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Autore: Jales    27/08/2014    1 recensioni
Sbuffai e mi avvicinai all’oblò, affacciandomi.
Mare, mare e ancora mare.
Non c’era altro se non quella stupida ed infinita distesa d’acqua che si estendeva per miglia e miglia in ogni direzione.
Sbuffai ancora e camminai fino alla sedia di fronte alla scrivania dove mi lasciai cadere a peso morto, lasciando andare indietro la testa e chiudendo gli occhi.
{Storia a quattro mani, Madness in me&Jales}
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo XII}
Mi guardavo le mani, la testa appena inclinata in avanti, vagamente consapevole delle parole di Azriel che seduta sul pavimento della stanza gesticolava presa dal proprio discorso.
“Alice.”
Mi accorsi solo allora che Az aveva smesso di parlare e mi guardava, con una nota di tristezza, mentre Gates mi aveva poggiato la propria mano sulle mie per richiamarmi alla realtà. Lanciai uno sguardo a lui per poi concentrarmi sulla mia amica.
“Scusami, Az.” Sussurrai, sentendomi in colpa.
“Non fa niente. Se vuoi torno... Torno dopo.” La vidi guardare brevemente Gates, come in cerca di una conferma ma non ricevette null'altro che un'occhiata neutra, così si rivolse di nuovo a me. Il suo sguardo non faceva altro che acuire il mio senso di colpa che in realtà non si circoscriveva a quel singolo episodio ma si allargava a quelli che ormai erano diventati giorni interi.
“Az-”
“Az, Gates, dobbiamo andare dal capitano.” Matt era fermo sulla porta, e i due si affrettarono ad alzarsi per seguirlo: in breve rimasi sola in cabina, la schiena appoggiata alla parete e la coperta in cui ero aggrovigliata arrotolata in vita.
Non avevo chiesto di andare con loro, nonostante lo desiderassi, perchè sapevo già benissimo quella che sarebbe stata la risposta.
Mi spiace, Al, solo noi.
Avevo insistito per i primi tre giorni, in quella che speravo poter indicare come la mia unica via d uscita da quella cabina che ad ogni respiro sembrava volersi chiudere addosso a me per schiacciarmi. Per suggerimento di Matt e di conseguenza preciso ordine del capitano ero costretta a letto senza possibilità di uscita, visto che la prima volta che avevo provato ad alzarmi ero finita a tossire di nuovo sangue accartocciata sul pavimento della nave spaventando a morte Azriel.
Sospirai e mi allungai ad afferrare la pila di fogli posata sulla cassa accano al letto, scorrendo lentamente le infinite righe di calcoli: ci avevo impiegato notti intere a incolonnare tanti numeri, costretta spesso a rifare tutto da capo per un qualche errore che mi era sfuggito fra le cifre, e ancora non ero riuscita ad arrivare ad una conclusione soddisfacente. Avevo discusso perfino con Gates e Azriel a causa di quei fogli, facendoli urlare tanto da richiamare l'attenzione di Matt e Johnny, limitandomi a rispondere pacata e facendo terminare la discussione con la porta che sbatteva dietro di loro e io che rimanevo di nuovo sola.
Tentare di capire la struttura della Grace era l'unica cosa che ancora potessi fare, relegata in cabina ed esclusa 'per il mio bene' da ogni tipo di piano che andava organizzandosi sotto la guida di Rev, e non avevo permesso a nessuno di togliermi anche questo. Li avevo costretti ad accettarlo, seppur percepissi che la cosa veniva mal sopportata, proprio coem io avevo dovuto avere a che fare con la mia prigionia impotente. Nonostante la mia determinazione non ero riuscita a trarre conclusioni accettabili sull'ammiraglia, come se mi mancasse un pezzo per poter finalmente comprendere il disegno: arrivavo vicina alla soluzione, ma ogni volta c'era qualcosa che non tornava. Se non una, un'altra.
Ripresi tra le mani il carboncino, ricominciando per quella che mi sembrava la millesima volta, e mi accorsi appena di Gates che, ore dopo, rientrava per sedersi accanto a me. Mi distrassi solo per cambiare mano, passando il carbone nella sinistra, lasciando che come di consueto lui intrecciasse la sua mano alla mia sospirando. Continuai a scrivere, sfiorando automaticamente con le dita quelle di Gates fino a che lo sentii regolarizzare il respiro.
