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Autore: 12Dodici    22/09/2008    3 recensioni
Emanuele ha quasi 18 anni, ha molti amici, ha la scuola, ma ha anche gli occhi di chi si ferma a riflettere troppo a lungo, di chi legge troppi libri e di chi ascolta troppa musica. E non ama, perchè per lui nessuno è così intenso da valere il suo amore. Finchè non incontra Emma.
Emma, però è grande. Troppo grande. Emma va all'università, ha altri amici. Emma fa altre cose e guarda altrove. Non vede Emanuele, non può vedere Emanuele che, invece, ha gli occhi pieni di lei.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grazie mille per le vostre recensioni *_* A Tanny, a BabyzQueeny, a Caro. Vi bacio, tantissimo. Emanuele è un po' come me, quando andavo al liceo. E' un personaggio a cui sono affezionata, perchè è forte e fragile allo stesso modo. In questo capitolo c'è un pochino di interazione fra i due. Diamo il via alle danze ^_^v

 

 

 

*

 

 

La mattinata era fredda, con quel vento subdolo che ti passa sottopelle e ti penetra subito nelle ossa. La luce era fin troppo intensa per gli occhi chiari di Emanuele che non erano riusciti a riposarsi bene, la notte precedente perché avevano trascorso troppo tempo su quel libro che non poteva essere lasciato a metà.

Erano occhi grandi, inumiditi dagli sbadigli che continuavano a farli lacrimare.

La luce al neon della metropolitana era molto più indulgente rispetto al sole settembrino. Brutta e grigia, ma per lo meno rimaneva discretamente nei corridoi senza prendersi la briga di infastidire quelle iridi verdi che avrebbero riposato per tutte le fermate che le separavano dalla scuola.

Era di nuovo, inevitabilmente, martedì.

Sulla carrozza sempre le stesse facce, anche se appartenevano a persone diverse. Uomini, donne, ragazzi, tutti uguali, ogni mattina.

Crocetta: scuola.

Era in ritardo, aveva perso il treno e aveva dovuto aspettare quattro minuti sulla banchina. Se la mattina perdeva anche un solo treno arrivava in ritardo. Un’equazione matematica.

Vide una ragazza seduta ai bordi dell’aiuola, di fianco all’edicola in superficie. Gli parve di conoscerla e si avvicinò. Aveva i capelli lunghi, castani, un cappotto nero e i tacchi, che continuavano a picchiettare per terra. La ragazza si accorse di essere osservata e si girò di scatto, quasi fosse spaventata.

La ragazza del segnalibro.

“Ciao” le disse Emanuele, come a giustificare il fatto di essersi avvicinato così tanto. Lei ci mise un attimo a riconoscerlo

“Ah ciao! Certo” disse a se stessa “il ragazzo del segnalibro”  concluse portandosi un dito sulla fronte.

“Scusami, non volevo disturbarti. E’ che mi sembravi una faccia nota”

“No, nessun disturbo. Tanto sono qui con troppo anticipo e mi sta solo salendo l’agitazione. E’ un bene che ti abbia incontrato!” sollevò le sopracciglia e continuò a picchiettare i tacchi sull’asfalto

“Agitazione?”

“Ho un esame oggi. Un esame terribile. Ho studiato tutta l’estate, ma ora la mia mente è vuota…”

“Fai l’università?” ad Emanuele sedersi di fianco a lei sembrò la cosa più naturale da fare. Ormai era in ritardo, inutile mettersi a correre.

“Sì, Medicina” disse indicando il Policlinico lì vicino “terribile eh?”

Lele sorrise: “No, se ti piace…”

“Per piacere mi piace anche. Ma odio questi giorni, in cui tutto si decide. Ho studiato come una matta, ma davvero, la materia è troppo vasta…” s’interruppe, mettendosi una mano sulle labbra e guardando il ragazzo negli occhi.

“Ti sto stressando e neanche ti conosco. Scusa” arrossì e i suoi occhi si inumidirono un poco.

