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Autore: Peggotty    22/09/2008    4 recensioni
[Riveduto il capitolo 7] Inghilterra 1755, dieci anni dopo la Sommossa giacobita. Il Signore di Allenton è un uomo ricco, potente, oroglioso e crudele; un'orribile ferita riportata a Culloden gli deturpa gran parte del viso, adesso nascosto da una maschera. Nessuno sa come sia quella ferita, ma c'è chi sostiene ricopra gran parte del suo viso adesso deforme. Alcuni sostengono persino che Lord Cumbrae sia impazzito dal dolore causato da quelle cicatrici e dall'orrore che i suoi occhi hanno visto a Culloden. E' una figura avvolta nel mistero, ma nessuna persona normale vorrebbe incrociare il suo stesso cammino.
La giovane Madelaine è appena divenuta la sua sposa, e il solo pensiero che quell'uomo sia suo marito basta a spaventarla a morte...
Genere: Avventura, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
Capitoli:
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Note dell’autrice: vi ringrazio ancora una volta, er la costanza e la passione che dedicate, a me e alla mia creatura, nonostante a volte faccia passare troppo tempo tra un capitolo e l’altro

Note dell’autrice: vi ringrazio ancora una volta, er la costanza e la passione che dedicate, a me e alla mia creatura, nonostante a volte faccia passare troppo tempo tra un capitolo e l’altro.

  Con mia grande sorpresa, si è aggiunta una nuova new entry, flori che a proposito, ringrazio per la recensione lasciata, inoltre, gli utenti che hanno aggiunto questa storia tra i propri ‘Preferiti’ sono adesso, ben 17. Vi ringrazio di cuore.

   Owarinai Yume come al solito ti ringrazio per il commento postato. Sono contenta che la storia ti appassioni, spero di non essere manchevole, con il proseguire della storia.

Rayne, grazie anche a te. che dire, se Fanny e Abel sono brave persone, be’…

    Shandril sono sicura che a casa, la famiglia di Maddy sarà più che preoccupata, credimi. Sono contenta che Fanny e Abel abbiano riscontrato una buon opinione, ne sono felice^^

Rubs, a essere sincera, ero certa sin dall’inizio che Lord Cumbrae avrebbe suscitato simili sensazioni nei lettori. Eh, sì, le loro strade si sono già divise, e sinceramente non so nemmeno quando si rincontreranno!!

Mi dispiace barbarizia, se Lord Cumbrae ti ha lasciato una brutta impressione. Sarà che io so com’è in realtà, perciò non mi esprimo a riguardo, ma visto che voi leggete la storia dal punto di vista di Maddy… be’ sì, non è che sia un modello di galanteria e gentilezza, questo è vero-_-‘

Grazie infinite come al solito; ci vediamo al prossimo aggiornamento.

Mi dispiace se il capitolo è risultato più corto degli altri. Vedrò di fare meglio la prossima volta.

 

 

Redarcher

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VII

 

Ritorno a casa

 

 

<< Lord Cumbrae, hai detto? >> Fanny si passò le dita tra i boccoli biondi con agilità, inumidendosi la folta chioma con l’acqua del torrente che avevamo incontrato lungo il tragitto, e dove avevamo deciso di fare una sosta.

Annuii, mentre immergevo una bottiglia di vetro vuota nell’acqua fredda, stando ben attenta a non raccogliere del greto di fiume oppure del crescione. Mossi leggermente la bottiglia piena e me la misi davanti agli: l’acqua era leggermente torbida, ma non c’era traccia di sassi o erbe d’acqua. Andava bene.

   Mi raccolsi le maniche della camicia e immersi le braccia in acqua, rabbrividendo per il freddo; mi passai l’acqua sulle braccia sporche, mi inumidii i capelli, crespi e inzaccherati di fango, mi lavai la faccia togliendomi lo sporco del viaggio e della notte passata a cercare di fuggire da quell’uomo…senza riuscire nel mio intento. Adesso però ero libera, e stavo ritornando a casa; la mia fortuna aveva iniziato a girare.

