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Autore: jamesguitar    26/08/2014    5 recensioni
'Un per sempre è come prendere la luna per me, Brad.'
'E allora riuscirò a prenderti la luna.'
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bradley Simpson, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alla mia migliore amica.

Chapter 7.
 
Quando Noah si svegliò, era mattina presto. Non capiva perché non stesse dormendo, finché non vide Brad accasciato su di lei, con il mento sulla sua spalla.
Sbuffò intorpidita, e si costrinse a cercare di spostarlo, nonostante amasse i loro corpi a contatto.
Ma non ce la faceva, era troppo pesante.
“Ehi” sussurrò al suo orecchio. “Puoi spostarti?”
 
In risposta, Brad grugnì, stringendola più forte, e facendole scappare una risatina.
Doveva averla scambiata per un peluche, o qualcosa del genere.
“Cosa ridi?” borbottò, con una voce più rauca del solito per via del sonno.
“Sei carino ad abbracciarmi”
“Sai che lo farei sempre”
 
Possibile che, pensò Noah, Brad fosse così dolce anche mentre era mezzo addormentato?
 
I ricordi di quella notte tornarono in mente a Noah, che sorrise. Era stato bello essere consolata da Brad, sentirgli dire quelle cose. Erano le parole più sincere che qualcuno le avesse mai detto.
“Puoi toglierti, comunque?”
“No.”
“Dai Brad, ho caldo, ho bisogno di alzarmi”
“E io ho bisogno di te.”
 
Noah alzò gli occhi al cielo, nonostante sentisse le farfalle nello stomaco.
“Dai, levati”
Brad sbuffò, ma rotolò su un fianco, permettendole di alzarsi dal letto. Si appoggiò ad un gomito, guardandola sciogliere i nodi dei capelli con le dita, sistemarsi la maglietta che le aveva prestato e guardare a terra.
“Dovresti alzare lo sguardo, sai?” le disse. “Non ha senso nascondere i tuoi bellissimi occhi”
 
Lei rise nervosamente, per poi andarsi a sedere sul bordo del letto.
“Dormito bene?” gli chiese.
“Non dormivo così da mesi. Dovresti venire a trovarmi più spesso, sai?”
Noah ride, e gli diede un colpetto sulla spalla.
“Probabilmente i miei genitori staranno morendo d’ansia. Mi avranno cercata ovunque..”
“Non gli è venuto in mente di venire qui?”
Lei non sapeva cosa rispondere. I suoi genitori non sapevano nemmeno che stessero insieme.
“Allora?”
“Brad, i miei non sanno niente di noi.”
Lui non disse niente. Smise di guardarla, si mise supino a guardare il soffitto, con le braccia incrociate.
“Mi dispiace” sussurrò la ragazza. “Non sapevo come spiegarglielo”
 
“Cosa c’era di difficile?” sbottò Bradley, senza muoversi. “Io l’ho detto a mio padre. Credevo che avresti fatto lo stesso. Che c’è, solo perché non dureremo pensi che non valga la pena che la gente sappia?”
Noah non pensava che avrebbe suscitato pensieri del genere. Certo che valeva la pena. Valeva sempre, con lui.
Si avvicinò, e a lui non fu permesso di scansarsi, perché era già vicinissimo al muro.
“Ehi, non è così. Semplicemente ho paura che non approvino.”
“Che non approvino? Ma ti senti?” sbuffò.
“Bradley, io non sono una ragazza normale, okay?” Noah alzò la voce, infastidita da quel suo commento. “I miei pensano sempre che io possa sprecare troppe energie in qualcosa. Una volta a quindici anni ho frequentato un ragazzo, e mi hanno vietato di vederlo per paura che mi facesse fare cose pericolose. Quindi si, mi sento, va bene? Perché conosco questa situazione meglio di te.”
La ragazza si era sfogata tutta insieme, non aveva nemmeno preso fiato.
Le lacrime offuscarono la sua vista, e girò il capo, per nascondersi con i capelli alla vista di Brad. Non voleva piangere, non lo voleva mai, eppure lo faceva sempre.
“Non lo sapevo.” Mormorò Brad.
“Nessuno doveva saperlo, okay? C’è un motivo per cui non volevo farti conoscere quei due, volevo che noi due restassimo indenni da tutta questa merda, va bene?”
“Guardami.”
 