Interruppi il mio lavoro per accarezzargli i capelli ribelli, la sua testa appoggiata accanto a me sul giaciglio, passandoci le dita. Non avevamo parlato di quello che era successo, anche se in realtà non ne avevo chiaramente parlato con nessuno: tenevo per me quella ferita che bruciava come non mai data dalla loro mancanza di fiducia in me, soffocandola il più possibile e celandola come meglio potevo. Avevo visto il dispiacere negli occhi di Johnny e Vee, e riuscivo a scorgerlo in quelli di Matt ogni qualvolta veniva a controllare come stavo. Potevo anche intuire che nella sua ostinata ricerca di cosa non andasse in me c'era la speranza di poter almeno in parte riparare al suo errore, come se facendomi stare meglio lui potesse placare quel senso di colpa che sembrava graffiarlo ogni volta che mi posava il suo sguardo addosso.
Quello che non gli avevo detto, però, era che io sapevo benissimo quello che non andava. E sapevo che non poteva farci niente.
L'aveva detto, che avrebbe ceduto.
Mio padre riusciva ad avere ragione anche da miglia di distanza, e potevo quasi sentire il suo sguardo sprezzante posarsi su di me. Era quella la sua arma, il gelido disprezzo che riversava su chiunque con un solo colpo di iridi azzurro ghiaccio: era temuto non perchè incline alla violenza, come lo era il padre di Azriel, ma perchè con una sola austera occhiata sapeva farti rimpiangere di essere nato. Era leale con tutti, fedele al fiero rigore morale che si addice ad un capitano della marina perfino con i nemici, e io stessa avrei potuto definirlo un uomo di puro ferro -indistruttibile, inflessibile, tagliente. Aveva trovato il suo posto nel mondo facendosi strada con le sue sole forze e la sua sola fedele nave, diventando testa autoritaria di un'impero che estendeva i tentacoli dall'entroterra fino a parecchie miglia sul mare.
La sua arma erano il rispetto e la paura che incuteva, ed io stessa ne ero rimasta preda fin da bambina. Non avevo subito quello che aveva dovuto sopportare Azriel, nemmeno lontanamente, trattata con ogni riguardo e letteralmente ignorata da quello che doveva essere mio padre.
Non sei fatta per stare su una nave, ragazzina, nonostante tu sia figlia di un uomo che il mare ce l'ha nel sangue.
Mollai i fogli sulla cassa, appoggiando la testa contro il legno e portando una mano al petto.
Potevo vederlo abbozzare un sorriso, mentre si voltava per camminare via lungo uno dei tanti corridoi del suo palazzo lasciandomi indietro.
Feci scivolare le gambe fuori dalla coperta attenta a non urtare Gates, poggiandole a terra, e mi appoggiai alla parete per alzarmi in piedi; tentavo di tenere il respiro regolare, nonostante sentissi il battito aumentare in immediata risposta ai movimenti. Uscii in corridoio, assicurandomi che nessuno fosse nei paraggi, e premetti il pezzo di stoffa sulla bocca per coprire il rumore dei colpi di tosse ignorando il dolore al petto.
Salita sul ponte riuscii ad arrivare fino al parapetto e, aggrappandomi ad una rete, mi sedetti lasciando pendere le gambe nel vuoto e concentrandomi sul soffocare la tosse. Piano piano mi acquietai, il sapore metallico del sangue ancora sulla lingua, e rimasi a guardare lo scuro specchio del mare illuminato dalla luna.
Ricordai una sera, quando Gates mi aveva sorpresa sul ponte in una circostanza simile, e mi si era affiancato chiedendomi se il mare mi facesse paura; avevo appreso che lui ne era attratto, affascinato, ma allo stesso tempo ne era profondamente spaventato. Ne ricordavo il sorriso imbarazzato, quasi timido nell'esporsi così tanto, che tanto mi sembrava inadatto ad un uomo dal carattere forte come era il suo. Era stata forse la prima volta che ne avevo visto il lato più umano, più simile a quello che ero io del pirata senza paura e senza mezze misure che solitamente mostrava di essere. Per quanto assurdo potesse essere, avevo sempre pensato a lui come qualcuno che non poteva provare paura... E avevo scoperto che non era così.