   Fanny raccolse l’acqua con le mani a coppa e bevve un lungo sorso d’acqua. La temperatura, a causa del temporale, s’era abbassata parecchio, ma il sole quel giorno aveva ripreso a picchiare e, visto che l’estate era breve e spesso segnata da intemperie, quel calore improvviso calore era accolto con gioia.

La mia compagna di viaggio fischiò sommessamente, un gesto di pura ammirazione. << Cosa hai fatto per costringerlo a rapirti in una notte così schifosa? >> domandò sbalordita, gli occhi brillanti di curiosità.

   << È questo il punto! >> sbottai, tirando un piccolo ciottolo in acqua, che la rese torbida e agitata. << Non riesco a capire perché mi abbia portata fino a Newbiggin, e poi mi abbia lasciata in quella locanda.>> Con il conto pagato, oltretutto, ma questo lo tenni per me. 

Fanny schioccò la lingua e si sistemò il fazzoletto sulla testa, attenta a serrarlo bene. << Be’, un comportamento simile, per uno come lui, è assolutamente nella norma, credimi. >>

Smisi si muovere le braccia dentro l’acqua, girandomi verso di lei. << Che intendi dire? >>

   << Andiamo, lo sanno tutti, nella contea! >> esclamò agitando la mano, quasi avesse voluto dirmi ‘Smettila di scherzare!’ Vedendo i miei occhi, evidentemente, riuscì a comprendere che non sapevo nulla, l’espressione rilassata si fece un po’ più seria, la voce si abbassò, assumendo un tono confidenziale, quasi lugubre.

  << Sai almeno chi sia, Lord Cumbrae? >> chiese a bassa voce.

Scossi la testa. << L’ho sentito nominare ieri per la prima volta. >> Ed era vero. Conoscevo Lord Ashington, ovviamente, il maggior possidente terriero del Wansbeck – e proprietario del terreno in cui sorgeva il nostro cottage, per giunta –, più qualche altro piccolo possidente terreno delle mie parti, ma non avevo la minima idea di chi fosse quell’uomo senza volto, con quella voce cavernosa agghiacciante.

   Fanny scosse la testa sospirando rumorosamente, mi lanciò un’occhiata piena di biasimo, poi iniziò a raccontare.

   << Hai mai sentito parlare della Grande Sommossa? >>

Annuii con la testa. Avevo solo sette anni allora, e ovviamente non potevo ricordare cosa accadde, soprattutto perché non giunse mai dalle nostre parti.

Fanny annuì a sua volta. << Quindi immagino saprai anche del massacro di Culloden, giusto? >>

   Mi schiarii brevemente la gola, sentendo una sgradevole sensazione salirmi lungo le pareti dello stomaco. << Sì, in un certo senso. >>

Le mie informazioni a riguardo erano molto scarse. L’unica cosa che Papà mi aveva raccontato riguardava un esiguo gruppo di Highlanders ribelli, capeggiati da Charles Stuart, un principe esiliato il cui padre era stato re di Scozia, prima dell’annessione di quest’ultima al regno britannico. Stando alle parole di Papà, quello scellerato – così lo chiamava – di Bonnie Prince Charlie aveva marciato con il suo esiguo esercito di selvaggi Highlanders, marciando fino a Culloden… dove erano andati incontro alla morte. Il principe era riuscito a salvarsi e a fuggire all’estero, ma gli scozzesi…

   << Oh, bene >>, disse lei, adesso di buon umore. << Dieci anni fa, l’esercito britannico scese in guerra contro quei bastardi scozzesi… e Lord Cumbrae era tra loro. Era un soldato, e stando alle voci che giravano a quel tempo, era anche un ottimo militare. Marciò con il suo squadrone di dragoni inglesi contro quei fottuti selvaggi assieme al resto delle giubbe rosse… e vinsero, come ben sai. >>

Annuii, non riuscendo a comprendere che nesso ci fosse tra la Sommossa e quel nobiluomo. D’accordo, era sceso in guerra, e ovviamente aveva vinto, ma ancora non riuscivo a comprenderne il nesso.

