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Autore: _Trilly_    28/08/2014    8 recensioni
Violetta, Angelica, Angie, Pablo, Leon, Diego, Francesca, Marco. Ognuno di loro ha un passato che vorrebbe cancellare, dimenticare. Si sa però, che per quanto si possa fingere che non sia mai esistito, esso è sempre là in agguato, pronto a riemergere nei momenti meno opportuni, portando con se sgomento e profondo dolore. Tutto questo perchè il passato non può essere ignorato per sempre, prima o poi bisogna affrontarlo. Ognuno di loro imparerà la lezione a sue spese.
Leonetta-Diecesca-Pangie
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Diego, Francesca, Leon, Pablo, Violetta
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Marco e Diego erano da poco usciti per andare al cinema con le rispettive ragazze, la prima libera uscita del maggiore dei due da quando era tornato dal carcere e nonostante l'iniziale opposizione di Angie e Pablo, alla fine non avevano potuto fare altro che accettare, in fondo insieme a Marco che era un bravo ragazzo, erano sicuri che non potesse fare nessuna malefatta. Certo, nessuno dei due immaginava che Diego avesse una ragazza, ma se il loro figlio minore e Francesca avevano accettato di uscire con i due, c'era la speranza che finalmente il loro ribelle figlio avesse messo la testa a posto e sentivano il bisogno di aggrapparsi ad essa con le unghie e con i denti.
Dopo aver ripulito la cucina da cima a fondo e aver fatto un bagno rilassante, Angie si lasciò cadere a peso morto sul suo morbido lettone e chiuse gli occhi. Il mal di testa che da diverse ore martellava imperterrito, a poco a poco si affievolì, fino a condurla nel mondo dei sogni, un mondo dove tra i suoi figli non c'era alcun tipo di problema e lei e Pablo avevano tutto sotto controllo. Nella sua vita mai nulla era stato sotto controllo, da maschiaccio ribelle, si era innamorata del classico bravo ragazzo, che non avrebbe potuto essere più diverso da lei. Pablo era tranquillo, intelligente, dolce, sincero, tante qualità che non era abituata a vedere in un uomo, soprattutto in suo padre. Il signor Saramego infatti, aveva abbandonato Angelica con le loro due figlie, Maria appena adolescente e lei solo una ragazzina, da quel giorno avevano sempre vissuto da sole, con una gran dose di pregiudizi verso gli uomini. Su pressione di Angelica, Maria aveva iniziato a frequentare il conservatorio, Angie invece, da pecora nera qual era, era passata da una scuola all'altra, tra cattivi voti, liti e compagnie poco raccomandabili. Aveva diciotto anni quando la sua vita era stata stravolta completamente. All'ennesima insufficienza, la sua professoressa di matematica l'aveva costretta a fermarsi a scuola di pomeriggio per un corso di recupero. Ricordava ancora, quando furiosa con l'insegnante e con sua madre, si era ritrovata tra quelle quattro mura insieme ad altri quattro studenti e un paio di giovani cervelloni. Sin da subito era rimasta colpita da quei due pozzi senza fondo che erano gli occhi di Pablo Galindo. Lui non era come gli altri, era un autentico genio, ma era anche modesto, imbranato, paziente e tanto dolce. Anche se non era compito suo, le si era seduto accanto e le aveva spiegato ciò che non aveva mai capito in tanti anni di scuola, con una semplicità e una tranquillità che l'avevano lasciata a bocca aperta. Nemmeno per un attimo aveva mostrato arroganza, fastidio o frustrazione, al contrario si era dimostrato disponibile anche a spiegarle la stessa cosa un milione di volte. Quella che per lei era iniziata come una terribile ingiustizia, si trasformò in breve tempo nella cosa più bella della sua giornata. Mai aveva amato tanto la matematica, mai si era fermata a guardare e ad ascoltare un ragazzo con tanto interesse. Le piaceva la voce di Pablo, le piacevano i suoi sorrisi e poi quella luce che lampeggiava nel suo sguardo quando si rivolgeva a lei. Quasi subito aveva avuto la sensazione di piacergli, era sempre agitato e si faceva tutto rosso quando incrociava il suo sguardo, per non parlare delle numerose matite che aveva spezzato quando lei