Note dell’autrice: vi ringrazio ancora una volta, er la costanza
e la passione che dedicate, a me e alla mia creatura, nonostante a volte faccia
passare troppo tempo tra un capitolo e l’altro.
Con mia grande
sorpresa, si è aggiunta una nuova new entry, flori che a proposito, ringrazio per la recensione lasciata,
inoltre, gli utenti che hanno aggiunto questa storia tra i propri
‘Preferiti’ sono adesso, ben 17.
Vi ringrazio di cuore.
Owarinai Yume come al solito ti
ringrazio per il commento postato. Sono contenta che la storia ti appassioni,
spero di non essere manchevole, con il proseguire della storia.
Rayne, grazie anche a te.
che dire, se Fanny e Abel sono brave persone, be’…
Shandril sono sicura che a casa, la
famiglia di Maddy sarà più
che preoccupata, credimi. Sono contenta che Fanny e Abel abbiano riscontrato
una buon opinione, ne sono felice^^
Rubs, a essere sincera,
ero certa sin dall’inizio che Lord Cumbrae avrebbe suscitato simili
sensazioni nei lettori. Eh, sì, le loro strade si sono già
divise, e sinceramente non so nemmeno quando si rincontreranno!!
Mi dispiace barbarizia,
se Lord Cumbrae ti ha lasciato una brutta impressione. Sarà che io so
com’è in realtà, perciò non mi esprimo a riguardo,
ma visto che voi leggete la storia dal punto di vista di Maddy… be’
sì, non è che sia un modello di galanteria e gentilezza, questo
è vero-_-‘
Grazie infinite come al solito; ci vediamo al prossimo
aggiornamento.
Mi dispiace se il capitolo è risultato più corto
degli altri. Vedrò di fare meglio la prossima volta.
Redarcher
VII
Ritorno a casa
<< Lord Cumbrae, hai detto? >> Fanny si passò le dita tra i
boccoli biondi con agilità, inumidendosi la folta chioma con
l’acqua del torrente che avevamo incontrato lungo il tragitto, e dove
avevamo deciso di fare una sosta.
Annuii, mentre immergevo una
bottiglia di vetro vuota nell’acqua fredda, stando ben attenta a non
raccogliere del greto di fiume oppure del crescione. Mossi leggermente la
bottiglia piena e me la misi davanti agli: l’acqua era leggermente
torbida, ma non c’era traccia di sassi o erbe d’acqua. Andava bene.
Mi raccolsi le maniche della
camicia e immersi le braccia in acqua, rabbrividendo per il freddo; mi passai
l’acqua sulle braccia sporche, mi inumidii i capelli, crespi e
inzaccherati di fango, mi lavai la faccia togliendomi lo sporco del viaggio e
della notte passata a cercare di fuggire da quell’uomo…senza
riuscire nel mio intento. Adesso però ero libera, e stavo ritornando a
casa; la mia fortuna aveva iniziato a girare.
Fanny raccolse l’acqua con
le mani a coppa e bevve un lungo sorso d’acqua. La temperatura, a causa
del temporale, s’era abbassata parecchio, ma il sole quel giorno aveva
ripreso a picchiare e, visto che l’estate era breve e spesso segnata da
intemperie, quel calore improvviso calore era accolto con gioia.
La mia compagna di viaggio
fischiò sommessamente, un gesto di pura ammirazione. << Cosa hai
fatto per costringerlo a rapirti in una notte così schifosa? >>
domandò sbalordita, gli occhi brillanti di curiosità.
<< È questo il punto!
>> sbottai, tirando un piccolo ciottolo in acqua, che la rese torbida e
agitata. << Non riesco a capire perché mi abbia portata fino a
Newbiggin, e poi mi abbia lasciata in quella locanda.>> Con il conto
pagato, oltretutto, ma questo lo tenni per me.
Fanny schioccò la
lingua e si sistemò il fazzoletto sulla testa, attenta a serrarlo bene.
<< Be’, un comportamento simile, per uno come lui, è
assolutamente nella norma, credimi. >>
Smisi si muovere le braccia
dentro l’acqua, girandomi verso di lei. << Che intendi dire?