Abbassai lo sguardo sull'acqua sotto di me, le dita intrecciate alla rete, per poi scrutare il fianco della nave.
Fu guardando il legno della Sevenfold che capii che non sarei mai riuscita a capire la struttura dell'ammiraglia, nonostante i miei sforzi. Ero brava nella teoria e me l'ero sempre cavata evitando il più possibile gli aspetti pratici, al contrario di Azriel che pensava quanto me e agiva molto di più, e solo ultimamente mi ero dovuta scontrare con la necessità di acquistare dimestichezza con le mie mani. Su una nave pirata c'era ben poco tempo di pensare e molto da fare, e avevo dovuto sbatterci la testa... Era quell'esperienza che doveva venirmi in soccorso, ora. Avevo gli strumenti teorici per capire cosa succedesse in quello scafo, ma mi mancava qualcosa che potevo acquisire solo salendo di persona su quella dannata nave, la scintilla che mi avrebbe permesso di appiccare il fuoco.
Spostai le gambe per riportarle sul ponte: dovevo parlare con il capitano, e subito.
“Cosa ci fai qui?”
Alzai gli occhi e trovai la figura di Matt, probabilmente appena sceso dalla vedetta, ferma davanti a me; teneva le braccia lungo i fianchi, lo sguardo leggermente contrariato.
“Devo parlare con il capitano.” Risposi, ignorando la domanda. “Il prima possibile.”
Qualcosa in me dovette convincerlo a ricacciarsi in gola le domande, limitandosi ad un cenno.
“Aspetta qui. Non. Muoverti.”
Lo guardai sparire sottocoperta, mentre un vago senso di nervosismo mi si aggrappava al petto: il capitano era l'unica persona che non era mai entrata in cabina, che non avevo ancora visto dall'assalto dei marinai della Grace. L'ultima cosa che ricordavo di lui era la presa sul collo che si stringeva e l'albero maestro che mi premeva sulla schiena.
Respira.
“Alice...”
Aprii gli occhi che nemmeno mi ero accorta di aver chiuso quando sentii la voce di Matt chiamarmi incerta. Di fianco a lui pochi passi più indietro c'era la familiare figura imponente del capitano che, dopo un breve cenno, congedò Matt guardandolo sparire in coperta: non seppi dire se aveva intuito che era una cosa di cui volevo parlare solo con lui o semplicemente era lui a dovermi dire qualcosa. La seconda possibilità mi spaventava, a dirla tutta, ma decisi di accartocciarla e buttarla in un angolo della mente.
Rimanemmo a guardarci in silenzio per quella che mi sembrò un'eternità, ognuno in attesa che l'altro parlasse, finchè non accantonai i pensieri quel tanto che bastava per avere il coraggio di spezzare il silenzio.
“Devo salire su quella nave.”
Lo vidi aggrottare la fronte.
“Cosa?”
“Devo salire su quella nave.”
“E far prendere un infarto ad Azriel e a tutti quanti, rischiando la vita per niente? No.”
Strinsi i denti, mantenedo la voce ferma.
“Se mi dessi il tempo di spiegare i miie motivi, Rev, forse la situazione ti sembrerebbe diversa.”
Lo vidi incrociare le braccia, in ascolto.
“Non possiamo combattere contro qualcosa che non conosciamo.”
“Sappiamo abbastanza.”
“Non dell'ammiraglia.” Inspirai a fondo. “E io non posso lavorare solo sull'impianto teorico. Ho quello che mi serve, ma non ho abbastanza... Devo vederla, e capire come funziona per trovarne il punto debole.”
“Non se ne parla.”
“Vuoi che Azriel muoia?”
La mia domanda lo fece rabbuiare.
“Certo che no.”
“E allora devi fidarti di me, e ascoltarmi. Non puoi preparare un piano alla cieca.”
Un attimo di silenzio.
“Tuo padre ti vuole morta.”
“Lo so.”
“E come diamine pensi di salire?”
Abbozzai un sorriso.
“Se mi consegnerò, spergiurando un mio ammutinamento, non mi ucciderà. È troppo corretto per farlo.”
