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Autore: ChildOfTheDeath    28/08/2014    2 recensioni
" Cosa vedi nelle tue visioni? "
" Soltanto sabbia. Sabbia rossa, infuocata. E paura, tanta paura. "
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Quando Nico Di Angelo trascina una ragazzina al campo mezzosangue, nessuno si aspetta che quella semidea dall'aria spaurita possa rappresentare una vera minaccia. Ma Genesis Hale sa di essere completamente pazza. Sente le voci, ha gli incubi e le visioni. Visioni spaventose, di scenari apocalittici, sangue e morte.
Qualcosa di oscuro e potente si sta risvegliando, e lei l'ha visto in anticipo. Quando Rachel Elizabeth Dare pronuncia la profezia è troppo tardi.
Chaos si è ridestato dal suo profondo sonno, e reclama vendetta.
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" E' tutto nelle tue mani, ragazzina. "
" Cosa scegli? Te stessa o il mondo? "
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[ FUTURO APOCALITTICO, QUATTRO ANNI DOPO LA GUERRA DI GEA ] [ NICO/OC ]
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Twelve- Nobody’s Home

 

 

 

 

 

 

 

 

What's wrong, what's wrong now?

Too many, too many problems.

Don’t know where she belongs, where she belongs.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Genesis. >> Mark mi fissava con gli occhi strabuzzati. Aveva il volto tirato e stanco, ma il suo sguardo di disprezzo non era cambiato per niente. Giocherellai con le cordicelle che pendevano dal mio zainetto della Eastpack, nervosamente. Non pensavo di trovare proprio lui alla porta. Speravo che mi avrebbe aperto direttamente mio padre, in modo da non dover dare troppe spiegazioni.

<< Posso entrare? >> Domandai, schiarendomi la gola. Lui rimaneva immobile, a fissarmi. Alzai gli occhi al cielo, rifiutando di aspettare un minuto di più. Lo sorpassai, scostandolo con una spallata, poi mi feci spazio all’interno dell’ingresso. Non era cambiato assolutamente niente, se non il fatto che non consideravo quel luogo casa mia. Non più. Ana stava spolverando le scale che portavano al piano superiore, borbottando di tanto in tanto imprecazioni in russo.

<< Mark! Chi è alla porta? >> La voce di Moira, squillante e fastidiosa, proveniva dalla cucina. Mi sistemai meglio lo zaino in spalla, stringendo Gioiosa nella mano sinistra, fino a farmi diventare le nocche bianche. Avevo paura che un mostro saltasse fuori dal pavimento e cercasse di uccidermi. Mentre camminavo, sul parquet rimasero delle impronte di sabbia. Le mie Converse si erano sporcate per colpa dei granelli che inondavano i marciapiedi  di New York. I netturbini stavano già cominciando a spazzare le strade, ma il lavoro era piuttosto lungo e noioso.

<< Ciao. >> Mi appoggiai allo stipite della porta, facendo un cenno della mano in direzione della mia matrigna. Lasciò cadere per terra il bicchiere di vino che teneva in mano, spalancando la bocca, come se avesse visto un fantasma. Di sicuro era stata felicissima quando me ne ero andata, probabilmente si aspettava di non rivedermi mai più. Anzi, credevo proprio che avesse organizzato una festa quando mio padre le aveva detto che non sarei più tornata. Con tanto di abito da sera e cocktail con gli ombrellini colorati.

<< Esci subito da casa mia. >> Sibilò Moira, con i capelli biondi che le fluttuavano attorno al volto. Inarcai le sopracciglia. Non mi sarei fatta intimidire da quella pazza isterica.

<< Non è casa tua, è casa di mio padre. >> Risposi, facendo roteare la spada. Lei deglutì con aria melodrammatica, fissando la lama scintillante della mia arma. Non ero sicura che lei vedesse Gioiosa, più probabilmente una mazza da baseball, o cose del genere. I mortali non erano in grado di ammirare il mondo nella sua totalità ed interezza. Me lo aveva detto Leo.

<< Chiamo la polizia! >> Sbraitò, afferrando il telefono appoggiato sul tavolo della cucina. Si sentì un forte trambusto al piano superiore, poi qualcuno che scendeva le scale di corsa. Mi voltai appena in tempo per vedere mio padre che inciampava nelle stampelle. Lo afferrai per un braccio, impedendogli di cadere.