>>
<< Andiamo, lo sanno tutti,
nella contea! >> esclamò agitando la mano, quasi avesse voluto
dirmi ‘Smettila di scherzare!’ Vedendo i miei occhi, evidentemente,
riuscì a comprendere che non sapevo nulla, l’espressione rilassata
si fece un po’ più seria, la voce si abbassò, assumendo un
tono confidenziale, quasi lugubre.
<< Sai almeno chi sia, Lord
Cumbrae? >> chiese a bassa voce.
Scossi la testa. <<
L’ho sentito nominare ieri per la prima volta. >> Ed era vero.
Conoscevo Lord Ashington, ovviamente, il maggior possidente terriero del
Wansbeck – e proprietario del terreno in cui sorgeva il nostro cottage,
per giunta –, più qualche altro piccolo possidente terreno delle
mie parti, ma non avevo la minima idea di chi fosse quell’uomo senza
volto, con quella voce cavernosa agghiacciante.
Fanny scosse la testa sospirando
rumorosamente, mi lanciò un’occhiata piena di biasimo, poi
iniziò a raccontare.
<< Hai mai sentito parlare
della Grande Sommossa? >>
Annuii con la testa. Avevo
solo sette anni allora, e ovviamente non potevo ricordare cosa accadde,
soprattutto perché non giunse mai dalle nostre parti.
Fanny annuì a sua
volta. << Quindi immagino saprai anche del massacro di Culloden, giusto?
>>
Mi schiarii brevemente la gola,
sentendo una sgradevole sensazione salirmi lungo le pareti dello stomaco.
<< Sì, in un certo senso. >>
Le mie informazioni a
riguardo erano molto scarse. L’unica cosa che Papà mi aveva raccontato
riguardava un esiguo gruppo di Highlanders ribelli, capeggiati da Charles
Stuart, un principe esiliato il cui padre era stato re di Scozia, prima
dell’annessione di quest’ultima al regno britannico. Stando alle
parole di Papà, quello scellerato – così lo chiamava
– di Bonnie Prince Charlie aveva marciato con il suo esiguo esercito di
selvaggi Highlanders, marciando fino a Culloden… dove erano andati
incontro alla morte. Il principe era riuscito a salvarsi e a fuggire
all’estero, ma gli scozzesi…
<< Oh, bene >>, disse
lei, adesso di buon umore. << Dieci anni fa, l’esercito britannico
scese in guerra contro quei bastardi scozzesi… e Lord Cumbrae era tra
loro. Era un soldato, e stando alle voci che giravano a quel tempo, era anche
un ottimo militare. Marciò con
il suo squadrone di dragoni inglesi contro quei fottuti selvaggi assieme al
resto delle giubbe rosse… e vinsero, come ben sai. >>
Annuii, non riuscendo a
comprendere che nesso ci fosse tra la Sommossa e quel nobiluomo.
D’accordo, era sceso in guerra, e ovviamente aveva vinto, ma ancora non
riuscivo a comprenderne il nesso.
<< È a Culloden che
è successo tutto. È stato in quel frangente che la vita di Lord
Cumbrae è finita. >>
Un brivido freddo mi
scivolò lungo la schiena, lasciandomi senza fiato.
<< Quel povero diavolo,
durante la frenesia della battaglia fu separato dal resto dell’esercito
inglese; venne attaccato da tre ribelli, armati di spadoni lunghi quanto le
zampe di un cavallo, la lama scintillante e letale intrisa del sangue dei
nemici falciati, le asce smussate luccicanti di vendetta e morte…
>>
<< Smettila Fanny, non
voglio sentire… >>
Il cuore mi martellava nelle
tempie ad un ritmo serrato e folle, intontendomi al massimo, una sensazione
nauseabonda saliva lungo la bocca dello stomaco…
<< Lo ferirono gravemente,
ma lui riuscì comunque ad abbatterli tutti e tre, uno dopo
l’altro. >> A dimostrazione di ciò mosse il braccio in un
serie di affondi e stoccate, come se fosse stata un perfetta spadaccina.
<< Purtroppo, quando vedi la
morte degli occhi, non è facile conservare la sanità mentale, mi
spiego? >> Si strinse nelle spalle, proseguendo con il suo racconto.