   << È a Culloden che è successo tutto. È stato in quel frangente che la vita di Lord Cumbrae è finita. >>

Un brivido freddo mi scivolò lungo la schiena, lasciandomi senza fiato.

   << Quel povero diavolo, durante la frenesia della battaglia fu separato dal resto dell’esercito inglese; venne attaccato da tre ribelli, armati di spadoni lunghi quanto le zampe di un cavallo, la lama scintillante e letale intrisa del sangue dei nemici falciati, le asce smussate luccicanti di vendetta e morte… >>

   << Smettila Fanny, non voglio sentire… >>

Il cuore mi martellava nelle tempie ad un ritmo serrato e folle, intontendomi al massimo, una sensazione nauseabonda saliva lungo la bocca dello stomaco…

   << Lo ferirono gravemente, ma lui riuscì comunque ad abbatterli tutti e tre, uno dopo l’altro. >> A dimostrazione di ciò mosse il braccio in un serie di affondi e stoccate, come se fosse stata un perfetta spadaccina.

   << Purtroppo, quando vedi la morte degli occhi, non è facile conservare la sanità mentale, mi spiego? >> Si strinse nelle spalle, proseguendo con il suo racconto.

Riuscì ad abbattere due nemici riportando solo ferite superficiali al costato e in qualche altro punto, ma non lo misero a rischio… il terzo però…

   << Il terzo uomo lo ferì alla testa con un’ascia… SPAT! Ci mancò poco che non gli tagliasse la faccia a metà! >> esclamò lei, infervorata dal racconto. << Secondo le chiacchere, persino il suo occhio sinistro fu spaccato a metà, dicono anche che cadde a terra, riversandosi in un liquido trasparente e appiccicoso, mescolandosi assieme al sangue del conte… >>

   << Uh! >> Un urto di vomito mi piegò a metà. Fui scossa da lunghi conati di vomito, ma non rilasciai niente, visto che non avevo messo niente nello stomaco, quella mattina. Solo del tè caldo.

Quando i conati cessarono, mi rimisi in ginocchio a stento, sentendo un bruciore insopportabile al ventre, mentre una sapore acido mi fermentava in bocca. Mi sciacquai ancora una volta il viso con l’acqua, trovando immensamente piacevole quel contatto gelido sulla mia pelle accaldata.

   << Ti senti meglio? >> Fanny se n’era rimasta in disparte, dando un’assettata al proprio aspetto, mentre io cercavo di vomitare nel torrente.

   << In realtà, quello è solo un racconto, messo in giro da qualche idiota >>, disse con tono annoiato, pensando in realtà che quello fosse molto più interessante. << Lord Cumbrae rimase gravemente ferito in quella battaglia e, quando tornò a casa, rimase a letto per settimane, ferito gravemente e con la pelle incandescente per la febbre; nessuno pensava che potesse riuscire a sopravvivere. >>

   << Ma? >> dissi, com’era ovvio che fosse.

Fanny annuì. << Ma ce la fece. Anche se non era più lo stesso, quando fece ritorno. >>

  Il conte fece ritorno dal regno dei morti, ma quando si svegliò non era più lui. era un uomo che aveva visto la morte in faccia, e aveva vissuto l’inferno sulla propria pelle, vivendo per settimane in un coma febbricitante che avrebbe ucciso qualsiasi uomo; e alla fine aveva vinto… ma aveva perso la sua anima. La sua sanità mentale.

   << Non conosco i dettagli della storia. Mi è stata raccontata da una ragazza che prestava servizio presso di lui da quasi dieci anni, ed era stata licenziata. Mi disse che il conte licenziò la maggior parte dei domestici, al castello, tenendone solo una piccola parte; Linda – così si chiamava – mi raccontò che, il giorno che se ne andò di casa, vide Lord Cumbrae per la prima volta, dal suo ritorno a Culloden.

