Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: Maiko_chan    29/08/2014    14 recensioni
[Estratto]
Si sedette in una delle panchine riparate dal tetto spiovente del tempio e da lì osservò la pioggia interrompere la frenesia che serpeggiava nelle strade, svuotandole. I riflessi dorati dell’edificio formavano bizzarri giochi di luce e lei ne rimase affascinata, le iridi illuminate da infantile curiosità.
Aprì la borsa colma di libri di testo e, cercando fra tomi di grammatica, filosofia e musica, trovò ciò che cercava. Le sue labbra si incurvarono in un tenue sorriso, accarezzando con delicatezza la copertina che ricopriva il libricino color prugna. Seguì con le dita le lettere che formavano il titolo, argentate e brillanti, e accarezzò le pagine giallastre che odoravano di carta. Poi lo aprì e iniziò a leggere, le orecchie piene dei rumori di quella giornata di pioggia.

{NaruHina} Fluff da caricare i denti!
Seconda classificata - pari merito con Emmevic - al ‘Cosa vi assegnerà la sorte?’ indetto da Mokochan sul forum di Efp e vincitrice dei premi Miglior One-Shot e Premio Giuria
Storia partecipante al contest "Un fiore per tante eroine" indetto da NevilleLuna sul forum di EFP
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Han, Hanabi Hyuuga, Hiashi Hyuuga, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto, Kiba/Hanabi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Note dell'Autore: Questa storia è nata da un’improvvisa folgorazione. Appena lessi la citazione di Cime Tempestose la collegai immediatamente alla famiglia di Hinata e, pensiero dopo pensiero, è venuto fuori questa lunghissima OS. Spero moltissimo di aver reso al meglio tutto e, ovviamente, di non essere caduta in OOC. Hiashi mi dà un po’ da pensare ma io lo vedo così: un uomo sofferente che non ha più la forza di vivere. Incrocio le dita! Ho aggiunto anche molti dei miei personaggi preferiti, come ti sarai accorta dal parametro “Personaggi e Pairing” stracolmo di gente xD. Tengo molto a questa storia e spero di aver fatto un buon lavoro. Comunque vada, questo è un contest meraviglioso e sono onorata che la giudiciA sia tu, Moko!
Aggiungo inoltre che questo storia è stata betata da Amens Ophelia – di solito non faccio betare le mie storie ma visto che tu lo consigliavi… ho deciso di dare un strappo alla regola.
  


«’Kaa-chan?» 
Chiuse il libricino che stava leggendo, frapponendo un dito tra due pagine per non perdere il segno. Rivolse un dolce sorriso alla figlia, accarezzandosi il ventre gravido.
«Si, Hina-chan?»
La bambina le si avvicinò, timida e impacciata, le gote che si coloravano di un rosso ciliegia, mentre un sorriso incurvava le sue labbra rosee. La madre si intenerì e la prese fra le braccia, appoggiandola sulle sue gambe e stando attenta a non schiacciare il pancione. 
«Quando arriva Hanabi-chan?»
I capelli neri della donna svolazzarono spinti dalla calda brezza della primavera, tentacoli di tenebra che solleticavano il viso della piccola Hinata. La donna posò un bacio sulla guancia della bambina, sorridendole.
«Presto, tesoro, presto.»



In My Heart.

Si può continuare a vivere nel cuore delle persone care?

 

Il cielo, plumbeo e minaccioso, tuonava impetuoso in quella grigia giornata di Marzo. A Kyoto – gremita di gente – venivano messe da parte le bellezze che davano lustro alla città; le folle, infatti, arrancavano tra impegni e preoccupazioni giornaliere, non dando la giusta importanza a ciò che le circondava.

Quando la prima goccia di pioggia le bagnò la guancia, Hinata sorrise, volgendo lo sguardo al cielo. Tutt'intorno le persone si affrettavano a raggiungere un bar dove potersi riparare o estraevano pronte i loro ombrelli. Assaporò il momento in cui quella stilla d’acqua scese lenta sulla sua gota, percorrendo il collo niveo e andando a posarsi sul bavero della camicia, inumidendola. La seconda s’infranse sotto il suo occhio destro e si trascinò con indolenza fino alle labbra, bagnandole appena, non dissimile da una lacrima. I tuoni la riscossero e la giovane spalancò gli occhi chiari, accelerando il passo, inzuppandosi gli indumenti scolastici per un improvviso scroscio di pioggia.

Il tempio Kinkaku-ji si stagliava maestoso nel diluvio e lei, come attirata da una forza sconosciuta, attraversò in fretta la strada. Approdò davanti agli imponenti gradini che portavano fino alla struttura; l’acqua li aveva resi scivolosi e Hinata arrancò per arrivare tutta intera fino in cima, dove poteva trovare rifugio dall’acquazzone che bagnava le strade di Kyoto. Con un sospiro appurò che avrebbe dovuto aspettare almeno un’ora piena prima di poter tornare a casa e ringraziò in silenzio che Hanabi e suo padre fossero andati a Tokyo, altrimenti avrebbe dovuto preparare la cena anche per loro e, con quel tempo, di sicuro avrebbe fatto tardi. Si sedette in una delle panchine riparate dal tetto spiovente del tempio e da lì osservò la pioggia interrompere la frenesia che serpeggiava nelle strade, svuotandole. I riflessi dorati dell’edificio formavano bizzarri giochi di luce e lei ne rimase affascinata, le iridi illuminate da infantile curiosità.

Aprì la borsa colma di libri di testo e, cercando fra tomi di grammatica, filosofia e musica, trovò ciò che cercava. Le sue labbra si incurvarono in un tenue sorriso, accarezzando con delicatezza la copertina che ricopriva il libricino color prugna. Seguì con le dita le lettere che formavano il titolo, argentate e brillanti, e accarezzò le pagine giallastre che odoravano di carta. Poi lo aprì e iniziò a leggere, le orecchie piene dei rumori di quella giornata di pioggia.
 