<< Sei davvero qui. >> Mormorò. Mi strinse talmente forte da farmi male alle costole. Ricambiai l’abbraccio, insicura. Sentii un’ondata di sollievo investirmi, rendendomi conto che lui stava bene. Probabilmente si era slogato una caviglia, o rotto la rotula, ma stava bene. Era vivo.

<< Dovevo controllare che tu stessi bene. >> Mi limitai a sussurrare. Quando si sciolse dall’abbraccio notai che aveva gli occhi pieni di lacrime. Mi invitò a sedermi in cucina, sotto lo sguardo stralunato di Moira, che teneva ancora in mano il telefono. Voleva sicuramente lanciarmelo in testa, stile arma contundente. Ana, che doveva assolutamente pulire il pavimento della cucina, ci servì da bere, guardandomi come se mi avesse vista per la prima volta. Non pensavo che si sarebbe dimenticata di me così facilmente, del resto mi aveva urlato contro almeno diecimila volte perché il pavimento della mia stanza era sempre disseminato di vestiti.

<< Come ti trovi al… in quel posto? >> Domandò, a bassa voce. La mia matrigna uscì dalla stanza, furibonda. Grazie agli dei, avevamo bisogno di un po’ di privacy.

<< Posso sapere come mai Ana è ancora qui? E perché eravate tutti svegli? Manca poco alle due. >> Borbottai, stringendo tra le mani la mia tazza di cioccolata calda. Non faceva freddo, ma avevo comunque i brividi. La bevanda dolce mi scaldò lo stomaco, facendomi rilassare.

<< E’ rimasta bloccata qui a causa della tempesta. Ha già pulito tutto questa mattina, ma credo che sia spaventata. Sta cercando qualcosa da fare. Comunque, non hai risposto alla mia domanda. >> Mio padre si strinse nelle spalle, poi mi lanciò uno sguardo molto triste. Forse gli mancavo sul serio.

<< Sto bene, papà, non è per me che devi preoccuparti. >> Sospirai, con voce improvvisamente cupa. Avevo smesso di avere paura per me stessa un po’ di tempo prima. Mi ero sempre considerata una persona piuttosto egoista, ma in quei cinque giorni qualcosa in me era cambiato. Era poco tempo, ma non ero più la ragazzina di qualche mese prima, che si faceva maltrattare da Mark e passava le estati in manicomio.

<< Quello che è successo a che fare con loro, vero? >> Indicò il soffitto, con aria spaventata. Ridacchiai, scuotendo la testa. Ovviamente si stava riferendo agli dei e all’Olimpo. Annuii, lentamente. Non avevo intenzione di spiegargli tutto quanto. Non avrei fatto altro che terrorizzarlo ancora di più; avevo soltanto bisogno che mi ascoltasse.

<< Non posso scendere nei particolari, ma la tempesta non è stato un episodio isolato. >> Cominciai, passandomi una mano tra i capelli.

<< Ce ne saranno altre, sempre più violente e pericolose. Dovete chiudervi in casa. Fate scorte di cibo, e soprattutto acqua, molta acqua. >> Sparai tutto d’un fiato, sporgendomi verso mio padre. I suoi occhi color nocciola si spalancarono, in un’espressione stupita e spaventata allo stesso tempo.

<< M-ma… Cosa dirò a Moira? E poi ho il lavoro, non posso… >> Cominciò a balbettare, scuotendo la testa con troppa veemenza. Finii la cioccolata calda con rimpianto, ne avrei voluta ancora. Poi riappoggiai la tazza sul tavolo, lentamente.

<< Papà. >> Lo interruppi, con durezza.

<< Non ci sarà più nessun lavoro. Si sta scatenando l’Apocalisse, e non abbiamo molte possibilità di sopravvivere. Prometti che farai quello che ti ho detto, ti prego. >> Gli strinsi l’avambraccio, incatenando il mio sguardo al suo, perché capisse quello che cercavo di comunicargli. Poi sfiorai l’elsa di Gioiosa, cercando di infondermi sicurezza

<< Non posso, Genesis. Cerca di capirmi. >> Rispose infine, con la voce spezzata. Strinsi la mascella, distogliendo gli occhi.

