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Autore: syontai    29/08/2014    5 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 51
Intreccio

Violetta si sentì incredibilmente stupida: come aveva fatto a non pensarci? Lo Stregatto, Il Cappellaio Matto, Alice...ecco perché le era tutto così familiare. Lei quella storia la conosceva già! Da piccola aveva letto più volte Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo Specchio. Tutto si riconduceva a quel fantastico mondo che improvvisamente aveva preso le sembianze di una scacchiera in balia del caos completo. Spazio e Tempo nella storia di Attraverso lo Specchio non esistevano o erano deformati in modo inverosimile: un passo poteva corrispondere a chilometri, un secondo poteva passare in un anno. Nella confusione totale però ricordava che nel finale Alice avesse riportato l’ordine...questo si andava a ricollegare con la storia che le aveva raccontato Humpty. Ripiegò il vecchio foglietto dentro quello più recente dove aveva scritto ‘Carroll’ e lo ripose in tasca insieme alla scatolina con il fungo. Ancora si chiedeva a cosa mai potesse servirgli, ma lo Stregatto era stato chiaro: portare il regalo di Beto sempre con sè. Sebbene pensasse che Camilla fosse pazza aveva deciso di seguire il suo consiglio.
Lena tornò nella stanza in un batter d’occhio con un vassoio di metallo, una brocca d’acqua di vetro e due bicchieri. “So perché hai quello sguardo” disse sospirando, mentre poggiava con cautela il vassoio sul comodino che divideva i loro letti. Violetta si riscosse solo allora di tutti quei dubbi e domande che aspettavano impazientemente di trovare una risposta e cercò di non mostrare il suo turbamento. Lena era stata una buona amica, sempre. Anche quando aveva scoperto di Leon e aveva fatto intendere che avrebbe raccontato tutto alla regina, in qualche modo le era venuta incontro, dandole tempo sufficiente per farle cambiare idea. Il legame che le univa era forte, avevano vissuto parecchie avventure insieme e avevano imparato a spalleggiarsi e ad aiutarsi l’un l’altra. Quando le aveva raccontato del piano di Thomas e lei aveva espresso il suo disappunto non l’aveva comunque mai costretta a rimanere con lei, e aveva apprezzato tantissimo quel gesto altruista. A proposito del Bianconiglio...quel ragazzo era sempre più strano! Quando lo incrociava nelle sue abituali mansioni non le rivolgeva nemmeno un saluto ma la superava con lo sguardo basso come se non esistesse. Da Humpty aveva appreso che Thomas era venuto a conoscenza della sua relazione con Leon ed era evidente che non l’avesse presa troppo bene. L’unica cosa che le aveva saputo dire l’uomo-uovo era stata: “Dagli solo il tempo di accettarlo”. I suoi sospetti riguardo all’amicizia del moro che però puntava ad essere qualcosa di più divennero quindi fondati. Eppure aveva provato in tanti modi a fargli capire che tra loro due non poteva esserci nulla! Lena continuava a fissarla e si aspettava una replica, che stava tardando. “Perché?” chiese Violetta, guardandola negli occhi. La tranquillità che le trasmetteva il colore degli occhi di Lena era inspiegabile. Una calmante naturale per l’anima. Lena era una ragazza vivace, eppure su di lei aveva un effetto di quiete, stabilità. Quando la sera si raccontavano ciò che accadeva durante il giorno era come liberarsi di tutte le paure e si sentiva di nuovo a casa. Ma non era a casa, e quel pensiero le faceva venire un groppo in gola. Lei non voleva lasciare Leon. Non voleva. Non poteva.
“Leon tornerà sano e salvo, ne sono certa, ma non angustiarti, Violetta! Fa male a te e anche a me nel vederti in questo stato” esclamò Lena con voce pacata ma allo stesso tempo preoccupata. Aveva notato che in quei giorni mangiava meno del solito, che faceva gli incubi la notte e si svegliava urlando. Gli incubi la tormentavano ogni notte, e ognuno di essi finiva con Leon infilzato da una spada. Il carnefice rimaneva nell’ombra, di questo si vedeva solo la mano e un sorriso mesto che emergeva dall’oscurità. In quell’istante si svegliava e tastandosi il viso si rendeva conto di aver pianto durante il sonno. Aveva paura di quelle visioni perché le sembravano troppo realistiche.
“Hai ragione”. Non se la sentiva di parlarle dei suoi brutti presentimenti, in fin dei conti non si trattava della realtà. L’ultima volta che aveva visto Leon ferito in un sogno però era stato portato in fin di vita al castello. Rabbrividì. Non sarebbe successo di nuovo. Senza nemmeno cambiarsi d’abito per la notte si lasciò cadere sul materasso, mentre Lena, pensando di aver fatto un buon lavoro, si apprestava ad andare a dormire.