Riuscì ad abbattere
due nemici riportando solo ferite superficiali al costato e in qualche altro
punto, ma non lo misero a rischio… il terzo però…
<< Il terzo uomo lo
ferì alla testa con un’ascia… SPAT! Ci mancò poco che non gli tagliasse la faccia a
metà! >> esclamò lei, infervorata dal racconto. <<
Secondo le chiacchere, persino il suo occhio sinistro fu spaccato a
metà, dicono anche che cadde a terra, riversandosi in un liquido
trasparente e appiccicoso, mescolandosi assieme al sangue del conte…
>>
<< Uh! >> Un urto di
vomito mi piegò a metà. Fui scossa da lunghi conati di vomito, ma
non rilasciai niente, visto che non avevo messo niente nello stomaco, quella
mattina. Solo del tè caldo.
Quando i conati cessarono, mi
rimisi in ginocchio a stento, sentendo un bruciore insopportabile al ventre,
mentre una sapore acido mi fermentava in bocca. Mi sciacquai ancora una volta
il viso con l’acqua, trovando immensamente piacevole quel contatto gelido
sulla mia pelle accaldata.
<< Ti senti meglio? >>
Fanny se n’era rimasta in disparte, dando un’assettata al proprio
aspetto, mentre io cercavo di vomitare nel torrente.
<< In realtà, quello
è solo un racconto, messo in giro da qualche idiota >>, disse con
tono annoiato, pensando in realtà che quello fosse molto più interessante. << Lord Cumbrae
rimase gravemente ferito in quella battaglia e, quando tornò a casa,
rimase a letto per settimane, ferito gravemente e con la pelle incandescente
per la febbre; nessuno pensava che potesse riuscire a sopravvivere. >>
<< Ma? >> dissi,
com’era ovvio che fosse.
Fanny annuì. <<
Ma ce la fece. Anche se non era più lo stesso, quando fece ritorno.
>>
Il conte fece ritorno dal regno dei
morti, ma quando si svegliò non era più lui. era un uomo che
aveva visto la morte in faccia, e aveva vissuto l’inferno sulla propria
pelle, vivendo per settimane in un coma febbricitante che avrebbe ucciso
qualsiasi uomo; e alla fine aveva vinto… ma aveva perso la sua anima. La
sua sanità mentale.
<< Non conosco i dettagli
della storia. Mi è stata raccontata da una ragazza che prestava servizio
presso di lui da quasi dieci anni, ed era stata licenziata. Mi disse che il
conte licenziò la maggior parte dei domestici, al castello, tenendone
solo una piccola parte; Linda – così si chiamava – mi
raccontò che, il giorno che se ne andò di casa, vide Lord Cumbrae
per la prima volta, dal suo ritorno a Culloden.
Il viso era nascosto da una
maschera, gli occhi blu luccicavano di una luce folle e disumana, i suoi
capelli erano scompigliati e gli stavano ritti sulla testa come se fosse stato
un demonio >>, Fanny ridacchiò, << quella poveraccia si fece
il segno della croce, appena lo vide; per questo lui la licenziò.
>>
<< Senza motivo? >>
domandai sconvolta.
Scosse la testa. << Oh,
no! Un motivo c’era! >> mi assicurò.
<< Lord Cumbrae era
posseduto dal demonio. >>
*
Dopo quella breve sosta lungo
il torrente, Abel ci informò che eravamo pronti a ripartire.
Mi ero sistemata dietro al
carretto, in mezzo a piccoli mobili pieni di tarli e realizzati, molto
probabilmente, da Abel stesso; l’odore pungente di carne essiccata e
formaggio mi stordiva, mentre il piccolo carro avanzava cigolando e ondeggiando
lungo la strada acciottolata, lasciandomi un vago senso di nausea. Fanny si era
sistemata accanto a me, le gonne raccolte sotto al sedere e le gambe tornite e
pallide in bella vista, alla luce del sole sembravano quasi brillare, tanto
erano chiare. Si era tolta le rozze scarpe che aveva indosso, e adesso muoveva
le piccole dita dei piedi con frenesia, come se stesse assaggiando la
libertà.
<< Hai qualcuno a casa?
>> mi domandò lei di punto in bianco.
Annuii. << Vivo assieme
a mio padre e a mio fratello maggiore. Mia sorella vive assieme a noi e a suo
marito, per il momento, senza contare che, ormai, dovrebbe essere arrivato
anche il loro primogenito >>, sorrisi tra me e me, pensando ad Elisa con
in braccio un frugoletto piagnucoloso e irritato.