   Il viso era nascosto da una maschera, gli occhi blu luccicavano di una luce folle e disumana, i suoi capelli erano scompigliati e gli stavano ritti sulla testa come se fosse stato un demonio >>, Fanny ridacchiò, << quella poveraccia si fece il segno della croce, appena lo vide; per questo lui la licenziò. >>

   << Senza motivo? >> domandai sconvolta.

Scosse la testa. << Oh, no! Un motivo c’era! >> mi assicurò.

   << Lord Cumbrae era posseduto dal demonio. >>

 

*

 

Dopo quella breve sosta lungo il torrente, Abel ci informò che eravamo pronti a ripartire.

   Mi ero sistemata dietro al carretto, in mezzo a piccoli mobili pieni di tarli e realizzati, molto probabilmente, da Abel stesso; l’odore pungente di carne essiccata e formaggio mi stordiva, mentre il piccolo carro avanzava cigolando e ondeggiando lungo la strada acciottolata, lasciandomi un vago senso di nausea. Fanny si era sistemata accanto a me, le gonne raccolte sotto al sedere e le gambe tornite e pallide in bella vista, alla luce del sole sembravano quasi brillare, tanto erano chiare. Si era tolta le rozze scarpe che aveva indosso, e adesso muoveva le piccole dita dei piedi con frenesia, come se stesse assaggiando la libertà.

   << Hai qualcuno a casa? >> mi domandò lei di punto in bianco.

Annuii. << Vivo assieme a mio padre e a mio fratello maggiore. Mia sorella vive assieme a noi e a suo marito, per il momento, senza contare che, ormai, dovrebbe essere arrivato anche il loro primogenito >>, sorrisi tra me e me, pensando ad Elisa con in braccio un frugoletto piagnucoloso e irritato.

Fanny sbuffò e liquidò la mia vicenda familiare con una mano. << Molto toccante, davvero… ma io mi riferivo a qualcun’altro. >> L’occhiata eloquente che mi lanciò riuscì solo a confondermi ancora di più.

Aggrottai le sopracciglia e sporsi il labbro in avanti. << Non ho idea di cosa tu stia parlando >>, sentenziai alla fine, con acidità.

La mia compagna di viaggio roteò gli occhi e sbuffò, puntandomi un dito grassoccio tra le costole, io sussultai per la sorpresa. << Ce l’hai un uomo, a casa? >> mi chiese, per amor della comprensione.

   << Oh! >> esclamai, riuscendo finalmente a capire cosa intendesse. << Intendi se sono promessa a qualcuno? Be’, no. Nessuno mi ha chiesta in sposa, finora. >>

   Apparte un bastardo traditore di mia conoscenza. E tuttavia non mi andava di parlare di una situazione simile assieme a Fanny; poteva essere simpatica e disponibile – nei limiti contadini, ovvio – quanto volessi, ma era pur sempre una donna incontrata solo da poche ore. Andava bene essere gentili e affabili, ma non ingenui. Anche i poveri erano costretti a guardarsi dai propri simili, la comune malasorte non doveva rincretinirmi.

   << Mmm. >> Fanny si portò un dito sotto al mento, mugugnando qualche parola tra sé. 

<< E tu, allora? Immagino che tu e Abel siate sposati, giusto? >> Con la coda dell’occhio osservai la schiena curva ed enorme di quel gigante gentile, pensando a quanto Fanny fosse fortunata. Almeno in apparenza, Abel sembrava un uomo gentile e dolce, disponibile ad aiutare il prossimo senza chiedere nulla in cambio, nonostante – a giudicare la qualità dei loro effetti personali – avessero loro stessi un disperato bisogno di denaro.

  Fanny si strinse nelle spalle, guardando prima il marito, poi me, come se non fosse sicura se potermi raccontare la loro storia. Alla fine scrollò le spalle co incuranza, e si decise a raccontare.

