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Autore: Kiki87    29/08/2014    4 recensioni
Sebastian e Kurt sono coinquilini da quasi un anno e la loro quotidianità è una piacevole routine a cui il primo non è tanto disposto a rinunciare. Soprattutto quando Kurt annuncia il suo inaspettato fidanzamento con Blaine.
Tra machiavellici tentativi di sabotaggio e sporadiche sbronze al solito pub, Sebastian si lascia andare ai ricordi della loro convivenza. Ma sarà disposto ad ammettere che i sentimenti di Kurt non siano i soli in gioco, prima che sia troppo tardi?
“Kurt si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il respiro.
Non era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole perché fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E definitive.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5
Questa è l'ultima volta
che dirò queste parole.
Ricordo la prima volta,
la prima di molte bugie.
Accantonala in un angolo,
o nascondila sotto il letto.

Questa è l'ultima volta
che mostrerò il mio viso.
Un'ultima tenera bugia
e poi sarò fuori di qua.
Calpestala sul tappeto,
o nascondila sotto le scale.
Dicono che certe cose non muoiono mai.
Beh, io ci ho provato e provato.

(The Last Time – Keane). 1

Agosto

(meno sette mesi al matrimonio)


Capitolo 5

Mezza SegAnderson stava tramando qualcosa. Riusciva a capirlo dal modo in cui, di tanto in tanto, consultava il suo cellulare per poi sorridere con quell'espressione di puro compiacimento, che era capace di innestargli desideri omicidi. Non era la soddisfazione dell'essere riuscito ad ottenere l'attenzione altrui (soprattutto quella del fidanzato), ma l'espressione di chi stava architettando qualcosa d’interessante. Qualcosa che presumibilmente non doveva aver a che fare con Kurt.
Malgrado sfinterHunter continuasse a tormentarlo con un fastidiosissimo countdown, cercando di inculcargli che la soluzione più efficace e “banale” fosse alla sua portata, quel piccolo mistero poteva rivelarsi qualcosa d’utile ai propri fini. In un'unica mossa avrebbe potuto screditare il suo rivale, senza che questo lo mettesse in cattiva luce o lo facesse apparire come lo squallido cliché da ragazzo friendzonato e senza alcuna possibilità di successo.
L'occasione propizia sembrò presentarsi, quando lo scorse di fronte alla porta del loro loft. Stava per palesare la propria presenza al fidanzato, prima che il cellulare suonasse. Parve illuminarsi alla vista del chiamante e si affrettò ad allontanarsi dalla porta per poter rispondere e garantirsi un po' di privacy.
Brutto figlio di una vacca ingellata.
Era evidente che i suoi peggiori timori (?) si stessero avverando e stesse tuttora intrattenendo una tresca, magari con lo stesso faro con cui aveva avuto l'ardire di tradire Kurt, a pochi mesi dalla sua partenza da Lima.
Si appiattì contro la parete dell'edificio accanto, cercando di origliarne la conversazione.
“Buongiorno!”, lo sentì salutare con voce lieta. “Sì, sono io. No, Kurt non sa ancora nulla”.
Strinse il pugno, Sebastian, che si affrettò ad azionare il registratore del suo iPhone: era meglio premunirsi di avere una prova inconfutabile di ciò che stava avvenendo alle spalle di Kurt.
“Quindi è tutto confermato? Due biglietti di prima classe?”.
Ah, pure una gita romantica, magari inventando qualche scusa sui familiari a cui il fidanzato avrebbe abboccato senza la benché minima esitazione.
“Grazie infinite! Sarà una splendida fuga romantica: Kurt ha sempre desiderato visitare Parigi”.
Fuga romantica. Kurt. Parigi.
Non avrebbe saputo dire quale fosse stato il pugno più forte all'altezza dello stomaco. La mano che reggeva il cellulare ricadde lungo il fianco e si scoprì incapace di respirare per un lungo istante.
Parigi: la propria città natale sarebbe divenuta lo scenario per una smielata vacanza di coppia e l'ulteriore suggello della loro perfetta vita sentimentale.
Figlio di una barboncina incrociata ad un hobbit. Oh, Mezza SegAnderson non sai che in che guaio ti sei appena cacciato.
Attese che la telefonata fosse conclusa per poi fare la sua apparizione, le chiavi tra le mani e un'espressione di puro disgusto, quando ne incrociò lo sguardo.
L'altro ripose frettolosamente il telefono nei pantaloni, gli lanciò un'occhiata circospetta, e biascicò un saluto, dovendo sempre nascondersi dietro quella falsa educazione.
Sebastian si limitò ad infilare la chiave nella toppa ed aprire l'appartamento.
“Grazie”, mormorò Blaine con voce evidentemente sorpresa, ma prima che anch'egli potesse varcare la soglia dell'ingresso, Sebastian sbatté l'uscio alle proprie spalle.
Incurante del suo bussare insistente, appoggiò le chiavi sul mobile accanto alla porta, sul quale il cellulare di Kurt stava vibrando per la chiamata in arrivo. Lo ripose furtivamente nel cassetto (dopo averlo impostato sulla modalità silenziosa) e si affrettò ad accendere lo stereo, prima che i suoni attutiti alla porta attirassero l'attenzione del coinquilino.
“Amore”, intonò con tono flautato, premunendosi di alzare la voce, rifilando un sorrisetto sardonico alle sue spalle, quasi aspettandosi che Blaine potesse vederlo. “Sono a casa”, si annunciò e percorse rapidamente il soggiorno per giungere alla sua camera.
Non parve insospettito da quel saluto, Kurt, probabilmente troppo concentrato a decidere quale foulard indossare, ma si limitò ad osservarlo con un sopracciglio inarcato: “Spero che tu abbia comprato il latte biologico”.
“Certo che no”, recitò ancora con tono affettato, le braccia incrociate al petto.
“Sapevo che non mi avresti deluso, ignorando il mio promemoria”, rispose in tono di stoica rassegnazione, prima che le sue dita agili si muovessero a comporre un nodo così che i lembi della sciarpina scivolassero morbidamente sul bavero della camicia.
Chissà quanti usi interessanti avrebbe potuto avere quel foulard, pensò distrattamente tra sé, uno sguardo d’apprezzamento con cui ne analizzò la silhouette, soffermandosi volutamente su un ben noto pendio.
“Hai per caso visto Blaine, mentre rientravi?”, gli domandò e Sebastian lo osservò indugiare di fronte allo specchio, studiando la propria figura in diverse angolazioni, riflettendoci sopra. Tipico di Kurt: necessitare di un lasso di tempo spropositato dallo scegliere l'outfit fino a convincersi che fosse presentabile ed essere quindi pronto a mostrarsi al mondo esterno.
“No”, si strinse nelle spalle, mentendo con la stessa naturalezza di un respiro. “E il tuo culo è grandioso come sempre: quei jeans gli stanno benissimo”.
Scosse il capo, Kurt, ma gli lanciò un'occhiata più penetrante e parve dimentico delle proprie preoccupazioni. “Non ti ho sentito rientrare questa notte”.
Inarcò le sopracciglia, sorpreso da quella rivelazione inaspettata, ma non cercò neppure di celare quanto fosse stato gratificante per il suo ego.
“Adoro quando resti sveglio ad aspettarmi: pensi a me sotto le coperte?”, la sua voce si abbassò volutamente per vezzeggiare quelle parole con un'intonazione rauca e lasciva.
“Riesci a comporre una frase di senso compiuto senza riferimenti sessuali? E da quando sei un fan di Adele?”, alluse con il capo al volume spropositato dello stereo che sembrava quasi distorcere la naturale (e lodevole) estensione vocale della cantante.
Si strinse nelle spalle, ma si affrettò a svicolare. “Hanno riaperto il festival del film all'aperto a Coney Island”, annunciò ed inclinò il viso di un lato per osservarlo. “Voglio rapirti un Sabato, solo noi due, a patto che indossi di nuovo quei pantaloni bianchi”.
Suo malgrado, Kurt sorrise, l'aria addolcita. Evidentemente, oltre i suoi commenti pornografici, riusciva sempre a cogliere quel qualcosa in più. E sembrava sinceramente lieto della prospettiva e dell'idea di creare insieme un nuovo ricordo in quello stesso scenario.
“Quando vuoi, tranne il prossimo weekend: Blaine sta complottando qualcosa, ma pensa che non me ne sia accorto”, confidò con tono evidentemente elettrizzato alla prospettiva.
“Perfetto”, sbuffò come sarebbe stato naturale in tali circostanze.
Kurt gli aveva appena ristretto il campo temporale di ricerca del volo prenotato, era un buon inizio.
“Hai visto il mio cellulare?”, domandò Kurt uscendo dalla propria camera per poi sgranare gli occhi, quando sentì i tonfi alla porta.
“Arrivo, Blaine!”, lo sentì correre verso la porta. “Perché hai alzato così tanto il volume?”.