<< Tu non… Almeno comincia a fare le scorte, per favore. >> Esclamai, con voce piuttosto tirata. Lui mi fissò per un lungo istante, appoggiando la schiena alla sedia, con aria esausta. Si passò una mano tra i capelli brizzolati. Sembrava molto più vecchio rispetto all’ultima volta in cui l’avevo visto.

<< Ci proverò, ma… >> Si bloccò, perché Moira sbraitò qualcosa a gran voce.

<< Peter, la polizia vuole parlare con noi! >> Gridò. La sua voce proveniva dall’ingresso. Mio padre mi lanciò uno sguardo di scuse, poi si alzò, aiutandosi con le stampelle. Per un momento pensai che sarei rimasta in cucina, ma non volevo lasciarlo solo. E poi una strana sensazione di inquietudine si era improvvisamente impossessata di me. Come se ci fosse qualcosa che non andava.

<< Agenti, cosa posso fare per voi? >> Sentii l’uomo domandare, con voce estremamente cordiale. Era sempre stato molto gentile con le autorità, forse perché era un avvocato e aveva imparato molto bene a fare buon viso a cattivo gioco.

<< Mia figlia? Oh, mi dispiace, ma non è qui ora. Vede, è partita per una gita scol… >> Il corpo di mio padre volò per tutto l’ingresso, andandosi a schiantare contro le scale. Tornai in cucina correndo, afferrando Gioiosa con forza.

<< Genesis Hale! Sappiamo che sei qui! >> Quelle voci… Pamela e Michelle. Ma Nico le aveva uccise quel giorno a scuola.

Perché erano ancora vive? Perché erano tornate a cercarmi? Deglutii, cercando di ragionare a mente lucida. Non potevo scappare dall’ingresso principale, perché era bloccato dalle Empuse. Osservai le scale per un istante. Camera mia dava sul giardinetto sul retro, e dalla mia finestra potevo saltare fino ai rami del grande olmo che cresceva lì da molto tempo. Poi non mi restava altro da fare che correre fino alla fermata del pullman, sperando di seminare i mostri. Non potevo trattenerli a lungo in casa, o qualcuno si sarebbe fatto seriamente male.

<< Eccoti, ragazzina. >> Ringhiò una terza voce, sconosciuta. Mi sentii il cuore in gola.

Cazzo.

Erano in tre. Si erano portate un’altra amichetta con cui giocare. Calcolai brevemente le speranze che avevo di riuscire a sorpassarle per salire le scale. Molto scarse, ma non avevo altra scelta. Gli occhietti rossi del mostro si puntarono su di me. Pensai di utilizzare il mio potere, ma eravamo tre contro uno, e poi ero troppo lontana. Deglutii, poi mi lanciai all’attacco. Con un fendente laterale feci spostare l’Empusa, che mi lasciò spazio per scappare attraverso la porta della cucina, e raggiungere di corsa le scale. Parai un artigliata di Pamela con il piattone, poi cominciai a salire i gradini a due a due. Sentii unghie affilate e lunghissime infilarsi nel polpaccio. Gridai, dando uno strattone. La mia pelle si lacerò completamente, ma perlomeno ero riuscita a liberarmi. Però c’era qualcosa che non mi tornava. Pamela e l’altro mostro erano al piano di sotto, ma non avevo ancora visto…

<< Dove scappi, dolcezza? >> Michelle non si era ancora trasformata. Indossava una divisa da poliziotta, che- per quanto detestassi ammetterlo- le stava d’incanto.

 Non impiegò molto a diventare un’orribile creatura spelacchiata, con gli occhiali da sole. Dannazione. Doveva aver intuito qualcosa riguardo al soggiogamento. Se non riuscivo a guardarla negli occhi, non avrei mai potuto piegarla al mio volere, sempre che avessi le forze per farlo. Mi lanciai in avanti, con un affondo mirato. Michelle si scostò appena in tempo, e la lama cozzò di striscio contro al suo fianco. Il mostro produsse un sibilo disgustato, osservando qualche goccia di sangue scivolarle lungo le gambe pelose.

