene! Adesso mi lasciavo anche sfuggire informazioni imbarazzanti!
‘Diciamo di sì...’ dissi con indifferenza, sperando che non ricominciasse a fare ironia su di me.
 
Per fortuna il tragitto fu breve. Spalancai la porta dell’aula e urlai: ‘Buon giorno!!!’
Lui fu più pacato, entrò con calma e sorrise: ‘Buon giorno.’
Alzai gli occhi al cielo, alla risposta delle ragazze sognanti e presi posto. Ma per la prima volta, mi accorsi del comportamento di Gabriele: sembrava nervoso. Quando lo salutai mi rispose con un brusco cenno del capo, quasi risentito e si volse guardando Stephan in cagnesco.

Forse allora, anche se mi dispiaceva ammetterlo, Stephan aveva ragione.                                                     
Come diavolo avevo fatto, a non accorgermene prima? Lo conoscevo da una vita e c’era voluto uno sconosciuto di New York per farmelo capire? Non riuscivo a crederci.

‘Signorina Walter, mi ascolta?’
Diana mi diede una gomitata, il professore mi stava chiamando da un bel pò.
‘... Oh, mi scusi... cosa?...’
‘Risponda alla domanda, per favore.’
Domanda? Quale domanda?
‘Radice quadrata di ventitrè’, sentii sussurrare.
‘Ecco, è la radice quadrata di ventitrè?’
Il professore mi guardò, severo: ‘Corretto.’

Tirai un sospiro di sollievo e mi voltai a ringraziare Stephan - era stato lui a suggerirmi la risposta -.
‘Non c’è di che. A quanto pare anche oggi hai la testa da un’altra parte.’
Mi fece l’occhiolino e io, mio malgrado, sorrisi.
‘Professore? Posso uscire, per favore? Non mi sento bene..’
Gabriele, in piedi dietro di me, fissava il pavimento con sdegno.
‘Certo, và in infermeria’ disse il professore, prima di voltarsi e continuare la lezione.
Gabriele si avviò e disse qualcosa a Stephan prima di uscire. Il che era strano, non gli aveva mai rivolto altro che sguardi truci.
Qualche minuto dopo, Stephan chiese di andare in bagno.

Fu solo a quel punto, che cominciai a credere davvero che Gabriele nutrisse per me qualcosa di più che semplice amicizia e che il suo non era essere prottettivo. Gabriele era geloso. Ed era stato forse lui, a chiedere a Stephan di uscire? Era questo che gli aveva sussurrato?

Balzai in piedi: ‘ Professore! Io devo assolutamente andare in bagno! E’ molto urgente!’
Il professore mi guardò allibito, e constatata la mia fretta, mi lasciò uscire.
Appena uscii non vidi nessuno, ma subito dopo sentii delle voci da dietro l’angolo del corridoio. Erano loro.
Mi nascosi dietro la porta del bagno delle ragazze e origliai:
‘...perchè dobbiamo mettere in chiaro alcune cose.’
‘Dimmi pure’ rispose la voce di Stephan in tutta tranquillità.
‘Sei nuovo di qui e capisco che tu stia cercando di ambientarti..’ cominciò Gabriele, ‘ma devi sapere che Reika interessa a me da un pò di tempo e non voglio che tu le ronzi intorno. Lasciala in pace, chiaro?’
Seguì un breve silenzio, poi: ‘Mi dispiace, ma non posso farlo. Ora, se questo è tutto, torno in classe.’
‘Cos-.. aspetta ma..’
Sentii Stephan rientrare e qualche attimo dopo, anche Gabriele. Io feci lo stesso, ancora confusa da quello che avevo sentito.
Stephan, quando mi vide rientrare mi guardò per un attimo, poi tornò al professore. Gabriele invece, si fissava i piedi imbronciato. Non sembrava essersi accorto della mia assenza.

Ripensai alla loro conversazione: omai era chiaro, Gabriele era interessato a me. Era geloso di Stephan e gli aveva chiesto di non ronzarmi intorno. E Stephan... aveva detto che non poteva non farlo. Perchè aveva detto così? Non capivo, lo aveva detto solo per non dare soddisfazione a Gabriele? Perchè voleva fare quello che gli andava di fare e non gli sembrava giusto prendere ordini da qualcuno? O c’era altro...?

