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Autore: Pepper 97    31/08/2014    1 recensioni
“Vedo che ti sei svegliato… Come ti senti piccolo Zayn?”. La donna era comparsa davanti a lui in tutta la sua bruttezza. Sempre con il sorriso sadico stampato in viso. Anche lei risultava enorme agli occhi del ragazzo.
“Razza di strega! Che diavolo mi hai fatto!”, provò a dire, ma tutto quello che uscì dalla sua bocca fu un miagolio sommesso. Strabuzzò gli occhi e tentò di muoversi, stavolta sulle quattro zampe. Corse fino a che non trovò uno specchio e guardò il suo riflesso: una palla di pelo nero, piccoli occhietti gialli e artigli affilati. Un gatto!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Niall Horan, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Zayn si stiracchiò. Si mise in piedi e guardò l’ora sulla sveglia poggiata sul comodino di legno: le sei, aveva tempo per alzarsi. Sbadigliò e allungò le braccia verso l’alto. Prese a guardarsi intorno. Non si ricordava che il letto fosse così piccolo in confronto alla sua figura, né che la minuta sagoma di Avril che dormiva beata di fianco a lui lo fosse. Sentiva un freddo penetrante e quando si sfregò le braccia sulle mani per tentare di non morire assiderato, capì che il pelo nero che lo ricopriva non c’era più. Sgranò gli occhi e abbassò lo sguardo verso il suo corpo. Niente coda, niente zampe, solamente nudo come mamma l’aveva fatto. Si mise a sedere di scattò e guardò la ragazza che dormiva affianco a lui. Pregò affinché non si svegliasse e fece una corsa verso il bagno. Si guardò allo specchio.

Sorrise euforico: era di nuovo sé stesso. Iniziò ad esultare saltellando qua e là sulle mattonelle fredde. Ora poteva tornare ad essere sé stesso, frequentare di nuovo i suoi amici e dimenticare quella storia. Poi si ricordò quello che la strega gli aveva detto: si sarebbe trasformato a suo piacimento finché secondo lei la lezione non fosse stata appresa. “Merda.” Bisbigliò infastidito. Quando dei brividi gli scossero la colonna vertebrale realizzò che sarebbe dovuto andare a vestirsi. Ma con quali vestiti? Quelli di Avril non gli sarebbero entrati neanche pregando in aramaico, quindi decise di svaligiare l’armadio del padre. Mosse dei passi lenti per non svegliare la bionda che dormiva nell’altra stanza.
E poi accadde il peggio: la sveglia suonò. Imprecò mentalmente e cominciò una folle corsa. Chiuse la porta della stanza del signor Lavigne a chiave e cominciò a frugare nell’armadio, pregando che Avril non decidesse di farsi un giro in camera del padre. Estrasse una camicia e dei pantaloni della tuta. Poi cercò nei cassetti dei boxer e dei calzini e se li infilò velocemente. Ora il piano era uno solo: scappare e tornare all’appartamento. Notò la finestra ampia in fondo alla stanza e, dopo averla aperta, si decise a saltare. Fanculo l’altezza, doveva smammare prima di essere visto. Atterrò perfettamente e corse di filato all’appartamento. Rifece il percorso che il giorno prima aveva fatto come gatto e dopo aver preso un respiro profondo, una volta arrivato sano e salvo, sprofondò nel divano.

