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Autore: candycotton    21/09/2008    3 recensioni
Shin diventa un personaggio lontano dal mondo di Nana, trasportato in una storia diversa, nella tetra atmosfera di un college inglese...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shinichi Okazaki
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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I will take you to Nowhere Shin Tribute

PROLOGUE 

 

Salii sul treno che mi avrebbe portato ad Oxford con la faccia cupa e gli occhi socchiusi per la stanchezza.

Mi sistemai meglio lo zaino sulla spalla e inizia a cercarmi un posto a sedere. L’atmosfera grigia di quella giornata faceva scendere il mio umore sotto zero, anche più di quanto avrei potuto sopportare.

Sbuffai, notando che gli scompartimenti erano irrimediabilmente tutti occupati.

Sbirciai dalla porta successiva e quello che notai mi lasciò incantata. Lo scompartimento era vuoto, se non per un ragazzo seduto accanto al finestrino, con lo sguardo perso fuori e il viso semi nascosto dal fumo di una sigaretta accesa, che pendeva dalle sue labbra.

Alzò gli occhi su di me molto lentamente, quasi stancamente. Abbozzai un insulso sorriso e senza sapere che fare, semplicemente entrai e mi misi a sedere, davanti a lui.

Sorrisi vagamente un’altra volta, incontrando i suoi occhi cristallini che mi scrutavano. Poi lo vidi distogliere lo sguardo, quando anche io avevo fatto lo stesso.

Diedi una fugace occhiata all’orologio dentro al mio zaino. Feci qualche calcolo mentale, rendendomi conto che avrei dovuto trascorrere su quel treno altre due ore buone.

Sospirai a quel pensiero e diedi un’occhiata al tizio che avevo davanti. Non me ne ero resa ancora conto, ma era dannatamente bello. Non riuscivo a staccare gli occhi dal suo viso, dai suoi lineamenti e dai suoi occhi chiarissimi, concentrati sulla campagna inglese. E i suoi capelli spettinati, ossigenati, sfumati di azzurro. Aveva anche un piercing al labbro a cui era attaccata una catenella che gli arrivava fino ad uno dei tanti orecchini. Non ricordavo di aver mai visto una cosa del genere prima di allora, non ricordavo di aver mai visto un tizio così in tutta la mia vita.

Improvvisamente, lui alzò gli occhi su di me, e io abbassai repentinamente lo sguardo.

Il puzzo di fumo raggiunse il mio olfatto in quel momento per la prima volta da quando mi trovavo là dentro, e chissà perché non me ne ero accorta prima.

La mia testa, sebbene in subbuglio, riuscì a farmi capire che mi mancavano ancora circa due ore prima di arrivare e mi trovavo da sola in uno scompartimento con un ragazzo a cui ero evidentemente interessata.

Perché non fare conversazione? Stavo ragionando tra me e me su quale fosse la cosa migliore da dire per iniziare il dialogo, quando la sua voce mi sorprese.

-Ti da fastidio il fumo?-

Alzai lentamente gli occhi su di lui, senza sapere perché avessi l’espressione quasi spaventata, e gli sorrisi un po’, come una cretina. Scossi la testa.

Lui annuì e mi squadrò da capo a piedi velocemente.

-Come ti chiami?-, esordii alla fine, dopo non essere riuscita a trovare nient’altro di adatto con cui iniziare.

Lui mi guardò intensamente, si levò la sigaretta dalle labbra. -Shin-.

Ero letteralmente pietrificata. Per fortuna mi ricordai di spalancare di meno gli occhi e di chiudere la bocca, altrimenti avrebbe potuto pensare che fossi una poco decente.

-Tu?-, riprese lui, notando che io non ero in grado di proseguire.

-Claire-, risposi con un filo di voce.

Lui tirò dalla sigaretta.

-Dove stai andando?-, continuai io, cercando di darmi più credibilità schiarendomi la voce.

-Ad Oxford. Al college-.

Io rimasi di nuovo a bocca aperta. –Davvero? Anche io-.

Mi sembrò di vedere un sorriso attraversare il suo volto, ma non ne fui certa.

-Da dove vieni?-, continuai.

-Sono svedese, ma il treno l’ho preso a Londra-.

Il modo in cui lo disse, “ma il treno l’ho preso a Londra”, mi fece sorridere.

-Sei svedese?-, ripetei allibita.

Shin annuì e io, più lo guardavo più iniziavo a pensare che quei capelli dovevano davvero essere così chiari al naturale.

Shin si tolse di nuovo la sigaretta dalla bocca e lasciò la mano sospesa in aria, alla ricerca di un porta cenere. Io lo cercai, a mia volta, con lo sguardo, ma nessuno di noi due lo trovò.

Schiacciò il mozzicone sul bordo del finestrino e mi sorrise.

-Tu invece sei inglese, non è vero?-, mi fece.

-In realtà sono americana-.

-Ah, mi sembravi inglese...-

-Mia madre lo è-, dissi.

Lui fece un cenno col capo. -Allora non ci sono andato poi tanto lontano-.

  
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