Fanny sbuffò e
liquidò la mia vicenda familiare con una mano. << Molto toccante,
davvero… ma io mi riferivo a qualcun’altro.
>> L’occhiata eloquente che mi lanciò riuscì solo a
confondermi ancora di più.
Aggrottai le sopracciglia e
sporsi il labbro in avanti. << Non ho idea di cosa tu stia parlando
>>, sentenziai alla fine, con acidità.
La mia compagna di viaggio
roteò gli occhi e sbuffò, puntandomi un dito grassoccio tra le costole,
io sussultai per la sorpresa. << Ce l’hai un uomo, a casa? >>
mi chiese, per amor della comprensione.
<< Oh! >> esclamai,
riuscendo finalmente a capire cosa intendesse. << Intendi se sono
promessa a qualcuno? Be’, no. Nessuno mi ha chiesta in sposa, finora.
>>
Apparte un bastardo traditore di
mia conoscenza. E tuttavia non mi andava di parlare di una situazione simile
assieme a Fanny; poteva essere simpatica e disponibile – nei limiti
contadini, ovvio – quanto volessi, ma era pur sempre una donna incontrata
solo da poche ore. Andava bene essere gentili e affabili, ma non ingenui. Anche
i poveri erano costretti a guardarsi dai propri simili, la comune malasorte non
doveva rincretinirmi.
<< Mmm. >> Fanny si
portò un dito sotto al mento, mugugnando qualche parola tra
sé.
<< E tu, allora?
Immagino che tu e Abel siate sposati, giusto? >> Con la coda
dell’occhio osservai la schiena curva ed enorme di quel gigante gentile, pensando
a quanto Fanny fosse fortunata. Almeno in apparenza, Abel sembrava un uomo
gentile e dolce, disponibile ad aiutare il prossimo senza chiedere nulla in
cambio, nonostante – a giudicare la qualità dei loro effetti
personali – avessero loro stessi un disperato bisogno di denaro.
Fanny si strinse nelle spalle, guardando
prima il marito, poi me, come se non fosse sicura se potermi raccontare la loro
storia. Alla fine scrollò le spalle co incuranza, e si decise a
raccontare.
<< Non c’è
molto da dire, in verità. Sono un’ex-prostituta. >>
<< Oh! >>
<< Guarda che ero una
semplice battona di strada, non è il caso di sorprendersi così
tanto! >> disse acida, trovando, evidentemente, particolarmente irritante
la mia reazione.
<< Mio padre mi vendette a
un bordello a dodici anni per pagarsi da bere – era poco più di un
mendicante, sai –, e la proprietaria della casa di malaffare mi ha messa
in strada, facendomi bazzicare le strade del porto in cerca di qualche marinaio
allupato in vena di allentare il borsellino; per otto anni non ho fatto che
vivere di questo, sai… >>, si passò distrattamente le mani
sulle cosce, << aprire le gambe a qualsiasi uomo lo richiedesse, e fosse
in grado di pagare, pensavo non esistesse altro modo per sopravvivere nel
mondo… finché non ho incontrato Abel. >> I suoi occhi
scivolarono sulla schiena del marito, un misto di dolcezza e venerazione per
quell’uomo buono, e gentile.
<< E poi? >> domandai,
senza riflettere. << Oh, scusa! Non volevo essere invadente…
>>
Fanny liquidò la
faccenda con un movimento della mano. << Figurati, tanto sono io che ho
iniziato a parlarne! >>
Si schiarì la gola e
riprese il racconto. << Ho conosciuto Abel al porto, com’era ovvio
che fosse. Stavo discutendo con un marinaio il prezzo che avrebbe dovuto
sborsare per farmi aprire le gambe – quel maledetto taccagno non voleva
allentare il cordino della borsa, che bastardo! –, stavamo litigando di
brutto… così Abel ha messo fine alla discussione. >>
<< E come? >> La cosa
più sensata, vedendo la sua corporatura e l’aria di possanza che
emanava, era ovvio pensare che lui e quell’uomo fossero venuti alle
mani… ma dopo averlo conosciuto, non ero certa che fosse capace di fare
del male volontariamente, o comunque con intenzione di ferire.