‘Signorina Walter, insomma!’
Il professore, di nuovo. ‘Oh... mi scusi...’
‘Oggi ha la testa fra le nuvole?’
Oh, già me lo sentivo, quel sapientone del mio vicino di casa che rideva di me compiaciuto!
‘No, per niente!’ risposi con foga, innervosita da quel pensiero.
‘Siamo impertinenti oggi? Bene, allora mi dica la definizione di...’
La campanella suonò in quel momento, per mia grandissima fortuna e il professore non concluse la domanda.

‘Fortuna spacciata!’ esclamò Diana, ‘Reika, mi spieghi che ti succede? Mi sembri perplessa, oggi non mi hai neanche rivolto la parola!’
‘Ma no!’ dissi scuotendo la mano, ‘ero solo annoiata dalla lezione, tutto qui!’
‘Non dirmi, che credi davvero di convincermi con questa scusa?’
La lezione successiva era iniziata e rimandai il discorso fino a fine giornata. Non che non volessi dirglielo, ma avevo la netta sensazione che quello che avrebbe detto lei su questa faccenda, mi avrebbe solo confuso ancora di più. Comunque, arrivò il momento di tornare a casa.

‘Allora, Reika?’, riprese lei, che non si era affatto persa d’animo.
‘Cosa... e va bene, te lo dico. Allor-’
‘Reika? Andiamo a casa insieme?’ mi interruppe Stephan.
‘Oh, certo! Diana, senti, ti racconto domani, va bene?’
‘Dovremo fare una bella chiacchierata’, annuì lei.
‘Certo, ciao!’
 
Io e Stephan uscimmo di scuola. ‘Il tuo amico è un bel pò geloso, per essere solo un amico!’
Rimasi interdetta un attimo dalla sua schiettezza, poi feci la finta tonta: ‘Che? Perchè?’
‘Diciamo che preferibbe che ti stessi alla larga.’
‘Ma tu, a quanto vedo, non lo ascolterai, giusto?’
‘No, infatti.’
‘Perchè?’ chiesi di getto, curiosa.
Lui si strinse nelle spalle: ‘Non posso starlo a sentire.’
Nuovamente perplessa da quell’affermazione, non potei fare a meno di continuare: ‘Perchè non puoi?’
Lui si voltò a guardarmi, sorridendo: ‘Perchè? Dovrei?’
Sbattei le palpebre: ‘N-no. Cioè, non lo so. Come vuoi tu...’
Lui annuì: ‘Bene, quindi non lo farò.’
Mi squillò il cellulare e presi a trafficare nella mia cartella: ‘Scusa un attimo... Pronto?’
‘Reika?’
‘Diana, che succede?’
‘Senti, stasera pensavo di uscire dato che il mio Luca, è finalmente tornato dalle vacanze con la famiglia! Vieni anche tu? Puoi chiedere anche a Stephan, ti abita accanto no?’

Non fui sorpresa da quella richiesta: Diana aveva mostrato molta simpatia nei confronti di Stephan e lui stesso a scuola, se ne stava spesso con noi. Diana voleva sicuramente che Stephan facesse amicizia con Luca ed è inutile che spieghi a cos’altro aspirasse, facendolo uscire con me.