~

Non era stato difficile, con il proprio spirito d’intraprendenza, scoprire le altre informazioni utili al viaggio. Certo, scovare i biglietti nella tasca della giacca di Blaine (con tanto d’indicazioni relative a numero di volo e orario di viaggio) era stato più che utile, ma la sfrontatezza e la furbizia avevano fatto tutto il resto. Doveva soltanto sperare che il fattore “casa” giocasse a proprio favore, ma se così non fosse stato, avrebbe avuto una Mezza SegAnderson impegnata a giocare il ruolo del fidanzato perfetto, e ciò avrebbe potuto renderlo più vulnerabile al sabotaggio del matrimonio.
Fu con aria particolarmente compiaciuta che entrò al Penguin Pub quella sera e lo sguardo saettò subito in direzione del dottorino che, con la sua migliore espressione da bifolco, serviva i clienti, sbirciava il proprio libro di testo e di tanto in tanto gettava occhiate al palco, nella speranza che la bionda ballerina senza tette si accorgesse della sua dubbia utilità tra gli esseri umani.
Prese posto al proprio sgabello, ma quando il suddetto barista si volse ad osservarlo, aggrottò le sopracciglia con espressione sospettosa, dietro le lenti degli occhiali da lettura.
“Che cosa hai fatto?”, chiese a mo' di saluto.
Sorrise, Sebastian, evidentemente lusingato dalla propria fama che sembrava precederlo, persino prima che condividesse il suo ultimo piano. “Assolutamente niente”, scrollò le spalle. “Dammi una birra, per favore”. Aggiunse l'inconsueta formula di cortesia.
Continuò a scrutarlo, Hunter, e il cipiglio s’incupì ulteriormente, mentre incrociava le braccia al petto. Non aveva mosso sopracciglio a quel modo di parlare desueto, evidentemente era una conferma che qualcosa stava accadendo.
“Manchi da cinque sere di fila e stai gongolando, eppure non ho letto nessun Blaine Anderson tra gli annunci recenti di morte, quindi-”.
“Credimi”, si sporse sul bancone, puntellandosi sui gomiti e rivolgendogli il suo sorriso più convincente. “Per quanto sia esaltante vederti ignorato da una bambina di 7 anni nel corpo di una ballerina da bettola, ” alluse al palco con un cenno del mento e sorrise del lieve rossore sul volto dell'altro, “ho interessi al di fuori di te. Molto piacevoli anche”.
Non batté ciglio. “Che cosa hai fatto?”, ripeté la domanda, trattenendo il boccale e spostando il braccio dalla sua portata, a mo' di velata minaccia.
Si strinse nelle spalle, Sebastian. “E dire che volevo proporti un brindisi a Parigi: vado in vacanza”, lo informò con la stessa voce flautata.
“Oh”, parve vagamente spiazzato. Avvicinò il bicchiere, ma lo trattenne ancora tra le dita.
“Stai rapendo Kurt?”. Tutt'altro che intimorito all'eventualità, sembrava piuttosto curioso di vedere appurata una propria teoria. Probabilmente qualche basilare nozione di neurologia gli dava la (illusoria) speranza di riuscire a capire una mente manipolatrice e subdola come la propria.
Roteò gli occhi. “No, nostalgia di casa, per così dire”, aggiunse in tono evidentemente divertito, prima di prendersi la bibita.
Suo malgrado, il barista partecipò al brindisi: si versò a sua volta un bicchiere che fece cozzare contro quello del suo cliente più fedele. Sorseggiò lentamente, ma l'espressione perennemente sospettosa parve affievolirsi. Sembrò persino rilassarsi.
“Ti farà bene cambiare aria: magari vedrai le cose in modo diverso”.
“E' quello su cui conto”, recitò Sebastian che non parve, tuttavia, riuscire a condurre ulteriormente quella recita, perché ghignò. “Non vedo l'ora di godermi la faccia della Mezza SegAnderson: si è tanto impegnato perché Kurt non lo sapesse”.
Poco mancò che Hunter non gli sputasse addosso la propria birra. “Tu hai fatto cosa?”.
Non urlava mai Hunter Clarington (o almeno non da sobrio), ma era esilarante il modo in cui il suo cipiglio, perennemente guardingo e rigido, poteva scomporsi e così la sua voce assumere una tonalità più stridula. In verità avrebbe dovuto persino offendersi per come si fosse bevuto la scusa della nostalgia della madre patria.
A giudicare dal pulsare della vena sul collo e dal modo in cui la sua mascella stava fremendo, sembrò essere in procinto di una sfuriata.
“Qualcuno ha visto le mie chiavi?”.
Provvidenziale fu l'intervento di Brittany Pierce: Sebastian osservò come l'espressione dell'altro mutò tanto repentinamente da dare l'impressione che fosse posseduto da chissà quale entità trasudante testosterone. Sospetto più che legittimo, a giudicare da come si era impettito e come un repentino sorriso ne avesse increspato le labbra, con un effetto piuttosto inquietante, quasi stonasse coi suoi lineamenti.
Così preso da quella visione, neppure si era avveduto che Santana Lopez, con la scusa del prendersi da sola la bottiglia di vodka, gli aveva rifilato tra le mani il mazzo di chiavi incriminato, mentre la biondina cominciava a cercare sul bancone.
Con aria stolida, il barista sollevò il portachiavi, fissando con aria perplessa la chincaglieria di
statuine, perline e ciondoli con cui era stato arricchito l'anello intorno a cui erano avvolte le chiavi, ma fu quel tintinnio ad attirare l'attenzione della ballerina.
Batté le mani con un sorriso entusiasta e saltò agilmente per sedersi sul bancone a pochi millimetri da Sebastian che si scostò come se temesse di essere contaminato dalla stupidità della scena.
Era come osservare un bulldog, impegnato fino a pochi secondi prima ad abbaiare e ringhiare contro una volpe (modestamente meritava di essere paragonato ad un animale così intelligente e sensuale), e il suo repentino ammansirsi allo scodinzolare di una femmina di volpino2.
Rifilò un'occhiata risentita alla latina che sorrideva alla biondina con aria stucchevole, quasi materna, come se le avesse appena confidato di essere scampata ad una gravidanza indesiderata.
Brittany si sporse verso il barista che schiuse le labbra come un pesce prima d'agganciarsi all'amo e Sebastian chiuse gli occhi, come se la visione fosse fonte d’indicibile dolore, ignorando volontariamente le occhiate sardoniche che gli stava lanciando Santana.
“Sei il mio angelo”, trillò la ballerina che, prese le chiavi, gli baciò rumorosamente la guancia, lasciando così un'impronta ben visibile di rossetto. “Ops!”, aveva riso prima di sporgersi a cancellarla con la mano. A quel punto, fortunatamente, anche Santana Lopez doveva aver raggiunto il livello massimo di glicemia tollerabile. “Ben fatto, zucchero, andiamo: mi serve qualcuna che balli sullo sfondo, mentre canto per Trouty”.
“Ciao”, aveva fatto ondeggiare la mano. “E ancora grazie mille!”.
“Ciao”, fu la risposta, mormorata con voce flebile, prima che si schiarisse la gola, cercando nuovamente di darsi un contegno, esibendo nuovamente (e invano) il sorriso più affascinante di cui fosse in dotazione. “E' stato un piacere”.
Sollevò gli occhi al cielo, Sebastian, mentre la latina artigliava malamente Brittany per il braccio, facendola scendere dal bancone e conducendola verso il palco.
“Banale e scontato, mi deludi Lopez”, borbottò Sebastian al loro passaggio.
Sorrise, Santana, la mano libera puntellata sul fianco: “Non sarà la tua unica delusione, Ciuffo Disney”, lo blandì e Brittany parve trovare il paragone particolarmente calzante, tanto da ripeterlo tra sé, battendo le mani, pur ignorata da entrambi.
“Preparati a pagarmi le scarpe con cui prenderò Lady Hummel a calci in culo, se non ti farà tornare il sorriso”, gli pizzicò il naso, inducendolo a scostarsi con uno scuotimento del capo.
Soltanto in quel momento Hunter Clarington sembrò ricordarsi di respirare. Sbatté le palpebre, come se si fosse appena riavuto da un sogno.
Si volse al barista, Sebastian, quasi tentato di sventolargli davanti una mano (e poi usarla per colpirlo sulla mascella con la macchia rosata, che gli dava un'aria ancora più gay), ma si schiarì la gola e sollevò gli occhi al cielo. “Beh, ti saluto: dovrò svegliarmi presto domattina”.
“Frena, frena, frena!”, dal modo in cui lo ripeté, la voce sempre più stridula, capì che era tornato in sé finalmente. Anche se sembrava faticare a mettere insieme le parole per l'ennesima predica, mentre lo fissava con occhi sgranati.
Avrebbe dovuto far analizzare il profumo e gli agenti chimici del cosmetico della svampita per accertarsi che non ne avessero ridotto l'ossigenazione al cervello.
“Mi stai dicendo che sei serio?”, gli chiese inorridito. “Ti aggregherai al loro weekend di coppia?”, lo pronunciò quasi sperando che il suo stesso tono potesse rendergli palese l'assurdità del proposito.
“Non sarebbe certo la prima volta che Kurt ed io viaggiamo insieme”, sorrise con espressione soddisfatta. “Allora la Mezza SegAnderson era il dettaglio sgradito, gran bei tempi”.