Noah si voltò, mostrando le lacrime che le rigavano il viso, e Brad le prese il mento fra le mani.
“Amavi quel ragazzo? Sinceramente?” le chiese, sussurrando.
“Io..” la ragazza pensò a quello che avevano passato lei e Caleb, il famoso ragazzo. E no, non lo amava. “Volevo andare contro i miei genitori.”
Brad sospirò. “Quello che pensavo. E ami me?”
Le si mozzò il respiro a quella domanda, ma rispose senza esitare. “Sì.”
“Allora andrà tutto bene, okay?”
Noah aveva paura. Ne aveva tanta. Ma lui le aveva sempre detto di non averne… e quindi lo ascoltò.
“Okay.”
 
Si alzarono dal letto, e Brad la abbracciò. La strinse a sé come un tesoro delicato, con la forza di un uragano ma allo stesso tempo con la dolcezza di un padre o di una madre. La amava, la amava più della sua stessa vita, e per lei, avrebbe rischiato tutto.
 
“Ti va di farmeli conoscere, un giorno?” Chiese infine Brad, sperando di averla convinta.
“Okay.” Ripetè lei.
Non avrebbe commesso lo stesso errore di Caleb, lo sapeva.
Lo sperava.
Perdere Bradley avrebbe significato perdere una parte di se stessa, perdere una parte di se stessa avrebbe significato morire.
E per quello c'era ancora un po' di tempo.

***

Quando Noah arrivò a casa sbattendo la porta, rimase paralizzata.
I suoi genitori erano seduti sul divano, piangendo davanti alla polizia.
La tragicità di quello che aveva fatto colpì la ragazza in pieno. Non aveva pensato alle conseguenze delle sue azioni. O meglio, lo aveva fatto, ma non le era interessato più di tanto.

Dorothea aveva gli occhi gonfi e le occhiaie. Il marito Paul aveva gli occhi cerchiati, ed entrambi la fissavano increduli.
I poliziotti si affrettarono a raggiungerla, e la afferrarono delicatamente per il braccio.
“Signorina Evans, dov'è stata stanotte?” Chiese uno dei due, con voce calma ma decisa.
Noah non sapeva cosa fare, dire la verità avrebbe significato colpire i genitori in una volta sola e spaventarli, e lei non voleva farlo, non più di quanto avesse già fatto.

“Io...” Si morse il labbro, e pensò a ciò che aveva detto a suoi prima di uscire. “A casa di una mia amica, l'avevo detto.”
“Ha fatto spaventare a morte i suoi genitori” disse l'altro agente, con meno gentilezza. “Lo sa?”
Almeno si erano bevuti la storia. Noah si morse le labbra di nuovo.
“Si, e mi dispiace.”

Dorothea corse ad abbracciare la figlia, che ricambiò controvoglia. Nonostante fosse dispiaciuta, non aveva dimenticato il motivo della litigata.
La madre era incoerente, era snervante, e faceva sentire Noah più debole di quanto fosse già.
Le faceva avere paura.

I poliziotti se ne andarono entro un’oretta al massimo, dopo aver fatto alcune domande a Noah e aver abbracciato entrambi i genitori per confortarli.
Noah scoprì che la avevano cercata per tutta la notte, e un po' si sentì in colpa, ma ignorò quella stretta allo stomaco.
Quando rimase sola con i genitori, Noah strinse i pugni.

“Non c'era bisogno di cercarmi.”
I genitori la guardarono sbalorditi.
“Stai scherzando!?” Urlò il padre. “Sei malata, Noah! Non puoi stare da sola di notte, pensavamo che l'amica fosse una scusa! Avresti potuto morire di freddo per strada, cosa diavolo ne sapevamo! Sei debole, capito!?”
Le lacrime offuscarono la vista della ragazza.
“Era di questo che parlavo ieri!” Urlò anche lei, sbalordendoli. “Non fate altro che buttarmi giù, e mi sono rotta le palle!”