‘Sì, è qui glielo chiedo subito!’, mi rivolsi a lui, che mi guardava incuriosito: ‘Diana ci ha invitato a uscire. Ci sarà anche Luca. Sai, il suo ragazzo che ancora non hai conosciuto.’
Stephan annuì, probabilmente ricordando il lungo blaterare di Diana su di lui: ‘Certo, a che ora?’
‘Per che ora?’, ripetei a Diana.
‘Ci incontriamo al solito parco, alle sette di stasera. Va bene?’
‘A stasera, allora!’, riagganciai. ‘Al parco, alle sette!’
‘Bene. E dato che non ho alcuna idea di quale parco tu stia parlando, nè di dove si trovi, ti aspetterò al cancello di casa’, e si fermò proprio lì, visto che eravamo arrivati: ‘Cinque minuti prima delle sette, va bene?’
Risi: ‘ Hai ragione e sì, dovrebbero bastare!’
‘A dopo, allora!’
‘A dopo!’
Rientrai in casa correndo e, dopo aver urlato un saluto, mi precipitai nella mia stanza per scegliere cosa mettere quella sera.
Avevo appena aperto l’armadio, quando in cellulare squillò di nuovo.
‘Pronto?’
‘Sono sempre io, sei sola?’
‘Sì, perchè che succede?’
‘Non succede niente. Pretendo solo di sapere che succede a te!’
Ovviamente era troppo, chiedere a Diana di aspettare fino a domani: ‘ E va bene, ti racconto...’
Le dissi in ogni dettaglio, tutto quello che era accaduto: lo scontro e primo incontro con Stephan, la scoperta che fosse il mio vicino di casa, la chiacchierata in spiaggia e la coversazione tra lui e Gabriele.
Oooh!’, fu il suo commento finale.
‘Che ti prende?’
Tu gli piaci!’ disse, sempre con quel tono sognante.
‘Ma smettila! Anche se ha detto così, mi prende sempre in giro e pensa che io sia una di tonta, continuamente distratta ... con la testa fra le nuvole!’ risposi ancora risentita, da quella sua affermazione.
‘Sveglia, Reika! Non ha mica detto che gli da fastidio questo tuo comportamento!’
‘Ah, non lo so... E poi lo dici come se avesse ragione! Io non son-’
‘Te lo dico io,’ continuò lei, ignorando la mia indignazione ‘l’hai colpito appena ti ha vista!’
Alzai gli occhi al cielo: ‘Senti, ne riparliamo! Ora riaggancio!’
‘Va bene, ci vediamo tra poco!’
Non mi andava per niente, di ascoltare le sue congetture. E, ad essere sincera, non tanto perchè mi fossero sgradite. Affatto. La verità era che non volevo illudermi:  la sue storielle erano troppo rose e fiori. Ma lei era così, era il suo modo di dimostrarmi che per me voleva il meglio.

Alla fine scelsi un abitino semplice ed adatto al caldo che faceva fuori: bianco a bretelle. Aggiunsi una cintura nera stretta in vita e le mie semplici e comode ballerine nere.
Scesi di sotto e guardai l'orologio: erano già le sette! Ah, la solita ritardataria!
Corsi verso la porta di casa, ma mia madre mi chiamò. Ci mancava solo lei!
‘Reika? Dove stai andando?’
‘Esco con degli amici!’
‘Quali amici?’
Mi misi le mani sui fianchi, spazientita: ‘Diana, Luca e Stephan! E ora, devo proprio scappare, sono già in ritardo!’
‘Tipico!’ osservò lei, scuotendo il capo, ‘Vai, muoviti e fà attenzione!’
‘Ciao!’, la salutai uscendo in tutta fretta.
Quando mi precipitai fuori dal cancello, lui era lì che mi aspettava.
Se ne stava elegantemente poggiato al cancello, e sorrideva sotto i baffi. Cosa che mi diede non poco sui nervi.
'Scusa il ritardo' dissi con diffidenza. Anche se, ora che lo guardavo meglio, era anche più bello del solito: jeans, camicia nera, scarpe nere.
Oh, è fastidiosamente mozzafiato.
‘Non importa’, mi studiò da capo a piedi, poi sorrise: ‘Sei molto carina, stasera.’
‘Oh,’ dissi imbarazza, scostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio ‘grazie. Andiamo?’
 
Arrivammo con cinque minuti di ritardo, eppure Diana e Luca non c'erano.
Era piuttosto strano; Diana era precisa e puntigliosa, odiava arrivare in ritardo.
‘Strano,’ osservai ad alta voce ‘non ci sono ancora.’
‘Già. Forse stai contagiando anche Diana.’
Ha-ha ’, dissi lanciandogli un occhiataccia mentre lui se la rideva, ingnorando il mio fastidio, ‘impossibile, Diana non arriverebbe mai in ritardo. Dev'esserci stato un'imprevisto, ora la chiamo.’
Composi il numero a memoria.
‘Pronto?’
 ‘Diana? Perchè non siete ancora qui? Che succede?’
‘Stavo proprio per chiamarti! La nonna di Luca non sta bene, lui deve occuparsene. Credo che andrò con lui. Mi dispiace, dobbiamo rimandare!’
‘Oh, va bene. Sarà per un'altra volta!’
 
‘Cosa ha detto?’
‘Che la nonna di Luca non sta bene e quindi non verranno. A questo punto che facciamo? Torniamo a casa, no?’
Cominciai a camminare, ma Stephan mi fermò per un braccio.
‘Dove stai andando? Visto che siamo qui, tanto vale farsi un giretto, no?’
‘Oh, d'accordo. Dove vuoi andare?’
‘Mangiamo qualcosa?’
Annuii, ‘c'è un ristorante qui all'angolo!’
 
