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Autore: scythemeister_MakaAlbarn    29/08/2014    9 recensioni
Frammenti e bazzecole di una vita disastrata.
Frammenti e bazzecole di una città folle.
Frammenti e bazzecole di paura, amore e follia.
Senza un filo conduttore. Spero che vi piacciano!
step 1: At First
step 2: Cream! (lime)
step 3: Soup and Syrup
step 4: Connection
step 5: Restraint (lime)
step 6: Sweet Evening
Frammenti e bazzecole...semplicemente.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Soul/Maka
Note: Missing Moments, Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Scrups and Trifles
 

 
 
Restraint
 
 
 
Maka si allenava spesso dopo le lezioni.
Tornava a casa in fretta e preparava la merenda: un toast, oppure del tè accompagnato da quello che avanzava di torte o crostate. I dolci in casa non mancavano mai, ne cucinava uno alla settimana.
Quel pomeriggio erano rimaste tre fette di torta alla zucca. Aveva sospirato, sorridendo; Blair, con la sua magia, le assicurava una fornitura di zucche annuale, seppur fosse giugno inoltrato e le vacanze fossero alle porte. Ne aveva preso due bocconi, trangugiando un bicchiere di latte, poi aveva lasciato un po’ del dolce su di un piattino ed era andata a cambiarsi.
L’uniforme le faceva venire un gran caldo: la stoffa sottile pungeva sulla schiena sudata e le faceva prudere i fianchi. Si era sfilata la gonna scozzese, saltandola a piedi uniti. Il tessuto di cui era fatta era più pesante rispetto a quello della camicia. Anche questa, una volta sbottonata e snodata la cravatta, era scivolata lungo le braccia ossute, scoprendo la schiena lattea e le scapole sporgenti. La pelle era solcata da un arabesco di cicatrici chiarissime: alcune lunghe e sottili, altre più marcate. Ognuna rappresentava il prezzo pagato in battaglia e la volontà ferrea di proteggere le persone che amava. Maka non piangeva. Quelle cicatrici erano le lacrime che scivolavano sulla sua carne, sinuose e crudeli, intaccandola. Erano il suo dolore, le sue vittorie.
Proprio sulla spalla destra e a metà strada tra questa e il gomito, spiccavano gli aloni bruni e bluastri di due grossi lividi. Se li era procurati il giorno precedente, durante una lezione con il dottor Stain, una simulazione. Non era riuscita a parare l’attacco, la falce le era scivolata dalle mani e il colpo l’aveva fatta rotolare all’indietro, contro un pilastro. Se Soul non l’avesse afferrata in tempo si sarebbe sfondata la testa.
Una volta ripiegati i vestiti li aveva poggiati al fondo del letto, sulle lenzuola azzurrine che profumavano ancora di detergente. Poi aveva rovistato nell’armadio e, agguantati un paio di indumenti a caso, si era cambiata per stare più fresca. Il suo gilet giallo chiaro la fissava da sopra il ripiano, piegato impeccabilmente nell’attesa dell’autunno.
Tornata in cucina era rimasta a guardare il pezzo di dolce che troneggiava in mezzo al tavolo, bruno e spugnoso. Aveva sospirato mentre si rimetteva le scarpe ed apriva piano la porta. Soul avrebbe riempito la tovaglia di briciole.
 
Era in ritardo. Non sarebbe mai riuscito ad arrivare in tempo.
Giocando a basket con Black*Star e Kirikou, giù al campetto, non aveva sentito la sveglia. Il cellulare era rimasto nella sacca di scuola insieme a quaderni e cianfrusaglie e per venti muniti il timer aveva squillato a vuoto. Poi, Fire e Thunder se n’erano accorti e l’avevano avvisato. E lui, con gli occhi sgranati, era scappato via, urlando qualche saluto incomprensibile agli amici, che avevano sogghignato, vedendolo sparire dietro la prima curva.
“Quando il dovere chiama…”
Maka l’avrebbe massacrato. Il giorno prima le aveva promesso che sarebbe andato ad aiutarla negli allenamenti. All’inizio si era rifiutato: non era cool sgobbare anche dopo la scuola. Ma a volte i suoi baci sapevano essere più che convincenti.