gli sorrideva o semplicemente lo guardava con troppa insistenza. Tutte quelle cose per Angie erano nuove, lei che aveva sempre frequentato ragazzi più sfacciati, presuntuosi e sicuri di se e forse per questo Pablo le piaceva così tanto. Lui sembrava capirla, l'ascoltava, le consigliava e poi il suo essere sempre così maldestro, riusciva a strapparle un sorriso anche nelle giornate più buie. Nemmeno lei sapeva come, ma da un giorno all'altro si rese conto di essersi innamorata di lui, che con le sue parole e i suoi gesti, l'aveva cambiata radicalmente, Pablo l'aveva resa migliore. Senza saperlo poi, anche lei aveva cambiato lui. Il timido e imbranato Galindo infatti, aveva un giorno preso il coraggio a due mani e l'aveva baciata. Era l'ultimo giorno del corso di recupero, poi non si sarebbero più visti e alla fine di esso, il ragazzo si era deciso a correre il rischio. Angie che non aspettava altro, gli aveva allacciato le braccia al collo, entusiasta e da allora erano stati inseparabili. Insieme erano cresciuti, si erano costruiti una vita, si erano amati. Quando lo aveva conosciuto, Angelica era stata la donna più felice del mondo, lo aveva definito la salvezza della sua scapestrata figlia e se avesse potuto, avrebbe eretto un monumento in suo onore. Se ci pensava bene, Angelica continuava a nutrire una certa predilezione per Pablo, le si illuminavano gli occhi quando parlava di lui. Fortuna che fosse sua madre, altrimenti si sarebbe dovuta preoccupare che le volesse soffiare il marito. Lei che era la pecora nera di casa, si era innamorata del classico bravo ragazzo e addirittura si era sposata prima di Maria e di German, che stavano insieme da tempo immemore. Nel giro di pochi mesi, era già incinta di Diego e due anni dopo, era nato anche Marco. Suo marito e i suoi figli, le più grandi gioie della sua vita. Nonostante i problemi che avevano dovuto affrontare, nonostante i litigi, se avesse potuto tornare indietro non avrebbe cambiato nulla. Maria e German le mancavano tantissimo e avrebbe tanto voluto averli al suo fianco e a quello di Violetta, purtroppo però il destino se li era portati via e loro non potevano fare altro che accettarlo e andare avanti.
Angie scosse la testa, scacciando quei tristi pensieri. Era inutile pensarci, le cose non sarebbero cambiate. Maria avrebbe voluto che fosse felice e lei lo era, davvero. Diego e Marco finalmente stavano iniziando ad avvicinarsi e poi c'era Pablo, colui che più di tutti le era sempre stato accanto. Suo marito, la sua dolce metà. Pensare a lui, fece nascere sul suo volto un luminoso sorriso. Lo amava con tutta se stessa e non desiderava altro che stringersi forte tra le sue braccia. Scattò in piedi, specchiandosi nel grande specchio della sua camera. Quella dormita le aveva restituito un po' di colorito e le occhiaie dovute alla stanchezza erano quasi sparite, tutto sommato si vedeva bene, viva e con il suo Pablo lo sarebbe stata ancora di più. Non poteva non approfittare dell'assenza dei loro figli, in quel momento la casa era tutta loro. Dalla cassapanca accanto al letto, recuperò la sua vestaglia da camera blu notte, quella che Pablo adorava e dopo essersi liberata dei vestiti, restando solo in biancheria, la indossò. Si rimirò un'ultima volta allo specchio poi, soddisfatta, andò a cercare suo marito. L'uomo era seduto comodamente sul divano e stava leggendo con attenzione quelli che sembravano i conti dello Studio. Proprio quando erano da soli in casa doveva farlo? Ruotò gli occhi, poi andò a sedersi accanto a lui, accavallando le gambe. “Pablo,” sussurrò dolcemente, poggiandogli una mano sul braccio.
Lui di tutta risposta le rivolse una mezza occhiata, per poi tornare a concentrarsi su quel cumulo di fogli, probabilmente nemmeno si era accorto di come fosse vestita. “Quanti errori, mi ci vorrebbe un contabile,” mormorò pensierosamente, correggendo con decisione con una penna rossa.
“Ne hai ancora per molto?” Sbuffò la bionda, arricciandosi una ciocca dorata intorno all'indice e sollevando di poco il lembo della sua vestaglia da camera, così da mettere in mostra le lunghe gambe.