<< Mi comprò al posto
del marinaio >>, disse, con una semplicità disarmante.
Ridacchiò, arrossendo
un pochino, rievocando i propri ricordi; non riuscii a impedirmelo, le mie
guance divennero più calde e, ne sono sicura, presero colore, pensando a
cosa potesse essere successo tra loro due.
<< Mi trascinò in una
locanda del porto e… be’, diciamo che mi accese come un fiammifero,
non so se mi spiego. >> E mi tirò un’altra gomitata nelle
costole.
Abel, seduto sul carretto, si
agitò a disagio, tossendo rumorosamente. Quella storia doveva
imbarazzarlo, e non poco.
<< Per qualche mese non
facemmo altro, sai, lui veniva al porto, mi portava in una locanda, facevamo
l’amore, e poi trascorrevamo il tempo a parlare, anche di cose futili,
per poi rifare l’amore di nuovo… >> Fanny sospirò, un
suono pieno di malinconia, ma non rimpianto, ne ero sicura. << Mi
innamorai di lui, e dopo un po’ smisi di farmi pagare per il servizio,
non potevo farlo pagare, capisci? Divenne il mio amante, anche se era un
segreto – la Maitresse non
voleva che avessimo degli amanti –, solo clienti paganti. >>
Come era logico pensare, anche Abel si
innamorò di Fanny e, non potendo tollerare che altri uomini potessero
averla, cercò di riscattare l’amata alla matrona del
bordello… ma la situazione si rivelò più complicata di
quanto avessero pensato all’inizio.
Secondo la Maitresse, nonostante Fanny non fosse
una bella ragazza, riscuoteva parecchio successo tra gli uomini, i guadagni
della ragazza erano notevoli, e la padrona sarebbe stata una sciocca a lasciare
che un uomo, venuto da chi sa dove, potesse riscattarla così,
lasciandosi sfuggire una delle sue migliori fonti di guadagno. Così, non
vedendo altra soluzione, i due fuggirono assieme.
<< Ci siamo nascosti nei
sobborghi di Newbiggin, lontani dagli occhi della padrona, e da quelli delle
altre puttane, se è per questo. Io mi nascondevo in casa, senza mai
uscire, e Abel svolgeva dei lavori che lo tenessero lontano dal porto,
lavorò anche come aiuto maniscalco, per qualche tempo – ci ha
permesso di vivere nella sua soffitta, pensa –; ma non potevamo
continuare così, vivendo e nascondendoci come ratti… così
abbiamo deciso di tentare la fortuna nel Cumbrae! >> esclamò lei
con allegria. << Ho sentito che è possibile trovare facilmente
lavoro nella contea di Carlisle, è lì che ci stiamo recando.
>>
<< Non so che dire…
>>
<< Non è
necessario che tu lo faccia >>, esclamò Fanny con ironia.
Scossi brevemente la testa, e
i capelli mi caddero davanti agli occhi. << Non pensavo che, sì
insomma, che la tua storia fosse… >>
Fanny mi tirò un pugno
leggero sulla spalla, mi allontanai, cacciando un guaito sorpreso.
<< Non è necessario che ti
metti a frignare, stupida! >> disse con voce dura. << La mia vita
è stata uno schifo, è vero, ma adesso ho la possibilità di
ricominciare daccapo, di rifarmi una vita, nel Cumbrae. Ho un marito che amo e
rispetto, che mi protegge e non mi fa mancare nulla – per quanto le
nostre possibilità siano scarse –, cosa potrei volere di
più, dalla vita? >>
<< Già, hai ragione.
>>
Mi tolsi un pezzetto di fango
secco dalla sottana, pensando a quanto in realtà invidiassi Fanny.
Certo, la mia vita paragonata alla sua era un giardino delle Delizie, ma mi era
impossibile pensare che, se Will mi fosse stato fedele, se avesse mantenuto la
promessa, se fosse stato sincero…
io a quest’ora sarei stata a casa, a Bedlington, assieme a un marito che,
col tempo, avrei imparato ad amare, che forse, un pochino, già
amavo… e invece, dov’ero? In viaggio verso casa, assieme ad
un’ex-prostituta e un ex-maniscalco, diretti nel Cumbrae per cercare di
rifarsi una vita assieme. Se solo avessi potuto…
Mi passai la mano davanti al viso,
cercando di dissipare quella coltre di malinconia che mi stava avvolgendo.