Una dolce melodia echeggiava fra le pareti color avorio della sala, le dita della donna si muovevano veloci e lievi sui tasti bianchi e neri del pianoforte di mogano, seguendo lo spartito che troneggiava sul leggio. Le note si susseguivano fra loro, rapide e senza timore, gravi e acute, componendo un sublime disegno.
Hinata rimaneva accovacciata accanto al panchetto dove sedeva la madre, ascoltando a occhi chiusi la canzone, estasiata. Quando finì, si diede qualche attimo per assaporare le note che ancora aleggiavano nella stanza. Aprì gli occhi –  luminosi e commossi – , puntandoli prima sul maestoso strumento e poi sull’amorevole figura della genitrice. La donna le sorrise incoraggiante, intuendo che la figlia avesse qualcosa da chiederle.
«’Kaa-chan mi puoi insegnare?» e per ribadire la sua proposta indicò con un dito il pianoforte, sorridendole e dando bella mostra dei suoi nuovi dentini.
«Certo, tesoro. Però devi promettermi che ti impegnerai.»
La bambina si sedette accanto a lei sulla panca, annuendo, gli occhi puntati sulla tastiera.
«Lo prometto, ‘kaa-chan. Poi posso suonare per otōsan?»
La donna rise, scompigliando i capelli alla figlioletta.
«Sono sicura che gli piacerà molto, Hina-chan.»

 

L’improvvisa luce del sole l’accecò, portandola a distogliere gli occhi dal libro per poterli puntare sulle strade di Kyoto. Ripose il piccolo volume dentro la borsa e si alzò in piedi, sgranchendosi. Diede uno sguardo al fine orologio che portava e appurò che non era poi così tardi; avrebbe potuto passeggiare per un po’ nei giardini che costeggiavano il Padiglione d’Oro. Prese la tracolla e vi si avventurò.

L’erba era bagnata e dalle foglie gocciolavano i residui della pioggia, mentre il sole iniziava a riscaldare l’aria. I bonsai si stagliavano imponenti nella loro modestia, in un intreccio di rami e foglie. Hinata li osservò accarezzandone i fusti, trovandoli ruvidi al tatto. Arrivò fino al piccolo laghetto, dove tante volte l’aveva portata okaa-chan, e vi si accovacciò, osservando i pesciolini che guizzavano nell’acqua. Vi immerse un dito, giocherellando con quel fluido trasparente.  

«Che stai facendo?»

La ragazza balzò in piedi, spaventata. Un giovane poco più grande di lei la guardava con curiosità, le labbra stirate in un sorriso aperto e scherzoso. I capelli color grano, arruffati e indomabili, erano bagnati dalla pioggia e gli ricadevano sulla fronte; gli occhi celesti risplendevano, incuriositi, puntanti in quelli perlacei di lei e la sua carnagione bronzea saltava all’occhio come neve sulle strade.

Hinata arrossì, imbarazzata, la voce che faticava a uscire. Giocherellò ansiosa con l’orlo del suo giacchetto, sentendo su di sé lo sguardo gioioso di quel ragazzo.

«Stavo… stavo solo ammirando il laghetto» rispose, abbassando gli occhi sul terreno.

Udì dei passi e immaginò il suono derisorio della sua voce quando avrebbe parlato; si rivolgevano a lei sempre con tono irrisorio, nel momento in cui la sorprendevano in strani comportamenti. Percepì un inaspettato fruscio, di foglie spostate, e poi un distinto tac. Incuriosita, alzò lo sguardo e, cercando di non farsi notare, scorse un rametto di bonsai caduto a terra. Poi vide la mano bronzea del ragazzo raccoglierlo e riporlo nella sua tasca e, spostando gli occhi sul suo busto, si accorse che nella mano destra teneva un paio di cesoie. Le sue iridi risalirono ancora, fino al viso, dove poté assistere al suo sorriso; la folgorò e le tolse la capacità di intendere e volere.

«Anch’io vengo spesso qui.» La voce forte e calda di lui la scosse e lei tremò. «Oltre ad essere il mio lavoro, amo questo giardino.»

E rise, rise senza un apparente motivo, una risata spensierata e aperta, senza che nulla – nessun pensiero, nessuna parola – potesse intaccare la sua veridicità.

«Aaah!» Si scompigliò i capelli biondi con una mano e tante piccole goccioline di pioggia balzarono in aria, scintillando. «Che idiota, sono sicuro che non ti importa un fico secco di quello che dico!» rise ancora, spensierato.

Hinata rimase lì, immobile, senza sapere che fare. Cosa doveva dire? A un ragazzo così spensierato, così vivo, cosa avrebbe potuto dichiarare lei, se non qualcosa di stupido e banale?

«E tu? Perché vieni qui?». Lui colmò un vuoto, un silenzio pieno di parole non dette, e la sorprese. Sorrise, incoraggiante e curioso, come un bambino.

I lunghi capelli corvini scivolarono sul suo petto, spinti dal vento fresco di Marzo, e la frangetta le coprì gli occhi perlacei. Tremò di freddo ma, in qualche modo, quell’alito gelido le diede la spinta per rispondere alla domanda.

«Mi piace molto questo giardino.»

Lui dovette sforzarsi per sentire quel sussurro quasi inudibile, ma, appena lo decifrò, un nuovo sorriso comparve sulle sue labbra.

«Ne sono felice. Almeno qualcuno apprezza il mio lavoro!» ridacchiò, gonfiando il petto.

Hinata soffocò una risata, mentre lui si elogiava con sfarzo, da spaccone, poi rideva di sé e le faceva l’occhiolino. Le gote le si infiammarono, rosse e bollenti, prova del suo silenzioso imbarazzo. Impalata di fronte a lui, ascoltava rapita il suo sproloquio, sorridendo divertita di tanto in tanto. Poi lui sgranò gli occhi celesti e diede uno sguardo al suo orologio, schiaffandosi una mano sulla fronte così forte che Hinata sobbalzò per lo schiocco.

«Diamine, me n’ero completamente dimenticato!» esclamò, ansioso «Devo andare, adesso!». Sorrise e puntò i suoi occhi cerulei in quelli di lei, inchiodandola al suolo e togliendole il respiro.

Si voltò e iniziò a correre, ma si fermò di scatto, come se avesse dimenticato qualcosa. Lei lo guardò, incuriosita e intimidita allo stesso tempo e lo vide sbracciarsi come un matto, forse per attirare la sua attenzione. E poi lui urlò…

«Spero di rivederti presto!»

Hinata rimase lì, in mezzo ai bonsai, un sorriso che le illuminava il volto.

 
***

Il 27 Marzo era un giorno particolare per la famiglia Hyuuga.

Se, da una parte, la villa familiare era addobbata per la festa di compleanno di Hanabi, dall’altra, nella notte un’assordante tristezza serpeggiava fra le sale, in ricordo di Hikari Hyuuga, morta dopo poche ore dal parto della seconda figlia. Per tutta la mattina c’era un andirivieni di persone impegnate a pulire, sistemare, decorare l’enorme abitazione. In cucina si udivano il fragore delle pentole, lo sfrigolio dell’olio, gli urli intimidatori dello chef e i profumi più disparati si mischiavano in un bizzarro aroma che aleggiava per la casa. 

