Pandora
aprì gli occhi nel momento stesso in cui i mostruosi cavalli
alati atterrarono
su una superficie marmorea.
Era
così terrorizzata dalla sua precedente condizione da aver
perso temporaneamente
i sensi. L’aria rarefatta di quell’alta quota,
mista allo spavento di aver
raggiunto una tale altezza e ai continui sobbalzi della bestia che la
trasportava, l’avevano rintronata.
La
prigione di corde che la avvinghiava era
l’unico appiglio che la separasse da un volo
mortale.
Si
trovava ancora avviluppata a una specie di rete per pescatori, saldata
su una
delle cinghie che legavano la sella sul dorso dell’equino
volante.
Dopo
che l’ippogrifo toccò terra, il suo cavaliere,
Deimos scese dalla sua groppa
per avvicinarsi alla prigioniera. Slegò il laccio che teneva
la rete avvinta al
destriero, prese Pandora e, come se non avesse peso, la
gettò a terra senza
premure.
La
ragazza, frastornata da quell’ultimo strattone,
rigettò tutto il contenuto del
suo stomaco sulla lucida piattaforma di marmo.
La
vasta balconata su cui si trovavano faceva parte del settore privato
del
palazzo di Ares. Difatti la sua ubicazione era celata, e ogni lato
della sua
forma rettangolare era ombreggiato da un muro.
Kyros
che a causa di quella manovra avrebbe rischiato di cadere a terra lo
guardò con
aria torva. Poi si ricompose e si rivolse agli altri due compagni.
È stato un
grand’onore per me, sono contento!
La vostra abilità
eguaglia di certo la vostra fama,
non per nulla da
secoli la gente vi loda e v’ acclama.
Ahime mi spiace
per la perdita del vostro parente.
Il ricordo del
suo eroismo mi rimarrà per sempre in mente”
Enio
l’Urlo rimase in silenzio, poi accortasi
dell’arrivo di una presenza si mise
sull’attenti.
La
donna era la più diligente tra gli Innominati e la
più solerte nel rispetto della
gerarchia, anche perché non spiccicava una parola, quindi
non faceva domande ma
eseguiva soltanto.
Eris,
la sacerdotessa di Ares e sua intermediaria, era in piedi davanti a
loro. Non
fece caso all’irriverenza degli altri sottoposti. In altri
casi avrebbe
distrutto chiunque avesse osato mancarle di rispetto anche solo con uno
sguardo, ma sapeva bene quanto il suo padrone considerasse importanti
quegli
uomini.
Era
tuttavia chiaramente contrariata dal trattamento aggressivo che Deimos
stava
riservando alla prigioniera. Ma nonostante questo, l’aver
adempito la propria
missione la frenò dal rimproverarlo. Inoltre, nonostante la
propria carica
privilegiata, non voleva provocare il sanguinario e imprevedibile Re
del
Terrore causando problemi ad Ares.
“Non
vedo Phobos
tra voi” esordì la
sacerdotessa.
“Ha
fallito.” Commentò
secco,
suo fratello Deimos. “Non lo vedrai
più.”
Liberò
la ragazza dalla prigionia e con un calcio la fece rotolare verso Eris.
“Come osi!? Questa donna
è di grande
importanza per Ares!”
“Allora
riprenditela in fretta. Io non so che farmene! Ora voglio la mia
ricompensa.”
Deimos con un ghigno seguì la
sacerdotessa, ed Enio a sua volta.
C’era
una cosa, ricordo, che sollazzava il Re del Terrore:
nuotar
nel sangue degli uomini e fagocitar cadaveri per intero.
Questo
è il motivo che lo rese noto, il suo aberrante
piacere.”
Pandora
non ricordò molto di quanto aveva
camminato e di quanti corridoi aveva percorso.
Gli interni del palazzo di Ares, che nessuno aveva mai
veduto, parevano
essere dei labirinti di lunghezza spropositata. Due
figure incappucciate la tenevano per le
braccia trascinandola per tutto il tragitto, e davanti, a guidare il
gruppo, c’era
una donna che non aveva mai visto, la quale poco prima aveva impartito
degli
ordini agli Innominati.
Quale
sarebbe stato il suo destino?
La sua vista era annebbiata e per sua fortuna
non era abbastanza lucida da dare una risposta a quella domanda. Anche
se
poteva intuire che la morte sarebbe stata di gran lunga preferibile.
Disse
Eris.