Ricordami perché dovresti tornare in quello sputo di città che chiami casa, per vedere uno scandaloso riadattamento di Grease, in cui ci sarà quel porco traditore del tuo ex ragazzo”, fu l'asciutta richiesta di Sebastian, guardandolo con le braccia incrociate al petto, sulla soglia della sua camera.
Sospirò, Kurt, interrompendosi per un solo istante dal riporre gli abiti piegati nella propria valigia. “Non sto tornando là per vedere Blaine. Mio fratello ha sostituito Schuester nel dirigere lo spettacolo, voglio essere là per sostenerlo”, spiegò con voce paziente, ma l'aria di chi avesse già affrontato quella discussione.
Quindi non ti farà alcun effetto rivederlo?”, lo squadrò con le sopracciglia inarcate, per nulla convinto da quella sconcertante novità.
Kurt sospirò, interrompendosi nuovamente per osservarlo.
Non posso escluderlo sinceramente, ma di certo non cambierà ciò che provo o il fatto che la nostra storia sia finita”.
Di fronte allo sguardo penetrante dell'altro, si affrettò ad aggiungere: “E poi potrò rivedere mio padre e questa è la cosa più importante”.
Parve soddisfatto, Sebastian. O almeno più tranquillo, seppur ancora nettamente contrario all'idea. “Mi auguro per te che ci sia una caffetteria decente”, commentò in tono suadente.
Se pensi che ti porti un souvenir-”, non aveva neppure sollevato lo sguardo, Kurt.
Alzò gli occhi al cielo, Sebastian. “A che ora parte il volo?”, chiese in tono esplicito.
Sbatté le palpebre, Kurt, fissandolo con occhi sgranati. “Non starai pensando di-”
Scrollò le spalle. “Non ho niente di meglio da fare e sono curioso di vedere chi hai mollato per me”, illustrò con tono incurante, come fosse qualcosa di perfettamente naturale e la sorpresa di Kurt fosse inopportuna.
Sospirò, quest'ultimo. “Non sei divertente ma... grazie, è un bel gesto. Anche se ci sarà Rachel”, lo disse a mo' di avvertimento.
Motivo in più per venire: potrei gettarla dal finestrino dell'aereo”, ma si avvicinò e si sporse al suo viso, malgrado fossero separati dal letto.“E poi ti mancherei troppo”, aggiunse con voce più lasciva.
Gli gettò addosso il proprio maglione, Kurt, e Sebastian rise con aria sorniona. Lo osservò con aria meditabonda, prima di ammiccargli. “Sto per farmi una fantasia indecente su di te e questo”, lo indicò con aria trionfante. Uscì dalla stanza, senza alcuna intenzione di restituirlo al proprietario.
Sei disgustoso... e ridammelo! E' puro cachemire!”, Kurt abbandonò la valigia e circumnavigò il letto per seguirlo.
Mhmmm, le cose pure che diventano sordide: sembra la storia della nostra convivenza”, sospirò Sebastian nell'affondare il viso contro la morbidezza del tessuto, ad inspirarne il profumo dolce e penetrante.
Sebastian!”.


“Hai già deciso, vero?”, sospirò Hunter con aria sconfitta, più che consapevole che le sue parole ne avrebbero soltanto rafforzato la risoluzione.
“Assolutamente”, incrociò le braccia al petto con un sorrisetto accattivante.
“Ti raccomanderei di non fare stronzate, ma chi voglio prendere in giro? Questa storia non mi piace per niente, Sebastian”. Sospirò con aria grave.
“Peccato, stavo pensando di mandarti a pezzetti una ballerina del Moulin Rouge, anche se di plastica sicuramente servirebbe al tuo scopo”, sminuì il tutto con uno scrollo di spalle.
Aveva sollevato la zip della giacca e si era rimesso in piedi.
“Sebastian”, lo richiamò Hunter, evidentemente avendone ignorato l'ultima provocazione.
“Buona fortuna e... torna intero”, parve ammonirlo con le sopracciglia inarcate.
Qualcosa gli diceva che non era la salute fisica quella a cui stava alludendo in quel momento e che era davvero preoccupato che quel viaggio gli causasse ben altra sofferenza. Ma dopotutto, era comprensibile (e quasi degno di compassione) che con le sue bassissime percentuali di successo in ogni ambito, vedesse sempre tutto nero.
Accostò la mano aperta alla fronte, imitando un saluto militare e si confuse tra gli avventori.
“Sebastian!”, lo richiamò in tono aspro, dopo trenta secondi.
“Lo so che mi ami, ma devo andare: lo sai anche tu che è meglio per entrambi”, gridò prima che Santana Lopez potesse avviare la base per il suo assolo, profittando del silenzio che era sceso nella locanda, attirando su di sé tutti gli sguardi.
Ghignò, quando la ballerina bionda rischiò di perdere l'equilibrio, dopo aver passato gli ultimi minuti a volteggiare su se stessa. La vide boccheggiare e avvicinarsi a Santana, come a chiederle spiegazioni. Quest'ultima rifilò un'occhiata di fuoco a Sebastian che sembrava promettergli vendetta, ma coprì il microfono e assunse nuovamente una pseudo espressione materna, nell'appoggiare la mano sulla spalla della biondina.
Hunter, più rigido che mai e cercando di ignorare le occhiate divertite che stava ricevendo, serrò la mascella: entrambe le guance erano ugualmente arrossate. “Paga la birra, bastardo”, ringhiò.
Rise, Sebastian, il viso appena inclinato di un lato. “Adieu mon ami!”, con un ultimo cenno di saluto, si volse ed uscì dal locale.