Fissava di continuo quelle mani strette mentre girava in tondo su un prato verdeggiante e apparentemente infinito. Quel paio di occhi che le erano di fronte sorridenti rispecchiavano lo stesso colore e anzi sembravano anche più accesi. Giravano e ridevano proprio come due bambini, facendo completo affidamento sulla salda stretta dell’altro. D’un tratto Leon interruppe il gioco, fermandosi e dandole un strattone; rapidamente le mise un braccio intorno alla vita, attirandola a sè. Violetta si ancorò alle sue spalle, rapita dal suo sguardo di fuoco. “Insieme supereremo tutto” sussurrò il principe, addentandole con delicatezza il labbro inferiore per poi coinvolgerla in un bacio appassionato. Chiuse gli occhi, travolta da un turbine caotico di emozioni. “Insieme” pronunciò la stessa parola, ma il tono era diverso, la voce era diversa. Aprì gli occhi e sussultò mentre un ragazzo dagli occhi scuri, di statura più bassa, la abbracciava con altrettanta dolcezza. Quello era il ragazzo del castello.  Tentò di divincolarsi e riuscì infine a sfuggire alla stretta; Maxi chinò appena il capo di lato, assorto. “Cosa c’è che non va, Violetta? Noi ci amiamo!”. Fece un passo avanti e Violetta arretrò di due, inorridita. Che fine aveva fatto Leon?
“I-io...”. La figura davanti a lei tremolava, assumendo a volte le sembianze di Leon, a volte quella del ragazzo dai capelli ricci e gli occhi scuri. Sembrava un’ologramma impazzito: si alzava a abbassava aumentando sempre più la frequenza dello scambio di persona.
“Non ne vale la pena” diceva Maxi. “Non dimenticarmi” esclamava Leon. Una litania insopportabile. Cosa aspettava a svegliarsi? Lei voleva fuggire da quello che era diventato ancora una volta un incubo, più terribile degli altri.
“AIUTO!”. Si svegliò di soprassalto, guardandosi intorno terrorizzata. Il cuore le batteva ancora fortissimo per lo spavento, e nel buio riusciva ancora a scorgere il volto di Leon trasformarsi in quello del ragazzo visto al castello e viceversa. Si mise seduta e portò le gambe attorno alle braccia, sinoghiozzando. Aveva bisogno di Leon in quel preciso momento. Aveva bisogno dei suoi abbracci a volte un po’ goffi, ma sempre sinceri, delle sue parole affettuose, del suo comportamento da bambino spensierato che le faceva dimenticare tutti i problemi, del suo desiderio di proteggerla.
“Tutto bene?” chiese Lena, che si era svegliata per il suo urlo ed era accorsa al suo letto. Violetta teneva ancora affondata la testa tra le gambe e si limitò ad annuire impercettibilmente. La compagna di stanza le accarezzò piano il capo, sperando che così potesse calmarsi, mentre la rassicurava a bassa voce.
 
“Domani devo parlarci” sentenziò con decisione Maxi, mettendosi sotto le coperte, mentre Andres si stava sciacquando il viso con una bacinella posta su un tavolo di legno. “No, non devi” rispose l’altro, afferrando un asciugamano bianco e strofinandolo forte all’altezza prima degli occhi e poi della bocca.
“Ma...devo capire che cosa ci lega!”. “Non vi lega un bel niente, Maxi...inoltre siamo nel bel mezzo di una missione, e non voglio che tu possa mandare tutto all’aria solo perché ti sei invaghito di un bel faccino. Fine della discussione” ordinò Andres. Maxi scattò in piedi, innervosito: perché il suo amico continuava a non capire che Violetta per lui era importante? Faceva di tutto per non vedere che tra di loro c’era un legame intenso, indistruttibile; perfino i sogni lo avevano dimostrato. Da quando Libi se ne era andata il loro capo era diventato insopportabile.
“Bel faccino? E che ne vuoi sapere tu! Pensa piuttosto al fatto che hai lasciato andare via Libi! Sei un vigliacco”. Maxi aveva sfogato tutto il suo risentimento nei confronti di Andres e del suo comportamento. Addirittura non voleva nemmeno che si nominasse il nome della ragazza e se veniva fatto diventava scuro in volto e si rintanava in un angolo lontano da tutti. Maxi si voltò soddisfatto, credendo di essere così riuscito ad azzittire l’amico, ma Andres con uno scatto repentino lo fece girare e lo afferrò per il colletto della maglia, facendolo finire in punta di piedi.
“Non sono affari tuoi” ringhiò furioso il ragazzo, scuotendolo per poi dargli uno spintone. Maxi però non si arrese e rispose alla spinta con un’altra ancora più aggressiva. Dj, che fino a quel momento era rimasto in un angolo della stanza a pensare, li guardò con indignazione, cercando poi di fare da intermediario. Si mise tra i due allibito e allungò le braccia per tenerli lontani.
“State buoni tutti e due! Avete entrambi la vostra parte di ragione” li fulminò con lo sguardo il mago, ma i due sembravano non volerlo ascoltare troppo intenti a squadrarsi e a preparare un attacco. “Non fatemi ricorrere a metodi brutali e comportatevi da persone civili!”. Maxi non lo ascoltò minimamente e cercò di oltrepassarlo con uno scatto, mentre un ringhiante Andres lo attendeva con i pugni tesi. Dj sibilò qualcosa a bassa voce a una fune invisibile legò i piedi e le mani di Maxi, che finì a terra come un salame con un tonfo.
