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Autore: Ailis_    27/08/2014    4 recensioni
Post Season 3
Quando perdi tutto quello che sei, cosa ti rimane?
Sofi era diversa. Aveva quell’aria sognante ma i suoi occhi erano attenti. Era dolce ma sapeva allontanarti con uno sguardo, era piena di quel non so che; aveva un mondo dentro e lui ne era affascinato. Non sapeva mai cosa aspettarsi, era bella, ma non bella da esposizione: bella da amare, da stringere forte, da riderci insieme, da scherzarci insieme come due bambini. Era piccola, da abbracciare con cura e faceva paura. Il suo sorriso esagerato non copriva il dolore in fondo ai suoi occhi. E Stiles, perdendosi in quegli occhi, non avrebbe potuto fare altro che andarsene via e dannarsi l’anima o innamorarsene perdutamente.
Sofi ha perso la memoria. L’unica cosa che le resta del suo passato è un nome su un ciondolo, fino a quando Scott e Isaac e Stiles entrano nella sua vita. Ed è la seconda possibilità migliore che potesse desiderare.
Sofi e Stiles.
Scott e Kira, Lydia e Isaac, Derek e un nuovo amore.
Altri omicidi. Una nuova minaccia si avvicina.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Swim to me, swim to me, let me enfold you

Dovevo riprendere a pubblicare a Settembre, ma la riattivazione di questo account meritava un piccolo festeggiamento, così eccomi qui.
Non succederà molto in questo capitolo, ma vi darà la possibilità di scoprire molte cose e di fare un passo avanti nella conoscenza di Sofi e del suo passato.

 
In ultimo, lo dedico alle mie meravigliose donne:
Cippi Ciop, Ally M., Marti Lestrange, Giulia Esse, Lilyhachi, Pikky.

Capitolo X

 

Swim to me, swim to me, let me enfold you

 

 

I am puzzled as the newborn child
I am troubled at the tide:
Should I stand amid the breakers?
Should I lie with death my bride?
Hear me sing, "Swim to me, swim to me,
Let me enfold you,
Here I am, Here I am,
Waiting to hold you"

This mortal coin, Song of the siren

 

 

Quando Stiles aprì gli occhi, era ancora presto. Sofi dormiva ancora e gli dava le spalle, rannicchiata tra lui e la parete e con il volto per metà coperto dalle lenzuola. Era una fortuna che non si fosse svegliata perché aveva tutta l’intenzione di preparare per lei la colazione migliore che avessi mai fatto.
Sgusciò via da sotto le coperte e poi le sistemò di nuovo intorno a lei. Sembrava quasi che la abbracciassero, un po’ come aveva fatto lui per tutta la notte.
Si accorse che era la prima volta che dormiva con una ragazza, la prima volta che una donna condivideva con lui una cosa così intima come le sue paure per poi addormentarsi tra le sue braccia.
Prima si alzarsi si concesse l’ennesima occhiata alla massa di riccioli disordinato che erano stati il suo cuscino per tutta la notte.
Sentiva profumo di lillà ovunque, come se l’odore fosse entrato in lui così profondamente da non abbandonarlo neanche quando lei era lontana.
Quando uscì dalla stanza lasciò la porta appena socchiusa, poi si stiracchiò mentre scendeva le scale.
Al bancone della cucina c’era suo padre che trafficava alla ricerca di qualcosa.
“Se stai cercando i tuoi biscotti al cioccolato, sappi che li ho nascosti dove non potrai trovarli”
Lo sceriffo alzò gli occhi al cielo.
“Andiamo, Stiles. Un paio a colazione me li puoi concedere”
“Con te non è mai solo un paio a colazione. Ma sarò buono e te li andrò a prendere, ma solo per oggi”