Hinata aiutava come poteva, un po’ intontita da tutti quei suoni differenti, che solo in occasioni speciali invadevano la silenziosa dimora degli Hyuuga. Se ne rallegrava perché, anche se l’assenza di rumori era sempre stata un sua buon’amica, quel trambusto la riportava alla sua infanzia, prima che avesse compiuto cinque anni. Okaa-chan amava cucinare e portare vita in quell’alterigia villa e lei interveniva con entusiasmo; ricordava che erano riuscite a far partecipare anche otōsan. Un sorriso incurvò le sue labbra, mentre la ragazza si perdeva in dolci ricordi, che non si sarebbero mai ripetuti. Gli occhi le si inumidirono, ma non abbandonò il sorriso; Sorridi anche quando sei triste, Hina-chan. La vita va vissuta col sorriso sulle labbra, erano le ultime parole che le rivolse sua madre prima che venisse ricoverata.

Si alzò e attraversò il lungo corridoio, salì le scale e approdò davanti alla stanza di sua sorella. Il tatami scricchiolò mentre armeggiava con il pesante fusuma, cercando di entrare nella camera per aiutare Hanabi a prepararsi.

Negli anni la villa si era deteriorata, come gli animi di coloro che vi abitavano, e l’antico splendore dell’abitazione si era opacizzato.

Quando finalmente riuscì ad accedere alla camera, trovò la sorella distesa sul proprio futon, i vestiti sparsi per il pavimento e le finestre spalancate, l’aria fredda che inondava la stanza.   

Raccolse qualche vestito buttato malamente sul liscio tatami e lo ripose sul letto, stando attenta a non toccare la ragazzina che vi riposava. Accostò le persiane, un’accortezza a cui avrebbe dovuto pensare Hanabi stessa, e osservò la figura dormiente della sorella. Le scostò una ciocca castana che le copriva gli occhi chiusi, le accarezzò la guancia e sorrise fra sé e sé. Diede uno sguardo agli abiti che riposavano indisturbati per terra e iniziò a raccoglierli. Li adagiò insieme agli altri e li guardò uno a uno, piegandone alcuni e appendendone altri. Alla fine solo uno rimase sul futon insieme ad Hanabi e lei uscì silenziosa dalla stanza, mentre il sole tramontava su Villa Hyuuga e l’inizio della celebrazione si avvicinava.

***

La musica vivacizzava i festeggiamenti, canzoni moderne –  eseguite da cantanti fuori dagli schemi – , mentre il buffet era stato razziato dal gruppo informe di ragazzi dai quattordici ai diciannove anni e tutti si erano lanciati in un ballo sfrenato. Hinata rimaneva in disparte, seduta su una delle sedie in ferro che avevano disposto nella grande sala, il lungo vestito blu l’avvolgeva con eleganza, fasciando il suo corpo femminile. A disagio, continuava a seguire con lo sguardo i movimenti rapidi e improvvisati dei convitati, cercando di estraniarsi da quel mondo a lei sconosciuto.

Hanabi, invece, si sentiva a suo agio in mezzo a tutte quelle persone che si strusciavano fra loro e, in quelle occasioni, perdeva l’alterigia che contraddistingueva i suoi modi di fare.

La giovane dai capelli blu notte la scorse mentre ballava assieme a Kiba, un suo amico d’infanzia, e non si sorprese della confidenza dei loro movimenti; da quando si erano conosciuti non facevano altro che punzecchiarsi, ma lei aveva notato la scintilla infuocata dei loro occhi mentre si guardavano. Per questo non si sorprese quando Kiba la baciò in mezzo alla folla e Hanabi lo ricambiò con ardore. Si staccarono dopo pochi secondi e lei avrebbe potuto giurare che si fossero insultati a vicenda. Il pugno che Hanabi gli diede valeva più di mille risposte. Quasi poté udire il grugnito stizzito del ragazzo mentre si massaggiava la spalla, poi il fuoco inondò le loro iridi e ripresero a baciarsi, senza preoccuparsi della folla. Arrossì quando notò che la mano di Kiba vagava indisturbata sul fianco della sorella, che indossava l’abito nero e bianco che lei aveva scelto, e decise di spostare la sua attenzione su qualcos’altro, per dar loro l’intimità che meritavano. Lui era un bravo ragazzo e Hanabi era molto coscienziosa, sapeva che poteva fidarsi di loro e che non avrebbero fatto nulla di avventato. “Almeno per adesso” pensò, ansiosa.  

Sovrappensiero, non diede peso alla chioma bionda che vagava per la sala, così singolare e unica, ma si rinchiuse nella sua bolla di silenzio, mentre intorno a lei tutto si faceva quieto. Giocherellò con il braccialetto color avorio che indossava, seguendo con le dita il contorno dei cuori in cristallo dove vi erano incise le lettere che formavano il suo nome. Il regalo di compleanno che okaa-chan e otōsan le avevano comprato per i suoi tre anni.

«Hinata!»

Sobbalzò quando udì l’urlo stizzito della sorella, in piedi di fronte a lei, mentre Kiba la guardava divertito. I suoi occhi si indirizzarono verso quelli della ragazzina, trovandoli così diversi da suoi, nonostante fossero identici sia per il colore sia per il taglio. Taglienti e gelidi quelli di Hanabi, timidi e gentili i suoi.

Notò la sorella ricomporsi, le labbra rosse per i baci infuocati dell’Inuzuka, lisciandosi il vestito. Poi sbuffò, ma ella vide nei suoi occhi un velo di apprensione.   

«Perché non balli un po’ con noi?» chiese Kiba, sorridendo e avvolgendo con un braccio le spalle di Hanabi, la quale gli scoccò un’occhiata glaciale. Mormorò un “cane pulcioso” in direzione del castano e rivolse la sua attenzione alla sorella, parlandole con lo sguardo.

Hinata scosse la testa in segno di diniego e la quattordicenne si rabbuiò, mordendosi un labbro. Si riscosse immediatamente, determinata; si liberò del braccio di Kiba e strattonò l’aneki, trascinandola in mezzo alla sala, ignorando le fievoli proteste della ragazza. Quello era il suo compleanno e lei avrebbe fatto quelle che le diceva, almeno per una volta. Si tuffarono tra la folla e solo allora lasciò il braccio della sorella maggiore, che si guardò spaesata intorno, intontita per il volume esagerato della musica. Hanabi iniziò a ballare, muovendosi sfrenata e senza pensieri, cercando di coinvolgere anche Hinata, che però rimaneva impalata sul posto, non azzardando a muoversi. I movimenti di Hanabi la stordivano, mentre tutte le persone della sala sembravano convergere su di lei. Voleva andarsene.