~

“Non posso crederci che tu abbia organizzato tutto senza dirmi nulla!”, il tono di Kurt lasciava trapelare tutto il suo entusiasmo e incredulità. Il sorriso si espanse sul suo volto e il luccichio delle iridi ne rivelò persino un moto di commozione. “Parigi”, sospirò con tono sognante, “la città dell'amore!”.
“La nostra città non potrebbe che essere...AHI!”.
Si erano voltati entrambi mentre Sebastian, la sua migliore espressione di sorpresa e di finto dispiacere, riponeva una sacca da viaggio nel vano al di sopra dei sellini. Si era tuttavia premunito di colpire Blaine nel farlo.
“Ops!”, si scusò portandosi teatralmente una mano alle labbra.
“Cosa ci fai qui?!”, chiese la coppia all'unisono.
Sebastian, l'aria incurante, si lasciò cadere sulla propria poltrona, lato finestrino, collocata esattamente dietro il posto del coinquilino. Si stravaccò con aria indolente.
“Non te l'ho detto, Kurt?”, simulò un'espressione confusa. “I miei nonni festeggeranno le nozze d'oro... o quello che sono”, un vago cenno della mano a testimoniarne la totale indifferenza, mentre socchiudeva gli occhi con l'aria di chi avrebbe approfittato del viaggio per un sonnellino.
“Ma non li vedi da Natale!”, replicò l'altro con voce stridula per l'indignazione.
“Troppo tempo, hai ragione”, si finse realmente rammaricato.
“Di cinque anni fa”, puntualizzò, incrociando le braccia al petto e rifilandogli un'occhiata sospettosa. Seppur fosse sempre stato abile a comprendere quando la sua ironia celava volontariamente il suo reale stato d'animo, sembrava non sospettare assolutamente che le sue intromissioni potessero avere origine da qualcosa di più dell'avversità nei confronti del fidanzato. Se anche si fosse bevuto la storia dei parenti, a volte sembrava aver dimenticato tutto di sé, da quando Blaine era tornato nella sua vita.
“Tu ci stai sabotando!”, fu l'accusa incredula di Blaine. “Non so come abbia fatto a scoprirlo, Kurt!”, aggiunse in tono lamentoso e risentito.
“Sei persino più egocentrico di quanto credessi, se pensi che voglia farvi da stalker”, sospirò Sebastian, schiudendo gli occhi soltanto per osservarlo con aria schifata.
“Non ci rovinerai la vacanza!”, lo additò, Blaine, con aria accusatoria, sporgendosi dal proprio sellino per fissarlo dall'alto al basso.
Si strinse nelle spalle, Sebastian, un ghigno divertito. “Basta guardarti per rovinarsi il divertimento”.
“Ok, basta tutti e due”, sancì Kurt che sollevò le mani come ad esortarli a tacere.
“Parigi è una città grande per tutti e tre e Sebastian ha impegni familiari, anche se mi offende che non mi abbia chiesto consulto per un regalo appropriato per l'occasione”, aggiunse con tono stridulo.
Sebastian avrebbe desiderato credere che stesse reggendogli il gioco per evitare di insospettire il fidanzato. Che vi fosse un complice segreto e quel weekend fosse stato progettato soltanto per loro. Che tutto fosse sotto gli occhi di Blaine, ma lui fosse incapace di accorgersene.
Sì, sarebbe stata una fantasia eccitante per la prossima doccia.
Guardò entrambi, Kurt, e sorrise come se già si sentisse partecipe dell'atmosfera parigina, vicinissimo a sfiorare un sogno a cui Sebastian (e doveva ammetterlo con rincrescimento) non aveva mai pensato fino a quel momento. “Non roviniamoci il soggiorno ancora prima di arrivare”.
“Hai ragione, amore”, gli sorrise Blaine con aria stucchevole, quasi le sue parole bastassero a mutarne completamente lo stato d'animo. Ne strinse la mano, prima di sedersi, per poter ignorare lo sgradito passeggero alle loro spalle.
Lo scimmiottò, Sebastian, a mezza voce, ma scosse il capo e sorrise al finestrino: c'era tempo sufficiente per tutto.


Salutò enfaticamente la coppietta, quando giunsero all'aeroporto (aveva già fotocopiato gli itinerari di viaggio di Mezza SegAnderson, davvero molto poco furbo lasciare tutto quel materiale prezioso nella giacca) ed era uscito con incedere sicuro, insinuando gli occhiali da sole e sorridendo.
Dopotutto si trovava a casa. E non aveva la benché minima intenzione di sprecare tempo con un giro turistico. Inoltre sarebbe stato meglio concedere alla coppia un po' di spazio, così che la prossima mossa potesse essere studiata accuratamente.
Non era certo necessario che sapessero che aveva prenotato una camera nel loro stesso albergo e ringraziò la sua naturale riservatezza sulle questioni familiari, così che Kurt non potesse minimamente avere un'idea di dove abitassero i parenti, se mai avesse voluto controllare.
Suo malgrado, aveva già contemplato quanto ridotte fossero le probabilità che i due si separassero, ma sarebbe stato pronto per ogni evenienza.
Non gli mancava particolarmente Parigi: quell'aria elegante e sofisticata che gli americani invidiavano, era sopravvalutata per i suoi gusti. La Tour Eiffel tanto decantata come “la stella di Parigi”, era soltanto una rozza costruzione in ferro.
Per quanto la capitale europea fosse lodata in ambito artistico, letterario, gastronomico e persino per la moda, aveva sempre saputo di volerne fuggire. Soprattutto da quando aveva accettato la sua verità più intima.
Scosse il capo al pensiero e l'aria parigina sembrò soffocarlo, proprio come allora.
Era da molto che non si confondeva tra la folla, sentendo quel brusio nella sua lingua madre come sottofondo, ma lasciò vagare la mente, come si era abituato nelle lunghe passeggiate per le strade di Brooklyn.
Se una parte di sé, con intonazione che ricordava fastidiosamente un certo barista, sembrava pungolarlo sulla potenziale inutilità di quel viaggio, la più reattiva e pragmatica si scrollò di dosso le preoccupazioni.
“Parfait”, mormorò tra sé e sé, giunto di fronte all'agenzia di viaggi.