<< Oh, adesso sai combattere con la spada? Davvero ammirevole. >> Ghignò Michelle, scoppiando in una risata che assomigliava ad un ululato. Deglutii. Non avevo speranze contro di lei. Con la coda dell’occhio mi guardai alle spalle. Pamela e l’altro mostro erano sul fondo delle scale, e mi fissavano con odio. Ero in trappola.

<< Che bello rivederti, Michelle. Sai che stai bene con la divisa da poliziotta? >> Cominciai, con tono stridulo. Il panico nella mia voce era chiaramente percepibile, ma non avevo altra scelta, se non perdere tempo per farmi venire in mente qualcosa.

<< Lo so. A dire il vero mi dona molto più della divisa da cheerleader. >> Sorrise lei. Un sorriso orribile e spaventoso, ma evitai di dirglielo.

<< Già, lo credo anche io. Quei pon-pon erano orribili, in effetti. >> Risposi, gesticolando.

<< Sono d’accordo! E poi… >> Si bloccò.

<< Oh, aspetta. Stai cercando di fare quel giochino anche con me. >> Ringhiò, su tutte le furie.

Poi, con uno scatto fulmineo, venni artigliata per la gamba, e Michelle mi lanciò giù dalle scale. Atterrai sul pavimento dell’ingresso, battendo una spalla. Vidi soltanto puntini rossi per un istante, e quando rinvenni il dolore era come un potente e rimbombante rumore di sottofondo. Strinsi i denti, rialzandomi. La gamba destra mi cedette per un attimo, ma riuscii a rimanere in piedi. Il sangue mi colava sulla pelle, ed ero piuttosto sicura che la mia spalla non stesse affatto bene. C’era il rischio che mi fossi slogata l’articolazione, o cose del genere. Allontanai Pamela con un fendente, che la colpì allo stomaco, poi indietreggiai. C’era la possibilità di uscire dalla finestra della cucina, anche se avrei impiegato tempo ad aprirla, e mi sarei dovuta arrampicare sui fornelli. Riuscii ad abbassarmi in tempo per schivare cinque artigli diretti al mio viso, ma mi ero dimenticata che loro avessero un vantaggio numerico. Errore madornale. Il dolore alla schiena fu acuto e bruciante, mentre cadevo sul pavimento freddo. Altro sangue. Dovevo assolutamente trovare il modo di scappare, o non sarei sopravvissuta. Mi voltai, stringendo Gioiosa con forza. Se l’avessi persa sarebbe stata davvero la fine.

<< Ultime parole? >> Domandò Pamela, piantandomi uno zoccolo peloso contro al collo. Annaspai in cerca d’aria, ma lei premeva troppo forte.

<< Vai al Tartaro. >> Ma quella non era la mia voce. Una lama nera come l’ossidiana si abbatté sulla gola della biondina, recidendo di netto la testa. Approfittai di quel momento per rialzarmi, e ficcare la mia spada nel cuore della terza Empusa, che non avevo mai visto prima. Speravo di aver colpito il punto giusto, e quando il mostro esplose in una nuvoletta mi permisi di respirare di nuovo, cadendo in ginocchio.

<< Non posso lasciarti sola un secondo e tu combini un fottuto casino! >> Ringhiò Nico, infilzando Michelle nella schiena, uccidendola una volta per tutte.

<< Oh, chiudi quella bocca! >> Sbraitai, chinandomi su me stessa. L’adrenalina mi stava abbandonando, insieme ai residui di energia che mi erano rimasti in corpo. Il dolore peggiore era quello alla spalla, che, sommato ai vari tagli che avevo sulla coscia, sui polpacci e sulla schiena, rendeva la vita un vero schifo.

<< Diis Immortales, quanto sangue… >> Imprecò il ragazzo, chinandosi accanto a me. Strinsi i denti, ignorando il bruciore a tutto il corpo. Del resto era stata colpa mia se ero finita in quella situazione. Avevo immaginato che sarebbe andata a finire così, ma non potevo rinunciare a vedere mio padre. Sarebbe stato peggio di qualsiasi ferita.

<< Sto bene. >> Borbottò il mio orgoglio, al mio posto. Il figlio di Ade mi lanciò un’occhiataccia, sollevandomi senza sforzo, e dirigendosi in salotto a passo spedito. Un divano era già occupato da mio padre, in evidente stato confusionale. Mark fissava il vuoto, Moira piangeva disperatamente e Ana mi trucidò con lo sguardo quando Nico osò posarmi sulla poltrona libera, sporcando la pelle italiana di sangue. Rischiai di urlare quando la mia spalla toccò lo schienale.