Avvertendo il fastidio nel suo tono di voce, finalmente Pablo staccò lo sguardo dai conti per posarlo su di lei e deglutì rumorosamente. Sua moglie era sempre bellissima, ma quando lo guardava con quello sguardo malizioso e quando indossava quella vestaglia striminzita, che lasciava poco spazio all'immaginazione, lui perdeva ogni tipo di razionalità e si sentiva davvero un imbecille.
“Vuoi davvero passare tutto il pomeriggio a correggere i conti dello Studio?” Lo stuzzicò Angie, passandogli un dito sulle labbra. “Siamo soli in casa, i ragazzi non torneranno prima di cena, non pensi che dovremmo approfittarne?” Aggiunse, alzandosi con grazia e portandosi i capelli sulla spalla destra, così da lasciare scoperta quella sinistra. I suoi occhi verdi nel frattempo, erano accesi di una luce che conosceva bene, una luce che era sempre stata capace di ammaliarlo. Nemmeno si rese conto di essersi alzato e di averla raggiunta. Al diavolo i conti, per quello c'era tempo, la sua bellissima moglie meritava la precedenza.
“Sei stupenda,” soffiò a pochi centimetri dalle sue labbra. L'attirò poi a se e la baciò con passione. “Pablo,” mugugnò lei, gettandogli le braccia al collo e approfondendo maggiormente il bacio. Continuarono a baciarsi, mentre le mani di lui scorrevano lungo la sua schiena e quelle di lei erano immerse nei suoi capelli. I vestiti iniziavano ad essere decisamente di troppo e proprio per questo, Angie si lasciò scivolare la vestaglia di dosso, restando solo intimo. Pablo la scrutò da capo a piedi, rapito. Avrebbe dovuto essere abituato, ma ogni volta che la vedeva in quelle vesti, si sentiva morire. Poteva esistere una donna più bella della sua Angie? Era sicuro di no e si sentiva l'uomo più fortunato del mondo al pensiero che lei avesse scelto lui, lui e nessun altro.
“Vieni?” Sorrise la bionda, tendendogli la mano. Completamente stregato, Pablo ignorò la mano e la sollevò di peso, per poi fiondarsi nella loro camera da letto. La risata della Saramego gli risuonò nelle orecchie, accompagnata dalla sua e ciò ebbe il potere di riscaldargli il cuore. “Ti amo, Angie,” sussurrò tra i suoi capelli. Angie ridacchiò, sfilandogli la t-shirt, per poi far congiungere le loro labbra. “Anch'io ti amo, tanto.”


Quel pomeriggio, Angelica non avrebbe potuto essere più agitata. Violetta sarebbe dovuta tornare dallo Studio già da diverse ore, tra l'altro non rispondeva al cellulare e nemmeno le sue amiche sapevano dove fosse. E se le fosse accaduto qualcosa? Aveva provato a chiamare Angie e Pablo, ma nessuno dei due le aveva risposto e Marco aveva il cellulare spento. Dov'erano tutti? Perché nessuno le rispondeva? Ansiosa e con mille brutti pensieri, recuperò le chiavi della macchina e guidò fino a casa Galindo. Non riusciva a stare senza far niente, aveva bisogno di parlare con sua figlia, chiederle se per caso sapesse qualcosa di Violetta. Il solo pensiero che potesse essere in giro con quel Vargas la terrorizzava. Doveva proteggere sua nipote da quel ragazzaccio, non poteva permettere che la facesse cadere di nuovo nell'oblio.
Fece le scale del palazzo dei Galindo quasi di corsa e il risultato fu che giunta sul pianerottolo, dovette piegarsi in due per riprendere fiato. Ormai non era più una ragazzina, non poteva permettersi tutti quegli sforzi. Suonò ripetutamente il campanello e solo quando stava quasi per arrendersi, qualcuno venne ad aprirle.
“Angelica,” mormorò Pablo, sorpreso, arrossendo di botto. Indossava solo una canottiera e un paio di jeans e aveva i capelli scompigliati, ma su tutto si potevano notare i numerosi segni di rossetto sul volto e sul collo dell'uomo. Bastò una mezza occhiata,per far capire alla donna che doveva aver scelto il momento sbagliato per andare da loro. “Io...ehm... ciao, Pablo,” balbettò, a disagio. “Ho tentato di chiamarvi, ma non rispondevate e...”