“Ben ti sta!” rise di gusto Andres, piegato in due e con le lacrime agli occhi, mentre lo additava. Dj schiccò le dita della mano sinistra e la bacinella con cui prima si era sciacquato il viso gli riversò addosso tutto il suo contenuto. “Ma cosa...” sputacchiò Andres dopo essersi fatto quella doccia fuori programma.
“Dovete smetterla di litigare! La verità è che qui sto facendo tutto io, sembra che sia l’unico che sa che siamo in bilico...un passo falso e siamo tutti fregati. E per quanto i vostri discorsi possano essere interessanti potete tenerveli per quando saremo fuori da qui, magari con la spada di Cuori. Capito?”. Maxi cercò di rimettersi in piedi, ma con scarsi risultati e finì per rimanere seduto con aria scocciata. “In fondo a te che ti importa di quello che facciamo? Sei qui solo per il Pactio e la spada”.
Dj sbuffò: certo che erano proprio due teste dure. “Si, sono qui contro la mia volontà e non vedo l’ora che tutto questo finisca per avere la spada, che ora non è nemmeno in nostro possesso. Ma non mi dare del mercenario, perché a differenza vostra sono l’unico che qui sta pensando seriamente a come prendere quella spada...e fidati che sforzarsi al massimo delle proprie capacità non rientra nel Pactio”. Andres aveva perso il coraggio di rispondere, perché il mago aveva maledettamente ragione. Da quando Libi se ne era andata aveva perso i contatti con il resto del gruppo e non si era reso conto di tutto quel malcontento. Dj invece aveva pensato a tutti, aveva risolto il problema del Mana, aveva fatto in modo che venissero ospitati al castello e stava cercando di capire dove si nascondesse la spada. Si sedette sul bordo del letto matrimoniale che avrebbe dovuto condividere con l'amico, passandosi una mano tra i capelli bagnati. Il mago nel frattempo aveva sciolto l'incantesimo che teneva Maxi intrappolato per terra, e il ragazzo si passò le mani sui polsi massaggiandoli.
Andres sospirò, combattuto interiormente, quindi si decise a risolvere la questione: “Dj ha ragione...dobbiamo collaborare e smetterla di farci la guerra per queste sciocchezze. Su una cosa però non transigo: non voglio che ti avvicini a quella ragazza, Maxi. Non conosciamo le sue intenzioni, non sappiamo se sia una spia della regina, o semplicemente una serva. Magari qualche mago ha fatto in modo che te ne invaghisca o che provi qualcosa di fronte quando la vedi. Non possiamo rischiare nulla, lo capisci questo?”.
Maxi annuì senza dire nulla: non aveva intenzione di ascoltarlo; lui sapeva che Violetta era prigioniera del principe Vargas, ma rivelarlo avrebbe voluto dire spiegare perché aveva deciso di utilizzare così tante volte l’elmo. E sapeva bene che era anche a causa di quello che l’oggetto l’ultima volta gli aveva dato indicazioni sbagliate. Soffiò una ad una le fiamme di un candelabro d’argento a otto bracci, intenzionato a porre così fine alla discussione. “Adesso però ho sonno, sarà meglio andare a dormire” disse, mettendosi sotto le coperte e assaporando il morbido materasso...quanto tempo era che non dormiva in un vero letto! Dj sbadigliò e si rannicchiò nel piccolo letto che si trovava sulla destra, addossato alla parete. Era contento di essere riuscito a risolvere quel diverbio, perché già dalla mattina successiva avrebbero dovuto iniziare le ricerche senza però destare sospetti. Se la spada era protetta da una qualche magia era certo che l’avrebbe localizzata. Mentre Andres già cominciava a ronfare di gusto, alla luce della luna si chiese se mai avrebbe rivisto suo padre. Al Palazzo di Fiori non l’aveva incontrato e non ne aveva avuto più notizia...che fosse morto? Prima di scivolare in un sonno profondo però era sicuro di sentire Maxi parlare tra sè e sè mentre dormiva. “Lei...è mia. Violetta è mia”.
 
Dj fissava la libreria davanti a sé con insistenza. Era certo che dietro ci fosse una passaggio perchè emanava una grande concentrazione di energia provenire dal muro. E a meno che non avesse preso un enorme abbaglio non c’erano altre possibilità: la spada si trovava lì. Ma come si apriva quel passaggio? Tentò di estrarre a caso alcuni volumi, ma poi li rimetteva al loro posto deluso.
“Cosa ci fate qui?”. Una voce melodiosa lo fece saltare sul posto e per poco non gli venne un infarto. Quando si voltò incontrò lo sguardo di una ragazza molto bella: sembrava una principessa nelle vesti da serva. I capelli castani lucenti, il colorito pallido ma non cadaverico. Non sapeva spiegarselo, ma provava una sorta di timorosa reverenza nei suoi confronti. Si grattò il capo, cercando una scusa adeguata e per fortuna non gli ci volle molto: “Sono qui per prendere alcuni libri che mi potrebbero essere utili...sono il nuovo medico di corte che ha avuto il compito di occuparsi della salute a rischio di vostra maestà”.