   << Non c’è molto da dire, in verità. Sono un’ex-prostituta. >>

<< Oh! >>

   << Guarda che ero una semplice battona di strada, non è il caso di sorprendersi così tanto! >> disse acida, trovando, evidentemente, particolarmente irritante la mia reazione.

   << Mio padre mi vendette a un bordello a dodici anni per pagarsi da bere – era poco più di un mendicante, sai –, e la proprietaria della casa di malaffare mi ha messa in strada, facendomi bazzicare le strade del porto in cerca di qualche marinaio allupato in vena di allentare il borsellino; per otto anni non ho fatto che vivere di questo, sai… >>, si passò distrattamente le mani sulle cosce, << aprire le gambe a qualsiasi uomo lo richiedesse, e fosse in grado di pagare, pensavo non esistesse altro modo per sopravvivere nel mondo… finché non ho incontrato Abel. >> I suoi occhi scivolarono sulla schiena del marito, un misto di dolcezza e venerazione per quell’uomo buono, e gentile.

   << E poi? >> domandai, senza riflettere. << Oh, scusa! Non volevo essere invadente… >>

Fanny liquidò la faccenda con un movimento della mano. << Figurati, tanto sono io che ho iniziato a parlarne! >>

Si schiarì la gola e riprese il racconto. << Ho conosciuto Abel al porto, com’era ovvio che fosse. Stavo discutendo con un marinaio il prezzo che avrebbe dovuto sborsare per farmi aprire le gambe – quel maledetto taccagno non voleva allentare il cordino della borsa, che bastardo! –, stavamo litigando di brutto… così Abel ha messo fine alla discussione. >>

   << E come? >> La cosa più sensata, vedendo la sua corporatura e l’aria di possanza che emanava, era ovvio pensare che lui e quell’uomo fossero venuti alle mani… ma dopo averlo conosciuto, non ero certa che fosse capace di fare del male volontariamente, o comunque con intenzione di ferire.

   << Mi comprò al posto del marinaio >>, disse, con una semplicità disarmante.

Ridacchiò, arrossendo un pochino, rievocando i propri ricordi; non riuscii a impedirmelo, le mie guance divennero più calde e, ne sono sicura, presero colore, pensando a cosa potesse essere successo tra loro due.  

   << Mi trascinò in una locanda del porto e… be’, diciamo che mi accese come un fiammifero, non so se mi spiego. >> E mi tirò un’altra gomitata nelle costole.

Abel, seduto sul carretto, si agitò a disagio, tossendo rumorosamente. Quella storia doveva imbarazzarlo, e non poco.

   << Per qualche mese non facemmo altro, sai, lui veniva al porto, mi portava in una locanda, facevamo l’amore, e poi trascorrevamo il tempo a parlare, anche di cose futili, per poi rifare l’amore di nuovo… >> Fanny sospirò, un suono pieno di malinconia, ma non rimpianto, ne ero sicura. << Mi innamorai di lui, e dopo un po’ smisi di farmi pagare per il servizio, non potevo farlo pagare, capisci? Divenne il mio amante, anche se era un segreto – la Maitresse non voleva che avessimo degli amanti –, solo clienti paganti. >>

  Come era logico pensare, anche Abel si innamorò di Fanny e, non potendo tollerare che altri uomini potessero averla, cercò di riscattare l’amata alla matrona del bordello… ma la situazione si rivelò più complicata di quanto avessero pensato all’inizio.

Secondo la Maitresse, nonostante Fanny non fosse una bella ragazza, riscuoteva parecchio successo tra gli uomini, i guadagni della ragazza erano notevoli, e la padrona sarebbe stata una sciocca a lasciare che un uomo, venuto da chi sa dove, potesse riscattarla così, lasciandosi sfuggire una delle sue migliori fonti di guadagno. Così, non vedendo altra soluzione, i due fuggirono assieme.

