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Autore: Jazzmary    28/08/2014    5 recensioni
Erano le dieci e mezzo quando mi accorsi di aver dimenticato la giacca nell'ufficio del preside. Avevo mezz'ora per recuperarla e per orientarmi meglio nel collegio. Quando arrivai - fortunatamente senza perdermi e incontrare qualcuno - feci un respiro profondo e vidi un ragazzo dietro la scrivania. Ci guardammo.
Era alto. Poco più alto di me, credo. Aveva le iridi di un verde profondo, capelli neri e disordinati. Indossava una felpa grigia e per pantalone una tuta dello stesso colore. Scalzo.
Mi sentii strana sotto quello sguardo indagatore.
"Lei è un professore?" ruppi quel silenzio imbarazzante. Lui sorrise e mi sentii sciogliere.
"Be', ehm, si. Io..."
Me ne resi conto solo dopo. Anche le bugie di Percy Jackson hanno le gambe corte.
Genere: Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Percy/Annabeth
Note: Lemon | Avvertimenti: PWP
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Niente è come sembra


Iniziò tutto da lì, lo giuro.

Perché niente è come sembra.

 

Tornai in stanza di corsa, ma quando fui davanti alla porta sentii dei rumori disgustosi. Mi girai piano, con un brutto presentimento.

E li vidi.

Una ragazza e un ragazzo che si baciavano approfondendo... be', le cose.

 

Se c'erano cose che non tolleravo una di queste era quella di osservare una coppietta in pieno ardore erotico.

Mi caddero le chiavi.

 

Diamine.

 

Si girarono di scatto verso di me.

 

La ragazza aveva un trucco pienamente formattato sul nero, gli occhi di un blu elettrico straordinario, i capelli lunghi e neri e il vestiario anch'esso in nero.

Ecco, lei era nero e bianco. 

Era come se la sua vera essenza si presentasse davanti a me.

Nero.

Doveva dimostrare a tutti di essere forte, di essere la dura.

Bianco.

Era la sua essenza.

Niente è come sembra.

Il ragazzo aveva la carnagione olivastra, due occhi neri ben piazzati ed era magro, bello e atletico. I neri capelli spettinati gli cadevano un po' sotto le orecchie e indossava una tuta da ginnastica grigia, le converse bianche slacciate ai piedi.

Mi osservarono. E io osservai loro.

La tensione era palpabile, la si poteva affettare con un coltello.

Il rossore sui loro volti sarebbe stato visibile da almeno cento metri di distanza.

 

"Ehm" sillabò piano la ragazza. 

Si avvicinò barcollando, lasciandomi il tempo di farmi un'idea su di sé.

 

Era bella. Caspita se era bella. 

Era bellissima.

 

"Mi spiace se..." fece un sospiro come per calmarsi "...tu abbia dovuto assistere a questo. Io e Nico..." e accennò indietro con la mano verso il ragazzo "Io e Talia siamo fidanzati" disse quello che doveva chiamarsi Nico, interrompendo la sua ragazza. Lei lo guardò come per dire "cosa?!" e si voltò verso di me, ancora più rossa. Decisi di presentarmi, nonostante non sapessi di che colorazione ero per colpa di quell'evento imbarazzante.
"Sono Annabeth, Annabeth Chase" tesi la mano.

"Oh. Non ti ho mai vista, ma il signor D aveva accennato a delle nuove arrivate. Sei quella nuova, vero?" disse Talia tutto ad un fiato, sorprendendomi per quanto potesse parlare veloce.

Sì, ma okay ragazzi, calmiamoci tutti. Sono quella nuova, ed essere presentata per "quella nuova" è tutta un'altra storia dall'essere presentati come 'Annabeth Chase'.

"Ehm, a quanto pare si" dissi titubante, trasportando il peso da un piede all'altro. Abbassai la mano, la cui stretta non era stata soddisfatta.

"So come ti senti," disse Nico "ci sentiamo un po' tutti fuori posto all'inizio, ma qui starai una favola. Basta solo che non ti fai beccare quando trasgredisci qualche regola e il gioco è fatto".

"Oh" dissi, non trovando niente da dire "bene".

Pessima figura.

"Comunque è meglio che torni in camera! Sono quasi le undici. A domani, piccola" e con questo, Nico diede un sonoro bacio sulla guancia a Talia, prima di svignarsela dentro una delle stanze del corridoio.

Talia era più rossa di un peperone. 

No, forse di più.

Prendete la cosa più rosso acceso che conoscete e immaginatevi una persona truccata di nero con quella tonalità temporanea di pelle. Ho reso l'idea? 

"Formate una bella coppia!" esclamai sincera. Lei distolse lo sguardo dalla porta in cui Nico era appena sparito, e mi guardò incredula, con quegli occhi blu da far paura.