Correva come un forsennato lungo le vie tortuose di Death City, con i vestiti appiccicati addosso e il fiato corto. Schivò per miracolo una bambina che reggeva un grosso lecca-lecca e, per accorciare il tragitto, scavalcò un paio di muretti rischiando una scivolata catastrofica. Mancava una sola salita.
Si concesse di rallentare un poco, prima di oltrepassare l’ingresso del condominio. La tromba delle scale gli apparve più ostile che mai. Le dieci rampe lo attendevano.
Ripartì a lunghe falcate, salendo tre gradini alla volta, bruciò i pianerottoli quasi fosse stato un atleta. Al terzo piano indugiò un secondo sulla soglia di casa, per poi continuare con lo stomaco che brontolava per la fame. Altri due piani e finalmente apparve la porticina grigiastra e polverosa che dava sul tetto. Gli diede un calcio, spalancandola. Era arrivato.
Il sole pomeridiano lo abbagliò mentre, le mani puntate sulle ginocchia, cercava di spingere un po’ d’aria nei polmoni.
Il sudore che gli grondava dalla fronte precipitò a terra, disegnando cerchi scuri sul cemento.
Prese un lungo sospiro e si lasciò cadere contro il muro, sfinito. I muscoli bruciavano per l’acido lattico e si sentita andare a fuoco.
Maka era là, proprio davanti a lui. Lo fissava con odio picchiettando il piede a terra.
“Trentasette minuti di ritardo.”- scandì, austera. Il tono concitato della voce tradiva a tratti la sua furia.
Soul alzò gli occhi al cielo. Il cerchietto che usava per tenere su i capelli non era servito a nulla. Dopo quella corsa i ciuffi candidi erano sfuggiti qua e là, andando ad appiccicarsi alla fronte e sugli zigomi.
Alzò un dito, come a voler ribattere, ma poi il braccio ricadde molle lungo il fianco.
Caldo. Stava morendo di caldo, e aveva fame. Maka gli si avvicinò pestando forte coi piedi. Era diventato più alto di lei, finalmente, e anche restando ricurvo su se stesso la sovrastava di una spanna buona. Gli piaceva che dovesse sollevare il viso per guardarlo negli occhi, e che per arrivare alla sua bocca fosse obbligata ad alzarsi in punta di piedi. A volte lo strattonava per la cravatta per farlo abbassare, altre, per colmare velocemente la distanza che li separava, lui se la trascinava addosso, sollevandola dalla vita.
Lei gonfiò le guance e piantò le mani sui fianchi, assottigliando gli occhi come se si stesse aspettando qualche scusa. Soul levò un sopracciglio osservando una goccia di sudore scivolarle suadente lungo il collo sottile, per poi sparire otre la clavicola. Le guance erano rosse per l’afa e la fronte madida. Anche lei doveva avere parecchio caldo.
“Allora?”- lo incitò –“Avevi promesso che mi avresti aiutata!”
“E, infatti, sono qui…senzatette…” Il fiatone gli dava qualche problema. Maka si gonfiò ancor di più, camminando all’indietro. “Se ti fossi ricordato di tornare a casa in tempo, ora non saresti ridotto così.” E lo indicò, brontolando con tono accusatorio.
Soul la guardò storto. Si stagliava esile contro il sole di giugno, con quei suoi codini lunghi e biondi scarmigliati dalla brezza leggera e le braccia incrociate sotto il seno. Portava una gonna a righe nere e viola alternate con folli motivi a pois. Gliel’aveva regalata lui.
Tsubaki l’aveva convinto a comprarla quella primavera. “Maka ne sarebbe felice.”- aveva detto, sorridendo. Poi era andata in panetteria abbandonandolo davanti alla vetrina. La commessa gli era sembrata un pizzico esaltata mentre pagava alla cassa. “E’ per la tua ragazza? Perché ce l’hai la ragazza, no?” Era uscito dal negozio visibilmente seccato. Maka non era la sua ragazza. Era sua e basta.
Il pacchetto se l’era fatto da solo, con quello che rimaneva della carta di Natale. A renne. Poi l’aveva lasciato davanti alla porta di camera sua. Non era un tipo da regali, non c’era nemmeno il biglietto. Maka lo aveva scartato con circospezione mentre lui se ne stava stravaccato sul divano a giocare alla Play.