Papà, Elisa, Fletcher ed Erial mi stavano aspettando, solo quello
contava.
*
Impiegammo due giorni a
raggiungere Bedlington, con l’andatura traballante e lenta che aveva
Chester, il vecchio sauro di Abel; era molto più vecchio e lento di
Joshua, ebbi modo di constatare, durante il viaggio.
Tra Newbiggin e Bedlington non
c’erano villaggi, solo insediamenti di una decina di casupole al massimo,
perciò Abel dovette fare appello alla clemenza di qualche contadino,
affinché permettessero, almeno a me e Fanny di dormire nella stalla, su
qualche distesa di paglia, rannicchiate nei nostri mantelli da viaggio.
Nonostante l’odore pungente e pensante di cavallo – o mucca, a
seconda dei casi –, cibo masticato e feci animali, il calore degli
animali all’interno della stalla era confortante, così come il
loro respiro pensante mentre dormivano; mi rannicchiavo nel mio mantello,
sentendomi al sicuro e protetta da quelle quattro mura, il contatto con il
corpo di Fanny mi dava una sensazione di conforto, di calore; non avrei mai
pensato che le natiche grassocce di una sconosciuta premute contro le mie
potessero farmi sentire così tranquilla, a casa.
Fanny però non sembrava
della stessa opinione. Nonostante mi addormentassi senza timore, il mio sonno
era comunque leggero, pronto a cogliere il minimo cambiamento
dell’ambiente attorno a me. Nonostante lei si muovesse con passo felpato,
e il più discretamente possibile, sentivo benissimo il cigolio della
porta della stalla, mentre lei usciva nel freddo della notte, per stare assieme
a lui, a suo marito… per poi tornare solo con l’approssimarsi dell’alba,
quando la gente si alzava da letto per andare a lavorare nei campi.
Nonostante Abel non volesse essere
pagato per il passaggio, fui più che felice di condividere la mia
pagnotta di pane assieme a loro, provando un senso di piacevole comunione a
spartire quel poco che avevo con i miei compagni di viaggio, con cui avevo
iniziato ad instaurare un rapporto che andava al di là dal viaggiare
assieme a causa delle circostanze e delle condizioni di viaggio.
Mi ero talmente abituata alla
loro presenza, che quasi provai un punta di tristezza, nel vedere i primi
gruppi di tetti che componevano il villaggio, il mio villaggio.
<< Sarà strano,
proseguire il viaggio senza di te; mi stavo quasi abituando alla tua presenza,
Maddy. >> Fanny si tolse il fazzoletto e si passò la mano tra i
capelli, appiccicati alla testa per il sudore e per lo sporco.
<< Davvero? >> dissi,
parlando con incuranza, come aveva fatto lei, ma sentendo distintamente un
piccolo groppo fastidioso serrarmi la gola con forza.
<< È quella? >>
domandò Abel, puntando bruscamente il mento in direzione della casupola.
Il senso di tristezza e di
perdita che mi aveva avvolta sin quando avevo iniziato a riconoscere la strada,
passando davanti al mulino d’acqua ormai in disuso, alla collina della
quercia, dov’ero solita condurre le pecore al pascolo; tutte quelle
sensazioni tristi e deprimenti vennero sostituite da un senso di urgenza
incontenibile. Ero a casa, finalmente!
Ero mancata solo per qualche
giorno, ma mi sembrava di essermi assentata per degli anni, e ora, come il
Figliol Prodigo, facevo ritorno alla casa del padre.
Deglutii pesantemente, mentre
un sorriso si affacciava sulle mie labbra. << Sì; è quella.
>>
Non riuscendo a trattenermi oltre,
smontai dal carretto con un balzo e, raccolte appena le gonne per non
intralciarmi in movimenti, corsi come un disperata verso casa, divorando i
metri che mi separavano dal piccolo cottage malandato. Dal comignolo una
piccola serpentina di fumo bianco scivolava fuori per sparire nel cielo, il
giardino di erbacce della Mamma era sempre lo stesso, il muretto mezzo
distrutto segnava l’ingresso nella ‘nostra’ – si fa per
dire – proprietà… no, non era cambiato nulla. era tutto
uguale. Tutto come al solito.