Galindo annuì, facendosi da parte per consentirle di entrare. “Non preoccuparti Angelica, entra pure.”
“Non volevo disturbarvi, mi dispiace,” si giustificò la donna, seguendo il genero in salotto. Sul pavimento c'era quella che sembrava una vestaglia, che un imbarazzatissimo Pablo si affrettò a raccogliere e nascondere dietro la schiena. Quel semplice gesto, fece sentire Angelica ancora di più fuori posto, forse aveva sbagliato a presentarsi a casa loro, forse avrebbe fatto bene ad aspettare Violetta a casa.
“Non preoccuparti, tu non disturbi mai. Vado a chiamare Angie,” le disse il moro, mollandola lì e andando in camera da letto. La donna allora si sedette sul divano, torturandosi nervosamente le cuciture della giacca. Alle orecchie le giunsero diversi bisbigli, provenienti chiaramente dalla camera da letto, poi seguì un lungo e teso silenzio. Dove si era cacciata la sua nipotina? Angie poteva saperne qualcosa?
“Mamma.” Un'imbarazzata Angie, uscì dalla camera da letto, seguita dal marito, che si fissava le pantofole con un certo interesse e ancora una volta, Angelica si pentì di essere venuta. Era chiaro che avesse interrotto un pomeriggio romantico tra sua figlia e suo genero e se non era stata cacciata a calci, era perché entrambi erano troppo a disagio per pensarci. Pablo aveva fatto sparire i segni di rossetto, probabilmente era stata Angie a ripulirglieli e lei, dal canto suo, era evidente che avesse racimolato i primi vestiti che aveva trovato, difatti indossava il pantalone del pigiama e un maglione grigio topo.
“Angie, tesoro,” iniziò, alzandosi in piedi. “Scusate se sono venuta senza preavviso, il fatto è che sono preoccupata per Violetta.”
“Perchè, cos'è successo?” Chiese la Saramego, preoccupata, facendo accomodare la madre in cucina e recuperando la caffettiera dalla credenza. Angelica la seguì con lo sguardo, prendendo posto e intrecciando le mani sul tavolo. “Da quando è uscita per andare allo Studio, non ho sue notizie. E se le è successo qualcosa? E se quel Vargas le ha fatto del male?” La donna continuò a sproloquiare, avanzando ogni tipo di possibile disgrazia, sotto lo sguardo confuso di Angie. “Mamma, ma cosa dici?” La interruppe, dimenticandosi per il momento della caffettiera e voltandosi verso di lei, poggiando le mani sui bordi del tavolo. “Violetta non è venuta allo Studio oggi, ho annotato io stessa le assenze in segreteria,” spiegò, facendo impallidire paurosamente la sua interlocutrice. “Come?”
“è così,” confermò Pablo, entrando in cucina in quel momento e mettendo sul fuoco la caffettiera che la moglie aveva lasciato sul lavello. “Proprio oggi, Beto mi stava dicendo che c'era una verifica, ma che Violetta non si è presentata.”
I due consorti guardarono attentamente Angelica, che ormai aveva assunto la tonalità di un cadavere e artigliava il centrino ricamato sul tavolo con sempre più enfasi. “Mi ha mentito,” riuscì a sussurrare, lo sguardo perso nel vuoto. “è tutta colpa sua, lui me l'ha trascinata di nuovo nella perdizione e...” singhiozzò, venendo subito affiancata da Angie, che la strinse in un forte abbraccio. “Tranquilla mamma, sono sicura che c'è una spiegazione logica e che Vargas non c'entri nulla. Non ti aveva assicurato di aver chiuso con lui?” Aggiunse, sciogliendo l'abbraccio e fissandola, seria.
Angelica annuì, accettando di buon grado il fazzoletto che gentilmente Pablo le offriva. “Ha detto così, ma ho paura che mi abbia mentito. Non ha mai marinato la scuola di sua spontanea volontà, c'è sempre stato lui dietro e temo che tutto possa ripetersi e... Oh Angie, io non so se riuscirei ad affrontarlo di nuovo.” Scoppiò a piangere, gettandosi tra le braccia della figlia. “Quel maledetto ragazzo! Perché non la lascia in pace?” Angie non disse nulla, limitandosi a consolarla. Con tutta se stessa avrebbe voluto credere che tra sua nipote e Vargas fosse tutto finito, ma come poteva farlo se ogni cosa la contraddiceva? Guardò Pablo, alla ricerca di una rassicurazione, ma lui scrollò le spalle, amareggiato. “Nemmeno le sue amiche ne sanno nulla? Francesca? Camilla? Posso provare a chiamare Marco, lui e Francesca sono andati al cinema e...”