Si irrigidì e puntò lo sguardo sulla imouto, che continuava imperterrita a ballare vicino a lei, cercando di farla sentire a suo agio, di farla entrare nel suo mondo. Iniziò a muoversi piano, quasi con timore, e un’immensa felicità inondò il suo cuore quando vide un sorriso allargarsi sulle labbra di Hanabi. Cercò di entrare in quell’universo caotico e vivo, così fuori dagli schemi. Si mosse con leggerezza, guidata dal sorriso della sorella, e chiuse gli occhi, tentando di prendere parte alla libertà che esprimevano quei movimenti.

Quando li riaprì, si accorse che Hanabi non era più accanto a lei, inghiottita dalla folla o rapita da Kiba, e il panico prese le redini del suo animo. Si guardò intorno, cercando una via d’uscita da tutto ciò, ansiosa, facendosi largo tra la calca. Qualcuno le afferrò il braccio e la tirò verso di sé e Hinata non poté far nulla per impedire l’abbraccio che ne sarebbe conseguito. Ma il suo olfatto sentì un odore che non si sarebbe mai aspettata: un intenso profumo di foresta, di verde e di pioggia, di ramen e di sakè, di libertà.

Alzò lo sguardo e il suo cuore perse un battito quando incontrò un paio di ridenti occhi cerulei, che la guardavano stupiti e incuriositi. Le guance si colorarono di rosso, mentre il ragazzo che aveva conosciuto a Kinkaku-ji quasi tre settimane fa le sorrideva sbarazzino. Mosse le labbra, ma lei non udì nessun suono, così lui la trascinò fuori dalla folla, verso un punto più silenzioso. Solo quando ne uscirono le lasciò il braccio, permettendo a Hinata di tornare a respirare. Nonostante la presa decisa non le avesse procurato dolore, si era preoccupato di averla ferita e questo pensiero non fece altro che aumentare il suo imbarazzo.

Il ragazzo rise e lei poté risentire la sua risata limpida ed esagerata, che però gli si addiceva per i suoi modi di fare spicci e decisi.

«Chi non muore si rivede, eh?» scherzò lui, sorridendole.

Hinata accennò un sorriso; aveva pensato, già dopo pochi giorni dal loro incontro, che si fosse dimenticato di lei – così anonima e insignificante –, mentre ella non aveva mai smesso di pensare al suo sorriso. La travolse con un fiume di parole, di opinioni, di sbuffi e smorfie, e lei stette ben attenta a non perdersi neanche una parola, nemmeno un’espressione. Le chiese cosa ci facesse lì e, quando lei gli disse che era la sorella della festeggiata, lui si sorprese – ma mai quanto la fanciulla nel momento in cui scoprì che a invitarlo era stato Kiba. Lei gli disse che lo conosceva fin dall’infanzia, mentre lui si profuse in un sorriso da spaccone, iniziando a spiegare dove l’avesse incontrato.

«Era invischiato in una rissa ed era messo male, così l’ho aiutato a venirne fuori» raccontò, dettagliando tutta la rissa con effetti speciali, ovvero i suoi versi animaleschi.

E dopo molti sbam, smash, ouch Beccati questo, stronzo! Kiba stesso fece la sua apparizione e, smaltita la sorpresa iniziale, cominciò a contestare la versione del biondo. Da lì prese il via un’accesa discussione, con Hinata e Hanabi come spettatrici.

Si calmarono dopo una buona mezz’ora e desistettero dal lanciarsi occhiatacce, viste le sottili minacce con cui Hanabi li aveva zittiti, apostrofandoli come “cane rognoso” e “baka patentato”.

Poi scoccò la mezzanotte.

Hiashi Hyuuga fece il suo ingresso nella sala e, a poco a poco, la musica si spense e i ragazzi si ammutolirono. Avvolto in un kimono grigio, i suoi passi rimbombarono sul tatami finché non arrivò al centro della sala e lì si fermò, gli occhi gelidi che perlustravano la sala.

«La festa è finita» esordì, laconico e glaciale, lasciando ben poca scelta agli invitati.

Se ne andò com’era arrivato e al suo posto entrarono degli uomini pagati per far sgombrare la villa, i quali intimarono a tutti di andarsene. Così, seppur scalpitanti e stizziti, i giovani uscirono dall’abitazione degli Hyuuga. Kiba scoccò un bacio veloce ad Hanabi, mordendole con decisione un labbro, e si avventurò tra la folla. Il biondo salutò le due ragazze, scompigliandosi i capelli con una mano.

«Uzumaki ti vuoi muovere?!»

Il ragazzo sorrise, poi si avvicinò a Kiba, che lo esortava a sbrigarsi. Hinata rimase lì –  insieme a una scalciante Hanabi che non faceva altro che insultare a mezza voce il proprio ragazzo – , con un sorriso sulle labbra, mentre gli inservienti iniziavano a pulire la sala.

 
***

Era un buio soffocante quello che invadeva le stanze di villa Hyuuga, il freddo della notte gelava gli animi di coloro che non riuscivano ad addormentarsi, che guardavano con sguardo vacuo il soffitto in cerca di qualcosa. Di un segno.

Hinata, avvolta in una lunga camicia da notte, rimaneva accanto alla finestra che aveva aperto, osservando il cielo illuminato dalla luna e dalle stelle. Piccoli puntini luminosi risplendevano nell’oscura volta celeste e lei amava perdersi a contemplarli. Immaginava che sua madre fosse una di quegli astri luminosi e che ogni notte vegliasse su di loro e sulla villa che aveva tanto amato.

D’improvviso non riuscì più a respirare correttamente, sopraffatta dal dolore, e in preda alle lacrime si allontanò con passo malfermo dai vetri. Poi le note di una canzone risuonarono leggere nell’aria e tremò, le lacrime che scendevano lente dai suoi occhi. Fece scivolare il fusuma, uscendo in corridoio, mentre le note risuonavano potenti nella notte. Barcollando, discese le scale, appoggiandosi al muro; la melodia si faceva pian piano più nitida. Attraversò un intreccio di corridoi, guidata dalla triste musica che fluttuava nell'aria. Si accasciò davanti al fusuma che divideva la sala dove riposava il pianoforte di Hikari, intravedendo una figura suonare con maestria lo strumento. Chiuse gli occhi e appoggiò il capo sulla lattea parete, mentre le soavi quanto struggenti note invadevano la sua mente. Poi la melodia si fece più veloce, più sofferta – rabbiosa –, e le sue lacrime aumentarono, portandola a singhiozzare rumorosamente.