Violetta lo squadrò ancora qualche minuto, quindi si rilassò e si sciolse in un sorriso amichevole. “Il mio nome è Violetta...qualunque cose le dovesse servire può chiedere a me” si presentò con un inchino appena accennato. Dj ricambiò il saluto, facendo uno svolazzante inchino e tornò a guardarla negli occhi imbarazzato: Maxi aveva ragione, era proprio una creatura incantevole. Non che ne fosse innamorato, ma doveva ammettere che quella ragazza aveva un fascino particolare, un qualcosa di ammaliante. Si ricordò poi del racconto di Andres nella grotta: Violetta. Era lei la predestinata a salvare il Paese delle Meraviglie, eppure sembrava una semplice ragazza innocente. Possibile che la apparenze ingannassero così tanto e dietro si celasse un’abile guerriera?
 “Vi ringrazio per la cortesia, ma io e i miei colleghi cercheremo di essere il meno possibile di fastidio durante la nostra permanenza”.
“Non sapevo che la salute di Jade fosse a rischio” osservò Violetta, facendosi sempre più interessata. Era vero che German le aveva sempre insegnato a non gioire delle disgrazie altrui, ma era altrettanto vero che la regina stava facendo di tutto per allontanarla da Leon e non dimenticava il modo in cui aveva cercatto di renderle la vita impossibile. L’immagine di un giovane ragazzo dagli occhi verdi e spenti chiuso dietro le sbarre gli attraversò la mente e l’odio crebbe ancora di più. Non aveva mai desiderato la morte di qualcuno in quel modo; doveva vergognarsene? Forse si, ma non ci riusciva.
“Nulla che non si possa risolvere” esclamò Dj, spegnendo così il suo entusiasmo. “CHE CI FATE QUI?!”. I due si voltarono all’unisono e si trovarono di fronte il Bianconiglio, pallido e tremante, che guardava prima loro, poi la libreria, e poi di nuovo loro.
“Siamo nella biblioteca, Thomas” rispose con semplicità Violetta, ancora scossa da quell’urlo che le aveva fatto accapponare la pelle. “Dovete stare lontani da qui! Non è sicuro!”. Thomas era bianchissimo e le orecchie vibravano per la paura.
Il mago rimase a fissarlo, ed era come se avvertisse in quel ragazzo la stessa energia che aveva sentito prima. Ma non era possibile, come poteva la magia risiedere in quel coniglio? O ragazzo, insomma, non contava. Tolse frettolosamente il disturbo ma invece di andarsene si nascose in un angolo, sperando di carpire qualche frammento di conversazione interessante.
“Thomas, ma si può sapere che ti prende? Smettila di essere così agitato e guardami!”. Violetta continuava a scuotere uno scioccato Thomas, i cui occhi azzurri erano come paralizzati, sospesi in una qualche dimensione fuori dal tempo. “Nessuno deve venire qui...mancano solo due notti. Due maledette notti. Non voglio tornarci, capisci? Ogni volta è un incubo e mi sembra di perdere il controllo, di morire e rinascere. Provo tanto dolore” vaneggiò il Bianconiglio, accasciandosi a terra perso.
“Va tutto bene...Va tutto bene”. Violetta si inginocchiò di fronte a lui, accarezzandogli con dolcezza la guancia. “Non va bene affatto!” Thomas le scostò la mano di colpo, infuriandosi. “Non mi avevi detto che non avevi intenzione di venire via con me. Non mi avevi detto di Leon” spiegò, alzandosi in piedi e fissandola con amarezza.
“Voglio spiegarti”.
“Ma non c’è nulla da spiegare, hai saputo solo prendermi in giro! Io ho conservato il tuo segreto, non ne ho mai parlato con nessuno e tu invece non facevi altro che ridere alle mia spalle!” strillò il Bianconiglio e senza lasciarle il tempo di replicare corse via alla velocità della luce, lasciando Violetta in preda a mille rimorsi. Thomas aveva ragione, aveva sbagliato a comportarsi in quel modo, facendogli credere di essere d’accordo con il suo piano fino all’ultimo. Ma le cose erano cambiate in modo talmente improvviso! Con il morale a terra più del solito, si diresse fuori dalla biblioteca nella speranza di non doverci pensare più.
“Un segreto, eh...” sussurrò Dj, piuttosto interessato da quella conversazione ascoltata. Sbucò fuori dal suo nascondiglio, tornando a meditare sulle parole di Thomas. Leon Vargas anche c’entrava in quella storia, chi l’avrebbe mai detto. E poi c’era la questione delle due fonti di magia identiche, una proveniente da dietro la biblioteca, l’altra proveniente dal corpo del Bianconiglio. Era piuttosto confuso da tutte quelle informazioni frammentarie ed aveva bisogno di tempo per pensare. Ma solo dopo aver visitato Jade; non ci teneva ad arrivare in ritardo al cospetto della temibile regina di Cuori. 