“Nessuno sa nulla,” singhiozzò Angelica, aggrappandosi forte alle spalle della figlia. “La mia piccola Vilu, da sola con quel criminale.”
“Tranquilla Angelica, Violetta non è più una ragazzina ingenua,” la rassicurò Pablo, aggirando il tavolo e poggiandole una mano sulla spalla. “Sa quello che fa, non commetterà gli stessi errori.”
“Pablo ha ragione,” annuì Angie, sorridendo riconoscente al marito. Lui sapeva sempre dire la cosa giusta al momento giusto, uno dei motivi per cui lo amasse tanto. “Diamo fiducia a Vilu, forse aveva bisogno di tempo per riflettere. Vedrai che presto si farà viva.”
Angelica sospirò, sforzandosi di riprendere il controllo. “Spero davvero che abbiate ragione, altrimenti non saprei proprio cosa fare.”




“Avete una preferenza per i posti?” Chiese Diego allegramente, entrando nella sala del cinema e guardando distrattamente i quattro biglietti appena fatti alla biglietteria.
Ludmilla, aggrappata al suo braccio, si limitò a scuotere il capo. Poco dietro di loro, sia Marco che Francesca apparivano visibilmente indispettiti. Era chiaro che avrebbero preferito essere dovunque tranne che lì, ma allora perché c'erano andati? Semplice, il minore dei Galindo quella mattina aveva informato i genitori del programma del pomeriggio, ma Diego si era intromesso nel discorso, sostenendo che loro due avessero deciso di mettere da parte le divergenze e per questo sarebbero usciti insieme con le rispettive ragazze. Anche se inizialmente scettici, Pablo e Angie si erano poi dimostrati parecchio emozionati e ciò aveva scoraggiato ogni tentativo di Marco di controbattere a quella bugia. I suoi genitori erano così felici e l'ultima cosa che voleva era deluderli, per questo si era morso la lingua, limitandosi ad ostentare un sorriso di circostanza. Inutile parlare della sfuriata di Francesca quando era stata informata. “Si può sapere che cosa vuole quello sfacciato? E da quando poi ha una ragazza?”
“Che vuoi che ti dica,” aveva ribattuto Marco, scoraggiato. “Si è intromesso all'improvviso, non me la sono sentita di controbattere e deludere così i nostri genitori. Il fatto che non andiamo d'accordo li fa stare male e...”
“Tranquillo,” lo aveva rassicurato lei. “Si tratta solo di un film, in men che non si dica ci saremo liberati di lui.”
Ecco spiegato il motivo per cui Marco e Francesca fossero andati al cinema con Diego e Ludmilla.
“Allora,” insistette Diego, voltandosi verso i due fidanzati. “I nostri posti sono questi e...”
“Siediti dove diavolo ti pare,” sbottò Marco esasperato, agitando le braccia e beccandosi per questo diverse occhiatacce dalle persone che avevano già preso posto. “Se fosse dipeso da me, non sarei qui.”
Francesca e Ludmilla si scambiarono un'occhiata, a disagio, poi spostarono lo sguardo dall'uno all'altro fratello, temendo seriamente la reazione del maggiore dei due.
Diego però non reagì in maniera aggressiva come si aspettavano, al contrario si limitò a scrollare le spalle. “Hai ragione,” iniziò, lasciando tutti e tre a bocca aperta. “Non avrei dovuto auto invitarmi, ma ho pensato che avrebbe potuto essere l'occasione perfetta per appianare le nostre divergenze. Li hai visti mamma e papà, da quanto tempo non sorridevano in quel modo?”