Come aveva immaginato, lo spettacolo era stato pietoso in misura tale da fargli desiderare di andarsene dopo i primi minuti.
Non lo stava più realmente seguendo: il suo sguardo era tutto per il giovane al suo fianco che sembrava completamente partecipe dell'atmosfera. Un solo istante aveva ridestato Sebastian, quando il giovane vestito interamente di bianco, nella parte del Teen Angel, apparve nella visione della ragazza (in uno spezzone di musical che aveva sempre ritenuto inutile) e non ci volle molto a capire che si trattasse proprio di lui.
Il modo in cui Kurt si era irrigidito all'improvviso, muovendosi sulla poltrona come desiderasse nascondervisi e la repentinità con cui l'altro lo aveva scorto dal palco, furono eloquenti.
Il moretto sgranò gli occhi con evidente sorpresa che quasi lo deconcentrò abbastanza da ritardare il canto.
Beh, pur essendo consapevole di essere unico nel suo genere e sessualità, si era aspettato qualcuno di più... interessante. L'idea che fosse Kurt “l'attivo” della relazione era abbastanza da farlo sogghignare. Unendo a ciò le sopracciglia triangolari e cespugliose del ragazzo, doveva supporre che il cervello ( per non parlare delle retine) di Kurt si fosse totalmente offuscato, durante la loro travagliata relazione.
Quando il suddetto giovane gli lanciò un'occhiata in tralice, ne approfittò per chinarsi all'orecchio di Kurt, un sorriso suadente, come se stessero amoreggiando.
Credevo avessi gusti migliori”.
Il suo coinquilino arrossì o almeno lo immaginò visto che la penombra gli nascondeva il colorito del viso, ma non gli era sfuggito quel verso strozzato d’imbarazzo e di sorpresa. “Niente giudizi”, sibilò in risposta.
Mi togli tutto il divertimento: non vorrai che guardi il naso della puffetta rosa?”, domandò in tono sarcastico.
Scosse il capo, sollevando la mano. “Sta zitto”.
Seriamente, ti credevi inferiore a quello?”, lo indicò con un cenno del mento, continuando a parlare nel suo orecchio. “Scommetto che soffrivi sempre di torcicollo per baciarlo, oddio che schifo”, aveva storto le labbra in una smorfia disgustata all'immaginarsi una simile scena.
Si irrigidì, Kurt. “Io... non è il momento”, farfugliò a disagio, come ogni volta che Sebastian si sentiva in dovere di giudicarne le scelte di vita o la relazione. Soprattutto adesso che poteva, in prima persona, osservare chi aveva ritenuto l'amore della sua vita.
Scosse il capo, Sebastian, ma si premunì di cingergli le spalle. “Il tuo culo è molto più sodo alla sola vista”, aggiunse e ne baciò la guancia in un gesto delicato che stonò con l'elogio sfacciato.
Sebastian!”.
Era un complimento”, ribatté con una scrollata di spalle, tornando a sedersi composto, senza comunque degnare di sguardo gli attori sul palco. “Spero almeno che non facesse cilecca, quando lo facevi star sopra”.
L'ennesima pacca ammonitrice sul braccio e Sebastian ridacchiò tra sé e sé, ma si puntellò con il gomito sul bracciolo della poltrona, senza smettere di scrutarlo.
Sollevò gli occhi al cielo, Kurt, pur evitandone lo sguardo. “Che c'è?”.
Sei stato coraggioso a venire qua e con me fai un'ottima figura”, gli disse con quello che sembrava un orgoglio cameratesco.
Sospirò con aria stoica, Kurt, ma un sorriso più dolce ne aveva increspato le labbra. “Non sono solo”, gli ricordò e i loro sguardi si fusero, come se il resto del mondo fosse scomparso in quel momento. Perché, malgrado passassero le giornate a punzecchiarsi, sembrava sempre esserci un momento in cui realizzavano di essere insieme. E di gradirlo.
Ignorò lo “Shhhh!”, di Rachel. La Berrysterica doveva avere una cotta per il gelatinoso ex. O forse sognava di spodestare la protagonista ed infilarsi nel costume di pelle con il suo troll personale che, con qualche movimento scomposto, avrebbe rischiato di distruggere il palco.
Sorrise tra sé. “Spero che, oltre al caffé, ci sia un ristorante degno di tale nome: muoio di fame”.
Cercò di nascondere il sorriso, Kurt, evidentemente molto più rilassato all'idea di concludere la serata con una cena per due. Sospirò, tuttavia, notando l'espressione insofferente degli spettatori che li fissavano con aria di rimprovero e sorrise loro con aria di scuse.
Riesci a stare zitto per trenta secondi di fila?”, lo rimproverò.
Lo sguardo di Sebastian parve scintillare, sporgendosi maggiormente al suo viso e sorridendo per come la pelle delicata del collo si intirizzì al suo respiro. “Solo se uso le labbra in un modo più interessante: vuoi scegliere tu?”.
Sbuffò nuovamente Rachel ma, con sguardo minaccioso, costrinse Kurt a fare cambio di posto, suscitando in Sebastian uno sbuffo e un roteare gli occhi.
La sua nuova vicina gli rifilò un'occhiata ammonitrice, ma fu lei sorprendentemente a valicare il confine del bracciolo per sussurrare, quasi senza muovere le labbra, una frase lapidaria. Il tutto senza sbattere le palpebre o perdere di vista lo spettacolo.
Kurt e Blaine sono destinati: non illuderti”, tutt'altro che dispiaciuta, lo disse come ne fosse certa, persino come se la notizia le fosse fonte di personale serenità.
Disse colei il cui primo matrimonio fallì a sedici anni”, le ricordò con voce flautata, fissandone il naso che probabilmente avrebbe tormentato i suoi incubi.
Non è fallito”, suo malgrado dovette interrompere la visione per rivolgergli un'occhiata di puro odio. “E' stato soltanto rimandato”, commentò con voce più stridula, prima di volgersi verso il palco e sorridere alla vista del Teen Angel. “Non avrai mai neppure la metà della sua classe, romanticismo o fascino”.
Roteò gli occhi, Sebastian. “Kurt lo sa che sognavi di infilarti nel letto tra loro?”, le chiese in tono provocante.
Boccheggiò, Rachel, con aria scandalizzata, ma fu a Kurt che rifilò una gomitata, facendolo sussultare visibilmente. “Perché diavolo hai dovuto portarlo con te?”.
Scosse il capo, Kurt, cercando di nascondere il sorriso, mentre si strofinava il braccio con aria mite. “Si è auto-invitato”.
Incrociò le braccia al petto, Rachel, affondando contro la poltrona con aria mortalmente offesa, le sopracciglia aggrottate e lo sguardo rivolto al palco. Evidentemente non era il caso che continuasse a parlargli, rischiando che la sua volgarità ne intaccasse la sensibilità e il suo talento ne restasse scandalizzato, tanto da non accorgersi di come la protagonista avesse ansimato in maniera inopportuna, tra una canzone e una coreografia.
Sorrise, Sebastian, sporgendosi verso il suo orecchio.
Non essere Berrysterica: anche se non ti ho infilato la lingua in bocca, so essere carino”, al sentirla sussultare con evidente disagio, proseguì. “Ma se fossi io a sbronzarmi a quel punto, ho già promesso a qualcun altro che sarebbe stato il primo della lista, mi dispiace”.
Non posso credere che tu glielo abbia raccontato!”, evidentemente dimentica del luogo in cui si trovavano e degli sguardi stizziti degli altri spettatori, si volse verso Kurt, pronunciando quelle parole in una sorta di piagnucolio strozzato.
Shhhh!”.