   << Ci siamo nascosti nei sobborghi di Newbiggin, lontani dagli occhi della padrona, e da quelli delle altre puttane, se è per questo. Io mi nascondevo in casa, senza mai uscire, e Abel svolgeva dei lavori che lo tenessero lontano dal porto, lavorò anche come aiuto maniscalco, per qualche tempo – ci ha permesso di vivere nella sua soffitta, pensa –; ma non potevamo continuare così, vivendo e nascondendoci come ratti… così abbiamo deciso di tentare la fortuna nel Cumbrae! >> esclamò lei con allegria. << Ho sentito che è possibile trovare facilmente lavoro nella contea di Carlisle, è lì che ci stiamo recando. >>

   << Non so che dire… >>

<< Non è necessario che tu lo faccia >>, esclamò Fanny con ironia.

Scossi brevemente la testa, e i capelli mi caddero davanti agli occhi. << Non pensavo che, sì insomma, che la tua storia fosse… >>

   Fanny mi tirò un pugno leggero sulla spalla, mi allontanai, cacciando un guaito sorpreso.

  << Non è necessario che ti metti a frignare, stupida! >> disse con voce dura. << La mia vita è stata uno schifo, è vero, ma adesso ho la possibilità di ricominciare daccapo, di rifarmi una vita, nel Cumbrae. Ho un marito che amo e rispetto, che mi protegge e non mi fa mancare nulla – per quanto le nostre possibilità siano scarse –, cosa potrei volere di più, dalla vita? >>

  << Già, hai ragione. >>

Mi tolsi un pezzetto di fango secco dalla sottana, pensando a quanto in realtà invidiassi Fanny. Certo, la mia vita paragonata alla sua era un giardino delle Delizie, ma mi era impossibile pensare che, se Will mi fosse stato fedele, se avesse mantenuto la promessa, se fosse stato sincero… io a quest’ora sarei stata a casa, a Bedlington, assieme a un marito che, col tempo, avrei imparato ad amare, che forse, un pochino, già amavo… e invece, dov’ero? In viaggio verso casa, assieme ad un’ex-prostituta e un ex-maniscalco, diretti nel Cumbrae per cercare di rifarsi una vita assieme. Se solo avessi potuto…

   Mi passai la mano davanti al viso, cercando di dissipare quella coltre di malinconia che mi stava avvolgendo. Papà, Elisa, Fletcher ed Erial mi stavano aspettando, solo quello contava.

 

*

 

Impiegammo due giorni a raggiungere Bedlington, con l’andatura traballante e lenta che aveva Chester, il vecchio sauro di Abel; era molto più vecchio e lento di Joshua, ebbi modo di constatare, durante il viaggio.

   Tra Newbiggin e Bedlington non c’erano villaggi, solo insediamenti di una decina di casupole al massimo, perciò Abel dovette fare appello alla clemenza di qualche contadino, affinché permettessero, almeno a me e Fanny di dormire nella stalla, su qualche distesa di paglia, rannicchiate nei nostri mantelli da viaggio. Nonostante l’odore pungente e pensante di cavallo – o mucca, a seconda dei casi –, cibo masticato e feci animali, il calore degli animali all’interno della stalla era confortante, così come il loro respiro pensante mentre dormivano; mi rannicchiavo nel mio mantello, sentendomi al sicuro e protetta da quelle quattro mura, il contatto con il corpo di Fanny mi dava una sensazione di conforto, di calore; non avrei mai pensato che le natiche grassocce di una sconosciuta premute contro le mie potessero farmi sentire così tranquilla, a casa.

   Fanny però non sembrava della stessa opinione. Nonostante mi addormentassi senza timore, il mio sonno era comunque leggero, pronto a cogliere il minimo cambiamento dell’ambiente attorno a me. Nonostante lei si muovesse con passo felpato, e il più discretamente possibile, sentivo benissimo il cigolio della porta della stalla, mentre lei usciva nel freddo della notte, per stare assieme a lui, a suo marito… per poi tornare solo con l’approssimarsi dell’alba, quando la gente si alzava da letto per andare a lavorare nei campi.