Marco ruotò gli occhi e sospirò. Sapeva che in fondo avesse ragione, ma dirglielo esplicitamente era un'altra cosa e per questo si limitò a prendere posto, senza dire una parola. Dopo aver lanciato un'occhiata a Diego, Francesca andò a sedersi accanto al suo ragazzo, seguita a ruota da Ludmilla e per ultimo il maggiore dei Galindo, che ostentava un sorriso soddisfatto. Per tutta la durata del film, una commedia rosa scelta dalle due ragazze, che apparivano piuttosto emozionate, Marco fu silenzioso e taciturno, mentre Diego si unì ai commenti delle due, attirando di tanto in tanto la bionda a se e baciandola con trasporto. Francesca si comportava come se la cosa non la riguardasse, ma più volte si ritrovò ad incrociare lo sguardo di Diego, che sembrava quasi sfidarla. Cosa voleva da lei? Possibile che quel cinema fosse una scusa per tormentarla? Normalmente non era così presuntuosa da pensare che il mondo girasse intorno a lei, ma come spiegare altrimenti il fatto che il fratello del suo ragazzo, non facesse altro che lanciarle occhiate sia prima che dopo i baci con Ludmilla? E Marco, perché si comportava come un asociale? Non si rendeva conto che così la desse vinta a Diego? Tentò di coinvolgerlo nella conversazione diverse volte, ma la reazione di Marco fu piuttosto passiva, cosa che la innervosì non poco. Già era stata costretta a dividere una sala del cinema con quell'arrogante, se poi il suo ragazzo era così musone, si rendeva conto che quella giornata dovesse essere bollata come pessima.
“Mi passate i popcorn?” Sussurrò l'italiana, rivolgendosi agli altri due. Almeno mangiando si sarebbe distratta e non avrebbe pensato a quanto quell'appuntamento fosse terribile. Diego e Ludmilla però non la sentirono, troppo occupati a baciarsi appassionatamente. Quella visione, ancora di più delle precedenti, le fece rivoltare lo stomaco. Decisamente non aveva più fame. “Vado in bagno,” disse a Marco, che si limitò a farle un cenno del capo. Possibile che non avesse proprio nulla da dirle? Era giunta quasi a metà fila, quando voltandosi, si ritrovò faccia a faccia con Diego. Spaventata, si portò una mano al cuore, facendolo ridacchiare. “Mi hai spaventata a morte,” bisbigliò, tentando di ricomporsi. Quegli occhi verdi la scrutarono attentamente, attraversati da un lampo di divertimento. “Di solito chi si spaventa con facilità è perché sta commettendo qualcosa di illecito,” la canzonò, prendendola poi per il polso e conducendola in un angolo della sala, dato che alcune persone avevano iniziato a lamentarsi perché ostruivano loro la visuale sul grande schermo. Francesca lo lasciò fare, ma poi si liberò dalla sua stretta con stizza. “Non sono io quella che commette cose illecite qui,” sbottò, facendo per andarsene, ma la voce del ragazzo la bloccò. “Pensavo volessi i popcorn.” Le porse il secchiello pieno per metà e lei lo prese, avvertendo subito un brivido scorrerle lungo la schiena quando le loro mani si sfiorarono. Ora Diego non sorrideva, era dannatamente serio e ciò la confuse ancora di più. Cosa voleva da lei? E il suo cuore, perché all'improvviso batteva come se le volesse uscire fuori dal petto? Cosa le stava accadendo? Spaventata, si affrettò a ringraziarlo e a distogliere lo sguardo, fiondarsi nella toilette. Attraverso il piccolo e macchiato specchio sopra i lavandini, si rese conto di avere le guance rosse e accaldate e per questo si sciacquò con abbondanti dosi d'acqua. Cosa le stava accadendo? Onestamente non sapeva dirlo e per questo era ancora più preoccupata. “Calmati Francesca, va tutto bene,” sussurrò tra se e se, asciugandosi il volto e avviandosi verso l'uscita. Doveva resistere, mancava ormai poco alla fine del film, poi sarebbe tutto finito.




“Si può sapere che sta succedendo qui?”
Violetta stava per svoltare l'angolo, diretta verso casa, peccato che una voce familiare avesse attirato la sua attenzione. Voltandosi verso destra, precisamente in uno svincolo isolato, c'era proprio la persona che temeva di più di incontrare, ossia Leon e non era solo. Con lui c'era Thomas e stavano discutendo in maniera piuttosto accesa, o meglio Leon era quello ad urlare, mentre lo spagnolo, ancora soggetto alle conseguenze del precedente pestaggio, se ne stava rintanato in un angolo con lo sguardo basso. Anche da quella distanza era evidente quanto Vargas lo terrorizzasse. Qualcun altro avrebbe proseguito, fingendo di non aver notato nulla, soprattutto dopo il proposito di separare la sua vita da quella di Leon, ma non poteva farlo, non poteva e basta. Era colpa sua se Vargas aveva aggredito Thomas e probabilmente anche quella lite doveva essere dovuta allo stesso motivo e proprio per questo, con il cuore che le batteva a mille, si era affrettata a raggiungerli. “Lascialo in pace,” sbottò, tenendo però lo sguardo fisso su Thomas. Non voleva incrociare quello di Leon, lui la rendeva vulnerabile e non se lo poteva permettere.