“Grazie, figliolo. O devo ringraziare la bellezza bionda che dorme nel tuo letto?”
Stiles arrossì in zona orecchie e zigomi e balbettò una spiegazione sconclusionata a uno sceriffo ammiccante.
Lasciò che Stiles si barcamenasse ancora un po’ nel tentare di mettere insieme un racconto esauriente e solo quando ebbe i suoi biscotti decise che poteva cavarlo d’impiccio.
“Va bene così, Stiles. L’ho sentita anche io, stanotte. E non ti chiederò perché è rimasta a dormire qui invece di tornare a casa. Sinceramente penso di saperlo”
“In che senso?”
“Mi faresti una tazza di caffè, figliolo?
“Facciamo uno scambio. Io ti preparo il caffè e tu mi darai un’informazione di cui ho bisogno”
Lo sceriffo ci pensò un momento, poi sospirò. Dopotutto, non era nulla che Stiles non potesse sapere leggendo il giornale locale che aveva dedicato all’ultimo omicidio un articolo piuttosto lungo in prima pagina, con tanto di intervista a un paio di agenti del dipartimento.
“Affare fatto. Ma spero che il tuo caffè sia veramente buono”
Stiles iniziò a trafficare tra gli scaffali alla ricerca del sacchetto con il caffè e riempiendo la caffettiera di acqua, poi la mise sul fuoco e continuò a trafficare per cercare il necessario per preparare la colazione per lui e Sofi.
Avrebbero avuto pancakes e frutta fresca, yogurt e miele innaffiati da tè proprio come piaceva a Sofi, ma solo quando suo padre fosse stato abbastanza lontano da non poter mettere le mani su nulla del genere.
“Allora?” lo incitò lo sceriffo mentre Stiles tirava fuori uova e farina.
“Ieri Sofi mi ha detto che l’hai interrogata dopo aver trovato un corpo nel bosco”
“Sì, è vero”
“Era il corpo di un ragazzo, giusto?”
“Sì”
“Potresti dirmi di che colore aveva i capelli?  Farmi una descrizione e mostrarmi una foto, magari”
“Rossi” mormorò dopo un momento lo sceriffo “Capelli rossi, occhi chiari, pieno di lentiggini”
Era la conferma di cui aveva bisogno.
Ci aveva pensato prima di addormentarsi. Quando era arrivata a casa sua, Sofi aveva parlato dell’interrogatorio e del ragazzo che le avevano mostrato in foto, un giovane di vent’anni con i capelli rossi.
Lei non lo aveva riconosciuto, ma Stiles sapeva per intuito che era lo stesso ragazzo dei sogni di Sofi.
Non capiva perché lo facesse e soprattutto perché proprio lei. C’era un legame tra di loro? Oppure era solo un altro potere di Sofi, comunicare con i morti?
Le aveva detto di guardare l’insieme, ma Stiles non riusciva a capire perché lo avesse fatto. Era stato un periodo tranquillo a Beacon Hills: nessuna sparizione, nessun omicidio strano, nessun mostro in agguato.
Quindi a quale insieme si riferiva?
Forse era qualcosa che doveva ancora arrivare, forse c’erano stati dei segni che loro non aveva visto o collegato, magari qualcosa di apparentemente insignificante o non troppo insolito che avevano accantonato. Forse li stava solo avvisando che qualcosa stava per arrivare.
“Stiles, il caffè!” lo richiamò suo padre e il ragazzo si affrettò a spostare la caffettiera e a versarne il contenuto in un termos e in una tazza che porse al padre.
Quando tornò a versare l’impasto dei pancakes nella padella, si disse che avrebbero dovuto trovare il modo di interpretare le sue parole. O almeno capire perché tormentasse le notti di Sofi. 
“Figliolo, io devo andare. Non fate tardi a scuola, mi raccomando”
“Non preoccuparti, ce la caveremo”
Lo sceriffo prese il termos che il figlio gli porgeva ed era alla porta quando venne fermato da Stiles.
“Ehi, una cosa. Come si chiamava il ragazzo?”
“Martin Wright. Perché ti interessa? Devo iniziare a preoccuparmi?”
Stiles fece spallucce “Curiosità. Ciao papà”
L’uomo gli fece un cenno con la mano e Stiles tornò alle frittelle mentre la porta si chiudeva. Doveva parlare con Scott della questione, ma sapeva che c’era un’unica persona che poteva rispondere alle loro domande e trovare un modo per risolvere ogni dubbio.
Quel pomeriggio avrebbero potuto andare da Deaton.
Dato che non c’era altro che potesse fare, per ora, cominciò a sistemare i pancakes nei piatti poi, in un lampo di ispirazione, prese lo sciroppo d’acero che teneva nascosto dalle grinfie di suo padre e disegnò una faccina sorridente su quelli di Sofi.
Stava sistemando lo yogurt e il miele davanti a uno sgabello quando lei si presentò in cucina.
Aveva la maglietta storta sulle spalle, i pantaloni arrotolati intorno ai polpacci e i capelli aggrovigliati ma, mentre si stiracchiava con le braccia verso l’alto, Stiles pensò che fosse perfetta anche così.
in realtà, avrebbe potuto guardarla per il resto della sua vita senza stancarsi, a prescindere dal fatto che fosse appena sveglia o perfettamente vestita.
Era quello che c’era sotto la pelle chiara e spruzzata di lentiggini, la luce che brillava come se fosse fatta solo di quello, ciò che amava. Il resto era un bellissimo involucro di un’anima altrettanto meravigliosa.
Sofi veleggiò verso di lui e guardò il tavolo imbandito, poi sorrise appena e si sporse verso di lui per baciarlo. Sulla guancia, appena un po’ più a destra rispetto alle labbra.
Sulla sua pelle c’era anche un po’ del suo profumo, l’odore di libri e limone che riempiva la stanza di Stiles e lui sorrise.
“Ho fatto i pancakes”
“Ho una fame da lupo”
Stiles alzò un sopracciglio e Sofi arricciò le labbra in un’espressione scontenta.
“E’ più divertente quando c’è Scott nei dintorni. O Isaac” ammise e poi assaltò la colazione mentre Stiles si sedeva accanto a lei e, tra un pancakes e l’altro, la guardava.
Rideva alle sue battute, i suoi occhi erano pieni di pagliuzze dorate che non aveva mai visto e che sembravano raggi di sole sul mare all’alba.
Era spensierata e felice e non gli importava quanto sarebbe durata. Anche quando tutta quella gioia sarebbe scomparsa e le nuvole avrebbero oscurato i raggi di sole nei suoi occhi, lui avrebbe combattuto per quel sorriso.
Non l’avrebbe mai lasciata andare.
Gli tornò in mente quello che aveva sussurrato lei quella notte, come se potesse dimenticare una cosa del genere.