Mangiammo tranquilli e chiacchierammo ancora una volta di lui e dei suoi spostamenti:
a quanto pare da qualche anno, Stephan aveva cambiato scuola spesso. Ma a New York aveva la sua vita e i suoi amici, che a quanto pare gli avevano promesso una visita da queste parti, prima o poi.
Mi chiesi che tipi fossero, di sicuro erano ricchi quanto lui.
 
A fine serata, lui decise di andare in spiaggia. E tornammo nel mio posto preferito, per ammirarlo anche di notte.
Fu lui, questa volta, a riempirmi di domande. Non che ci fosse molto da raccontare, insomma niente viaggi super-costosi, niente ville stratosferiche in ogni città conosciuta.
Seppe che mio padre era fuori per lavoro, ma che sarebbe tornato a breve, che ero stata io a presentare Diana e Luca, che Gabriele e Diana si odiavano ai tempi dell'asilo e che si contendevano la mia amicizia, e altre storie del genere.
Mentre parlavo, guardavamo le stelle riflesse sul mare: ‘E' davvero bello qui. Pensa se Gabriele ci vedesse!’
Scossi il capo, ancora un pò incredula. Dopo che ebbi ripercorso i vecchi tempi, mi era un pò più difficile figurarmi un Gabriele innamorato di me.
‘Ci eravamo un pò allontanati negli ultimi tempi. Sai, passo molto più tempo con Luca che con lui, ormai. Certo, ci salutiamo. Se ci troviamo in giro ci facciamo un giretto assieme a lui e i suoi amici. Ma era sempre lo stesso, per me. Il solito amico di vecchia data, di cui hai conosciuto ogni fase di crescita e che non riusciresti mai a guardare diversamente. E invece! Ah, non dovrebbe essere così geloso...’
Stephan scostò lo sguardo dal cielo per guardarmi: ‘Non dovrebbe, perchè?’
Mi strinsi nelle spalle: ‘Non ho mai cambiato atteggiamento verso di lui, non gli ho dato modo di sperare. Credo che lui sia consapevole del fatto, che non lo vedrò mai diversamente. Dovrebbe pensare ad altro, ecco.’
‘Forse lo sa, ma è piuttosto ostinato. A me ha detto chiaramente che non dovrei neanche parlarti.’
‘Già,’ mi voltai a guardarlo anch'io  ‘ma tu non puoi farlo, giusto?’
‘Giusto.’
‘Non capisco. Perchè non puoi? Mi conosci da poco, dovresti essere in grado di lasciarmi perdere facilmente.’
Rise: ‘Non saprei, forse sarebbe meglio dire che non voglio. Sei interessante, da quando ti ho vista mi è venuta voglia di conoscerti. Perchè dovrei lasciar perdere? Per fare un favore a Gabriele?’
Continuai a guardarlo sorpresa: ci avevo pensato certo, ma non mi aspettavo lo dicesse in modo così diretto. Nè mi aspettavo che saperlo, mi colpisse a tal modo.
Divertito dalla mia espressione, scoppiò a ridere e si alzò: ‘Dovremmo andare, si è fatto tardi!’
 
Eravamo ormai, quasi a due passi da casa mia ma ero ancora troppo imbarazzata per alzare lo sguardo. Insomma, aveva detto che in qualche modo gli piacevo?
‘A domani allora!’ disse lui, e si chinò a baciarmi la guancia. Arrossii e mentre si allontanava, sentii il suo profumo.
‘A domani.’
Fu a quel punto, voltandoci, che ci accorgemmo di Gabriele, fermo davanti casa mia.
Si avvicinò a Stephan e lo spinse contro il cancello. Non lo avevo mai visto così. Stephan lo allontanò con uno strattone.
Afferrai Gabriele per un braccio: ‘Ma che ti prende?!’
‘Reika, io ...’
‘Ascolta, ti conosco da una vita e ti voglio bene, ma non ti giustifico. Mi dispiace, ma non è un tuo problema con chi esco o con chi parlo. Lo sai anche tu che non ti porta a niente, sai in che modo tengo a te. Smetti di comportarti così.’
Lui mi guardava affranto: ‘Ero venuto a parlarti, ti stavo aspettando e io...’ abbassò lo sguardo, poi guardò Stephan: ‘Mi dispiace...’, se ne andò subito.
‘Scusalo, lui non è così.’
‘Lo so, non preoccuparti. E' tempo di rientrare, a domani!’
Anch'io rientrai e cominciai a salire le scale per chiudermi in camera. Mi sentivo alquanto stanca e non vedevo l’ora di dormire.
 