“E’ per te.”- le aveva detto, con scarso interesse. Poi, all’improvviso, se l’era ritrovata addosso, senza nemmeno averla sentita avvicinarsi. Si era preso un colpo mentre il joystick rotolava per terra e l’automobile fiammante, nella televisione, finiva per schiantarsi contro un gard rail. Il sorriso di stupore e meraviglia che era comparso sul viso infantile di Maka l’aveva lasciato senza fiato. Adorabile. Lo era davvero.
 L’aveva abbracciato forte, con la gonna ancora stretta in mano e il tagliando dell’etichetta che dondolava dall’orlo. “Grazie, Soul.”
Lui aveva stretto i denti per il ginocchio piantato nello stomaco. Sulla sua faccia si era dipinto un mezzo sorriso, un po’ per l’imbarazzo, un po’ perché gli occhi di Maka scintillavano come fanali. Le aveva accarezzato la schiena come avrebbe fatto con un cucciolo.
E aveva sospirato. Tsubaki aveva sempre ragione.
La gonna ondeggiò al vento, lasciando intravedere così tanta carne che Soul dovette guardare altrove per un istante, ingoiando un fiotto di saliva viscosa. La canottiera di cotone le stava appiccicata alla pelle ed era diventata quasi trasparente.
“Cominciamo!” Maka gli allungò la mano, intimandolo a trasformarsi. Lui si passò la destra sulla fronte, abbandonò la sacca a terra e rimise a posto il cerchietto. I capelli umidi gli davano fastidio. Una volta diventato falce, Maka lo avrebbero martoriato, scivolando su e giù lungo il manico e poi sulla lama, premendo o sfiorandolo appena. Vibrò di piacere al solo pensiero. Non era molto cool da parte sua, ma il caldo gli stava montando alla testa.
Era una sensazione piacevole, lo era stata fin dall’inizio, quando ancora si sopportavano a malapena. Sentiva i movimenti della compagna, lenti e controllati, come se tra loro fosse stato steso un foglio di carta velina. Le sue mani lo avrebbero lambito come lui sapeva fare con i tasti del pianoforte.
Ora le sue dita erano leggermente appiccicose. “Cosa vuoi fare?”- chiese, mentre il suo corpo cominciava ad illuminarsi di una luce cangiante.
Lei divaricò le gambe. “Perfezioniamo gli assalti aerei.”
Era fottuto.
 
 
Farsi “cavalcare” da Maka era un po’ come farci sesso.
L’aveva pensato fin dalla loro prima esperienza di volo. E lei gli aveva dato del porco.
Allora Maka era la sua weapon meister, la sua partner. Era la ragazzina dal rapporto stazza/forza bruta più assurdo che avesse mai visto, quella che gli urlava contro quando si dimenticava di lavare i piatti o che, la notte, sgattaiolava nel suo letto dopo aver avuto un incubo. Nessun imbarazzo, nessun desiderio. C’erano soltanto loro due, schiena contro schiena, con i piedi gelati e la testa affondata nello stesso cuscino. Soul, Maka e la singolare eco delle loro anime. Poi, una notte, stare così vicini era diventato improvvisamente problematico. Lei era avvampata mentre Soul le baciava una guancia, si era stretta al tessuto del suo pigiama.
“Non prendermi in giro.”- aveva sussurrato, gli occhi bassi e lucidi. Lui le aveva arruffato i capelli, ridacchiando. Poi la sua espressione si era raddolcita. “Non ti sto prendendo in giro.”
Si erano sciolti ancor di più l’uno nell’altra.
Soul deglutì, sbandando leggermente. Maka si era mossa sopra di lui, forse per imprimere la direzione da seguire, e il sottile lembo di tessuto che lo separava dalla sua intimità si era spostato di qualche millimetro. Se fosse stato in forma umana avrebbe cominciato a perdere litri di sangue dal naso.
“Tutto okay, Soul?”- fece lei, il vento a sferzarle la faccia. La falce levò un gemito. Si chiese come facesse ad essere tanto ingenua. La sua femminilità premeva forte su di lui, umida e calda. La sentiva fin troppo bene.