Lui non riusciva più a vivere come un tempo, si limitava a trascorrere le sue giornate come un automa. Quello era l'unico momento in cui riusciva a dare un senso alla sua esistenza.

E Hinata, mentre uno spesso muro d’incomprensioni la divideva dal padre, riuscì solo a ripercorrere con la mente uno dei ricordi più belli della sua infanzia.

 
 
Hikari Hyuuga suonava leggiadra il pianoforte, a occhi chiusi, mentre Hinata leggeva con impegno il libro preferito della madre, seduta sul tatami. Mimava con le labbra le parole di una pagina a caso del volume, fermandosi appena trovava un punto per poi rileggere senza interruzioni l'intera frase. Le note, leggere, accompagnavano la sua lettura e ogni vocabolo diventava magico agli occhi della bambina.
Il fusuma si aprì e Hiashi fece la sua apparizione nella sala. La moglie udì il suo arrivo, quindi si interruppe, rivolgendo un sorriso luminoso all'uomo che, dal canto suo, incurvò le labbra all'insù. Appoggiò il vassoio d'argento sulla coda del pianoforte e versò dell'acqua calda nelle tre eleganti tazzine – scintillanti come la teiera – che torreggiavano sul ripiano. Ne porse una, colma di the alla moglie, che lo ringraziò, sorridendogli. Hiashi diede uno sguardo allo spartito che stava studiando la consorte e, con un mezzo sorriso sul volto, improvvisò il primo rigo. Hikari rise, spensierata, e l'uomo tappò le sue risate con un bacio. 
Le gote della bambina si imporporarono di rosso, seguendo il movimento lento e dolce delle labbra dei suoi genitori. Poi Hiashi interruppe il bacio e fece cenno alla figlia di raggiungerli. Hinata si avvicinò velocemente, rivolgendo un timido sorriso al padre. Lui le porse una tazzina colma di the caldo e le scompigliò con tenerezza i capelli, gli occhi illuminati dall'orgoglio. Sorseggiarono la bevanda con calma, tutti assieme, come poche volte accadeva da quando Hiashi aveva accettato la cattedra d'insegnante in un prestigioso conservatorio. Il liquido caldo e aromatico riscaldò le membra intorpidite di Hinata che, appena finì di bere, ripose la tazzina sul vassoio.
«'Kaa-chan? Otōsan?»
«Sì, Hinata?»
Lo sguardo incuriosito del padre la indusse ad allargare il suo sorriso e a darle il coraggio per porre la domanda. Corse con grazia fino al libro riverso sul tatami, lo prese e tornò indietro. Trovò il punto che cercava e trasse un gran respiro.
«Se ogni altro essere umano pe-perisse e lui s-sopravvivesse, io continuerei a esistere; e se...»
Hikari capì al volo le intenzioni della figlia e, emozionata, continuò al posto della bambina a citare un pezzo del suo libro preferito. Del loro libro.
«... ogni altra persona restasse a questo mondo e lui dovesse essere annientato lUniverso si trasformerebbe...»
«... in qualcosa di terribilmente estraneo. Mi sembrerebbe di non farne più parte.» finì Hiashi con un tenue sorriso, osservando le iridi di Hikari, illuminate dal sentimento. E sorrise, sorrise davvero.
Hinata sgranò gli occhi, le labbra schiuse per la sorpresa. 
«Perché hai voluto citare queste frasi Hina-chan?»
La bambina arrossì.
«Volevo sapere se queste parole parlavano d'amore» rispose, stringendosi il libricino sul petto. 
Sorpresi, Hikari e Hiashi si scambiarono un'occhiata stupita, poi iniziarono a ridere, annuendo, le mani intrecciate. 
E Hinata seppe di aver trovato la risposta alla sua domanda. 
I suoi genitori si alzarono dal panchetto e, dopo averle schioccato due bacetti sulle guance, si diressero verso i giardini. 
«Vieni, Hinata, adesso usciamo!»
La voce potente del padre la riscosse e, appoggiando il tomo sul pianoforte, li raggiunse, accolta da un caloroso abbraccio.
 

Era amore.

Tutte le volte che udiva quella musica, riusciva solo a pensare a quanto quei versi fossero i più adatti per descrivere il sentimento che legava il padre e la sua defunta moglie.

Hiashi era già morto, perché sentiva che il mondo in cui viveva non era il suo, perché aveva esalato l'ultimo respiro insieme a Hikari.

La musica si interruppe e, mentre Hinata sprofondava in un sonno senza sogni, Hiashi si abbandonava al dolore. Le lacrime bagnarono i tasti del pianoforte, silenziose, in quello strumento intriso di lei.

La luna fece posto al sole e solo allora l’uomo rindossò la maschera e riportò la figlia nella sua camera. I passi rimbombarono sul freddo tatami, ma nessuno li sentì.

Come ogni anno.

***

Naruto non sapeva identificare il motivo per cui, il giorno dopo la festa a Villa Hyuuga, sommerse di domande Kiba, urlando improperi a destra e a manca. Nella sua mente vorticavano veloci le immagini di Hinata – l’unica informazione che era riuscito a strappare a quel pulcioso d’un amico era, appunto, il nome della ragazza –  avvolta nell’elegante abito blu o con indosso la divisa del liceo.

Ma quando Naruto Namikaze Uzumaki si metteva in testa qualcosa – e quel qualcosa era rincontrare Hinata –  nulla e nessuno potevano impedirgli di raggiungere il suo scopo. Così decise di attuare il proprio piano.

Scartò l’eventualità di tornare alla villa; da quello che aveva capito, il padre delle ragazze non era molto affabile. Non gli restava altra soluzione che ispezionare la città da cima a fondo. Rifletté a lungo su quali luoghi dovesse tralasciare e quali, invece, dovesse prendere in considerazione. Quando, dopo ore di analisi – e molte scodelle di ramen – , nella sua mente si era formata una piantina ben delimitata, con entusiasmo poté dichiarare aperta la stagione di caccia. 

...

Forse non era quello il termine più adeguato.