Non tutto è quello che sembra.

Può darsi che era lei ad aver paura.

Mi stavo confondendo? Aveva un'espressione così insolita che ne rimasi sorpresa. Gli occhi spalancati. La bocca a metà tra una "o" e un sorriso.

"G-grazie" mormorò sommessamente, per poi sorridere.

"Quindi?" domandò all'improvviso, con un'altra tonalità di voce.

Non capivo a cosa si riferisse, e lei, alla mia occhiata smarrita mi disse: "oh, lascia stare. Sono quasi le undici. È meglio che vada" la seguii con lo sguardo fino alla porta.

"Annabeth?" la sentii ancora che mi chiamava.
"Si?" mi voltai.
"Domattina alle sette. Fai colazione insieme a noi! Ti presenterò agli altri" mi fece l'occhiolino prima di chiudersi la porta alle spalle, senza lasciarmi il tempo di rispondere al suo "invito", se così lo si può chiamare.

 

Inserii la chiave nella toppa.

Mi infilai dentro la mia stanza e mi chiusi la porta alle spalle, poggiando la schiena contro quella superficie di legno bianco, sprofondando e sedendomi sul pavimento.

Sentii dei passi che attraversarono il corridoio.

Qualcuno si era soffermato sulla mia porta, lo sapevo.

 

Una figura dagli occhi verdi e i capelli neri mi baluginava nella mente.

 

 

 

 

                                               ***

 

Mi svegliai di soprassalto, svegliata da un tuono.
Quella mattina ero cosciente del fatto che pioveva a dirotto, che il cielo era come se mostrasse quello che non mostravo, ossia la mia ardua tenacia del non sprofondare nella solitudine e nello sconforto. 
Alle sei e mezzo ero già vestita e in febbricitazione permanente. Non riuscivo a togliermi l'ansia di dosso, ma per quanto fossi nervosa e in iperattività, pensavo a dei certi occhi verdi. 

Chissà quando lo rivedrò...

 

In quella mattina tempestosa, dopo la doccia indossai un maglioncino di lana bianca leggero, un paio di leggings neri e le Vans bianche della scuola. Acconciai i capelli in una treccia francese laterale, dicendomi "okay, la prima impressione è la più importante. Sii te stessa" quando sentii bussare alla porta.

"Annabeth? Sei dentro?" una voce femminile. Doveva essere Talia.

Aprii immediatamente.

Ma non era Talia. Davanti a me c'era un'altra bellissima ragazza dagli occhi blu, i capelli neri lunghi e un completo casual dalla gonna e le scarpe firmate. 

"Chi...?" 

"Sono Silena Beauregard. Sapevo che eri nuova, così sono passata a prenderti per portarti in sala. Sono la compagna di stanza di Talia" sorrise. Era davvero bellissima. 

"Ti ringrazio per il pensiero, Silena" sorrisi anch'io.

"Figurati! Ho saputo da Talia che dovevi fare colazione insieme a noi, ma come al solito si è svegliata tardi, perciò ha chiesto a me di accompagnarti. Sei già pronta?".

"Si, possiamo andare".

Quando arrivammo avevo già imparato la strada e conosciuto almeno un po' più di Silena Beauregard. Era di origine francese e suo padre portava avanti una cioccolateria. Non mi parlò di sua madre, né di fratelli o sorelle. Mi parlò invece dei ragazzi del collegio e di come fossero rompiscatole e intrattabili. Sentii qualcosa di diverso in quel clima. Il modo in cui ne parlava suonava forzatamente brusco e prezioso alle mie orecchie. Era come se sotto quelle critiche, sotto quelle piccole e flebili prese in giro si nascondesse un affetto intenso e reciproco. 

"La famiglia" pensai.

Ad un tratto mi ricordai di quegli occhi verdi. Caspita quanto ci pensavo. E in quello stesso momento feci una pazzia.

"Silena?".
"Mh?".
"Come si chiama quel professore dagli occhi verdi e i capelli neri?" domandai e mi domandai cosa caspita mi veniva da chiedere. Ma mi sorprese ancor più l'espressione interrogativa di Silena, che aggrottò le sopracciglia e si accarezzò il mento, dando l'impressione inequivocabile di pensare a qualcosa di importante.