Posso tenerti con me, Sofi?
 

 

 

 

Dopo aver raccontato tutto a Scott e Isaac, avevano deciso di parlare con Deaton prima che la clinica veterinaria chiudesse, quando sarebbero stati sicuri di non trovare nessun cliente in sala d’aspetto.
Non che la clinica chiudesse mai veramente, ma quello era sicuramente il momento migliore per parlare di cose che nessuno doveva sentire.
La sala d’aspetto era vuota e l’ultimo cliente, una signora anziana, era appena uscita con il suo cucciolo tra le braccia.
Ufficialmente, la clinica avrebbe chiuso di lì a pochi minuti così Deaton uscì fuori con un sorriso e aprì il cancelletto per loro, invitandoli a entrare.
C’era il solito tavolo di metallo lucido e gli scaffali, il muro di mattoni e la finestrella in alto. Lo studio di Deaton era un luogo tanto familiare quanto legato a ricordi non sempre piacevoli.
“Che cosa vi porta qui, ragazzi?”
“Vorremmo farle alcune domande. Su una cosa che non riusciamo a capire” spiegò Scott
“Prego, fate pure”
“C’è una persona” iniziò Scott “c’è una persona nelle nostre vite e sembra che lei abbia un potere”

“Che genere di potere?”
“Non è proprio un potere” si intromise Stiles “Sono sogni. Almeno, a lei sembrano sogni, ma secondo noi c’è di più”