 
A Nord del castello di Cuori si estendeva la cittadina di Sterdings, un piccolo crocevia per i mercanti e dove si poteva trovare veramente di tutto. Se eri alla ricerca di qualunque cosa, dal cibo al vestiario, Sterdings era la città che ti avrebbero consigliato. Con la guerra ovviamente aveva subito degli arresti, ma riusciva comunque a mantenere la sua buona nomea. Come tutte le città che si rispettavano non mancavano i truffatori e i ciarlatani che si approfittavano della buona fede dei viandanti per vendergli ogni tipo di carabattola, spacciandola per chissà quale oggetto di valore. Jackie si aggirava per le sue vie con un cestino di vimini coperto da una tovaglietta rossa a scacchi blu e bianca. Si guardava in giro con aria annoiata, procedendo a passo svelto. Odiava dover mettere piede a Sterdings ma quello era l’unico modo per procurarsi ciò di cui aveva bisogno. Aveva lasciato Lara, che si era offerta di accompagnarla, con le altre serve alle prese con le spese per il castello e si era confusa tra la folla in modo tale da far perdere le tracce. In pochi minuti avrebbe sistemato la faccenda. Si guardò intorno guardinga, quindi svoltò rapidamente a destra, in un vicolo stretto, appiattendosi ad una delle pareti sporche e sudicie. Attese qualche secondo di non aver attirato l’attenzione di nessuno quindi riprese a camminare con tranquillità, stando attenta a non strusciare con il vestito. Gli edifici erano bassi e malridotti, costruiti in pietra, con delle piccole finestrelle dai vetri rotti. Si aveva la costante impressione di essere osservati, ma Jackie era ormai talmente abituata da non farci caso. Il vicolo si interrompeva con un muro scuro e pericolante, ma alla sua sinistra c’era una porticina spessa con una piccola feritoia all’altezza degli occhi. Bussò due volte, e un paio di occhi grigi comparve dal nulla dietro la feritoia.
“Parola d’ordine?” gracchiò la voca di un uomo anziano. Jackie drizzò la schiena, stizzita. Giustamente, anche se ormai tutti la conoscevano lì dentro, volevano assicurarsi che non si trattasse di qualcuno che aveva preso le sue sembianze. Capiva perfettamente tutte quelle misure di sicurezze, per quanto fossero fastidiose. “Nercorvo”. Non ci fu nessuna risposta, solo il rumore di tanti catenacci che cadevano per terra. La porta si aprì mostrando un vecchio con i capelli grigi disordinati e il colore degli occhi identico. Un grigio ferro, sembrava quasi metallo fuso. Si reggeva in piedi grazie ad un bastone ritorto la cui testa mostrava due serpenti intrecciati che cercavano di azzannarsi.
“Jackie, è un piacere vederti, cara...sono arrivati dei denti di girasole freschissimi, ma vedi tu stessa” ghignò il vecchietto. La stanza era sommariamente addobbata e tutti i mobili erano coperti di polvere, segno che non venivano mai utilizzati. Il proprietario si diresse con passo traballante verso la parete di fronte all’ingresso e scostò un dipinto che raffigurava un’idra intenta a divorare la sua preda, la quale tentava invano di fuggire terrorizzata. Un cunicolo buio si celava dietro il quadro e l’anziano fece cenno alla donna di andare avanti. Jackie avanzò senza timore e dopo qualche passo nell’oscurità più completa finì dentro un’enorme stanza piena di banchetti di negozianti bizzarri. In realtà anche la merce era fuori dal comune: barattoli con occhi tutti uguali in salamoia che schizzavano da una parte all’altra, animali strani chiuse dentro delle gabbie, come delle salamandre rosso fuoco che emenavano un alito glaciale, o draghi con due teste che litigavano tra di loro; c'erano anche lunghe e spesse corde che si annodavano in aria formando un cappio. Una signora grassa e panciuta fermava i visitatori mostrando loro fiale sottili con ogni genere di intruglio. “Amore, confusione, oblio...ho filtri di tutti i tipi. Ogni pezzo viene solo novanta monete d’oro!”. Jackie strabuzzò gli occhi: che razza di prezzi! Nonostante ciò rimase in silenzio e proseguì dritta: le risse per commenti malevoli scoppiavano molto frequentemente al Mercato Nero della Palude. Si fermò di fronte a un piccolo banchetto piuttosto scarno, con solo delle erbe rinsecchite; dietro di esso un uomo avvolto in un mantello nero ronfava beatamente su uno sgabello, facendo schioccare la lingua sul palato.