Con un ampio movimento d’ali salirono ancora più in alto e per un momento Soul riuscì a focalizzare la sua attenzione sul paesaggio. Gli si mozzò il fiato. Death City si srotolava dinnanzi a loro in tutta la sua imponenza. Chilometri e chilometri di case abbarbicate le une sulle altre, ville maestose, botteghe, campi, negozi. Si vedeva anche il campetto da basket. Ed infine, al di sopra di tutto, svettavano le torri ritorte e minacciose della DWMA, che contrastavano con l’azzurro abbagliante del cielo. Una lieve velatura rosea cominciava ad intaccare le nuvole all’orizzonte. Tutt’intorno, il nulla. Era uno spettacolo meraviglioso e agghiacciante allo stesso tempo.
Maka strisciò in avanti, premendo un seno contro il manico e aprendo ancora di più le gambe per issarsi.
“Laggiù!”- indicò una volta in piedi. Poco lontano dalla scuola c’era un piccolo bosco. Era una folta chiazza d’un verde vivido che serpeggiava fino alla periferia della città, troncandosi di netto sul terreno arido del deserto. Proprio al centro si stagliava lo spiazzo chiaro di una radura. I professori vi portavano spesso gli studenti più piccoli e inesperti. Era là che per la prima volta la loro squadra aveva eseguito una Risonanza a Catena.
Ritta sulla sottile asta della sua falce, in equilibrio perfetto, Maka espose a grandi linee quello che dovevano fare. Doveva parlare a voce alta per farsi sentire, a quell’altezza il vento soffiava forte. Il sudore sulla sua pelle si era asciugato, facendola rabbrividire e i vestiti umidi le facevano sentire ancor di più le sferzate gelide. C’era un masso nella radura, in alto a destra.
“In pratica più ci avviciniamo a quello meglio è…”- riassunse Soul, dopo lo spiegone dell’artigiana.
“In pratica sì.”
L’esercizio era mirato ad aumentare la precisione dell’assalto. Durante l’ultimo test, Maka aveva mancato il bersaglio e il ricordo le bruciava ancora. Aguzzò la vista come per prendere bene misure e distanze.
“Pronta?” – fece lui, cercando di darsi un contegno.
Quella voce bassa le rimbombò in testa, come ovattata. Le parve di leggervi un non so che di voluttuoso. Prese un respiro profondo, chiuse gli occhi. Il suo tono era caldo e rilassante. Se ne sentiva avvolta.
Avrebbe dato il massimo. Con un colpo secco fece impennare il manico, afferrandone la parte finale. Si accovacciò, poggiando il ginocchio sull’asta metallica. Era concentrata, immobile. Poteva sentire la falce pulsare sotto il suo tocco, viva e animata. Rivoli di calore, simili a correnti, ne percorrevano la superficie. Accarezzò dolcemente il metallo con il pollice.
Il corpo di Soul. La sua anima. Erano nelle sue mani, la chiamavano.
Rimase in posizione come un corridore ai blocchi di partenza, tesa nell’attimo dello sparo.
“Via.”- soffiò.
 
Con due colpi possenti le ali fendettero l’aria.
Maka saettò in avanti, lasciandosi alle spalle lo sventolio dei codini. Era come se il vento le stesse risucchiando la pelle, riusciva a stento a tenere gli occhi aperti: non erano mai andati tanto veloce.
Spostò entrambe le mani verso il centro, facendole scivolare piano sul manico di metallo, e rimase accovacciata mentre le folate cercavano di farle perdere l’equilibrio. La fine canottiera di cotone si sollevò, lasciando scoperto l’ombelico e le dolci incurvature dei seni fecero capolino da sotto la stoffa. Le sferzate di aria gelida aggredivano la sua pelle nuda, i capelli le schiaffeggiavano le guance. Era una sensazione unica, faticava persino a respirare.
Soul scrutò i tetti delle case che sfilavano sotto di loro. I coppi e le tegole dalle tonalità più disparate presto cedettero il passo ad immensi alberi dalle chiome sgargianti. Le frasche s’intrecciavano a formare giganteschi arazzi di smeraldo, annodandosi e avvolgendosi tra loro di ramo in ramo. La radura era vicina.