Stiles voleva che Deaton capisse esattamente la gravità della situazione e la valutasse nel migliore dei modi perché era di Sofi che si parlava e si fidava di Deaton abbastanza da mettergli in mano la sua vita, ma forse non quella di Sofi.
“Cosa c’è di strano nei suoi sogni?”
“Sogna persona morte. Tipo gente che non conosce, che non ha mai visto”
Deaton rimase un momento in silenzio guardando prima Scott, poi Stiles e infine Isaac. Sembrava che li stesse valutando, come per decidere quanto dire e come dirlo.
“La persona in questione ha altri poteri?”
“Qualcosa del genere, sì” si mise sulla difensiva Stiles. Scott gli scoccò un’occhiata perplessa, ma non disse nulla. Sapeva che Stiles voleva solo proteggere Sofi.
“Che genere di potere?”
“Fa qualche differenza?”
“Assolutamente, tutta la differenza del mondo. Vedete, se potesse solo parlare con i morti, vi direi che avete a che fare con una sensitiva. Ma se avesse altri poteri, ci sono molte variabili da prendere in considerazione”
“Sposta gli oggetti con il pensiero” si intromise Isaac.
All’inizio era stato un gioco divertente, vedere Sofi attirare a sé oggetti per tutta la casa e ridere come una bambina che ha appena scoperto un nuovo gioco, ma ora era terrorizzato da quello che le stava capitando. La maggior parte delle persone pensava che avessero un’amicizia bellissima e avevano ragione, in
parte. Sofi era tante cose, anche un’amica. Prima di questo, Sofi era la sorella che non aveva avuto e che era comparsa nella sua vita dopo diciassette anni di solitudine.
Era la ragazza che lo proteggeva dagli incubi quando rivedeva il frigo dove suo padre lo rinchiudeva, la persona che gli accarezzava i riccioli e restava con lui fino a quando non si addormentava di nuovo e che, il mattino dopo, gli faceva trovare la sua colazione preferita sul tavolo.
Era per quella persona che Isaac era lì, la ragazza che amava come una sorella.
“Non mi importa come si chiami questa capacità, so solo che sposta le cose con la sola forza del pensiero”
“E fa questa cosa solo quando sogna oppure ogni volta che vuole?”
“Ogni volta che vuole. Ne sono sicuro” asserì Stiles “L’abbiamo vista tutti muovere gli oggetti a suo piacimento”
“Questa è una buona notizia”
“Sa che cos’è?”
“Non c’è un nome preciso per queste persone. Non provate a cercare sul bestiario, non troverete nulla. Immagino che per qualcuno siano streghe, ma è una definizione sbagliata”
“Quindi?”
“Ho sentito parlare di poteri del genere. Tra gli Emissari si tende a pensare che poteri come la telecinesi siano connessi al mondo degli spiriti. In parole povere, solo quando uno spirito entra in contatto con il medium questi può usare questa abilità. Ma la vostra amica non appartiene a questa specie e questo smentisce milioni di teorie al riguardo”
“E cos’è?”
“Probabilmente qualcosa che non ha nome, solo una persona con dei poteri”
“Come una mutante? Come quelli di X-men?” domandò Stiles guardandosi intorno. Deaton accennò a un sorriso.

“No. E’ una cosa innata che possiede, non una mutazione del suo dna. E’ solo lì, una cosa che è parte di lei. Non è la prima che incontro, anche se è la prima capace di spostare la materia”
“Quindi come funziona esattamente? Semplicemente può farlo? E cosa c’entra con i sogni e le persone morte?”
“Ci stavo arrivando. Avete mai sentito dire che la mente è l’arma migliore di ognuno di noi? E’ letteralmente lei che controlla tutto. La telecinesi della vostra amica è una manifestazione di questa energia mentale”
“Quindi ognuno di noi potrebbe farlo?”
“No, assolutamente no. E’ molto più complicato di come lo sto spiegando io, ma è per farvi capire. Ci sono tanti altri fattori che concorrono a dare a certe persone i loro poteri. A volte capita che questi altri fattori diano loro altre capacità. Quella di parlare con i fantasmi potrebbe derivare da un’empatia fuori dal comune”

Ci fu un momento di silenzio, come se i tre ragazzi stessero assimilando tutte quelle informazioni. Fu Isaac il primo a parlare. Se Stiles era fiducioso e Scott un po’ orgoglioso di ciò che era Sofi, Isaac era solo terrorizzato che questa cosa si ritorcesse contro di lei. Forse non subito, ma magari un giorno l’avrebbe spezzata. Cosa sarebbe successo se uno di loro fosse morto e tornato a perseguitarla nei suoi sogni? Quello l’avrebbe distrutta più di ogni altra cosa.
“Quindi ogni persona morta la tormenterà per sempre nei suoi sogni?”
“No” lo rassicurò Deaton con un sorriso “Non è così semplice. In teoria non posso darvi informazioni certe. Ogni persona come la vostra amica è unica e speciale, ma in linea di massima, chi può entrare in contatto con i morti nei sogni deve rispettare delle condizioni