<< Bevi. >> Il ragazzo mi consegnò una fialetta di nettare, che buttai giù tutto d’un fiato. Il dolore diminuì, trasformandosi in un sordo e fastidiosissimo brusio di sottofondo. Nico era piuttosto incazzato. Lo si notava dai movimenti bruschi, e dall’espressione dura dipinta sul bel volto. Chissà come faceva a sapere che ero andata da mio padre. Forse mi conosceva meglio di quanto io conoscessi me stessa.

<< Qui servono i punti. >> Mormorò, pensieroso, fissandomi la gamba con aria preoccupata.

<< Tu. Vammi a prendere un kit ti pronto soccorso. >> Ordinò a Mark. Lui, dal canto suo, rimase fermo immobile, con la bocca spalancata nell’espressione più ebete che avessi mai visto. Se non fosse stato per il male e la stanchezza sarei scoppiata a ridere e gli avrei fatto una foto.

<< Ora. >> Ringhiò Nico, facendo scattare i denti. Il mio fratellastro si riscosse, e sparì di corsa. Sicuramente non era preoccupato per me. Era molto più probabile che fosse terrorizzato dal neo-diciottenne, che in quel momento incarnava il perfetto stereotipo del figlio di Ade. Mark tornò in fretta, consegnando al ragazzo una cassettina rossa con una croce bianca sopra.

<< Da quando sai mettere i punti? >> Chiesi, cercando di sembrare divertita.

<< Farà abbastanza male. >> Mi avvertì, ignorando la mia domanda.

<< Non ho paura del dolore. >> Bugia.

<< Cercherò di metterci poco. >> Continuò, imperterrito. Annuii, e chiusi gli occhi mentre Nico infilava il filo da sutura nella cruna dell’ago.

Poi iniziò a cucire, e io mi morsi una mano per non mettermi ad urlare, mentre lacrime silenziose mi bagnavano le guance. Durò pochi minuti, ma a me sembravano passate ore quando il ragazzo recise il filo con i denti, rimettendo tutto al suo posto. Rimasi immobile per un istante, stringendo con tutta la forza che avevo il bracciolo della poltrona, mentre il bruciore diminuiva. Ne avevo decisamente abbastanza di soffrire per quella giornata. Improvvisamente mi sentii stanchissima. Mi sarei voluta addormentare su quella poltrona, e rimanere lì a poltrire per il resto della mia vita. Mi alzai a fatica, appoggiando tutto il peso del corpo sulla gamba buona.

<< Cosa credi di fare? >> Nico mi fissava con le sopracciglia inarcate.

<< Tornare a casa? >> Domandai, sarcastica. Scossi la testa, lanciandogli un’occhiataccia.

<< Non puoi camminare ora, ti salterebbero i punti. >> E mentre me lo spiegava, con tono monocorde, mi prese in braccio, mettendosi in spalla il mio zainetto. Avrei voluto dirgli che piuttosto che farmi trasportare da lui mi sarei messa a strisciare come un verme, ma avevo la lingua impastata, e mi si chiudevano gli occhi. Allungai un braccio verso mio padre, che si era addormentato, con le stampelle accanto al divano. Chissà cosa aveva fatto alla gamba.

<< Non tornare mai più, Genesis Hale. Non fai più parte di questa famiglia. >> Disse Moira, con voce maligna. Forse aveva ragione. Non ero mai stata una buona figlia, non avevo mai portato gioie in casa. Forse il mio posto non era mai stato sotto quel tetto di quella villetta di New York. E allora qual era, il mio posto? Il Campo Mezzosangue, dove tutti sembravano avere paura di me? A chi appartenevo? Chi si sarebbe preso cura di me? Magari avrei semplicemente dovuto imparare a non affezionarmi, a contare soltanto sulle mie forze. Mi sentii gelare, ma non risposi, mentre avvolgevo le braccia attorno al collo di Nico, nascondendo la testa contro al suo petto.