Lei stessa non credeva possibile che avesse usato quel linguaggio, ma se ne rese conto solo quando era già in camera sua.
Era così arrabbiata che sentiva la forza di un leone dentro di sè, nonostante, purtroppo, non l'avesse.
Ogni giorno stava peggio.
Era vero, con Brad si sentiva viva, ma non poteva negare di sentire la potenza abbandonarla piano piano. E non era giusto, era frustrante.

Prese il diario, ed iniziò a scrivere.

Caro nonno,
Qui fa tutto schifo, sai? I miei ancora non sanno di Bradley, di quanto mi faccia stare bene, e nonostante questo sono già arrabbiati con me. Anche io lo sono con loro.
Litighiamo, non fanno che farmi stare male e sento che non posso continuare a vivere così.
Che poi, vivere? Sto per morire. È evidente. Aspetto solo di andarmene, ormai. E fa male, sempre di più.


Dorothea entrò nella stanza senza bussare, e con voce fredda disse: “È ora della visita.”

***

Il tragitto in macchina fu breve, ed in poco tempo Noah e Dorothea giunsero all'ospedale.
Le mani della ragazza sudavano. Lei tremava.
Era sempre così prima dei suoi controlli, aveva sempre paura che le dessero una scadenza. Era la cosa peggiore che avrebbero potuto fare.

Il suo cellulare vibrò, e Noah lesse il messaggio che Bradley le aveva appena mandato.

Ehi, com'è andata con i tuoi?

Rispose.

Lacrime. Poliziotti. Urla. Non ne parliamo.


Lui replicò dopo nemmeno un minuto.

Lasciali perdere. Oggi che fai?

Le si strinse lo stomaco. Aveva completamente dimenticato di dirgli dell'incontro con i medici.

Ho una visita.


Ah. Vorrei essere lì. Chiamami appena hai finito.

“Signorina Evans?” Chiamò una dottoressa, segno che era il turno di Noah.
Il cuore le batteva a mille nel petto, si sentiva impaurita, terrorizzata, sola. Sua madre non era niente in quel momento, lei aveva bisogno di lui.
Senza paura, pensò. Lo ripeté per tutto il tragitto nel corridoio bianco dell'ospedale, quel tunnel che quando si è malati come lo era lei, appare senza uscita.
Stava male solo a vederlo.

***

Aveva fatto ogni esame possibile. Doveva solo aspettare che le dicessero qualcosa.
Noah si stava tormentando le mani, e le sue labbra già sanguinavano.
Sua madre non era da meno, ma nessuna delle due osava guardare negli occhi l'altra.

Il dottore responsabile della cartella clinica di Noah, il dottor Nelson, entrò trafelato nella stanza, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Dorothea allora si alzò in piedi, mentre la ragazza restò sul lettino, paralizzata.
“Abbiamo alcune cose di cui parlare, e non riguardano solo gli esami di questa mattina” annunciò il dottore.
“Ci dica” la voce di Dorothea doveva sembrare ferma, ma era evidente che non lo fosse.

Senza paura, continuava a ripetersi la ragazza.
“Purtroppo, non abbiamo trovato donatori compatibili per Noah.”
Lame.
Lame, tantissime lame perforarono il petto della ragazza. La speranza si sbriciolò.
“Come può essere?” Sbottò Dorothea.
“Mi dispiace tanto.”

“Le dispiace?”
“Abbiamo fatto il possibile. Secondo i test di oggi, a Noah non resta molto tempo. Tre/quattro settimane al massimo.”
Ed eccola.

La scadenza.


 
#ANGOLOAUTRICE
Oddio, sto pubblicando?
Allora, vi sarete accorti che il rating della storia è cambiato. Muahaha
Okay, oggi ho finito di srivere la storia, e mi viene da piangere. Non ci posso credere.
Immagino di avervi spezzato il cuore, eh? Credetemi, anche il mio lo è.
Molti mi hanno fatto notare una marea di errori che ho fatto nei capitoli precedenti. Prometto di ricontrollare tutti i capitoli, ma prima devo assolutamente finire le altre long.
Quello delle troppe virgole è un problema che tutti mi fanno notare. Sto cercando di migliorare, davvero, mi dispiace.
D'ora in poi aggiornerò regolarmente, ogni martedì, se dio vuole.
Spero che il capitolo vi piaccia.

-jamesguitar
  
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