Il mattino dopo avevo la febbre alta.
Mandai un messaggio a Diana. E decisi di chiamare a casa di Stephan, perchè non mi aspettasse.
‘Casa Lordale, chi parla?’
‘ Ehm, sono Reika Walter. Posso parlare con Stephan Lordale?’
‘Glielo passo subito.’
Avevano una schiera di domestici alle loro dipendenze? Mi chiesi distrattamente, poi sedetti, la febbre mi stordiva.
‘Pronto?’
‘Stephan, sono Reika. Ecco, ho la febbre alta, non verrò a scuola. Volevo evitare che mi aspettassi a vuoto...’
‘Oh, grazie dell’avviso. Ci vediamo più tardi.’
‘Più tardi?’
‘Certo, verrò a trovarti! A dopo, devo andare.’

Tornai a letto e ci rimasi per tutto il giorno. Mia madre aveva avvisato la sua assenza a lavoro, per quanto io le avessi detto che potevo cavarmela da sola. Apprensiva com’era, non l’avrei convinta neanche se fossi riuscita almeno ad alzarmi dal letto.
Più tardi, sentii il campanello suonare e nascosi il viso sotto le coperte.
Oh, era venuto sul serio! E mi avrebbe trovato in questo stato pietoso!
Bussarono: ‘Reika, siamo noi!’
Diana, Luca e Stephan entrarono nella mia stanza.
Feci capolino dalle coperte: ‘... ciao.’
‘Allora come stai?’

Diana e Luca, sapevano benissimo che quando ero ammalata, diventavo pressoché intrattabile: non prestavo attenzione a niente, volevo dormire di continuo, mi intestardivo se qualcuno voleva darmi una mano e il giorno dopo ero allegra e pimpante, come se niente fosse successo - il che era anche merito di mia madre, che mi preparava un qualcosa simile a brodino, disgustoso quanto miracoloso -. Stephan era stato sicuramente informato: mi guardava divertito, attento alle mie reazioni.

‘Mpf ... meglio, grazie.’
Rimasero lì per un pò, a sopportarmi, poi Luca si alzò: ‘Senti, noi dobbiamo proprio tornare da mia nonna! Sbrigati a guarire!’
‘Vedrai che domani sarà di nuovo in piedi!’ aggiuse Diana, che si era alzata co lui.
‘Sì ’ annuii, alzando la coperta fino al naso.
Rimaneva solo Stephan, che continuava a studiarmi curioso: ‘Forse ieri non saremmo dovuti andare in spiaggia, hai preso freddo.’
Sbuffai,  portando la coperta al mento: ‘Guarirò presto.’
‘Hai una faccia, non riesci nemmeno ad alzarti vero?’
Scossi la testa: ‘Capogiri da paura,’ dissi ‘ ma ci sono abituata’ aggiunsi con ritegno.
La porta si spalancò all’improvviso, mia madre entrò blaterando :
‘Reika, come stai? Mi hanno chiamato dal lavoro! Ah! Mi avevano assicurato che non avevano bisogno di me, oggi. “Non preoccuparti,” dicevano  “pensiamo a tutto noi!” e poi che mi combinano? Il locale pieno e loro non ce la fanno da soli! Come se io fossi Superman! Che massa di incompetenti!’ continuò a brontolare per la stanza, gesticolando. Alla fine, si decise a fermarsi: ‘Devo andare a metterli in riga, tornerò il più presto possibile. Ce la fai, da sola?’
Sbuffai indignata: ‘Certo che ce la faccio! Non ho bisogno di n-’
‘Non si preoccupi signora, rimarrò io con lei.’
‘Oh, grazie Stephan! Sei un tesoro! E chiamami Sara!’, si avviò verso la porta, poi si voltò: ‘Tienila d’occhio, è testarda da far paura.’
Uscì dalla stanza. Guardai Stephan, con l’intezione di assicurargli che potevo cavarmela benissimo da sola ma sentimmo urlare dall’entrata: ‘Il brodino è pronto in cucina!’ e poi la porta chiudersi.
Passarono dieci minuti, poi mi misi a sedere. La testa mi girava: ‘Vado in cucina a prenderlo.’
‘No, vado io! Sta giù!’ disse lui alzandosi.
Lo ignorai e scesi dal letto: ‘Ce la faccio!’ mi intestardii.
Lui mi prese per le spalle: ‘Due minuti fa mi hai detto dei capogiri, non crederai che ti permetta di scendere e scale!’
‘Sto benis-’
Non riuscii a concludere la frase, la testa mi girava così tanto da darmi il voltastomaco e un’attimo dopo, la vista mi si oscurò.
 