“Che squallido cliché: la Tour Eiffel di sera, Kurt?”, gli domandò in tono sardonico, uscendo dall'ascensore per avvicinarsi, dopo averne riconosciuto la sagoma, con un sorriso.
Fu lieto che non potesse vederne il viso in quel momento: si sentiva così insulsamente galvanizzato che al confronto le sue sbronze leggendarie sembravano soltanto una vaga euforia. Avrebbe voluto che il suo cuore smettesse di battere così intensamente, rimbombandogli nelle orecchie.
Prese un profondo respiro e si impose di tornare in sé, quasi quel sorriso non fosse naturale sulle proprie labbra.
“Fammi indovinare: Blaine avrebbe dovuto raggiungerti entro la mezzanotte, per coronare il vostro sogno d'amore”, recitò con voce altisonante, lieto che la sua voce non tradisse una particolare emozione.
Non si volse, Kurt: stava ancora rimirando il paesaggio parigino, il soprabito che ondeggiava al soffio del vento, ma ne immaginò l'espressione stoica.
“Qualcuno si sta affezionando a Tom Hanks?”, gli domandò in tono altrettanto ironico, volgendosi appena per scoccargli un'occhiata divertita.
Rilasciò il respiro, Sebastian. Scrollò le spalle e gli si avvicinò, inclinando il viso di un lato.
“E qualcuno è così gay stereotipo che sta diventando uno pseudo francese di gay stereotipo”, commentò in risposta e lo sguardo scivolò sulla scelta del vestiario che, nei canoni americani, corrispondeva al tipico parigino in una serata elegante. Lo divertiva il fatto che il vestiario fosse tanto importante per lui, uno scudo con cui meglio adattarsi all'ambiente circostante.
“Si suppone che questa sia una tappa romantica e sono in compagnia dell'anti-romanticismo in persona”, sospirò Kurt con aria quasi affranta.
Ma sentiva che non era la propria presenza ad indurne quello stato d'animo ma che, al contrario, lo stesse riscuotendo da ben altri pensieri.
Si impose di sorridere con aria compiaciuta. “Ne sono lusingato”, si guardò attorno, quasi per precauzione, prima di porre la domanda più importante.
“Dov'è Blaine?”, inarcò le sopracciglia nella sua tipica espressione supponente.
Scosse il capo, Kurt, evidentemente poco lieto di rispondere. Sospirò, ma abbassò le braccia, con aria sconfitta. “Intossicazione alimentare”.
Cercò di apparire sorpreso, Sebastian.
Sì, doveva un gran bel favore alla cameriera del servizio in camera. Non mancò, tuttavia, di emettere uno sbuffo divertito (come sarebbe stato naturale) che suscitò un lampo di fastidio nello sguardo di Kurt.
Gli assestò una gomitata. “Non è divertente! Si è dato tanta pena per organizzare qualcosa di speciale, non posso credere che ci debba rinunciare”, scosse il capo con aria esasperata. “Avrebbe dovuto essere il nostro weekend romantico!”, protestò con voce stridula, scuotendo nuovamente il capo.
Cercò di ignorare il pensiero che non potessero condividere l'idea di quale fosse la compagnia ideale per una notte come quella.
“Tenergli la testa mentre vomita non è romantico?”, si finse serio nel provocarlo.
Scosse il capo, Kurt. Il suo fastidio sembrava non riguardare soltanto la sfortuna (?) del caso.
“Volevo restare con lui, ma evidentemente essere fidanzati non ci rende ancora abbastanza intimi”, commentò con voce stanca.
Sebastian si compiacque che, una volta tanto, non esaltasse il lato “eroico” della Mezza SegAnderson. Soprattutto se tutto volgeva a proprio favore.
“Ti prego, ho le lacrime agli occhi”, simulò una reale tristezza, ma ne cinse le spalle in una silenziosa consolazione.
Sospirò, Kurt. “Che ci fai qua, comunque?”, lo incalzò con le braccia incrociate al petto. “A parte rovinarmi l'atmosfera e impedirmi di fingere che questo sia davvero un momento romantico”.
“Se ho interrotto un solitario, non resta che-”, rise della seconda gomitata e lo osservò a lungo, prima di avvicinarsi e sporgersi al suo viso.
Ne guardò intensamente gli occhi: era certo che tra i suoi sogni parigini vi fosse un bacio di fronte ad uno scenario simile. Ma ignorò completamente il paesaggio, tutta la propri attenzione era rivolta a quelle iridi zaffiro, cercando di non fissarne le labbra.
Si schiarì la gola enfaticamente, il sorriso provocante. “E se ti dicessi che sto per cambiarti la serata?”, domandò, inspirandone il profumo di vaniglia.
Inarcò le sopracciglia, Kurt: “Se hai in mente un locale gay parigino, allora-”.
“Sono serio”, allungò la mano, guardandolo con evidente attesa.
Era come se il tempo si stesse fermando in quel momento, sospendendo tutte le possibilità in quella che sarebbe stata la decisione di Kurt. La sua volontà.
“Disposto a fidarti e lasciarti condurre?”, lo invitò con aria suadente. Ma erano la trepidazione e l'impazienza che scintillavano nelle sue iridi smeraldine.
“Onestamente?”, lo osservò con le sopracciglia inarcate.
Inclinò il viso di un lato, Sebastian, ma non abbassò la mano.
Un nervo vibrò sulla sua gota.
“Kurt”.
Fu forse il modo in cui ne pronunciò il nome con flessione più modulata della voce, chiedendogli implicitamente di concedergli fiducia. Ancora una volta. Di non escluderlo da quel momento e di non lasciarlo ai margini della sua vita
O il fatto che, anche se cercasse di celarlo, Kurt cominciava a sentire freddo. Un gelo interiore nel sentirsi solo come non mai e in un luogo come quello.
O il fatto che, se anche non lo avesse ammesso, era piacevole scorgere un viso familiare in una situazione che n’aveva acuito la delusione e lo sconforto.
“Non sarebbe un cliché gay tenersi la mano?”, sembrò cercare di voler nascondere il suo nervosismo, ironizzando.
Era come se riuscisse a percepirne la tensione sotto pelle, come se fossero sempre in equilibrio precario e si spiassero l'un l'altro con aria guardinga e timorosa.
Roteò gli occhi, Sebastian, ma ne cinse la mano e non la lasciò. Cercò di ignorare quel brivido che si diffuse lungo la spina dorsale e l'istinto di attrarlo a sé, semplicemente. Senza porsi più domande o farsi assillare dal dubbio.
Controllò l'orologio e si affrettò a raggiungere l'ascensore, quasi trascinandolo.
“Abbiamo poco tempo”, lo informò con evidente fretta.
“Non sono certo che Cenerentola fosse francese”, commentò divertito in risposta, ma lasciandosi condurre docilmente. Come se tutte le sue remore si fossero dissolte alla presa salda della mano di Sebastian.
“Per quanto m’intrighi che tu ti paragoni ad una principessa, sta zitto e cammina o ci perderemo la serata”, lo istruì e, malgrado il tono perentorio, il sorriso non ne aveva lasciato le labbra.
Sembrava dannatamente giusto tenerlo per mano, sotto il cielo parigino, consapevole che quella sera sarebbe stato soltanto suo. E che quell'occasione era troppo preziosa perché potesse essere sprecata.
Dovette ricordarsi di respirare: tutto stava andando come non avrebbe osato sperare.
“Di cosa stai parlando?”, gli chiese l'altro invano.