Attesi che Abel e Fanny mi
raggiunsero assieme a Chester, fermandosi davanti al muretto semi-distrutto.
<< … Mi aspettavo
qualcosa di più, sinceramente >>, commentò Fanny con
delusione.
La fulminai con lo sguardo.
<< Ti ho detto che eravamo poveri! Non racconto bugie >> sbottai
tutto in una volta.
<< Allora, sei arrivata
>>, commentò lei, grattandosi pensosa il mento. << Immagino
che questo sia un addio… >>
<< Suppongo di sì.
>> A meno che, per ragioni assolutamente incomprensibili, non decidessi
di recarmi nel Cumbrae, affrontando un viaggio che mi avrebbe tenuta lontana da
casa almeno una settimana.
Con mia grande sorpresa,
Fanny si sporse oltre il bordo del carro, avvolgendomi con forza tra le sue
braccia calde e morbide, un effluvio di sudore stantio e sporcizia e polvere mi
pizzicò le narici, ma fu solo una zaffata.
<< Stammi bene,
Madelaine >>, disse sommessamente.
<< Ti ho detto che mi chiamo
Maddy >>; dissi a mia volta, stringendola con la stessa intensità,
quasi avessi voluto stritolarla.
<< Fa’ lo stesso.
>>
<< Ah, volete fermarvi
un po’, per riprendere le forze, rifocillarvi, magari. Se volete,
possiamo ospitarvi in casa… >>
Abel sorrise gentilmente, ma
scosse la testa, declinando l’invito. << Sei molto gentile, e ti
ringrazio, ma è ora di andare. >>
<< Vogliamo raggiungere il
Cumbrae il più in fretta possibile >>, aggiunse Fanny, toccando
appena la spalla di Abel, sorridendomi.
<< Sì, capisco.
>> Eppure avrei voluto che si fermassero, almeno per quella notte.
Dopo un altro, breve scambio
di saluti e di ‘buona fortuna’ reciproci, i coniugi Hayes
proseguirono per la loro strada, arrancando sul loro carro dimesso, condotto da
un sauro vecchio e spossato.
Mi girai verso il piccolo
cottage, il cuore aveva iniziato a battermi veloce, e le mani sudavano senza
controllo, mi passai i palmi bagnati più volte sulla gonna, nel
tentativo di asciugarli, presi un paio di boccate, trovando finalmente la
calma.
I cardini della porta cigolarono
rumorosamente appena la aprii, mentre un silenzio quasi innaturale mi
trasportò all’interno della casa.
<< Elisa? >> domandai
con incertezza, avanzando di qualche passo dentro casa.
Il piccolo salotto era vuoto,
Papà doveva essere nei campi assieme a Erial e Fletcher… ma Elisa?
Dove poteva essere?
<< Oh, no… >>
Un’orribile pensiero si
affacciò nella mia mente, pensando a quante volte fosse capitato, anche
in un villaggio piccolo come Bedlington. Ma non lei! Non a mia sorella! Non
poteva essere…
<< Elisa! >> chiamai
di nuovo, l’angoscia e l’urgenza mi distorcevano la voce, trasformandola
in un verso gracchiante che non aveva nulla di umano. << Elisa! >>
Mi raccolsi ancora le gonne e
iniziai a salire le scale di legno, che cigolarono e gemettero sotto il mio
peso, protestando e inveendo contro di me, ma non mi importava. L’unica
cosa che volevo, che mi interessava…
Ero così impegnata a
pensare a quali orribili esiti avesse potuto portare la gravidanza di mia
sorella, alla possibilità che lei e il bambino potessero essere morti,
che nemmeno mi accorsi del vagito sommesso, eppure squillante, che proveniva
dalla camera da letto di Elisa e Erial.
°~Ω~°
Non era così che
immaginavo l’incontro con Timothy.
Aprii la porta con talmente tanta
foga, che questa si schiantò contro il muro, staccando qualche pezzo di
legno del battente, e aumentando l’intensità degli strilli del
bambino.