Quando rimpresi conoscenza, capii che ero sotto le coperte e che qualcuno mi aveva sistemato un panno bagnato sulla fronte. Sentii poi, un respiro sul viso: aprii gli occhi lentamente e li richiusi subito.
Stephan mi stava baciando. Durò un attimo.
Ancora un pò stordita, riuscii solo a pensare: Perchè?
Mi tolse lo straccio dalla fronte, mi mossi e azzardai ad aprire gli occhi.
‘Finalmente! Mi stavo preoccupando!’ mi sorrise lui.
Borbottai e mi rialzai la coperta fino al naso, sulla difensiva: ‘Che è successo?’ chiesi assottigiando gli occhi.
‘Sei svenuta, ti avevo detto di non alzarti!’
‘Mmh...’
‘Tua madre è appena tornata, sta portando il brodino.’
Sentii salire le scale e mia madre entrò insieme al suo intruglio miracoloso.
‘Ah, sei sveglia! Ecco, finiscilo tutto!’ disse porgendomelo.
Lo adocchiai disgustata e afferrai il cucchiaio. ‘Grazie’ bofonchiai.

‘Stephan la cena sarà pronta tra poco. Mangi con noi?’
Stephan si voltò a guardarmi, mia madre sorrise: ‘Te la porto qui, se vuoi.’
‘Mi piacerebbe, grazie’ annuì in fine.

Non prestai particolarmente attenzione alla conversazione tra Stephan e mia madre. Ero troppo impegnata a rimuginare su quel bacio e sul come, cosa e perchè me lo aveva dato. Lo fissavo truce - benchè non fossi arrabbiata per niente, anzi erano ben altri i sentimenti che mi aveva suscitato -, bevendo la brodaglia magica.
‘Stai bene?’ mi chiese lui, quando fummo soli.
Annuii distrattamente e gli chiesi com’era andata a scuola, per cambiare discorso. 
Mi assicurò che era stata un noia mortale, come al solito e che però, in compenso, aveva stretto amicizia con Luca che, dal modo un cui ne parlava, doveva essergli piaciuto parecchio.
Mia madre gli portò la cena, e alzò gli occhi al cielo constatando che io non avevo ancora finito il suo prodigioso filtro, dal sapore nauseante, e scese di sotto.
A quel punto Stephan mi guardò, con aria colpevole: ‘Mi sento un pò in colpa.’
‘Perchè?’ dissi pensando che si fosse pentito di quel gesto.
‘Ho fatto una cosa nel modo e nel momento sbagliato’ sospirò lui, passandosi una mano nei capelli.
‘Che cosa? Che momento?’ chiesi aggrottando le sopracciglia, mettendo da parte la ciotola ormai vuota.
‘Ecco, quando sei svenuta...’
‘Sì?' lo incoraggiai a continuare, 'm
i hai lasciato cadere come un sacco di patate e non mi hai soccorso?’ dissi sdrammatizzando.
‘No!’ disse scoppiando a ridere: ‘Il problema è che ho preso l’iniziativa, senza aspettare il momento opportuno.’
‘Cos’è? Un indovinello?’ risposi abbracciando il cuscino.
Rise di nuovo: ‘Se così fosse, ti avrei dato fin troppi indizi. Ne parliamo domani, devo tornare a casa!’
‘Non potresti dirmelo e basta?’
Mi fece l’occhiolino: ‘Solo quando non sarai così brontolona e intrattabile!’
Uscì salutandomi e sbuffai indignata.
Che diavolo avrei dovuto fare? Sapevo benissimo di cosa parlava!
Decisi che avrei chiesto consiglio a Diana e, sotterrandomi sotto le coperte, mi misi a dormire con mille pensieri per la testa.

 
   
 
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