Lasciato che Rachel potesse ricongiungersi al suo storico fidanzato, i due si erano incamminati verso l'uscita, dopo che Kurt aveva salutato il fratello e gli ex compagni del gruppo di disadattati del cosiddetto Glee Club.
Quindi dove sarebbe questo Breadsticks?”, lo incalzò Sebastian, molto più interessato a lasciare l'edificio e poter concedersi una cena tra coinquilini, senza dover abbassare la voce.
Kurt”.
Il ragazzo al suo fianco si irrigidì: non occorreva che si voltasse per capire chi lo avesse appena chiamato.
Kurt, ti prego, ho bisogno di parlarti!”, si era affrettato ad avvicinarsi, Blaine, con ancora addosso gli abiti di scena.
Sospirò il suo coinquilino. Notò i lineamenti più rigidi sul volto, il tremore delle labbra, ma guardò l'ex fidanzato di sottecchi e si sforzò di parlare con tono composto. “Ma io non voglio parlare con te, scusami ma dobbiamo andare”, aveva indicato a Sebastian l'uscita con un cenno del mento.
Ma l'altro non parve propenso ad arrendersi facilmente, perché ne artigliò il polso, come se non potesse permettersi di lasciarlo andare. “Ti prego”, sussurrò intensamente.
Fu troppo per Sebastian che si volse con espressione minacciosa. “Ha detto chiaramente di no”, indicò la mano. “Lascialo subito”.
Lo ignorò, Blaine, il sorriso mesto nell'osservare Kurt che si era irrigidito. “Sei tornato”, lo disse come se fosse quella speranza a cui potersi ancora aggrappare.
Emise uno sbuffo ironico, Sebastian, ma fu Kurt ad inarcare le sopracciglia, con aria insofferente. “Per sostenere mio fratello, non certo per te”, esplicitò in tono chiaro e altisonante che compiacque non poco il coinquilino e parve una coltellata in petto per il suo ex.
E non da solo”, fu la beffarda aggiunta di Sebastian.
Sebastian, per favore”, sospirò, Kurt, come ad invitarlo a non coinvolgersi in una situazione già piuttosto complicata.
Dammi il tempo di spiegare”, lo esortò nuovamente, Blaine, continuando a scrutarne il viso. “Soltanto cinque minuti”, parve supplicarlo.
Sollevò gli occhi al cielo, Sebastian: “Il tempo per farti montare dal faro?”.
Un lampo di rabbia nello sguardo di Blaine che lasciò Kurt, ma si avvicinò minaccioso al terzo incomodo, i pugni stretti lungo i fianchi, prima di additarlo con espressione schifata. “Non hai alcun diritto di giudicarmi”.
Si trattenne dal ridergli sguaiatamente in faccia per quella pseudo minaccia, ma si strinse nelle spalle con la sua migliore smorfia d’indifferenza. “Conosco abbastanza Kurt da capire che ti sei sempre sopravvalutato”.
Sebastian”, parve supplicarlo Kurt, evidentemente desideroso soltanto di allontanarsi da quel corridoio.
No, Kurt”, sorrise l'altro senza smettere di guardare Blaine. “E' giunto il momento che qualcuno gli dica la verità”.
Non ci provare”, ringhiò letteralmente il nanetto.
BASTA!”, fu l'esclamazione esasperata di Kurt che lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, prima di frapporsi tra i due. “Blaine, non ho voglia di rovinarmi la serata o alleggerirti la coscienza con le tue scuse”, disse in tono freddo e distaccato. “E ora andiamo, Sebastian, sono stanco di stare qui”.
Un sorriso amaro sulle labbra di Blaine nella scrutarlo, mentre Sebastian ne cingeva le spalle per condurlo via. “Non credevo che mi avresti dimenticato così in fretta”.
Scorse il sussulto di Kurt e Sebastian dovette reprimere l'istinto di colpirlo per deturpargli quel sorriso arrogante. Lo fissò disgustato, quando fu evidente che Kurt non sarebbe riuscito ad articolare una risposta a tono.
Non riesco ancora a credere che tu sia durato così a lungo”, replicò, squadrandolo con evidente disgusto.
Ma era stato lo scintillio fugace nello sguardo di Kurt a lasciarlo senza fiato. “Non ho più niente da dirti, Blaine”, sussurrò con voce tremula, ma in tono deciso.
Si era allontanato in fretta, prima che potesse nuovamente fermarlo.
Sebastian gli lanciò un'ultima occhiata torva: “Addio, Mezza SegAnderson”, proclamò con un sorrisetto trionfante, ma si affrettò a seguire Kurt.
Lo raggiunse all'esterno: sembrava ancora ansimare, appoggiato al furgoncino dell'officina paterna.
Sospirò, Sebastian, e si chinò in sua direzione. “Stai bene?”.
Scosse il capo, Kurt, cercando di celare gli occhi umidi. “Non dovrebbe importarmi”, ammise con voce incrinata.
Ma non saresti tu: l'essere più kurteggiante che io conosca”, commentò con tono addolcito.
Emise uno sbuffo ironico, Kurt. “Come può pensare che io sia così superficiale?”.
Malgrado tutto sembrava che l'opinione di Blaine avesse ancora impatto su di lui.
Abbastanza da innamorarti di me”, aggiunse Sebastian, lui stesso ironizzando sulla situazione con uno scuotimento del capo, a sottolineare quanto fosse inutile quel turbamento, considerando chi ne fosse l'autore.
Parve sussultare, Kurt. “Non intendevo questo”.
Sollevò la mano, Sebastian che scrollò le spalle. “Chiunque mi conosca resterebbe altrettanto sconcertato, ma non è un mio problema”, spiegò semplicemente. “Conosci meglio di chiunque altro il mio stile di vita e non sarebbe la sua opinione a sconvolgermi, ma non mi piace che abbia questo effetto su di te”. Ammise con uno scuotimento del capo.
Non è facile dimenticare quello che abbiamo vissuto, lui resterà sempre parte di me”, sospirò Kurt, lo sguardo volto al terreno, come se si sentisse sopraffatto dai ricordi e dal dolore ancora troppo recente per poterlo affrontare serenamente.
Si trattenne dallo storcere le labbra in una smorfia risentita.
Ma non significa che non troverò qualcun altro... un giorno”, aggiunse, dopo un lungo istante di silenzio in cui Sebastian non parve trovare un modo di consolarlo.
Aveva sollevato lo sguardo in sua direzione, quasi richiedendone una conferma.
Sorrise, Sebastian. “Spero che sia qualcuno senza sopracciglia triangolari”.
E che non ti giudichi ad una prima occhiata come qualcuno che non è degno di essere amato”, continuò Kurt con tono grave, osservandolo come lui stesso volesse scusarsi di quelle parole.
Suo malgrado, Sebastian, serrò la mascella, ma fu abile a simulare il suo sorrisetto sferzante.
Aspetta, perché adesso stai parlando di me? Credi che m’importi davvero del suo giudizio?”, sottolineò con aria evidentemente schifata.
Kurt scosse il capo. “Era ferito all'idea che io potessi superare tutto così rapidamente”, sussurrò, quasi a sottolineare che non si fosse trattato di un giudizio personale ai suoi danni.
Ma rese evidente quanto si fosse sentito umiliato per la presunta superficialità di cui Blaine lo accusava.
Se lo pensa seriamente, è persino più coglione di quanto è apparso a me, ad una prima occhiata”.
Ma a scanso di equivoci”, si era avvicinato, Kurt, osservandolo più dolcemente, il viso inclinato di un lato. “Non mi considererei mai superficiale, se dovessi innamorarmi di te”.
Boccheggiò, Sebastian, realmente senza parole. Qualcosa nel suo petto sembrò contrarsi. Fu come se il suo cuore si fosse improvvisamente fermato.
Una verità apparentemente spontanea e sconclusionata, soprattutto alla luce di quell'ultimo e sgradevole scontro.
Eppure qualcosa ne fece scintillare le iridi smeraldine. Qualcosa che non era disposto ad ammettere molto facilmente. Non così presto.
Si strinse nelle spalle: “Sapevo che dopo esserti trasferito da me, la tua scala dei valori e del gusto sarebbero nettamente migliorati”.
Scosse il capo, Kurt, un vago sorriso, ma ne strinse la mano, quasi a trattenerlo, ancora un istante, in quell'atmosfera più intensa. “Grazie di non avermi lasciato solo”.
E perdermi tutto questo?”, indicò l'edificio con un cenno del mento. “Ero curioso”, aggiunse a mo' di spiegazione, a sminuire il tutto.
Sai cosa intendo”.
Lo so”, rafforzò lui stesso la pressione di quella stretta e gli sorrise più dolcemente.
Ma ora andiamo: muoio davvero di fame”.