“Di che tipo?” si informò Scott.
“Il solo fatto di voler comunicare con qualcuno non basta. Non potrebbe mai evocare l’anima di un defunto dal nulla. E’ come una comunicazione tra due finestre: devono essere aperte entrambe perché possa avvenire”
“E come si fanno ad aprire?”
“Come si aprono le finestre, Isaac? Volontà, ma deve essere reciproca altrimenti la vostra amica si troverà in una terra di nessuno, a bussare a una porta chiusa.”
“Ipoteticamente parlando, quindi, potremmo provare a metterci in contatto con il ragazzo che sogna ogni notte. Sofi potrebbe parlarci” chiarì Stiles.
“Sì, certo. Se lui è lì, è perché lei ha aperto una finestra”
“Ma lei non sa chi sia, ha perso la memoria. Il ragazzo è un perfetto estraneo”
Deaton sorrise con condiscendenza verso Scott. Voleva bene a tutti loro, ma a volte non capivano.
“Forse non ricorda, ma lo sente comunque. La forza degli affetti umani è tale che perdere la memoria non cambia nulla. E’ la sua anima, il suo spirito, che cerca l’altro e lo riconosce come qualcuno di caro. Questo vale più di ogni ricordo”
A quel punto Scott, Isaac e Deaton immaginarono scenari e eventualità, modi per permettere a Sofi di entrare in contatto con Martin, ma la mente di Stiles era da un’altra parte.
Lui pensava a lei, a come avrebbe reagito nel sentire che una persona che conosceva, che probabilmente aveva amato, era morta e lei neanche lo ricordava. Le avrebbe spezzato il cuore?
Voleva tutto tranne quello. Eppure lei doveva parlare con lui, Stiles lo sapeva. Non solo per capire contro cosa volesse metterla in guarda, ma perché doveva dirgli addio.
Se era vero quello che Deaton aveva detto, quella poteva essere l’unica e l’ultima chance per Sofi di dire addio.
Quando uscirono dalla clinica, Stiles lesse negli occhi di Isaac e Scott la sua stessa paura, le stesse esitazioni. Ma tutti e tre sapevano che Sofi meritava quella possibilità.
Poteva essere l’unico modo per avere indietro un pezzo del suo passato, anche se avrebbe dovuto lasciarlo andare subito dopo.
Non sapeva cosa fosse peggio. Non avere nulla o prenderne un pezzo e poi perderlo subito dopo.
Ma forse lo avrebbero scoperto fin troppo presto e Stiles avrebbe preferito che ci fosse un altro modo.
Uno che non potesse ridurre Sofi a un mucchio di cocci perché una cosa spezzata non sarebbe mai tornata più come prima e Stiles lo sapeva meglio di chiunque altro.
 

 

 

 

 

“Quindi devo solo addormentarmi? Tutto qui?”
Sofi tirò le ginocchia al petto e vi posò sopra il mento guardando i tre ragazzi con un misto di scetticismo e perplessità. Non che non si fidasse. Il problema non era che poteva fallire miseramente, anzi: poteva funzionare fin troppo bene.
Non sapeva cosa la aspettava dall’altro lato, né se la finestra di Martin era ancora aperta. Magari l’ultima volta che lo aveva sognato, la notte precedente, era stata davvero l’ultima e non sarebbe tornato.

Martin.
Assaporò il suo nome sulle labbra e si chiese quante volte lo avesse pronunciato nell’altra vita, con che intonazione, con quale cadenza. Lo aveva amato? Odiato? Era stato il suo migliore amico? Oppure un’amante?
Martin riapriva cassetti pieni di domande che non esprimeva mai e che ora le affollavano la mente.
C’erano momenti in cui diventavano così ingombranti da occupare tutto lo spazio.
C’era un’unica cosa che la teneva ancorata alla realtà ed erano i tre ragazzi davanti a lei: Scott che si era seduto sulla poltrona che aveva portato dalla sua stanza, Isaac che si era sistemato ai piedi del suo letto e Stiles, seduto in fondo al materasso con le gambe incrociate.
Uno a destra, l’altro a sinistra e uno al centro, un’imitazione quasi perfetta di un muro, come se volessero proteggerla da qualunque cosa provasse a sfiorarla. Il loro modo per dire al mondo che se voleva passare, doveva fare i conti con loro.
Erano l’unica ragione per cui aveva accettato di provare.
Scott, Isaac e Stiles sarebbero rimasti sempre lì accanto a lei, fino a quando non si fosse svegliata, e Sofi aveva capito che era come se stessero dicendo che avrebbero curato tutte le sue ferite.
Si sistemò meglio sotto le coperte.
“Solo dormire” le confermò Stiles “Martin compare sempre, giusto?”
“Ogni volta che chiudo gli occhi”
“Va bene. Allora devi dormire”
Sofi annuì e si coricò, rannicchiandosi sotto le coperte tirate fin sotto il naso. Normalmente quel piacevole tepore e la rassicurante presenza dei tre ragazzi l’avrebbe aiutata ad addormentarsi, ma sapere cosa la aspettava di lei – non sapere, in realtà- la manteneva vigile.
“Non riesco ad addormentarmi” confessò.
“Cosa possiamo fare per aiutarti?” le domandò Scott alle sue spalle.
“Non lo so, è una sensazione. Non è come se dovessi solo addormentarmi, c’è troppa tensione. Forse dovremmo comportarci come se non stesse succedendo nulla di strano. Dopotutto, sogno Martin da giorni, non è strano”