Avril grugnì quando la sveglia trillò. Stirò le braccia al cielo e fermò la sveglia, prima di alzarsi. Passeggiò per la stanza in cerca delle sue ciabatte, quando un forte tonfo la fece sobbalzare. Aprì la porta della camera ed si fece strada nella stanza da dove proveniva il rumore: quella di suo padre. Tirò un profondo respiro ed entrò, cercando di fare mente locale sui modi in cui avrebbe potuto castrare un possibile aggressore se fosse servito. Ma non c’era nessuno in quella stanza e nulla era fuori posto. Poi la notò: la finestra era aperta. Suo padre odiava tenere le finestre aperte, cosa che lei faceva sempre per fargli dispetto, anzi, una delle tante cose che faceva per fargli dispetto, come il portare a casa quel piccolo e morbido gattino. Un pensiero improvviso la colpì. “Zayn! Micio, vieni.” Cominciò a chiamarlo a squarciagola, spaventata.
E fu allora che capì che per causa della sua noncuranza il dolce compagno di un pomeriggio era sparito. “Merda.” Imprecò a denti stretti. Si passò una mano tra i capelli e guardò di sotto. Nulla. Ormai era già lontano o infilato chissà dove. Poi qualcosa attirò la sua attenzione. Una sagoma, o meglio un ragazzo che si stava arrampicando sull’albero. Lo squadrò e capì chi fosse. Il suo amato vicino, che era probabilmente tornato da una notte brava, dato lo stato trasandato dei vestiti, molto simili a quelli che suo padre usava per stare in casa, e il fatto che non indossasse affatto delle scarpe. “Idiota.” Mormorò chiudendo la finestra e correndo a prepararsi. Gettò uno sguardo all’orologio e capì di essere profondamente in ritardo, così dopo essersi fatta una doccia veloce, raccolse i capelli umidi in una lunga treccia e si vestì in fretta e furia. Imprecò ancora quando, a causa della pelle ancora leggermente bagnata fece fatica ad infilare i suoi amati skinny jeans bordeaux pieni di strappi che partivano da metà coscia per arrivare a metà stinco. Infilò gli anfibi neri, prese in una mano lo skateboard, nell’altra la cartella ed uscì di filato da casa.

Zayn era riuscito a farsi una doccia veloce e ad infilarsi dei vestiti puliti. La sua domanda era una sola: come avrebbe fatto a restituire ad Avril i vestiti che le aveva sottratto senza farsi scoprire? Era talmente assorto nei suoi pensieri che non aveva nemmeno badato più di tanto a come erano messi i suoi capelli: quella mattina erano spostati su un lato, invece di essere trattenuti da una abnorme quantità di gel. Dopo aver infilato le sue adorate snickers, prese le chiavi dell’auto, la cartella e si diresse fuori. Proprio mentre usciva vide Avril sistemarsi il cappuccio prima di partire alla volta della scuola sul suo amato skate. “Potrei darle un passaggio.” Pensò, incrociando lo sguardo con quello di lei, ma quando questa gli rivolse un sorriso accompagnato da un dito medio, salì in macchina confuso. “Forse è meglio di no.” Ragionò tra sé e sé. Sfrecciò così verso la scuola, leggermente frastornato.

Avril dovette fare una corsa per non essere lasciata fuori dall’edificio. Odiava arrivare in ritardo, non tanto perché tenesse ad avere un buon voto in comportamento alla fine del trimestre, quanto perché odiava i ritardatari e essere paragonata a loro le faceva salire la rabbia. Cosa che accadde quella mattina quando entrò nella classe di chimica col fiatone. “Lavigne, come mai in ritardo?” Appunto. “Mi lasci indovinare, il cane del vicino era particolarmente interessato ai suoi pantaloni e non voleva lasciarla più andare.” Suppose alludendo agli squarci sui suoi pantaloni. Si trattenne dal domandare a quella arpia se fosse ricorsa all’ausilio di una tortora per tenere in piedi quel nido di capelli che si ritrovava in testa, e si andò a sedere nell’unico banco libero a metà dell’aula, proprio vicino alla finestra. Neanche il tempo di tirare fuori l’astuccio, che la porta venne di nuovo aperta.
“Malik! Che piacevole sorpresa! Lei e la signorina Lavigne vi siete forse messi d’accordo per arrivare in ritardo alla mia lezione? Ora vada a sedersi.” La ragazza alzò gli occhi dal banco per esaminare il nuovo arrivato e quando lui le sorrise sghembo, mentre le si avvicinava, Avril imprecò silenziosa per l’ennesima volta quella mattina.