“Non immischiarti e vattene a casa, ora!” Ribatté Leon gelido, gesticolando freneticamente. Violetta però lo ignorò, avvicinandosi al moro. “Va tutto bene?” Gli chiese preoccupata, poggiandogli una mano sul braccio. Thomas annuì, anche se poco convinto. Alternava lo sguardo da lei a Leon, quasi si aspettasse una reazione aggressiva del ragazzo da un momento all'altro e ciò lo portava a deglutire piuttosto rumorosamente. “Si, sto bene,” riuscì a sussurrare. “Vai a casa, Vilu, tranquilla.” Le indicò la strada verso casa con un cenno, ma lei scosse la testa. “Non ti lascio da solo con lui,” provò a sussurrarlo, sperando che Leon non sentisse, peccato che Vargas avesse sempre avuto un grande udito, difatti scoppiò a ridere, facendo irrigidire entrambi. “Certo, perché io sono un mostro con i denti a sciabola, non è così?” Spostò poi lo sguardo su Thomas e aggiunse: “Vattene, Heredia. Io e Violetta dobbiamo parlare.”
Thomas provò a protestare, ma la Castillo scosse la testa. “Vai, tranquillo. Non ci metteremo molto, cinque minuti e sarò a casa,” promise, sforzandosi di mostrare una sicurezza che in realtà non aveva. Il solo pensiero di dover restare da sola con Leon la terrorizzava, non perché potesse farle del male, non glielo avrebbe fatto nemmeno involontariamente, ma perché temeva la reazione del suo cuore, che purtroppo continuava a dipendere completamente da lui. In ogni caso, il suo sguardo dovette convincerlo, perché il moro annuì e si incamminò verso la strada a passo svelto, lasciandola da sola con il peggiore dei suoi incubi. Socchiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro, poi lentamente si voltò verso di lui. Leon era lì, appoggiato pigramente alla parete con le braccia conserte e un sorrisetto stampato in faccia. “Finalmente mi concedi di parlare con te,” esordì, scrutandola con divertito interesse.
Violetta scosse la testa, esasperata. “Devi lasciare in pace Thomas, non so più in che lingua dirtelo. Lui non c'entra nulla con i nostri problemi, lo vuoi capire o no?”
Leon storse il naso, infastidito. “In effetti la colpa è tutta della tua carissima nonna, che ha fatto sempre di tutto per ostacolare il nostro amore, ma ora basta,” proseguì, staccandosi dal muro e avvicinandosi a lei, fino a bloccarla contro la parete opposta, il volto a un soffio dal suo. “Noi due staremo insieme, che lo voglia o no.” La ragazza rabbrividì, erano vicini, troppo vicini. Le mancava il fiato, le mancavano le forze, tutto quello che riusciva a fare era specchiarsi nei suoi bellissimi e penetranti occhi verdi, desiderando solo di accorciare le distanze e far congiungere le loro bocche. Quanto le mancava assaporare le sue labbra, rifugiarsi tra le sue braccia, definirsi ancora la sua ragazza.
“Violetta,” sussurrò lui con voce calda al suo orecchio. “La mia Violetta, così fragile e allo stesso tempo così forte.” Con l'indice le sfiorò la guancia, su cui si propagò subito una sensazione di calore. Tutti i suoi sensi erano allerta e bramavano il suo tocco come se ne dipendesse la loro vita e forse era davvero così. Lei dipendeva da Leon, lo aveva sempre fatto. “Basta con i giochi, è ora di riprendere da dove abbiamo lasciato,” soffiò, a pochi centimetri dalle sue labbra. La giovane Castillo, intuendo il pericolo, poggiò le mani contro il suo petto, allontanandolo così dal suo volto. “Te l'ho detto, tra noi è finita,” riuscì a mormorare, facendo non poca fatica a sostenere il suo sguardo.