“Di solito cosa fate prima di andare a letto?” chiese Stiles.
“Parliamo. Beviamo cioccolata, sgranocchiamo cibo spazzatura e parliamo” disse Isaac alzando lo sguardo verso Stiles.
“Allora parliamo” dichiarò questi battendo le mani e Sofi ridacchiò.
Fu Scott il primo a raccontare qualcosa. Disse che quel giorno aveva discusso con Kira. Lui non discuteva mai con Kira e quello era una specie di avvenimento biblico. Non riusciva proprio a capire il punto di vista della ragazza, ma Sofi non dovette intervenire.
Fu Isaac a spiegargli che l’idea di giocare al laser game a San Valentino non era esattamente la cosa  giusta da dire a una ragazza e Sofi sorrise.
Il suo orizzonte era la nuca di Isaac che discuteva con Stiles e Scott. Un giorno, si disse, un giorno avrebbe trovato la donna perfetta per lui e quella ragazza, chiunque fosse, sarebbe stata molto fortunata.
E lei si sarebbe premurata di ricordarglielo sempre perché Isaac meritava una donna che lo guardasse come lei guardava Stiles, come Scott aveva guardato Allison e iniziava a guardare Kira, come Lydia guardava Peter, un po’ come se avessero appena trovato la risposta a ogni domanda e il sole fosse sorto all’improvviso.
E senza che se ne rendesse conto, allungò una mano per carezzare i riccioli di Isaac, come per dirgli che c’era qualcuno che lo amava lì, che voleva la sua felicità più di tutto il resto.
Isaac sembrò sorpreso, poi si rilassò e si voltò per sorriderle, il suo sorriso un po’ sghembo che un giorno avrebbe fatto innamorare la donna giusta.
Socchiuse gli occhi. Ora il chiacchiericcio di Scott e Stiles era solo una litania in sottofondo mentre il suo intero mondo erano i riccioli di Isaac così morbidi tra le sue dita. C’era un non so che di ipnotico nel modo in cui le sue mani si muovevano, nei cerchi che disegnava con i polpastrelli e le unghie corte.
La luce della lampadina faceva sembrare fuoco dorato e i riccioli danzavano tra le sue dita, come mille candele ondeggianti.

 

 

 

 