C’era quello stesso verde negli occhi brillanti di Maka.
Si sentì avvampare, sotto il suo peso. Quelle mani lo facevano ardere.
“Soul?”- gridò lei, sovrastando il rumore del vento. La sua anima stava vibrando e le faceva ronzare le orecchie. Si mosse appena, strusciando contro il suo manico liscio. Forse era un’impressione, ma le sembrava fosse diventato più caldo.
A Soul parve di morire. I suoi movimenti lenti e ingenui gli facevano ribollire il sangue e pulsare il bassoventre. Non resisteva più.
Improvvisamente si bloccò a mezz’aria, a non più di dieci metri dalla roccia che doveva essere il loro bersaglio. Maka spalancò gli occhi, colta di sorpresa. La brusca frenata la proiettò in avanti, spingendola verso il basso e finì a testa in giù, a ciondoloni con la falce stretta tra le gambe. Boccheggiò, frastornata mentre Soul faceva dietrofront e ripartiva in direzione della città.
“Che cacchio fai, deficiente!?”- riuscì infine a sbraitare, rossa in viso per il sangue che le stava fluendo alla testa. Era attaccata al compagno come un pipistrello e il dondolio le stava facendo venire la nausea. Cercò di coprirsi le mutandine sollevando la stoffa della gonna, ma il suo tentativo fu reso vano dal vento che aveva ricominciato ad imperversare.
Lui schioccò la lingua. Ormai quasi tutto il suo sangue era andato a concentrarsi in mezzo alle gambe, riusciva soltanto a pensare al corpo acerbo di Maka, caldo e sudato, al suo collo sinuoso e a quanto gli sarebbe piaciuto sentirla gemere contro la sua bocca. Sogghignò. Gemere non era da lei e quando le capitava di lasciarsi sfuggire un gridolino, stringeva i denti come per ricacciarselo in gola.
Il tetto del loro condominio si stava facendo sempre più vicino. Maka lanciò un grido, con gli occhi sgranati mentre il compagno riprendeva la sua forma umana a mezza’aria, cadendo da poco meno di un metro da terra. Le braccia forti e le lunghe gambe riapparvero nella luce della trasformazione, barcollò un poco riuscendo infine a rimanere in equilibrio. Lei rotolò ai suoi piedi, sbattendo la schiena sul cemento. “Ahio…”
Era capace di atterrare in piedi precipitando da molto più in alto ma, appesa com’era, non aveva fatto in tempo ad assestarsi correttamente. “Che ti è preso, cretino?!”- tuonò, sentendosi afferrare da sotto le ascelle. Il sole si era abbassato, le feriva gli occhi e la schiena le bruciava. Forse si era un po’ sbucciata. Soul la sollevò di peso, caricandosela a spalle come un sacco di patate. Un sacco molto leggero…
Maka strillò, nuovamente a testa in giù, avvinghiandogli le braccia al petto per non cadere. “Soul!”
Lui, che con un braccio la tratteneva dalle gambe, camminò fino alla porta che dava sulle scale e la aprì. “Mi prendi la sacca?”- disse, facendo ricorso alla poca calma che gli era rimasta. La compagna si bloccò per un attimo, esterrefatta: Soul stava davvero cominciando a farla imbestialire. “Cosa?”
L’albino si limitò a scrollare le spalle, facendo un cenno in direzione del borsone scuro accantonato contro lo stipite della porta. Lei ringhiò, allungando piano un braccio per raccoglierla. La lasciò strisciare sul pavimento e poi giù per le scale perché la tracolla era troppo lunga. Preferiva tenersi stretta al compagno piuttosto che cercare di tirarla su. Udì la pesante porta richiudersi con un tonfo ovattato mentre Soul, sempre più veloce, cominciava a scendere la seconda rampa di scale. La sua spalla, conficcata nella pancia, le faceva male ad ogni gradino.
 Il ragazzo la ascoltò ingoiare un rantolo. Riusciva a sentire le sue unghie attraverso i vestiti tanto si stava tenendo stretta. Si fermò su un pianerottolo, facendola scivolare in avanti e prendendola in braccio come avrebbe fatto un cavaliere con la sua principessa, solo con fare più rozzo. Gli facevano male le gambe. Lei gorgogliò, tornando a respirare normalmente, la sacca in grembo. Ripresero a scendere rischiando di cadere, Soul imprecò.