Il dondolio della sua andatura era così rilassante che temetti sul serio di scivolare tra le braccia di Morfeo. Sfregai il naso contro alla scapola del figlio di Ade, e lo sentii rabbrividire. Impossibile. Forse era soltanto l’effetto della stanchezza. Il viaggio nell’ombra non fu traumatico come al solito. Sentii soltanto una stretta allo stomaco, ma durò pochissimi secondi. Quando arrivammo al Campo non c’era nessuno ad aspettarci. Evidentemente Nico aveva preferito venire a cercarmi per conto suo. Decisione saggia. Era inutile mettere in allarme Chirone e gli altri soltanto perché ero preoccupata per mio padre e avevo deciso di fare una gita fuoriprogramma a New York. L’ambiente rischiarato dalla luna era silenziosissimo. Persino nella cabina di Ermes non si sentiva volare una mosca. Non volevo tornarci. Volevo restare con Nico.

<< Posso… Posso dormire da te stanotte? >> Mormorai, con la voce ovattata dal tessuto della sua maglietta. Di sicuro se fossi stata lucida non glielo avrei mai chiesto, ma del resto era vero. Non volevo svegliarmi in preda agli incubi e agli attacchi di panico. Con lui non sarebbe mai successo, perché mi faceva sentire protetta. E in quel momento l’unica cosa di cui avevo bisogno era un luogo sicuro dove riposare.

<< Ah, Genesis. Cosa devo fare con te? >> Sussurrò, ma il suo tono era divertito.

Quando aprì la porta della cabina di Ade tirai un mezzo sospiro di sollievo. Quel posto era inquietante, con le pareti nere e la quantità industriale di pugnali sparsi un po’ dappertutto, ma non mi interessava. Mi fece sdraiare sul suo letto, e sentii freddo senza il suo corpo contro il mio. Cavolo. Perché pensavo a quelle cose assurde? Mi sembrava di essere diventata la protagonista di uno di quei smielati romanzi rosa che avevo sempre detestato con tutto il cuore. Mi misi a sedere, mentre Nico frugava nel suo armadio.

<< Tieni. >> Mi lanciò una maglietta, che non ebbi la prontezza di afferrare al volo. Mi atterrò in grembo. La guardai per un istante, senza capire. Poi mi resi conto che la mia canottiera bianca era macchiata di sangue un po’ dappertutto, era sporca di sudore e coperta di sudiciume. Il diciottenne fissava il suo guardaroba mentre io indossavo la sua t-shirt e toglievo i pantaloncini, infilandomi poi sotto le lenzuola. Crollai a peso morto sul cuscino, senza riuscire a sostenere il peso della testa. Il ragazzo si sedette accanto a me, guardandomi con un’espressione indecifrabile dipinta sul volto pallido.

<< Sai cosa? Sei un cavaliere senza macchia e senza paura molto strano. >> Biascicai, con gli occhi che mi si chiudevano contro la mia volontà.

 << Hai battuto la testa, eh? >> Le sue labbra si curvarono in un sorriso sarcastico. Mi scostò una ciocca di capelli dalla fronte, quasi distrattamente, come se non ci avesse pensato. La sua mano si fermò sulla mia guancia, mentre si rendeva conto del suo gesto. Nonostante fossi nel mio mondo di unicorni rosa ed arcobaleni, mi sentii mancare il respiro al contatto con le sue dita fredde.

<< Mio padre sta bene. Mi dispiace… >> Mi interruppi, sbadigliando.

<< Mi dispiace per averti messo nei guai. >> Borbottai con voce strascicata.

<< Potevi morire, per colpa mia. Deve essere una seccatura corrermi dietro a causa della profezia. >> Bofonchiai ad occhi chiusi, mentre il sonno tirava le mie membra con più forza, per trascinarmi nella sua spirale. Prima di perdere coscienza mi parve di sentirlo sussurrare qualcosa, ma forse me l’ero soltanto immaginato.

<< La profezia non cambia le cose, Hale. Io ti proteggerei sempre. >>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Ed ecco il casino più piccolo nel casino grande. Comunque, non so se riuscirò a pubblicare il prossimo capitolo entro tre giorni, perché domani ho gli esami scritti e lunedì gli orali (AIUTO). Comunque, grazie mille come al solito, e spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Bacioni e buona fine delle vacanze :3

   
 
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