Scrollò le spalle, ripromettendosi di pensarci, e afferrò il giubbino arancione, scendendo con foga le scale. Prese le chiavi e si apprestò ad aprire la porta, ma un brivido di terrore lo fermò. Lentamente si girò verso colei che emanava l’aura maligna.

«Dove pensi di scappare, signorino?!»

Del sudore freddo si formò sulla fronte del ragazzo, che deglutì, cercando di arginare l’ira della madre.

«Eheheh… devo andare uhm a-al tempio. Sì, al tempio!»

La donna alzò un sopracciglio, sospettosa. Sbuffò, facendo ondeggiare i lunghi capelli rossi. Si voltò, le labbra che si incurvavano in un ghigno furbesco.

«D’accordo» disse con voce flautata. Naruto tirò un sospiro di sollievo – che poi gli si incastrò in gola, quando udì il verdetto. «Pulirai la tua camera quando sarai di ritorno.»

L’implicita minaccia nascosta nella voce dolce di Kushina lo scoraggiò dal contestare la sua deliberazione, ma decise di arginare i danni; annuì e scappò via. La donna scosse la testa, borbottando ingiurie, mentre il marito rimaneva seduto sul comodo divano del salotto. Una vena d’irritazione spuntò sulla sua fronte e, con grande sconforto di Minato, iniziò a urlargli contro, sostenendo che anche lei voleva avere un po’ di relax invece di sgobbare tutti i pomeriggi per sistemare la casa che loro sporcavano.

«Amore, non ti sembra di esagerare un po’…?» chiese titubante l’uomo, sorridendole.

Kushina prese un gran respiro.

«Esagerare? Esagerare?!»

Minato seppe di aver firmato la sua condanna a morte.

***

Riuscì a incontrarla solo nel giardino del Padiglione d’Oro. Non sapeva – non aveva la minima idea –  di come quella ragazza potesse sparire così facilmente. L’aveva cercata per settimane, ma di lei nessuna traccia. Solo quando i fiori di ciliegio iniziarono a sfiorire, la incontrò.

La ritrovò vicino al laghetto, accovacciata nella stessa identica posizione e con gli stessi identici vestiti della prima volta che l’aveva vista. Per un attimo pensò di essersela immaginata, quindi strizzò gli occhi e sbatté più volte le palpebre; lei era ancora lì. Un sorriso incurvò le labbra del giovane, animato da un'incontenibile gioia, della quale, però, non ne afferrava bene il motivo. Una forte sensazione di calore riscaldò il suo cuore e si avvicinò, cercando di non farsi sentire. Si rannicchiò accanto a lei e le sfiorò una spalla con la sua.

Hinata alzò lo sguardo e incontrò gli occhi cerulei del ragazzo, che le sorrideva, compiaciuto. Arrossì ma sorrise.

«Cavolo, finalmente ti ho trovata, dattebayo!» esclamò il biondo, ammiccando.

La Hyuuga schiuse le labbra, sorpresa, mentre Naruto assumeva la sua espressione da macho. Hinata iniziò a ridacchiare e lui, ben consapevole di essere ridicolo, si unì alle sue risa.

Risero molto, con le lacrime agli occhi, mentre l'Uzumaki cercava di imprimere nella sua mente la voce dolce e melodiosa della ragazza.

Era bellissima. 

Arrossì, appena formulò quel pensiero, e boccheggiò, imbarazzato. Hinata fermò le sue risa, asciugandosi gli occhi – i grandi occhi chiari un po' arrossati –  e, ancora, Naruto  pensò che era bellissima. La ragazza mosse le labbra, ma lui non udì alcun suono; seguì imbambolato il movimento di quella bocca carnosa. Si accorse che lei lo guardava, in attesa, e lui si riscosse.

«Eh?»

"Idiota. Baka. Imbecille! Tra tutte le cose che potevi dire ti è venuto in mente solo questo?!"

Hinata sorrise, paziente, e lo ringraziò.

«Di nulla!» esclamò, grattandosi la nuca. Poi ci ripensò e assunse un'aria confusa. «Ma per cosa?»

«Per avermi fatto ridere» e sorrise.

In imbarazzo, Naruto osservò di sottecchi quella bellissima ragazza e arrossì, ingenuamente sorpreso.

«Ora devo andare.»

Sorridendo ancora, la fanciulla prese la sua borsa e si apprestò ad andarsene.

«Ehi, no! Aspetta, Hinata!»

La ragazza si fermò, stupita; nella mente echeggiava il suo nome pronunciato dalla voce potente del ragazzo. Naruto ridacchiò, imbarazzato.

«Come fai a-»

«Me l'ha detto Kiba» spiegò lui, anticipandola. «Io mi chiamo Naruto.»

Hinata sorrise ancora, le gote imporporate, mormorando a mezza voce che era un piacere conoscerlo.

«Anche per me è stato un piacere!»

Poi calò il silenzio.

«E-ecco adesso io dovrei andare...» mormorò infine lei, scrutandolo da sotto le lunghe ciglia scure.

«Oh ehm… Sì, sì certo.»

«Arrivederci, Naruto» e si voltò per andarsene.

Il suo nome aleggiò nell'aria e lui gustò la particolare cadenza che aveva la voce di Hinata quando lo pronunciava. Rimase inchiodato sul posto ma, appena ricollegò il cervello, vide che la ragazza stava per scendere le scale del tempio.

Non pensò, semplicemente agì.

«Hinata! Hinata!»

Ella sobbalzò, sorpresa, il volto che si girava verso di lui.

«Voglio rivederti ancora! Ci sarai domani?!»

Le sue parole la colpirono profondamente e avvampò, gli occhi che iniziavano a inumidirsi. Per la felicità.

«Sì!»

Naruto si aprì in un sorriso enorme e seguì con lo sguardo i movimenti aggraziati della ragazza, mentre correva per scendere i gradini. "Sarà sicuramente arrossita" pensò, senza nemmeno sorprendersi per il suo inusuale pensiero. Fischiettando, si mise a lavoro, ignaro che, per la prima volta in tutta la sua vita, Hinata stava piangendo di gioia.

***
 
Non sapeva esattamente quando si era innamorata di Naruto.

Il suo sorriso l’aveva folgorata, i suoi occhi la facevano tremare e il suo odore l’inebriava. Lo amava, sapeva solo questo. Un amore diverso da quello che univa Hikari e Hiashi, fresco, appassionato, giovane.