“Non ti crederà mai.”
“Credo di conoscerlo meglio di te... E se non proviamo non lo sapremo.”
“E se ti sbagliassi?”
Ingoiai la paura.
“Avrò tentato.”
Non sembrò convinto, e capii che quella era la mia ultima possibilità. Se non l'avessi convinto lì, su quel ponte, non ce l'avrei mai fatta... Ma d'altro canto se avessi convinto lui avrei avuto il coltello dalla parte del manico.
Per un breve momento mi balzarono chiari, in mente, i visi degli altri membri dell'equipaggio. Li respinsi.
“Dovete fidarvi di me, questa volta.” Calcai appena le ultime due parole. “Vi ho consegnato la Grace, ma se non posso darvi una mano a resistere stando su questa nave... devi lasciarmi andare.”
Non rispose, ma si limitò a voltarmi le spalle e a ripercorrere i propri passi. Chinai il capo, senza rialzarlo nemmeno quando sentii i passi di qualcuno avvicinarsi; era Matt, che mi si sedette accanto. Sentivo che era curioso ma non chiese nulla e gliene ne fui grata, non avrei sopportato di discutere anche con lui.
“Stai bene?”
Annuii appena, ma lui non mancò di notare la stoffa che avevo accanto. Sospirò stancamente.
“Dovresti smetterla di mentire.”
“Se dico la verità non vengo creduta, Shadows.”
Sapevo che era un colpo basso, e mi sentii vagamente in colpa quando lo vidi sobbalzare accusando la botta.
“Scusa.” Mi affrettai a borbottare, gettandogli un'occhiata.
Lui alzò le spalle.
“Non hai tutti i torti.” Fece una pausa, e capii che la curiosità stava avendo la meglio su di lui. Mi sistemai appena sul parapetto, a disagio, prefigurando quello che sarebbe venuto.
“Di cosa hai parlato con Rev?”
“Gli ho chiesto un permesso.”
“Te lo ha dato?”
“No. Ma non ha nemmeno negato.”
Una breve pausa prima della sua risposta.
“Starà valutando.”
“Lo spero.”
“Posso... Sapere cosa gli hai chiesto?”
Per un attimo valutai l'idea di mentirgli, ma non ne avrei ricevuto nessun vantaggio.
Abbassai lo sguardo sulle dita, che stavano torturando il bordo della maglia.
“Gli ho chiesto di lasciarmi salire sull'ammiraglia di Phoenix.”
Non realizzò subito, ma quando lo fece reagì esattamente come avevo immaginato.
“Cosa... Cosa stai dicendo?”
La voce andava pericolosamente alzandosi di volume.
“Abbassa la voce, Matt, ti prego.”
“Non la abbasso non la voce, se tu non mi dici che cazzo ti passa per quella testa!”
Mi ritrassi impercettibilmente.
“Matt...”
“NO, VAFFANCULO!”
Inspirai a fondo, tentando di mantenere il controllo.
E pensare che è solo il primo.
Respinsi il pensiero di come sarebbe stato con Azriel, e rimasi a subire immobile le urla che Matt, fuori di sé, mi riversava addosso. Non mi sorprese che dopo poco Johnny e Vee salissero sul ponte, allarmati.
“Che diamine succede qui?” Chiese il primo, confuso, mentre Vee si avvicinava a Matt per calmarlo senza però ottenere grossi risultati. Io rimasi in silenzio, immobile.
Salì anche Gates, seguito dagli ultimi due membri della ciurma: Azriel precedeva di poco Rev, che mi lanciò un'occhiata fredda.
Forse avevo sbagliato a dirlo, come mi suggerì il suo sguardo, ma intuii anche che l'avevo convinto della mia strada. Mi sentii quasi sollevata e raddrizzai appena le spalle, riportando l'attenzione su Matt che ora aveva una mano di Azriel appoggiata sul braccio: non sentii le sue parole, ma vidi l'espressione di lei mutare all'improvviso per poi voltarsi verso di me in cerca di una smentita.
Rimasi, di nuovo, in silenzio.