Agli ultimi tre gradini si staccò Maka di dosso, sbattendola forte contro il muro. La sacca ruzzolò a terra, aprendosi e facendo uscire penne e matite che si sparpagliarono tutt’intorno allo zerbino di casa. Maka strizzò gli occhi, picchiando la nuca contro la parete e per un istante, tutto le parve vibrare. Un ronzio sempre più acuto ed intenso le riempì la testa, lasciando che ogni altro suono passasse in secondo piano. Era un sottofondo ovattato e al contempo assordante. Ben presto, in tutto quel nero, cominciò a danzare una moltitudine di puntini bianchi mente alcune macchie rossastre apparivano qua e là, ad intervalli. Sembravano piccole lucciole, fiammelle intermittenti nella notte. Sbatté le palpebre, si strofinò la faccia. Quando finalmente riuscì a rimettere a fuoco, vide Soul curvo su di lei. Le sue spalle ampie la ingabbiavano, tenendola premuta contro il muro. Era come se la sua intera figura la stesse avvolgendo, oscurandola. Il suo fiato caldo le sferzava il viso. E lei si sentì talmente piccola, talmente fragile e minuta al suo cospetto.
Gli occhi guizzarono iracondi, brillando dietro i capelli umidi di sudore. Se non le fosse stato così vicino, Soul non se ne sarebbe neanche accorto. La sua rabbia si riversò su di lui come un fiume in piena. Prese ad agitare le braccia in modo scomposto, tentando di divincolarsi. Lo colpì allo stomaco, finendo per scontrarsi nuovamente contro il muro. Sembrava un animale selvatico chiuso in gabbia. “Soul!”- ruggì –“Che cazzo fai?!” Il ragazzo si appiattì ancora di più su di lei, bloccandole un braccio. I suoi occhi cremisi fiammeggiavano tra le gocce di sudore. I capelli, schiacciati indietro dal cerchietto, apparivano di un grigio lucente nella poca luce del pianerottolo. “Maka… Prendi le chiavi.”- fece, portandole il braccio sopra la testa ed avventandosi poi sul suo collo bianco. Lei si irrigidì, lasciando morire un sospiro che le rimase impigliato tra i denti. Con la mano libera gli artigliò il fianco, furiosa, i muscoli si contrassero. “Stupido.”- ringhiò, cercando di svincolarsi ma lui prese a succhiarle la pelle, lasciando una scia umida e rossastra che dalla gola arrivava fin dietro l’orecchio. Il sudore l’aveva resa salmastra, acre.
“Maka…” Lei rabbrividì. Era come se la lingua di Soul stesse accarezzando il suo nome, lettera per lettera. I peli le si rizzarono sulle braccia mentre, dove la bocca del compagno non c’era più, la pelle cominciava ad intirizzirsi. Le loro fronti si toccarono e lei venne spinta ancor di più all’indietro.
“Le chiavi, Maka…” Con il pollice le schiuse la bocca, mordendole il labbro inferiore. Era famelico, vorace e il desiderio velava il suo sguardo come un drappo di velluto.  Maka rimase ipnotizzata. Le parole parevano colargli dalle labbra come caramello fuso. Le si impiastricciarono addosso, sulla faccia, nelle orecchie. Quando la baciò, con forza, le parve di poterle assaporare.
“Ti prego, prendile.”- ripeté il giovane, in un sussurro. La fissò fino a che vide la rabbia nei suoi occhi liquefarsi, sostenendola quando le cedettero le ginocchia.
Soul era erotico, e fuori controllo. E lei era al limite.
Distolse lo sguardo, con il bassoventre che pulsava. L’erezione del compagno era premuta sulla sua pancia. “Qualcuno potrebbe vederci…”- gemette. Lui sogghignò, mostrando i denti appuntiti –“Allora apri quella maledetta porta ed entriamo in casa.”
La ragazza avvampò violentemente, mordendosi un labbro. “Non ho preso le chiavi uscendo.”
“Usa le mie, allora.”