“Nessuno stress, sono stato io a fermarmi qui” in effetti, perché s’era fermato? Per nessun motivo davvero, ma la voce leggermente spezzata della ragazza e le sue parole dette un po’ troppo velocemente gli facevano così tenerezza che non si sarebbe mai mosso di lì.

“Tu dovrai andare a…”

“Scuola” disse lui, col tono di chi si scusa “ma ormai salto la prima ora”

Lei annuì, sorridendo. Emanuele notò ancora i suoi occhi che ridevano con lei. Non portava gli occhiali, quel giorno, ed era facile leggere qualunque espressione.

Si ritrovò ad essere di buon umore

“Che cosa avevi alla prima?”

Emanuele si strinse nelle spalle: “Latino”

“Hai l’aria di chi va benissimo in latino. Uno di quelli che fanno arrabbiare tutti in classe perché sembra che non studiano, eppure prendono sempre otto nella versione”

Emanuele si schemì: “Dipende…”

“Lo sapevo. Beccato” Lei gli diede una leggera spinta sulla spalla e scoppiò a ridere di nuovo.

“Anche tu hai l’aria della secchioncella”

“Secchioncella? Ma come osi?” finse d’arrabbiarsi “se ti ho appena detto che ho studiato tutta l’estate e ora ho la mente vuota. Il prof mi boccerà. Signorina, guardi, è meglio che torni a casa e rifletta su tutte le stupidaggini che mi ha detto. Mi dirà così”

Sospirò, ripiombando in quello stato di agitazione in cui Emanuele l’aveva trovata.

Ricominciò a picchiettare i tacchi sull’asfalto

“Vedrai che andrà tutto bene. E se ti promuovono ti faccio un regalo”

“Un regalo? Che cosa?”

“Se è un regalo, non posso rivelarti cos’è. E poi, non lo so mica se ti promuovono!” Lui rise, mentre lei imbronciava la bocca

“Aiuto” lei si portò le mani sul viso. “Ancora poche ore. Ancora poche ore e sarà tutto finito.”

“A che ora hai l’esame?”

“Alle undici. Avrò finito per l’una o le due”

Emanuele annuì, fissando le dita lunghe  che coprivano metà del volto di lei.

Una campana suonò in lontananza.

“O cazzo, devo andare, altrimenti non mi fanno più entrare” si alzò di scatto ed un leggero senso di fastidio gli percorse la schiena.

Si voltò verso di lei, cercando di memorizzare quegl’occhi grandi, quelle labbra continuamente mordicchiate dall’ansia per l’esame.

L’avrebbe rivista?

“Io mi chiamo Emanuele” le disse

“Emma” rispose lei porgendogli la mano “Buona scuola” gli sorrise, e lui non se ne andò subito

“In bocca al lupo” esitò nuovamente, ma i rintocchi della campana finirono e lui fu costretto ad allontanarsi. La sentì soltanto dire crepi.

 

Entrò in classe al cambio dell’ora. La prof di Storia dell’Arte ci avrebbe messo il suo buon quarto d’ora arrivare, perciò Emanuele non si diede la briga di correre. Non disse niente, una volta entrato in classe, si sedette semplicemente al suo posto, coi piedi appoggiati al sottobanco, a sorseggiare il caffè delle macchinette appena preso. Si ritrovò a guardare fuori dalla finestra, un paesaggio che conosceva benissimo ma che continuava a cambiare.

Non aveva parole in quel momento.

In quel momento sembrava non ci fosse nulla e tutta l’aria intorno a lui sembrava non lambirlo. C’era solo spazio vuoto che Emanuele s’era abituato a gestire semplicemente non parlando e cercando di ridurre al minimo il suo respiro, che in quel vuoto d’aria avrebbe rimbombato solo alle sue orecchie.