“Gregorio” lo chiamò con freddezza. Non ottenendo nessuna risposta, prese a strattonarlo con insistenza, finché l’uomo non fu costretto a saltare in piedi, con gli occhi anccora chiusi per il sonno. “Ci sono, ci sono!”. Si girò intorno spaesato e per poco non rischiò di incaìiampare nel suo stesso mantello scuro, facendo tintinnare alcune bottiglie polverose di idromele che giacevano a terra. “Bene, sono qui per il solito”. L’uomo assottigliò lo sguardo pigro e borbottando qualcosa di incomprensibile sparì dietro una tenda color muschio. Tornò con un ciuffo di radici nere strette nel pugno dalle foglie di un verde spento. “Eccoti la tua Mandragola introvabile, dritta dritta dalla tana di un’idra...non sai che faticaccia è stata trovarla. Come minimo pretendo dieci monete d’oro per questo lavoretto. Se poi consideriamo che è anche merce di contrabbando...”.
Jackie alzò un sopracciglio tirando fuori dalla tasca un borsellino di pelle con un laccio di stoffa bianca. “Dieci monete? Pensavo fossimo rimasti d’accordo con sei. Ricordati che solo io ti compro questa merce, tra parentesi piuttosto scottante” sogghignò la donna, facendo tintinnare le monete dentro il contenitore.
“Sei monete? Pretendi che io rimanga qui a fare la fame?” sbottò Gregorio, assumendo un’espressione cattiva. “Sono il tuo unico fornitore e pretendo che il prezzo si alzi”.
“Facciamo sette”
“Otto”.
Jackie ci pensò un po’ quindi si arrese all’evidenza: aveva bisogno di quelle radici per preparare l’infuso da somministrare a Jade. La maledizione di cui era vittima si indeboliva se non le veniva somminstrato periodicamente quell’infuso. Gli consegnò le otto monete d’oro pattuite con riluttanza e mise il suo acquisto nel cestino. “Perfetto. Grazie mille, Gregorio, alla prossima”. L’uomo grugnì in tutta risposta e tornò ad appisolarsi infilando il denaro guadagnato nella testa e sognando un’interminabile scorta di idromele in arrivo.
Jackie uscì con circospezione e si mescolò in mezzo alla folla, abbassandosi inizialmente un cappuccio per non essere subito riconosciuta. Quando si fu allontanata abbastanza se lo tolse e si sistemò con un gesto rapido ed esperto i capelli, raccogliendoli da una parte. “Jackie!”. Lara le venne incontro con la solita aria spaesata di quando si ritrovava a girare per le vie di Sterdings. Ogni volta le parlava del suo timore di perdersi in quella che definiva una bolgia infernale. “Non ce la faccio più! Ho preso le uova come mi avevi chiesto, ma non sono riuscita a trovare le altre cose della lista...dove eri finita?”.
“Ero in giro” rispose evasivamente e strinse più forte l’impugnatura del cestino.
Lara annuì e si lanciò in un racconto arricchito di particolari inventati sulle sue avventure in quella città. “Sono mancata solo per qualche minuto!” la zittì poi, dirigendosi innervosita insieme alle altre. Lara iniziò a fissare insistentemente il cestino che portava. Qualcosa le diceva che il suo contenuto era molto interessante ed era giunto il momento di farle capire che lei non era la schiava di nessuno e che se voleva continuare ad avere la sua collaborazione avrebbe dovuto metterla al corrente del piano. Anche se il suo obiettivo era riavere Leon non le stava bene che venisse tenuta all’oscuro di tutto; si fidava di Jackie solo fino ad un certo punto, sapeva che era una donna subdola e infida, l’aveva dimostrato con i suoi continui tentativi di far allontanare Violetta dal castello. Era ora di farle capire chi aveva il coltello dalla parte del manico.
La carrozza arrivò al Palazzo di Cuori in mezza giornata e come sempre alcune cuoche anziane della compagnia avevano passato il tragitto lamentandosi delle continue buche incontrate per strada che sentivano tutte sulla schiena. Quando furono finalmente nel cortile interno Jackie sembrò particolarmente contenta di potersi ritirare nella propria camera, lontana da occhiate indiscrete e da chiacchiere insopportabili. Con estrema soddisfazione si immerse nel silenzio della stanza e poggiò il cestino sul comodino, poi da sotto il letto tirò fuori un piccolo recipiente con un pestello e una fiala. Tolse con cura la tovaglietta e il suo ghigno perfido si trasformò in una smorfia di terrore e rabbia nel vedere che al posto delle radici di Mandragola c’erano delle semplici e comunissime uova.
 
Violetta si era fermata di fronte al Labirinto di cui una volta era stata prigioniera e sorrise spontanemente sfiorando i petali vellutati di una delle rose rosse poste all’ingresso. Carroll. Quel cognome le ronzava in testa in continuazione. Cosa c’entrava il famoso scrittore inglese con quel mondo impazzito? Si ricordò di quando aveva chiesto al Ghiro qualche informazione su Alice e di come Beto avesse impedito che l’animale rispondesse alle sue domande. Il Cappellaio sembrava a conoscenza di molte cose eppure aveva deciso di non dirle nulla; non era il solo a comportarsi in modo strano comunque, perché lo Stregatto era forse il personaggio più assurdo e controverso che le fosse mai capitato di incontrare.
“Non si pensa mai a voce alta male delle persone!” esclamò qualcuno alla sua sinistra. Camilla per la prima volta non galleggiava in aria, ma poggiava i piedi saldamente per terra, e aveva ancora una volta il suo misterioso sorriso a trentadue denti.