Quando la sfiorò con la punta di un dito, l’acqua era gelida,  una distesa di un azzurro abbagliante come non ne aveva mai visti.
In lontananza, la laguna era chiusa da scogli neri come il carbone e da una coltre di nubi e vapore che si alzava dall’acqua.
Doveva fare molto freddo ma lei, con i suoi pantaloncini e la maglietta sbiadita, si sentiva perfettamente a suo agio.
Davanti a lei, unica costruzione umana nell’arco di chilometri, c’era un ponte di assi di legno e una piattaforma ottagonale.
Era uno strano posto e Sofi aveva la sensazione, guardando la rampa, che avesse un qualche significato particolare, come se fosse il punto di partenza di un lungo viaggio tra le nebbie dell’orizzonte.
Le assi scricchiolavano sotto i suoi passi e sentiva lo sciabordio dell’acqua sotto i suoi piedi, ma continuò a camminare.
Solo allora le notò, ma forse erano sempre state lì e lei era concentrata sulla figura che si era materializzata sulla piattaforma: barchette di legno, piccole gondole piene di candele che galleggiavano sul mare.
Erano infinite, si stendevano a perdita d’occhio e probabilmente erano loro a illuminare la notte, quel cielo stellato ma senza luna che li sovrastava come un mantello.
Si fermò a pochi passi dal ragazzo, ma lui non si voltò subito. Rimase a guardare la volta stellata come se cercasse di trovare qualcosa e Sofi immaginò il suo sorriso entusiasta e la sua espressione imbronciata, chiedendosi con quale delle due stesse osservando il cielo.
Eppure non ebbe il coraggio di distrarlo perché una parte di lei percepiva che c’era qualcosa di importante nei suoi gesti, qualcosa che non potevano condividere.
Alla fine, il ragazzo si voltò.
E quando la vide e la riconobbe, si aprì in un meraviglioso sorriso, come se le stesse dicendo che per tutto quel tempo non aveva aspettato altri che lei.
“Hai aperto la finestra, Sofi. Ora ti sento” ammise con un sorriso, facendole cenno di avvicinarsi.
“Ti piace questo posto?” le chiese.
“Dove siamo?”
“Non lo so” ammise con una punta di disappunto “So solo che ci sono stato tanto tempo fa. Devo averlo amato molto se sono qui ora”
“E tutti gli altri posti in cui siamo stati?”
“Quelli erano frutto della tua mente, tuoi sogni. Io sono solo entrato da una porta secondaria”
“Tu eri sempre lì”
“Perché tu mi chiamavi e io ti rispondevo”
Le bastava. Non aveva bisogno di sapere perché o quale fosse il loro rapporto. Rimasero in silenzio per un momento, guardando l’orizzonte e la colta celeste che sembrava confluire nell’imbuto formato dagli scogli.
“Ci sono tante cose che vorrei dirti ora che posso, Sofi” ammise con un sospiro sconfitto.
“Avrei voluto avere più tempo”
“Perché ora ti sento così bene?” lo interruppe.
Le altre volte era come se un muro si frapponesse fra lei e suoi pensieri, come se lasciasse una parte di sé da un’altra parte.
Ora invece la sua mente era lucida e tutto era limpido come non era mai stato prima, persino fin troppo vivido.
“Perché hai spalancato la finestra. Prima era a malapena aperta ed era una vera fatica parlare con te”
“Come se ci fosse una parete di vetro tra noi”
“Ma ora l’hai buttata giù. Non abbiamo molto tempo”
“Perché?”
“Io devo andare” le disse con dolcezza.
“Andare dove?”
Martin le dedicò un sorriso enigmatico e Sofi smise di tentare di capirlo. Lasciò che la conducesse dove voleva perché sentiva che non le avrebbe fatto male.
Il ragazzo la guardò mentre fissava l’orizzonte. Sentiva il suo spirito accanto a lei. Avrebbe voluto che fosse eterno, ma sarebbe finita fin troppo presto. Il tempo stava per scadere, anche se tu potresti benissimo vivere per sempre in quella terra di mezzo solo per poterle far visita nei sogni e, magari, trovare il modo di andare dalla donna che hai amato, solo per rivederla ancora senza che lei sapesse che era lì. Gli sarebbe bastato fino alla fine dei tempi.
Ma non sarebbe successo.
“Volevo solo salutarti prima di andare via”
Sofi rimase un momento in silenzio.
“Non tornerai più, vero?”
“Non dopo questa notte. Il mio spirito è rimasto indietro perché voleva dirti addio, ma ora non ho più nulla che mi tenga qui”
“Potrei venire con te?”
“Suppongo che se lo volessi davvero, potresti uscire dalla finestra. Ma perché dovresti? Ho visto la tua nuova vita ed è bellissima. Ti renderanno molto felice”
Sofi ne era certa, tanto quanto sapeva di non voler andare con lui. Non c’era niente per lei dall’altra parte, mentre indietro c’erano Stiles e Scott e Isaac, Kira e Lydia, Melissa.
All’orizzonte si accese l’aurora boreale, una profusione di luci rosa e verdi, oro e azzurro e Martin sorrise. Non faceva altro, come se fosse profondamente felice di andare dovunque dovesse e l’aurora fosse una vecchia amica che rivedeva dopo tanto tempo.
“Devo andare, Sofi”
“Tu mi hai detto che le navi sono arrivate”
“L’ho detto. Sono arrivate e voi non ve ne siete accorti, ecco perché l’ho fatto. Devi capire per poterla fermare”
“Fermare chi?”
“Chi mi ha ucciso”
Tutto smise di muoversi per un momento, anche se Martin lo disse con la massima tranquillità, come se stesse parlando di un’altra persona.
“Ho tradito Amy e lei mi ha ucciso”
“Lei chi?
“Devo andare, Sofi. Non ho più tempo”
“Chi ti ha ucciso, Martin” gli chiese con un’urgenza nuova. Sentiva che quel mondo si sfaldava tra le sue mani, come se stesse collassando su se stesso, ma lei aveva bisogno di risposte.
“Le chiamano Vila. Ma non sono la sua unica vittima, Sofi. Là dov’ero prima ci sono altre persone che sono morte per aver fatto un errore. Ma tu troverai il modo di far avere anche a loro la pace, vero?”