Mordicchiò il bicchierino di carta che si ruppe fra i suoi denti, ma ugualmente Emanuele continuò a guardare fuori, con lo sguardo accomodato all’infinito, senza mettere a fuoco nulla.
Sentì picchiettare, un rumore lontano che attraversò d’improvviso il suo mondo. Gli sembrò uguale al rumore che i tacchi di Emma facevano contro l’asfalto

“Shhh” disse a chiunque l’avesse provocato, portandosi un dito sulle labbra. Qualcuno sospirò.

Emma probabilmente aveva smesso di picchiettare i tacchi sull’asfalto e probabilmente stava andando in aula ad aspettare il suo professore.

Emanuele ruppe definitivamente il bicchierino del caffè e il rumore di plastica lo riportò in aula, insieme alla voce di Saverio.

“A volte ti perdo…”

Emanuele si ritrovò circondato, Saverio da una parte, Bianca e Margherita sedute sul suo tavolo, le gemelle Sospiri – Maria e Marina rispettivamente, chi si chiamasse come era sempre stato un mistero per Emanuele che, se doveva rivolgersi a loro, usava un sicuro Mari – appoggiate al muro dietro di lui e il Muto poco distante.

“Che fine hai fatto questa mattina?”

“Sono arrivato in ritardo” disse lui sollevando le sopracciglia

“Questo lo vedo da solo, perché?”

“Che c’è Save, devo giustificare i miei ritardi con te?”

Saverio aggrottò la fronte per la risposta brusca dell’amico. C’era abituato, ma a volte gestire Emanuele era particolarmente difficile.

“E’ che ti abbiamo aspettato fuori, potevi avvisarci” gli spiegò Bianca

Nessuno ve l’ha chiesto, avrebbe voluto dire il ragazzo, che si limitò a scostarsi i capelli dalla fronte e guardare il suo banco sovraffollato.

“La prossima volta che bigi(*), dimmelo che vengo anch’io” gli disse Saverio in tono più riconciliante.

Emanuele sorrise: “Ero con Emma…” non sapeva neanche lui il motivo per cui stava dicendo all’amico cos’aveva fatto quella mattina, ma la voglia di pronunciare quel nome era diventata impellente. Per renderlo reale.

“Emma? E chi sarebbe Emma?”

“La ragazza del segnalibro”

Saverio ci mise un attimo per inquadrare di chi si stesse parlando.

“Che nome obsoleto” disse con un tono leggermente infastidito Bianca che non aveva mai sentito parlare di questa Emma e che tutto d’un tratto si ritrovava fra i piedi.

“E’ un nome molto elegante” la corresse Lele, senza davvero parlare con nessuno. Quasi il commento fosse esclusivamente per se stesso.

Era un nome molto elegante, e Emma - con quell’aria un po’ tirata, stanca di prima mattina e preoccupata - gli parve per un istante una donna d’altri tempi.

“Ma quella della metrò?” Saverio aveva fatto i suoi collegamenti mentali

Lele annuì

“Che storia, e vi siete incontrati di nuovo? Dev’essere destino”

Bianca corrugò la fronte, ma Emanuele scosse la testa.

“Togliti qualunque idea dalla testa. E’ grande”

“Grande? Grande quanto?”

“Non so di preciso, va all’università. Ventitre? Circa”

Saverio annuì, le gemelle sospiri sospirarono, sapendo che Emanuele per loro era comunque irraggiungibile e Bianca rilassò lo sguardo, rincuorata di non aver di fronte una rivale ignota

“Beh, ventitre anni, qual è il problema?”

I loro discorsi furono interrotti dalla professoressa di Storia dell’Arte che finalmente entrò in classe.

Non c’era nessun problema, perché non c’era nessuna questione. Ma questo Emanuele non poteva spiegarlo a Saverio in quale aveva la testa piena di ormoni, invece che di materia grigia.

Emanuele pensò di nuovo ad Emma, seduta in un’aiuola in mezzo al traffico. La trovò incredibilmente bella.

 

  
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