“Buonasera Camilla” rispose educatamente, ignorando la sua uscita assolutamente priva di senso. Che adesso fosse in grado anche di leggere nel pensiero? La ragazza dai capelli rossi non disse nulla, ma si mise a braccetto della ragazza, mentre la coda si agitava pigramente come un serpente, arrivando perfino ad accarezzarle il mento. Le due iniziarono a camminare dirette verso il laghetto artificiale.
“Cosa pensi di questa storia, Violetta? E di questo mondo?” domandò Camilla all’improvviso. Che domanda buffa! Come mai le stava chiedendo le sue impressioni proprio quel giorno quando avrebbe potuto farlo tanto tempo fa?
“Non saprei dirlo...sembra quasi di essere in uno spettacolo teatrale. E’ tutto anormale, artificioso. Stavo pensando che potrebbe esserci un collegamento con Alice e Carroll”. Lo Stregatto si fermò e la guardò con aria soddisfatta. “Allora forse non sei tanto meno intelligente di Alice. Esatto, Violetta, Carroll è la chiave che va usata per aprire le porte dei segreti di questo mondo. Carroll è quello che potrebbe definirsi il creatore...ma forse è ancora presto per te vederlo sotto queste vesti. Non so se sei pronta per accettare la realtà. Nessuno di noi lo era”.
“Ti riferisci a Beto?”.
Camilla annuì. “La pazzia sembrava essere l’unica strada possibile per evitare di cadere vittime di questo mondo crudele e del suo destino. Nessuno ci ha creduto, nessuno ha prestato fede alle nostre parole e abbracciare la follia è stata la nostra salvezza. Abbiamo svuotato il cervello di tutto ciò che è razionale, dando ai pensieri un nuovo significato. Nulla accade per caso, purtroppo...Alice è stata la nostra guida, ci ha messo al corrente del pericolo e ci ha dato la possibilità di scegliere”.
Le siepi si interruppero bruscamente mostrando la superficie liscia e verdastra dello stagno. Un tiepido ricordo le si affacciò alla mente: lei e Leon stesi sull’erba che dicevano finalmente addio alle incomprensioni e si dimostravano il loro amore. Stare lì da sola, senza il principe, le metteva un senso di disagio e sconforto. “Hai già parlato della possibilità di scegliere se non sbaglio. Ne parli spesso”. Lo Stregatto accentuò ancora di più il suo inquietante sorriso.
“Osserva il tuo riflesso e dimmi cosa vedi” aggiunse in tono solenne. Violetta si affacciò, seguita da Camilla che le teneva le spalle. Un viso smunto e affaticato resistuiva la sua occhiata perplessa. “Non ti ricorda nulla?” le sussurrò all’orecchio. Violetta aggrottò la fronte, prendendosi qualche minuto per pensarci, ma poi le venne in mente dove aveva provato già quello strano presentimento: di fronte agli specchi della biblioteca. Le parole di Alice unite a quelle dello Stregatto sembravano volerla condurre passo passo verso una verità assoluta, qualcosa che secondo Camilla avrebbe cambiato drasticamente il suo modo di vedere le cose, non necessariamente in meglio. Dei cerchi concentrici a poca distanza dal suo riflesso fecero tremolare la superficie e una ninfa spinta dalla corrente ruppe l’incanto, trasformando l’immagine in un ammasso di colori.
“Violetta, non ti sei mai chiesta perché noi continuiamo a guidarti con le nostre parole, per quanto strane ti possano sembrare? Vogliamo che tu capisca tutto, ma non possiamo essere noi a dirtelo, perché non ci crederesti. Le vere idee geniali non sono mai frutto delle menti di altri. Capire è credere”. La voce di Camilla sembrava sempre più lontana, eppure sentiva ancora la stretta sulle spalle. Ebbe un improvviso senso di vertigini e spossatezza; per un secondo credette che sarebbe caduta in un quella pozza di cui non si riusciva a distinguere il fondo. La superficie era il mondo delle Meraviglie, il fondo era la sua essenza. Ma quello che succedeva nel fondo si ripercuoteva sulle superficie.
“Violetta...”. La ragazza si voltò di scatto, non riconoscendo più la voce di Camilla; al suo posto c’era il ragazzo che aveva incontrato il giorno prima in corridoio. Lo stesso del sogno. Aveva paura di lui, temeva che potesse mettersi in mezzo tra lei e Leon, sebbene non avesse fatto ancora nulla. “Non avere paura, mi chiamo Maxi” si presentò il giovane con un leggero imbarazzo. Tese la mano, che rimase a mezz’aria di fronte a una diffidente Violetta. La abbassò dopo qualche minuto: a quanto pare non era intenzionata a fare la sua conoscenza. “Non ti ho seguito!” si affrettò ad aggiungere, temendo che lei pensasse che volesse molestarla. In realtà l’aveva seguita davvero non appena aveva messo piede fuori dal giardino, ma come avrebbe potuto motivarlo?