Ormai si incontravano tutti i giorni, al laghetto, il luogo dove nessuno riusciva a trovarli, il loro posto. Hinata, da bambina, aveva intuito cheCime Tempestose unisse i suoi genitori più di quanto loro avessero mostrato e, adesso – a distanza di anni – , comprendeva l’euforia e l’idilliaca emozione che si prova a condividere qualcosa con il proprio innamorato. Certo, anche se Naruto la considerava solo un'amica, lei non poteva fare a meno di sognare a occhi aperti.

In fondo l'amore è anche sperare nel miracolo.

La sinistra vibrazione del cellulare interruppe il flusso dei suoi pensieri; tutt'intorno a lei il silenzio della biblioteca sembrava quasi profanato da quel leggero rumore. Nessuno se ne accorse e la ragazza, con il cuore in gola, lo estrasse dalla tasca, iniziando a leggere il messaggio appena arrivato.


"Scusa, Hinata, oggi non riesco a venire. Possiamo vederci domani, al parco, dove ci sono le altalene? È importante."

Con il cuore in subbuglio e il respiro incastrato tra la gabbia toracica e il suo cervello, gli rispose velocemente, l'ansia che aumentava a ogni lettera. Di cosa voleva parlarle?

Mise i libri dentro la borsa e sgusciò in fretta verso l'uscita, diretta a Villa Hyuuga, mentre i dubbi l'assalivano e la mente percorreva ogni sentiero possibile.

***
 
«Sei diventata davvero molto brava con il piano.»
Hiashi accennò un sorriso in direzione della figlioletta, seduta sul panchetto, il volto incendiato dall’imbarazzo. Hinata non riusciva a credere alle sue orecchie. 
Il padre non le aveva mai elargito dei complimenti, ma solo dei duri rimproveri – che sua madre reputava costruttivi. E la piccola Hinata desiderava crederci con tutto il cuore. 
Perse un battito quando udì le parole del genitore, dette quasi con noncuranza, che in realtà nascondevano l’affetto e l’orgoglio che provava verso la figlia.
Hinata si aprì in un luminoso sorriso, euforica.
«Grazie otōsan!»
L’uomo le scompigliò i capelli, sottolineando comunque che aveva ancora parecchia strada da fare.
«Dovrai impegnarti molto, Hinata.»
La bambina annuì, risoluta, e con uno slancio di coraggio diede un lieve bacio sulla guancia di Hiashi che, preso alla sprovvista da quel gesto così semplice e ricco d’affetto, arrossì, lievemente imbarazzato. 
«A tavola!»

 

«Hinata!»

L’urlo di Naruto arrivò come un balsamo lenitivo e il suo sorriso bastò per sciogliere i dubbi che l’avevano tormentata per tutta la notte. Un pizzico d’inquietudine era comunque rimasto, ma Hinata si impose di non pensarci e avanzò verso di lui, le gote arrossate per il caldo di fine Agosto – e per il perpetuo imbarazzo. Il biondo l’accolse con entusiasmo, ma lei vide nei suoi occhi celesti una luminosità insolita. Diversa. Rimase imbambolata per qualche attimo a rimirarli, ma si riscosse appena il ragazzo le fece cenno di sedersi sull’altalena.

Rimase in attesa, con il cuore in gola. Naruto continuava a parlare, a parlare e a parlare, ma lei non seguiva attenta come al solito: c’era qualcosa che lo turbava. Era nervoso, lo intuiva dal suo tono di voce. Diverso, non era la solita modulazione con cui le si rivolgeva.

Ansiosa, aspettò con calma che il ragazzo si decidesse a dirle ciò per cui l’aveva fatta venire lì. Erano tre mesi che si frequentavano con assiduità, si erano conosciuti e si erano scoperti, avevano parlato molto senza alcun freno – una novità, per lei che non aveva mai avuto il coraggio di aprire il suo cuore a qualcuno. Hinata gli aveva raccontato tutto, della sua famiglia, di se stessa, del dolore del padre, in un giorno di Luglio in cui un acquazzone si era abbattuto su Kyoto. Lui l’aveva consolata, l’aveva ascoltata, l’aveva compresa.

Aveva lenito il dolore sordo che portava con sé da tutta una vita.

Per questo motivo si sentì in dovere di fermare la sue chiacchiere.

«Naruto, perché mi hai fatta venire qui, oggi?» chiese, dolce e paziente come solo lei sapeva essere.

Il ragazzo boccheggiò, preso in contropiede, scompigliandosi nervosamente i capelli. Ridacchiò un poco, ma quando vide che Hinata lo stava guardando, in tacita attesa, decise che doveva comportarsi da uomo. Deglutì e per riflesso si mise le mani in tasca.

«Volevo parlarti di una cosa» iniziò, fissando il terreno, «È da un po’ che ci penso e credo di dovertelo dire. Ma è difficile, dattebayo!» sbuffò, gonfiando le guance.

Hinata lo ascoltò, le mani giunte in grembo e la curiosità che faceva capolino in lei. Si chiedeva cosa ci fosse di così importante da mettere in crisi l’animo spontaneo di Naruto.

«Ormai noi ci conosciamo da un pezzo, no?» continuò, dondolandosi sull’altalena. «Ma poi arriva il momento in cui… eheheh in cui ci si accorge che la persona davanti a te diventa molto importante e uhm inizi a chiederti perché. Con te mi sta succedendo questo e credo di essere arrivato alla conclusione. Vedi io… » deglutì con forza, spostando lo sguardo negli occhi perlacei, velati dalla confusione, della Hyuuga. «Io ci ho pensato molto e uhm…»

Naruto arrossì, imbarazzato, boccheggiando un paio di volte. Sconfitto, si alzò in piedi con stizza, lasciando l’altalena a dondolare da sola. Si voltò verso Hinata, che era stupita dall’insolito comportamento del ragazzo.

«Aaaah!» urlò, incrociando le braccia al petto e assumendo un aria pensosa. «Che schifo di discorso che mi sono preparato!»

Hinata sbatté le palpebre un paio di volte, osservando il ragazzo disperarsi per la cattiva riuscita del suo piano infallibile. Le labbra si incurvarono in un sorriso divertito senza che lei potesse farci nulla, trattenendo a stento una risata. Ma la buffa espressione sul viso di Naruto spazzò via tutti i suoi buoni propositi e lei iniziò a ridere di cuore.