La
sacerdotessa si avvicinò a un
pertugio a un angolo. Si protese in avanti con il volto, spalancando
gli occhi,
quasi come scrutasse qualcosa. Poi poggiò entrambe le mani
su un ripiano e, dopo
alcuni istanti, con un rombo cavernoso la porta incominciò
ad aprirsi da sola.
Magia divina.
Eris rimase a guardarla anche mentre le
due grandi ante della porta le si richiudevano davanti, lasciando
Pandora nell’oscurità
più totale.
Quasi
arrivò a credere che fosse stato
tutto un lungo sogno di un’altra vita. O forse era
già morta e quelli erano i Campi
Elisi?
Davanti a lei si gloriava il trionfo della natura. Le montagne
granitiche giganteggiavano
su una vallata, lussureggianti selve la ricoprivano accompagnati da
torrenti e fiumiciattoli.
Niente che l’uomo non avesse intaccato.
Non ebbe alcuna preoccupazione, nessun
timore. Per un attimo fu felice.
Solo un attimo.
Avvertì
una voce alle spalle che la
distolse dal suo sogno.
Si voltò di scatto. C’era
un uomo poggiato su una delle colonne. Un
ragazzo piacente dai folti capelli neri la stava fissando con
penetranti occhi
bruni. Attorno a lui poteva avvertire qualcosa di indefinibile. Un
alone, un’aura
dorata calda e benevola.
“Dove
mi trovo?”
L’uomo
le sorrise amabilmente mentre con
cautela fece un paio di passi verso di lei.
“Sarai
al sicuro qui, non temere. Nessuno ti troverà. Neppure
l’Olimpo”
“Ma
tu chi sei?” Gli chiese, senza rendersi conto che
intanto l’uomo aveva già
percorso la poca distanza che li separava e ora le si ritrovava a pochi
centimetri.
“Mi
hanno chiamato con innumerevoli nomi nel corso dei secoli. Epiteti
irriverenti e
brutali e sanguinari e temibili…Ma tu non devi temere il mio
nome. Sarò per te
tutto ciò che ti separa dalla felicità che non
hai mai potuto ottenere.”
Pandora arretrò spaventata. Aveva capito
tutto.
“Non voglio ucciderti, né torturarti.”
Si avvicinò ancora a lei.
“Stammi lontano!” Gli
urlò. “Siete
solo assassini
e bugiardi. Non
c’è niente di vero nelle vostre parole e se non
avete intenzioni di uccidermi,
lo farò io stessa”
La
donna precipitò sul marmo bianco del
balcone, ma non avvertì alcun dolore. Come se, nel momento
in cui il suo corpo
collise con violenza sul pavimento, quest’ultimo
frenò di propria iniziativa la
caduta adagiandola piano sulla superficie.
Ares
si trovava seduto sul suo scranno,
da qualche parte nel suo immenso palazzo, avvolto dalle
oscurità entro cui si
sentiva ora a proprio agio. Il volto corrucciato e pieno di dolore. Con
una
mano si coprì il viso.
Gli
gridò una voce femminile tra quelle
ombre. Ares riconobbe subito il profumo e la musicalità
della sua voce, anche
quando era infuriata.
La bellissima Afrodite era in piedi
davanti a lui. Nei suoi occhi meravigliosi scorreva la rabbia derivata
dalla
gelosia della loro nuova ospite.
“C’è
dell’altro tra voi. Lo sento.”
Ares
si voltò verso il suo viso accaldato
da quel furore e sostenne il suo sguardo. Si alzò in piedi e
con le mani le cinse
le gote.
“Ci
sei solo tu! Mia regina, mia dea, mio amore, sei la mia vita e tutto
ciò che è
al di fuori di te vive solo per preservare la nostra unione.”
“Ti
credo, amore mio. E farò in modo di esserti complice per
tutta l’eternità. Farò
in modo che l’Olimpo non sappia mai del luogo in cui
è nascosta quella ragazza.”
Ma prima di raggiungere l’uscio esitò
qualche istante. Si voltò verso di lui.
La
sua espressione era deformata nella
smorfia più crudele e spietata che la dea avesse mai
assunto. I suoi occhi
erano pieni di odio e risaltavano dei riflessi di malvagità
innaturale. Ares
sussultò.
Parentesi
anacronistiche 6:
Mostri
1
Cleobi
e Bitone
Nella
sostanza sono presenti dei mutageni, in questo caso delle nano-macchine
in
grado di emettere potenti radiazioni atte a modificare il dna, prima di
essere
espulsi dall’organismo.
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