Maka tornò a fissarlo, interrogativa e lui la baciò ancora. “Sono in tasca…”
“Non puoi prenderle tu?!”- strepitò, tra una boccata d’aria e l’altra.
“Maka, ti sto baciando.”
“E allora?”
“Ti sto baciando.”
Lei roteò gli occhi, arresa. Replicare, pensò, non sarebbe servito a nulla. Scese con la mano verso i pantaloni e, infilando le dita nella tasca, strattonò involontariamente il tessuto. Il ragazzo ingoiò un sussulto di piacere mentre ghignava sulla sua bocca. Il membro, avvolto nella stoffa, si era fatto caldo. Le strinse una natica, palpandola con devozione. Attraverso la canottiera bianca intravedeva le areole rosee dei suoi capezzoli. “Maka…” Le morse il lobo dell’orecchio mentre la mazzetta di chiavi tintinnava tra le sue dita magre. “Ti voglio. Adesso.”
Lei deglutì, cercando il foro della toppa alla cieca. Era difficile, con Soul che si strofinava su di lei e continuava a ripeterle quelle cose imbarazzanti. Sperava soltanto che non arrivasse nessuno.
Oh, Shinigami. Tentò di fare il più in fretta possibile. Se Blair li avesse scoperti si sarebbe scatenato il delirio e nel giro di pochissime ore lo avrebbero saputo tutti, a Death City. Sudò freddo, immaginando Spirit contorcersi in una pozza di lacrime e muco.“La mia piccina… La mia piccola Maka…”
La vergogna l’avrebbe sicuramente uccisa.
Tastò la parete ed ancora il legno ruvido della porta. Poi, finalmente, trovò il freddo pomello d’ottone; poco più in basso c’era la placca metallica con la serratura.
“Sei capriccioso, Soul Eater.” Infilò la chiave nella toppa, dopo averla fatta cozzare un paio di volte sui bordi della cavità. “E sei anche impaziente.” La bocca di Soul si piegò nuovamente in un ghigno. Vederla così rossa in viso lo faceva impazzire. “E’ colpa tua, Maka.”
Le prese l’elastico delle mutandine tra indice e pollice, facendoselo scorrere avanti e indietro sulle dita.
“Tu sei il mio vizio.”


 
 
ANGOLO A ME:

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Mi vergogno tanto… Non ho osato scrivere di più, cercate di capirmi.
E…sono terribilmente mortificata. Non sono solo in ritardo. Non c’è parola per esprimere quanto io lo sia. *dannazione depressione muoio*
Beh, alternando momenti, dolci, demenziali e un tantino, ehm…
"spinti", è venuta fuori questa cosa. Siate clementi, vi prego.
Negli ultimi tempi sono a corto di ispirazione. Questa storiella l'ho scritta mesi fa, ad esempio...
Vi prego, recensite, e non lesinate in suggerimenti! In questo periodo ne ho veramente bisogno.
Se ne avete voglia…sigh…sono depressa, scusatemi. E inoltre la mia volontà di usare lo scanner per ogni disegno di questa raccolta è andata a farsi benedire. Per questo capitolo ne avevo preparato un altro, ma mi vergognavo troppo per inserirlo qui. Perdono.
Vi adoro, perché nonostante tutto, siete sempre tanto buoni con me.
Grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo (secoli e secoli fa, ormai): mangakagirl, Kejra, Buki_Puntina atomica Vill e NonChiamatemiEvans.
Un abbraccio a chi ha inserito la raccolta tra le fic preferite (Kejra, Maka94, NonChiamatemiEvans, robin goodfellow, Violet Star, _Alyss_ e _Maka_Albarn_), a chi l'ha ricordata (demon_slayer, mangakagirl e RANFYC), a chi la sta seguendo (alte97, JinxD, ketax, Kikyw, _Layla_Morrigan_Aspasia_, Maka 98, pink07, robin goodfellow, SilverSoul, Sol_chan, urara98, _KaMi_ e _Kazua_Takumi_) e a chi magari neanche voleva leggerla ma l'ha fatto lo stesso. Per sbaglio forse!
Mi rendete felice. Mi siete mancati tutti moltissimo. Grazie.
E APPRESTOOOOO!! (si fa per dire -.-“)


 
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