Leon si irrigidì e contrasse la mascella. “Ancora con questa storia!” Sbottò, stizzito, assestando un calcio al bidone dei rifiuti poco distante, facendola sussultare. “Si può sapere che ti prende ultimamente? Pensavo fossi in quel periodo, che ti avessero fatto il lavaggio del cervello, ma mi rifiuto di credere che non provi più nulla per me!” Con pochi passi le si avvicinò nuovamente, prendendola per le spalle. “Smettila di mentire a te stessa.”
La giovane deglutì, avvertendo il familiare bruciore agli occhi, che preannunciava la fuoriuscita delle lacrime. Non poteva piangere davanti a lui, doveva essere forte, doveva dimostrarsi sicura e risoluta. “Basta, Leon,” sussurrò, scuotendo il capo. “Tu hai fatto la tua scelta ed io la mia, non ha senso continuare a farci del male.”
“Farci del male?” Ripetè, incredulo. “Ci facciamo del male se restiamo distanti, dipendiamo l'uno dall'altro... è sempre stato così,” aggiunse, con un'improvvisa dolcezza, sfiorandole una guancia. “Ti amo, e lo farò sempre, così come lo farai sempre tu.”
Mai Leon aveva avuto più ragione, Violetta ne era sicura, ma cedere in quel momento sarebbe stato un errore. Se lei non fosse intervenuta, cosa sarebbe successo a Thomas? Vargas avrebbe ripetuto il precedente pestaggio? Non poteva stare con una persona simile, non poteva vivere con il rischio che facesse del male a qualcuno per poi finire in carcere. Che razza di futuro avrebbe mai potuto avere al suo fianco? Se ci pensava, l'unica cosa che le appariva alla mente era l'oscurità, quella in cui si era cullata dopo la morte dei suoi genitori, dove l'amore per Leon era l'unica ancora che avesse e che l'aveva portata a commettere molti sbagli, alcuni dei quali avrebbero potuto esserle fatali. Che avesse perso un anno di scuola era il male minore, soprattutto confrontato con la delusione che aveva causato alla sua famiglia, alla quasi distruzione del suo rapporto con Francesca e Camilla e a tutto l'alcool e il fumo che aveva fatto circolare nel suo corpo. Avrebbe potuto finire in carcere come Leon e Diego, causare la morte di qualcuno, morire lei stessa. Rabbrividì al solo pensiero. No, non poteva permetterselo, doveva proteggersi e soprattutto proteggere le persone a cui teneva. “Mi dispiace, Leon,” sentenziò perciò, con le lacrime agli occhi. “Per quanto ti amo, devo fare la cosa giusta per me e per la mia famiglia. È finita. Non cercarmi più.” Forse fu la convinzione che percepì dai suoi occhi e dalle sue parole oltre le lacrime a farlo rassegnare, stava di fatto che Leon mollò la presa sulle sue spalle, permettendole così di sgusciare via. Se a Violetta quella decisione faceva male, per lui era come la peggiore delle condanne. Lei era il suo mondo, era la speranza a cui si era aggrappato mentre era in carcere. Poteva mai vivere senza di lei? Scosse la testa, imperterrito. Non poteva arrendersi, non poteva e basta. “Risolverò le cose Amore, ti prometto che lo farò.”






Holaaaa!!!
Non uccidetemi, so che per i nostri Leonetta non ci sono miglioramenti, da dovete tener presente che uno come Leon non poteva cambiare così all'improvviso, ha bisogno di tempo e comunque vi posso assicurare che manca poco e poi ci saranno parecchi momenti per cui sclerare awwwwww :3
Nel frattempo qualcuno che sclera già c'è, sto parlando di Dulcevoz, che chissà se si riprenderà dopo la scena Pangie! Awwwwwww a loro le cose vanno benissimo, anche se Angelica si è presentata nel momento meno opportuno -.-
Uscita a quattro per i fratelli Galindo e il gioco di Diego continua ancora, destabilizzando Francesca, che davvero non sa più che pensare e forse nemmeno lui ha più tutto sotto controllo :3
Tornando ai Leonetta, l'agguato a Thomas è un altro passo falso di Leon, e la Castillo si convince che sia finita, anche se lo ama ancora tanto. Mai ragazzo fu più ottuso, almeno per il momento ;)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e come sempre vi ringrazio per il vostro costante affetto, grazie! :3
A presto, baci <3


 
  
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