“Sarà meglio che vada” mormorò Violetta con freddezza, cercando di tornare sui suoi passi, ma Maxi si mise in mezzo impedendole l’accesso al sentiero con le siepi. “Preferirei che noi parlassimo”.
“E di che dovremmo parlare? Non vi conosco nemmeno” sorrise nervosamente Violetta, sostenendo lo sguardo determinato di Maxi. Quel ragazzo non avrebbe ceduto per nulla al mondo, neppure se si fosse messa ad urlare, idea che per un attimo le era passata per la testa. Ma avrebbe anche rischiato per essere presa per pazza, in fondo non la stava nemmeno sfiorando.
“Lo so che può sembrarti assurdo...ma io ti conosco. Ti ho sognato”. Violetta impalldì di colpo e il mondo prese a vorticarle intorno con una velocità spaventosa. Aveva bisogno di reggersi a qualcosa per non crollare a terra. I suoi sogni...possibile che quel ragazzo avesse provato lo stesso? Che cosa stava a significare? “Stai bene? Dalla tua faccia sembra che abbia visto un fantasma” si preoccupò Maxi, prendendole con gentilezza il braccio, mettendolo intorno al suo collo e portandola al padiglione. Aprì il cancelletto con l’altra mano e Violetta si stupì di come quella volta nessuna voce l’avesse dissuasa dall’andare in quel posto. Che fosse giunto il momento? Si, si rispose. Qualcosa le diceva che era venuto il suo momento. Ma sotto quel padiglione nulla era più lo stesso. Quel posto era suo e di Leon, e vedeva Maxi come un fastidioso intruso. Il ‘Ti amo’ di Leon sussurrato in piena notte risuonava ancora tra quelle colonne ed era una melodia affascinante, meravigliosa. Si allontanò da Maxi che ancora le faceva da supporto e tornò a guardarsi intorno, come nella speranza che Leon sbucasse fuori dal nulla e le dicesse che la partenza era stata tutto uno scherzo.
“Lui non è qui, è partito. Me l’hanno riferito durante la colazione” disse a denti stretti Maxi, con un cipiglio severo. Leon. Quel nome per lui era una condanna: il pallore sul viso di Violetta era sicuramente dovuto alla paura che provava nei confronti del principe e vederla così spaesata gli fece venire il forte desiderio di abbracciarla. Questa volta avrebbe potuto farlo, e non sarebbe stata una carezza persa nel vuoto, sarebbe stato un abbraccio vero, sincero. Si avvicinò con quelle intenzioni, ma Violetta fece un passo indietro, terrorizzata. Non le piaceva quello che stava succedendo, non le andava giù quel momento così intimo e riservato tra loro due, che si erano conosciuti solo attraverso dei sogni, per di più sgradevoli, almeno nel suo caso.
“Preferirei non parlarne”. Cercò di sfuggirgli ancora una volta, ma Maxi fu più veloce: le afferrò il braccio e la attirò a sè. Notò che erano alti quasi uguali, e quei pochi centimetri di differenza erano dati unicamente dai ciuffi ricci dei capelli.
“Qui non sei al sicuro” sussurrò deciso, guardandola intensamente. Gli occhi di Maxi erano scuri e indecifrabili: non rusciva a leggervi le emozioni, come invece era in grado di fare con quelli verdi e sinceri di Leon. Leon era una libro, che una volta aperto, era riuscita comprendere, mentre quel ragazzo per lei rimaneva un mistero, un sogno che aveva preso concretezza. Aveva ragione: non era al sicuro. Ma solo perché Leon non era lì con lei. Deglutì quando sentì il dorso ruvido della mano di Maxi sfiorarle la guancia, quasi avesse paura di sciuparla. “Devo veramente andare”. Gli prese la mano e la allontanò con uno strano senso di tristezza nel leggere l’espressione sconsolata e confusa del ragazzo. Fuggì via nascondendosi il viso con il braccio e lasciandolo lì. Le lacrime scendevano ininterrotte. Troppi ricordi, troppi momenti dolci, troppe paure. E ormai ogni emozione, ogni pensiero era completamente incatenato ad un ragazzo dagli occhi verdi. “Leon, ho bisogno di te”.











NOTA AUTORE: Partiamo dal fatto che mi sento un verme a non aver avuto il tempo per rispondere alle vostre bellissime recensioni, ma credetemi se vi dico che in questa settimana non ho avuto nemmeno il tempo di respirare (non toglie il fatto che mi sento estremamente in colpa). Spero di poter rispondere alle vostre prossime recensioni (se ce ne saranno)...e continuo a rinnovarvi le mie scuse. Le ho lette tutte le recensioni, e come sempre vi ringrazio di cuore per continuare a seguire questa foll- questa storia volevo dire xD Non posso nemmeno fermarmi a commentare, pensate come sto messo ç.ç Grazie a tutti voi che continuate a seguirmi, spero che la storia vi continui a piacere, e alla prossima! Buona lettura (si fa per dire, il capitolo è scritto in modo orribile ed è pure noioso, e Maxi rompe :/). 
syontai :D 
  
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