Si sarebbe detto, se fosse stato un tipo romantico o tendente a pensieri glicemici, che sarebbe valsa la pena correre il rischio e presentarsi a Parigi cercando di organizzare qualcosa di speciale, soltanto per scorgere quell'espressione sul volto di Kurt.
L'autentica sorpresa e lo stupore di fronte ai bateaux-mouches, l'orchestra che avrebbe accompagnato la cena di tutti i passeggeri in quel tour notturno della città, il momento in cui Parigi mostrava il suo volto migliore.
Sorrise con aria compiaciuta quando, lo sguardo ancora incredulo, seguì il maître che li condusse al tavolo prenotato a nome Smythe.
“Come... come facevi a sapere?”.
Si era stretto nelle spalle, Sebastian, e con elegante disinvoltura gli spostò la sedia affinché potesse accomodarsi. “Ho prenotato per due sere consecutive, in caso avessi trovato qualcuno d’interessante: casa ha sempre un suo fascino”.
Scosse il capo, Kurt, il sorriso ancora sulle labbra: era come se riuscisse a capire le sue reali intenzioni. Come queste lo emozionassero, anche se non era sempre in grado di esprimerlo, malgrado le iridi fossero pessime complici.
E come se, al contempo, volesse risparmiargli il disagio di fargli comprendere quanta attenzione e cura riponesse in ogni gesto che gli era dedicato.
Lo scorgeva dal modo in cui osservava ogni monumento con sguardo velato, spalancando gli occhi, da come sorrideva al suono di una melodia familiare, accennandola con le labbra. Persino nel modo in cui osservava le coppie che avevano cominciato a volteggiare, suscitandogli un sospiro d’impazienza. Era sereno in quel momento e quella serenità era solo propria. E lo allettava come non avrebbe creduto possibile.
Sembrò quasi fremere, Kurt, guardandolo. Si alzò in un impeto d’entusiasmo che gli suscitò uno sguardo circospetto.
Parve capirne il desiderio, perché sollevò gli occhi al cielo: “Oh, no, non ci contare”, lo anticipò.
Ridacchiò Kurt, l'aria incredula. “Ti prendi la briga di organizzare tutto questo e mi lasceresti guardare gli altri ballare sotto le stelle ed invidiarli?”.
Sorrise, Sebastian, il solito accenno d’ironia. “Esattamente”. Neppure si prese più la briga di fingere che non fosse stato architettato soltanto per lui.
Scosse il capo, Kurt, ne cinse la mano e Sebastian, suo malgrado, osservò quelle dita affusolate. Sospirò per il modo in cui quel tocco appena accennato, riuscì a fargli scorrere un brivido familiare lungo la spina dorsale. Come ogni dannata volta.
Sbuffò, gettò il tovagliolo sul piatto, ma si lasciò trascinare verso la pista. “Conduco io”, sancì con voce perentoria.
“Non calpestarmi le scarpe: sono italiane”, lo ammonì Kurt fingendo altrettanto sussiego, ma non potendo celare il sorriso sognante.
E, dopotutto, seppur non lo avesse previsto, lo strinse, premendolo contro il proprio petto come se fosse qualcosa di naturale. Senza porsi altre domande, senza anticipare i possibili scenari, soltanto vivendo quel momento come se fosse l'ultimo.
Il modo in cui le braccia di Kurt gli cinsero il collo, restando sulla sua nuca e il modo in cui i loro sguardi si fusero, sembrava tratteggiare una sequenza soltanto loro. Come se quel momento fosse stato stabilito, a prescindere dalla loro volontà, e lo stessero capendo soltanto vivendolo.
Si costrinse a parlare, Kurt, quando tornò tra le sue braccia dopo una piroetta.
“Avresti dovuto essere con la tua famiglia... non che mi dispiaccia averti qui”, aggiunse in tono più dolce.
Notò quello scintillio del suo sguardo, lo stesso che lo attraversava nei momenti che lo rendevano più felice, più partecipe di quell'atmosfera romantica che tanto sognava nella sua quotidianità.
“Non ci sarei andato, neppure se mi avessero invitato”, fu l'arrogante risposta, probabilmente un espediente per rompere il silenzio, anche se sarebbe bastato continuare a stringerlo. A dispetto di tutto, compreso quel calendario nella camera di Kurt.
“Cosa?”, parve sinceramente spiazzato, ma rinsaldò la pressione intorno al suo collo.
Si strinse nelle spalle. “Non hanno ancora digerito l'idea che non mi piaccia Brigitte Bardot”, ironizzò su come il proprio coming out non fosse stato universalmente accettato.
Parve atterrito e mortificato, Kurt, che boccheggiò. “Oh, Sebastian, io-”.
“Non devi dire nulla: non sarei andato comunque”, si sorprese a dirlo esplicitamente, pur consapevole che stesse rischiando di avventurarsi in un terreno insidioso.
Parve irrigidirsi, Kurt, e Sebastian lo attrasse più vicino a sé, quasi sentisse lo strappo che sarebbe potuto conseguire a quella possibile declinazione del loro dialogo.
Non sembrava volerlo chiedere, Kurt, altrettanto consapevole che fossero in un precario equilibrio: quasi quel silenzio di parole in sospeso fosse una zona grigia che impedisse ad entrambi di sbilanciarsi oltre il legittimo. Come se non pronunciando espressamente quelle parole, esse non esistessero neppure nelle loro menti.
“Hai fatto tutto questo per me”, sussurrò con sorpresa più simile alla confusione che alla lusinga. Alla pura e semplice paura di scoprire che cosa vi fosse tra loro.
“Affatto”, si schermì con uno scrollo di spalle. “Domani rimorchierò qualcuno”.
“Perché?”, pareva turbato, Kurt.
Lo strinse più forte, Sebastian, ne inspirò il profumo di vaniglia, seppur si sentisse in trappola, non riusciva a pensare di lasciarlo andare. Non in quel momento, anche se era probabilmente dannatamente vicino al non ritorno. Al punto che avrebbe potuto rovinare tutto, se Kurt non avesse... non riuscì neppure a pensarlo.
Deglutì a fatica, ma lo trattenne e si sforzò di continuare a sondarne le iridi.
“Perché ti sconvolgerebbe l'idea?”, fu la semplice domanda, cercando di dissimulare i suoi reali intenti.
Kurt rimase senza fiato, immobile, gli occhi sgranati e le labbra tremanti. Ma non aveva fatto alcun cenno a volersi allontanare da lui, non pareva intenzionato a porre fine a quel contatto e quell'atmosfera, prima che uno dei due pronunciasse parole che non fossero più rimandabili.
“Sebastian”. Se una dolce esortazione a parlare o una supplica al non farlo, non lo avrebbe saputo dire.
“Kurt”, sussurrò di rimando, la voce ferma e sicura, quasi domandandosi se, dopotutto, la soluzione non fosse sempre stata tanto evidente. Persino palese agli occhi del giovane di fronte a sé.
Lo squillo del telefono sembrò provenire da un'altra realtà.
Sbatté le palpebre, Kurt che, quasi per istinto, trasse fuori il telefono dalla tasca della giacca.
“E' Blaine”, sussurrò, quasi fosse la risposta implicita ad una domanda che non era ancora stata posta.
Sebastian lo sentì scivolare dalla propria presa con uno sguardo di scuse.
Contò i propri passi, quelli necessari a tornare al proprio tavolo e sedersi come se nulla fosse accaduto. Contò i propri battiti, quelli necessari a comprendere che era tutto finito, ancora prima di poter iniziare.
Non attese che Kurt tornasse a sedersi, lasciò delle banconote sul tavolo e scese alla prima fermata del battello, perdendosi nel buio di Parigi.
Senza mai guardarsi dietro.

~

Ne ignorò lo sguardo sorpreso e l'aria stolida, cercò di domare quella voglia di colpirlo.
“Credevo che tornassi domani”, commentò soltanto, osservandolo con la stessa espressione circospetta con cui si sarebbe guardato il detonatore di una bomba.
“Dammi una tequila, Clarington”, il tono secco, ma non ne incrociò lo sguardo.
In verità, Sebastian in quel momento si trovava esattamente in quello stato d'animo in cui si sarebbe soltanto voluto fuggire dallo sguardo altrui e, al contempo, si disperava di non restare soli ed in balia dei propri pensieri. Non senza aver bevuto in quantità sufficiente a confonderli e renderli più sopportabili.
Sentì il telefono vibrare nella propria tasca, ma ignorò l'ennesima chiamata. Non era neppure necessario che controllasse il display, ma lo estrasse soltanto per spegnerlo.
Sorseggiò il drink, ignorando lo sguardo preoccupato e spiazzato del barista e lasciò vagare lo sguardo sulla sala affollata.
Ricambiò il sorriso del ragazzone di fronte al biliardo che stava sfregando del gesso sull'estremità dell'asta, con sguardo eloquente.
Forse, dopotutto, aveva appena trovato un modo interessante per smaltire il jet lag.



To be continued...

Ed eccoci alla fine di questa settimana, siamo anche agli sgoccioli del mese, ma non certo a quelli di questa fanfiction, anche se il finale non lasciava presagire nulla di particolarmente positivo. Ma mancano ancora sette mesi e mooooolte altre cose devono accadere :D
Quindi, lungi dall'angst, e sbirciamo il prossimo capitolo:

Almeno adesso mi parli ancora” “Io non ho mai smesso” “E' la prima vera conversazione che abbiamo da quella notte”.
Non essere melodrammatico” “Va' via”. “Kurt”.
Buona sbronza!” “Fottiti”.
Ti scarico a letto e torno al pub, sempre che non mi abbiano licenziato nel frattempo”. “Solo le zoccole scappano prima che sia giorno: come me”. “... vieni qua, zoccoletta”.


Prima che mi arrivi addosso qualche pomodoro, ci tengo a sottolineare che sto ancora ridacchiando, dopo aver riletto le bozze del prossimo capitolo. Contiene alcune di quelle che sono state le scene più divertenti da scrivere, specie se si simpatizza per un certo barista :)

Grazie come sempre a tutti coloro che mi stanno seguendo, siete voi che leggete i veri protagonisti. Adoro trovare i vostri commenti e struggimenti (in senso buono ovviamente u_u) e scambiare con voi qualche parola, speranza o supposizioni su come si svolgeranno gli eventi :)
Grazie di tutto cuore, spero di continuare a trattenervi per molto altro tempo.

Buon weekend a tutti :)
Kiki87



1Era da un po' che non citavo una delle mie band preferite, anche se non è proprio il testo più allegro del loro repertorio :D Per ascoltarne il brano e vederne il testo originale qui
2 Sebastian fa riferimento alla razza canina denominata appunto “volpino”, sia mai che si paragoni a Brittany. Ecco una fotografia per farvi un'idea. Ho scelto un cane di piccola taglia ma agile e scattante, per creare un contrasto coi bulldog (perdonami Nolan :D). volpino meticcio
   
 
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