"Sarà che mi sfugge, ma Annabeth, qui non ci sono professori dagli occhi verdi. Forse se me lo descrivessi meglio..." lasciò la frase in sospeso e mi fece strada. La sala colazione-pranzo-spuntino e cena si stagliava luminosa davanti ai miei occhi.
C'erano due lunghi tavoli in mogano apparecchiati ciascuno con una tovaglia rossa patchwork, bicchieri in vetro, piatti in vetro, posate in ferro e tovaglioli di carta, usa e getta. Tutt'intorno, ai muri, c'erano tantissimi banconi con lavandini, utensili, elettrodomestici, brocche e c'era anche una porta con il vetro sulla parte superiore, coperto per metà da una tendina color panna. Il pavimento era in mattoni, bianco, immacolato e privo della più sottile polvere. Le mura erano di un leggerissimo giallo, così leggero che lo credetti sbiadito.
"Per la colazione cuciniamo da soli" disse Silena "se vuoi possiamo farlo insieme se non sai cucinare!" esclamò, porgendomi un grembiule verde che aveva preso da un armadietto. Guardai oltre la porta semicoperta dalla tendina.

"Lì dietro c'è l'orto" sentii dire da una voce maschile. Silena sobbalzò.
Non mi accorsi sùbito della presenza di quel ragazzo. Era alto e muscoloso, con la fisionomia di un afroamericano. 

"Piacere" mi tese la mano "sono Charles Beckendorf, ma la gente mi chiama solo Beckendorf. Tu sei...?".

"Annabeth Chase" gli strinsi la mano. 

Fino a poco fa, Beckendorf, chino su un bancone, stava distribuendo su un piatto del porridge, la consueta zuppa d'avena. Poco più in là vidi un ragazzo dai riccioli e gli occhi castani che stava schiacciando le patate, nella speranza di preparare un purè commestibile. Accidentalmente, gli cadde la ciotola dalle mani e quel poco di purè che era riuscito a fare, si riversò fuori dal piatto.
"Lui è Grover" disse Charles.

Grover divenne rosso e mi rivolse un'occhiata imbarazzata.
"Piacere di conoscerti, Grover. Sono Annabeth".
"Ciao, Annabeth!" disse Grover, usando una voce molto più squillante di quella che mi aspettavo. Aveva tutta l'aria di essere sollevato: non lo avevo preso in giro. E diciamoci la verità: chi non ha mai fatto cadere un piatto a terra?

Si sentirono delle urla e ad un tratto due ragazzi si precipitarono in cucina, cadendo a terra, sfiancati.

Una ragazza robusta e corpulenta, dai capelli come spaghetti, castani, e gli occhi color ruggine entrò in cucina, carica di rabbia. Gridò impetuosa: "Connor! Travis! Tutto qui quello che sapete fare!?".

I due ragazzi che dovevano essere Connor e Travis tremarono quasi dalla paura, e una profonda stima mi si riversò nei confronti di quella ragazza. Le ragazze toste sono i miei esempi migliori. Le stimerei a vita.
Comunque sia, quei due ragazzi dalle zazzere castano chiaro chiedevano perdono.

"Lei è Clarisse" mi sussurrò Silena "e quei due sono Travis - a sinistra - e Connor - a destra - Stoll. Tutti li credono gemelli, ma in realtà non lo sono".

Suo malgrado, Clarisse li lasciò vivere e si avvicinò al frigorifero in cerca di qualcosa da cucinare per colazione. I fratelli Stoll si stavano rialzando da terra, sfiancati dalla corsa, a differenza di Clarisse che sembrava non aver bisogno di respirare dopo una caccia ai criminali.

Mi chiesi cosa fosse successo.

Poi entrò lui

"Buongiorno, professore!" esclamai, un po' con troppo entusiasmo.

Portava una felpa con il cappuccio, pantaloni a bassa vita e una maglietta rossa, dalla quale si intravedevano i pettorali. Sembrava un ragazzo normale, non un professore. Ripensandoci, era troppo giovane per essere un professore. 

Persi un battito.

Mi guardavano tutti male. Tranne lui

Se avessi detto qualcosa come "sono nata prima di mia madre" o "a cinque anni facevo il bagno nella vasca dei pesci"... be', molto probabilmente avrei ottenuto lo stesso risultato. Lui mi guardava come io guardo i capolavori di architettura (s'intende: voglio diventare architetto), gli altri come se fossi impazzita. 

Travis e Connor risero. 

E risero così tanto da cadere di nuovo a terra.

Risero così tanto che iniziarono a piangere, tenendosi la pancia.

Solo le loro risate. Nessun altro parlava o rideva.

 

Travis cercò più volte di dire qualcosa. Quando ci riuscì, tra le lacrime farfugliò "lui non è un professore! Lui è PERCY!" e continuò a ridere. 

Più forte di prima.

Guardai Percy negli occhi. 

Arrivarono Talia e Nico. 

Travis e Connor ridevano.

Arrivò un'altra ragazza, sorella di Nico.

E io mi sentii più che mai presa in giro. 

   
 
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