Le sue risa spiazzarono l’imbronciato Naruto, che però non riuscì a tenere il muso di fronte all’ilarità della situazione e a lei. Non ce l’avrebbe fatta. Sorrise e ridacchiò, arruffandosi i capelli. Aspettò che lei si calmasse e, appena vide che la sua attenzione era concentrata su di sé, decise di mandare al diavolo tutto.

«Ti amo.»

Hinata sgranò gli occhi, avvampando, le labbra dischiuse.

«Co-cosa …»  

Non riuscì a finire la frase che Naruto la stava già baciando.

***

Aprì con metodo il grande fusuma che delimitava l’entrata dell’ufficio del padre, che vide seduto su una grande poltrona, gli spartiti gettati disordinatamente sul tavolo. Ne stava studiando uno, lo sguardo concentrato e attento, la mente impegnata a riprodurre col pensiero la melodia lì scritta. Lo aveva sempre ammirato; anche se la perdita della moglie lo aveva inaridito, lei non aveva mai smesso di amarlo.

«Otōsan?»

L’uomo continuò impassibile a leggere il pentagramma, senza degnare di uno sguardo la figlia maggiore. Hinata non si perse d’animo.

«Vorrei che ascoltassi un pezzo che ha composto ‘kaa-chan.»

Vide la postura di Hiashi farsi più rigida, negli occhi un guizzo di dolore sfuggì al suo controllo. Non disse nulla.

Hinata sospirò e, lasciando il fusuma aperto, si diresse verso la sala dove riposava il pianoforte. Non si aspettava che il padre la seguisse – sebbene ci avesse sperato –,  ma avrebbe comunque suonato quel brano. 

Entrò dentro il grande salone, dove il pianoforte era già aperto e lo spartito era posto sul leggio. Si sedette compostamente sul panchetto e accarezzò lievemente i tasti. Se si concentrava poteva quasi sentire il profumo delicato della madre. Sapeva di violette. 

Iniziò a suonare.

La melodia si diffuse per tutta la villa, riscaldando quelle pareti grigiastre. Il tempo parve essersi fermato, mentre le note rimbalzavano leggere in ogni stanza. Hinata chiuse gli occhi e si concentrò solo sulla canzone, rievocando il viso della genitrice.

Ricordò il suo sorriso, la sua risata, i suoi occhi, i lunghi capelli mori, la passione per la musica e la letteratura, l’amore che nutriva per lei, per suo padre e per Hanabi. Aveva amato tutti loro, fino alla morte e oltre. Lei ne era certa; Hikari vegliava su di loro, un raggio di luce che riscaldava i loro animi, che li faceva sentire meno soli.

Hikari continuava a vivere dentro ognuno di loro, nei loro gesti e nelle loro esperienze. Lei c’era, sempre.

Quando finì di suonare si accorse di avere le gote bagnate dalle lacrime, ma non se ne sorprese: la musica le trasmetteva da sempre tantissime emozioni. Si asciugò il volto, commossa.

«Hinata…»

La voce roca del padre la prese alla sprovvista, ma fu felice di poter condividere quel momento con lui. Si voltò verso Hiashi e sorrise; le lacrime ripresero a scorrere sul suo viso.

«Sei identica a lei» disse, gli occhi persi nel vuoto.

La ragazza sorrise, arrossendo, e si asciugò le palpebre. Non era il momento di piangere adesso.

«Io credo che lei sia sempre qui con noi. E non avrebbe mai voluto vedere l’uomo che amava diventare irriconoscibile, otōsan.»

Il genitore accennò un sorriso, mentre il volto di Hinata si sovrapponeva a quello di Hikari. Forse c’era ancora una ragione per continuare a vivere, forse poteva ancora far in modo che quell’universo potesse essere anche il suo. Forse ne valeva la pena.

«Sei diventata bravissima a suonare, Hinata.»

E lei capì che il muro che li separava si era finalmente infranto.

«Grazie otōsan.»


 
«Ti amo, Hiashi. E amo le nostre bambine. Prenditi cura di loro.»
 

***

«Naruto-kun?»

«Mmh?»

«Ti amo.»

Il ragazzo rise, affondando il suo viso fra i capelli di lei.

«Allora mi sposi?»

«Sì. Mille volte sì.»

«Dovrai aiutarmi a dirlo a Hiashi-sama, allora! Quello mi ucciderà!»

Poi le loro labbra si incontrarono e nulla ebbe più importanza. 
 

 
«Sii felice, Hina-chan»
 


In My Heart.

Si può continuare a vivere nel cuore delle persone care?
 

Sì.
 






Salve a tutti! *-*

Questa storia mi ha fatto sudare sette camicie xD L’ho modificata un sacco di volte e per fortuna che Ophelia – cara, ti adoro <3- l’ha betata, altrimenti sarebbe ancora più terribile di così. Un sproloquio lunghissimo, l’ho ammetto!

Il contest è davvero impegnativo, partecipano tantissime autrici fantastiche, e io spero solo di non risultare ultima xD Faccio a tutte loro il mio personale in bocca al lupo!

Spero di aver reso al meglio i due prompt – lacrime e canzone – e che la bellissima citazione di Cime Tempestose calzi con la storia. Ho rimuginato fino all’ultimo se inserirla o no, chissà se sarà stata una scelta felice ù-ù Voi che ne dite?

È davvero lunghissima me ne rendo conto, quindi smetto di ammorbarvi con i miei scleri. L’OS più lunga mai scritta in tutta la vita! Spero almeno che qualcuno di voi l’abbia gradita e – se vi va, se avete tempo, se volete insultarmi (?) o se vi è piaciuta – fatemelo sapere con una recensione anche se breve. Tengo tantissimo a questa storia n.n

E, niente, aspetto con ansia i risultati – che, per inciso, dovrebbero arrivare tra un mese xD

Un bacione a tutti! <3

Maiko-chan
 
 




Post Giudizio *__*

Ancora non riesco a credere che sia arrivata seconda - pari merito con Emmevic - a questo contest! Sono assurdamente felice lo ammetto *__* L'aggiunta dei premi speciali poi è stata la ciliegina sulla torta: Miglior One-Shot e Premio Giuria! *sviene*
Tantissimi complmenti anche alle altre partecipanti, soprattutto a Yume_No_Namida, Ayumu7, Emmevic, Ayumi Yoshida, Chappy, Tomoko_chan SuperSara! :3

Grazie mille a coloro che hanno commentato questa shot, mi avete reso assurdamente felice! <3
Vi adoro tutti! *ù*

E infine vi lascio con i tre fantastici banner a me assegnati! :D

       
   
 
Leggi le 14 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Maiko_chan