“No, no, NO!” Si voltò verso Rev, che in quel momento sembrava la mia immagine riflessa: immobile, in silenzio, si limitava ad osservare la scena. Sapevo che lui correva un rischio molto maggiore del mio, era il responsabile, e decidendo di lasciarmi andare si sarebbe forse preso più astio di me: l'idea era mia, era vero, ma senza il suo permesso non avrei potuto muovere un dito.
Non seguii la discussione che ne seguì, sentendo solo Rev che rispondeva pacato alle accuse dei compagni. Si mise perfino davanti a me, come difesa.
“Ora basta. La decisione è mia, e di nessun altro.”
Azriel lo fissava, incredula, fra le lacrime.
“Non puoi lasciarla fare!” Ringhiò Johnny, mentre Gates veniva trattenuto da Vee.
“STRONZA EGOISTA!”
Accusai le parole di Gates, ma non risposi. Mi morsi il labbro e tacqui.
“Non ci andrai, Azriel, verresti uccisa. Nessuno su questa nave permetterà che tu lo faccia, e non credere di riuscire a sfuggirci.” Sentii Rev rispondere, tagliente, mentre Johnny prendeva Azriel fra le braccia.
“PERCHÈ LEI SÌ?”
Avrei voluto rispondere.
Perchè io sono io. Non è vero, Rev?
SI voltò verso di me dopo che gli altri si furono allontanati, e solo allora uscii dal mio isolamento per tornare alla realtà. Mi guardava, lo sguardo adombrato da un misto di tristezza e rimprovero.
“Fa' che non abbia preso tutti questi insulti per niente, Allen, o ti verrò a cercare all'inferno.”
Sorrisi amara.
“Farò del mio meglio.”
Fece per allontanarsi e andare al timone, ma il mio richiamo lo fece fermare.
“Rev.” Dissi, la voce bassa. “Dovrai ferirmi, lo sai vero?”
“Perchè lo chiedi a me?”
“Credi che qualcun altro qui sopra potrebbe farlo?”
Lo vidi chiudere gli occhi.
“No... No.”
Inclinai appena la testa.
“Mi dispiace.”
“Torna indietro, e rimedierai.”
“Sai che non dipende da me.”
“Dipende solo da te.” Puntò gli occhi nei miei, e per un attimo mi sembrò di riconoscere un'ombra familiare nelle iridi azzurre. Raggelai, e mi scese addosso una pressante sensazione di inquietudine.
Forse mi ero andata a cacciare in qualcosa di più grande di me, era vero, ma per quel che poteva valere ero sicura di quel che stavo facendo. Quando avevo detto che non c'era altra via ne ero consapevole, che era la verità, e che l'unica che poteva salire su quella nave ero io. Nessuno degli altri sarebbe sopravvissuto altrimenti, nemmeno appellandosi al rigore morale di mio padre, e quanto ad Azriel... Nemmeno il Re Capitano avrebbe mai potuto imporsi su Phoenix riguardo a sua figlia, ma ad essere sinceri nemmeno avrebbe tentato di farlo.
Sospirai.
È l'unica via.
“Tornerò. Datemi una settimana, e tornerò.”
Lo vidi annuire.
“Proteggi Az. Non permetterle di seguirmi.” Sussurrai, abbassando la testa. “Non farle correre rischi inutili.”
Lui alzò il mento.
“Nessuno su questa nave la perderà d'occhio... Soprattutto dopo che te ne sarei andata. Tenteremo di farle capire che le servi qui, e che deve aiutarti a tornare indietro da questa nave.”
Chiusi gli occhi.
“Le sarà impossibile fuggire da qui, Alice.”
“Ho promesso a me stessa, per lei, che tra una settimana sarò di ritorno. Ho bisogno che lei vi aiuti sulla Sevenfold, perchè una volta tornata non avremo molto tempo e... come mi capisce lei non mi capisce nessuno. Intuirà quello che voglio fare, mi conosce, e vi sarà fondamentale.” Lo guardai un ultima volta negli occhi. “Lei sa che mantengo le promesse ad ogni costo.”
Lo vidi sorridere.
“Allora buona fortuna, marinaio Allen.”
Mi posai una mano sul petto, sentendo il battito irregolare del cuore sotto le dita, e risposi al sorriso.
Non cederà, non cederemo.


Note: altro aggiornamento di corsa, scusate.
Grazie ancora a chi ci segue!
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

  
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