<< Dio Santissimo,
Madelaine! >> urlò mia sorella collerica, abbrustolendomi con
l’intensità e la rabbia del suo sguardo verde. << Mi hai
fatto venire un colpo, per Dio! >> sbottò, mentre intanto cercava
di elargire paroline dolci all’infante che stringeva tra le braccia,
mormorando parole sommesse ed emettendo versetti che, per miracolo, riuscirono
ad azzittirlo. Il piccolo emise ancora qualche piccolo verso di protesta, ma
poi, inevitabilmente, chiuse gli occhi, appoggiandosi al seno di Elisa, di
nuovo tranquillo.
<< È… insomma,
è lui? >> sussurrai
incredula, vedendo quel piccolo fagotto avvolto nelle logore copertine che
nostra madre aveva usato per lei, Fletcher e me.
Elisa annuì appena, e
io, il più silenziosamente possibile, mi avvicinai al suo capezzale, gli
occhi avidi di quella piccola creatura addormentata.
Era piccolo, molto più
piccolo di quanto in realtà mi aspettassi. La testa era piccina e tonda,
con della peluria leggera castano chiaro sulla sommità, il naso era
praticamente invisibile e le mani erano talmente piccole che quasi faticavo a
vedergli le unghie; era il bambino più bello che avessi mai visto.
<< Come si chiama? >>
domandai a bassa voce, il petto gonfio di orgoglio come se fossi stata io
stessa, la madre.
Elisa mi lanciò
un’occhiata sprezzante e strinse gli occhi, serrando poi le labbra.
<< Sei lercia, Madelaine >>, mi disse compassata, stringendosi al
petto il bambino con fare possessivo.
<< Io… >> Mi allontanai, prendendo il suo commento
come un invito sgarbato ad allontanarmi.
Elisa ripose il piccolo
accanto a sé, poggiandolo in un piccolo giaciglio fatto di coperte
spiegazzate, quasi fosse stata la cuccia di un cane, poi tornò a guardare
me, gli occhi chiaramente severi, e forse, preoccupati.
<< Ma che diavolo hai
combinato? >> mi domandò dura, facendomi sentire enormemente in
colpa, per essere stata lontana da casa così a lungo, nonostante non
fosse stata una mia decisione.
Strinsi con forza i lembi
logori della mia gonna inzaccherata di fango e polvere, e alcuni pezzi di terra
secca si staccarono, volando a terra.
Gli occhi di Elisa si strinsero
ancora di più, e io provai il desiderio di scomparire alla sua vista, e
dalla sua rabbia a stento contenuta.
<< Mi dispiace, sorella. Io
non… >> Le parole mi morirono in gola, non trovando spiegazioni
adatte da darle. Come avrei potuto giustificare l’incontro con
quell’uomo… Lord Cumbrae? Non avrebbe mai creduto alle mie parole, per
quanto vere fossero. Nessun gentiluomo se ne andava in giro per le campagne
inglesi, in una notte di tempesta, ad aiutare delle volgari contadine, per
quanto in difficoltà potesse trovarsi la suddetta; i nobili – o
ricchi che fossero – non aiutavano la povera gente. Ma lui… e
ancora non riuscivo a spiegarmene il motivo.
Non potendo rispondere a simili
domande, me ne restai zitta, aspettando la tirata di mia sorella, pronta a
sopportare in silenzio.
Mi scrutò a lungo,
soppesando le mie gonne strappate con quattro dita di fango, come minimo, i
capelli assurdamente arruffati e imbrattati di sporcizia di ogni sorta, dal
pezzetto di fango rappreso, alla foglia di un albero oppure ad un rametto secco
incastrato tra tutti quei nodi; sospirò pesantemente e scosse la testa
bionda.
<< Vai a darti una
strigliata, Maddy. >> Gesticolò appena con la mano indicando la
porta, segno che la conversazione era terminata.
Annuii e mi girai verso la
porta, indirizzandomi verso le scale sgangherate e scricchiolanti.
<< Al tuo ritorno, voglio
sapere anche dove sono finite le scarpe >>, mi annunciò, mentre mi
chiudevo la porta alle spalle.
Scesi le scale di fretta e
cercando anche di essere il più leggera possibile; in cucina tirai fuori
un catino vuoto, dove vi gettai una grossa scaglia di liscivia e dei panni
sporchi che raccattai in giro per casa, mi diressi a grandi passi verso il
fiume, mentre il pensiero di togliermi la sporcizia di dosso diveniva un
richiamo irresistibile.