Sofi annuì quando le carezzò una guancia.
Cadde il silenzio, ma stavolta Sofi era decisa a non romperlo. Anche se le aveva detto il nome della creatura che lo aveva ucciso e le aveva dato le informazioni che aveva, Sofi avrebbe voluto non doverlo lasciare andare.
Per qualche ragione sentiva che non era pronta, che avrebbe voluto trovare un modo per tenerlo lì per sempre.
Ma l’aurora stava sbiadendo lentamente e sapeva che non poteva permettere che lui restasse in quel luogo di nessuno per l’eternità. Doveva andare oltre.

Guardò verso il basso, verso le lanterne che galleggiavano pigramente intorno a loro.
“Non essere triste, Sofi. Sto andando in un mondo perfetto”
“Io non voglio che tu vada via” ammise con un’espressione corrucciata. Martin la conosceva bene: iniziava con il disappunto e finiva nella profonda tristezza. Ma lei non doveva essere triste. Lui stava scivolando via, la stessa sensazione che aveva provato quando era morto. Stavolta però non c’era dolore: era come perdere consistenza lentamente, ma non aveva paura.
“Sono morto, Sofi. Ma va bene così, in effetti. Sono stato lì per un attimo, ma è stato meraviglioso. Ho avuto una vita bellissima, con persone incredibili. Cosa posso chiedere di più?”
“Chiedi che non finisca” sussurrò con le labbra che tremava, stringendole forte per non lasciarsi sfuggire nessun singhiozzo.
Martin le sorrise e scosse il capo. Avrebbe voluto sfiorarle la spalla, abbracciarla e sentirsi ancora una volta umano, ma il tempo stava finendo. Martin guardava già oltre le cose conosciuti, verso un cielo dove non c’erano ricordi, tombe e dolore.
Fece un passo avanti, poi si voltò ancora una volta. Sofi lo guardava con gli occhi pieni di lacrime, ma si costrinse a regalargli un ultimo sorriso, un’espressione che sembrava dirgli va, io sono pronta mentre il vento le spostava i capelli sulle spalle.

Era l’ultima volta che si sarebbe voltato indietro.
“Non c’è bisogno di dirsi addio” le sussurrò.
Sofi accennò un sorriso lacrimoso “Ma questo è un addio, perciò dillo. Dillo e lasciami andare, proprio come io sto lasciando andare te”

Martin le sorrise e poi, inaspettatamente, si inchinò davanti a lei con le braccia aperte, come se si trovasse di fronte a una platea “Mi chiamavo Martin. Avevo vent’anni quando fui ucciso. Ti auguro una vita lunga e felice”
E poi le diede le spalle e seguì la strada tracciata dall’aurora boreale senza mai voltarsi indietro, lasciando Sofi sul molo a guardare i suoi capelli danzare nel vento e poi venire inghiottiti dai colori dell’aurora mentre lei restava immobile tra le candele che si spegnevano piano.
Si accorse che era andato, lo sentì dentro di sé come un sussurro che si placava piano, un’onda di calore che la lambì appena e le fece chiudere gli occhi per crogiolarsi in quell’ultimo frammento di Martin.
Poi tutto finì e le luci intorno a lei, le stelle, le candele, l’aurora, si spensero piano.

To be continued

   
 
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