Victoria era meditabonda, strano a dirsi, dato che lei non rimuginava mai sui suoi pensieri. Eppure quella mattina pensava all’improvvisa scomparsa di Avril, che aveva quasi fatto venire un infarto alla povera Alex, che per fortuna Louis aveva provveduto a tranquillizzare con un tenero abbraccio e un live bacio a stampo, il che aveva fatto morire di invidia la brunetta. Ed ecco che era arrivato il secondo chiodo fisso di quella mattina, Niall, ed Avril era passata direttamente in secondo piano. Le immagini del giorno precedente la colpirono ripetutamente, mentre canticchiava il ritornello dell’ultimo singolo di Eminem. Aprì l’armadietto e stava per metterli dentro, se non fosse stato per una voce che le faceva ogni volta salire il batticuore. “Anche tu hai sentito il suo nuovo singolo?” I libri in un attimo le caddero a terra e sobbalzò, affrettandosi a raccoglierli. Non aveva ancora guardato il suo interlocutore, ma sapeva che era lui, Niall. Il ragazzo ridacchiò, trovando terribilmente divertente la reazione che aveva avuto a causa dello spavento che si era presa. Eppure Niall non sapeva che non era un semplice spavento quello che aveva colto la povera Vicky. Il biondo si abbassò per aiutarla, chinandosi a terra. “Lascia che ti aiuti.” E in quell’esatto momento Victoria si stava alzando, andando a sbattere con la testa di lui. “Merda che male.” Esclamarono entrambi. Quando si rese conto di quello che aveva fatto, sgranò gli occhi e si affrettò a scusarsi.
“Oh mio Dio, sono così dispiaciuta. Mi dispiace davvero.” La reazione del biondo la sorprese. Rise. La risata che si era abituata a sentir riecheggiare nei corridoi ora era vicina a lei, così vicina che riusciva persino a sentirla risalire dal fondo della sua gola. Arrossì imbarazzata e tentò di ricomporsi. “Tranquilla, non sapevo che avessi una testa così dura.” Anche lei rise, tra l’imbarazzato e il nervoso. Niall, finalmente, fece incontrare i loro sguardi, alzandole il mento. “Sai, dovresti ridere più spesso.” Victoria deglutì imbarazzata e si ritrasse al tocco del biondino. “No, davvero. Scusami.” Ripeté ancora facendolo ridacchiare di nuovo. Ma che c’era di così divertente? Era davvero così buffa e goffa? “Questo l’hai già detto.” Le rispose. Per uscire da quell’imbarazzante situazione si schiarì la gola e decise di porgli la domanda che l’aveva tormentata fin da quando aveva sentito la sua voce così vicina.
 “Co-come mai qui?” Aveva balbettato. Merda. Non sarebbe dovuto succedere, non davanti a lui, almeno. Lui rise ancora. La cosa stava cominciando ad infastidirla. “Il mio armadietto è di fianco al tuo.” Non credeva a quello che aveva appena sentito, come faceva a non essersi mai accorta di quel dettaglio. Ma tanto un dettaglio non era, dato che a saperlo prima forse non avrebbe aspettato di dargli una testata per parlargli. “Oh.” Si limitò quindi a mormorare in risposta. Voleva dire qualcosa di più, ma una voce le negò qualsiasi altra possibilità. “Ni, andiamo?” Anche quella voce le era famigliare. Così sottile e timida che poteva solo essere ricondotta ad una sola persona: Luna. “Sì, certo!” Le rispose lui allegro, iniziando ad allontanarsi. “Ci vediamo compagna di armadietto.” Le sorrise, il sorriso più bello che avesse mai visto. Gli sorrise  di rimando e lo vide andare nella direzione opposta alla sua. Stava per chiudere l’armadietto e dirigersi a storia, quando la sua voce la bloccò ancora. “Senti, come ti chiami?” Se lo ritrovò di nuovo davanti. “Victoria.” Rispose subito. Almeno quella era una risposta su cui non poteva tentennare. “Ottimo. Vic ho sentito che a fine settimana esce il nuovo album di Eminem, ti secca andarlo a prendere insieme? I miei amici non hanno voglia di accompagnarmi. Che ne dici di sabato pomeriggio? Oh, questo è il mio numero.” Le sfilò il telefono dalla tasca e digitò il suo numero. Poi glielo riconsegnò e senza neanche attendere una sua risposta la salutò, urlando un “Ti chiamo io!” E per la prima volta, Victoria –o per meglio dire, Vic- si diresse verso l’aula di storia con un sorriso euforico sulle labbra.   
   

 

  
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