   Nonostante Abel non volesse essere pagato per il passaggio, fui più che felice di condividere la mia pagnotta di pane assieme a loro, provando un senso di piacevole comunione a spartire quel poco che avevo con i miei compagni di viaggio, con cui avevo iniziato ad instaurare un rapporto che andava al di là dal viaggiare assieme a causa delle circostanze e delle condizioni di viaggio.

Mi ero talmente abituata alla loro presenza, che quasi provai un punta di tristezza, nel vedere i primi gruppi di tetti che componevano il villaggio, il mio villaggio.

   << Sarà strano, proseguire il viaggio senza di te; mi stavo quasi abituando alla tua presenza, Maddy. >> Fanny si tolse il fazzoletto e si passò la mano tra i capelli, appiccicati alla testa per il sudore e per lo sporco.

   << Davvero? >> dissi, parlando con incuranza, come aveva fatto lei, ma sentendo distintamente un piccolo groppo fastidioso serrarmi la gola con forza.

   << È quella? >> domandò Abel, puntando bruscamente il mento in direzione della casupola.

Il senso di tristezza e di perdita che mi aveva avvolta sin quando avevo iniziato a riconoscere la strada, passando davanti al mulino d’acqua ormai in disuso, alla collina della quercia, dov’ero solita condurre le pecore al pascolo; tutte quelle sensazioni tristi e deprimenti vennero sostituite da un senso di urgenza incontenibile. Ero a casa, finalmente!

   Ero mancata solo per qualche giorno, ma mi sembrava di essermi assentata per degli anni, e ora, come il Figliol Prodigo, facevo ritorno alla casa del padre.

Deglutii pesantemente, mentre un sorriso si affacciava sulle mie labbra. << Sì; è quella. >>

   Non riuscendo a trattenermi oltre, smontai dal carretto con un balzo e, raccolte appena le gonne per non intralciarmi in movimenti, corsi come un disperata verso casa, divorando i metri che mi separavano dal piccolo cottage malandato. Dal comignolo una piccola serpentina di fumo bianco scivolava fuori per sparire nel cielo, il giardino di erbacce della Mamma era sempre lo stesso, il muretto mezzo distrutto segnava l’ingresso nella ‘nostra’ – si fa per dire – proprietà… no, non era cambiato nulla. era tutto uguale. Tutto come al solito.

    Attesi che Abel e Fanny mi raggiunsero assieme a Chester, fermandosi davanti al muretto semi-distrutto.

<< … Mi aspettavo qualcosa di più, sinceramente >>, commentò Fanny con delusione.

La fulminai con lo sguardo. << Ti ho detto che eravamo poveri! Non racconto bugie >> sbottai tutto in una volta.

   << Allora, sei arrivata >>, commentò lei, grattandosi pensosa il mento. << Immagino che questo sia un addio… >>

   << Suppongo di sì. >> A meno che, per ragioni assolutamente incomprensibili, non decidessi di recarmi nel Cumbrae, affrontando un viaggio che mi avrebbe tenuta lontana da casa almeno una settimana.

Con mia grande sorpresa, Fanny si sporse oltre il bordo del carro, avvolgendomi con forza tra le sue braccia calde e morbide, un effluvio di sudore stantio e sporcizia e polvere mi pizzicò le narici, ma fu solo una zaffata.

    << Stammi bene, Madelaine >>, disse sommessamente.

   << Ti ho detto che mi chiamo Maddy >>; dissi a mia volta, stringendola con la stessa intensità, quasi avessi voluto stritolarla.

   << Fa’ lo stesso. >>

<< Ah, volete fermarvi un po’, per riprendere le forze, rifocillarvi, magari. Se volete, possiamo ospitarvi in casa… >>

Abel sorrise gentilmente, ma scosse la testa, declinando l’invito. << Sei molto gentile, e ti ringrazio, ma è ora di andare. >>

   << Vogliamo raggiungere il Cumbrae il più in fretta possibile >>, aggiunse Fanny, toccando appena la spalla di Abel, sorridendomi.

   << Sì, capisco. >> Eppure avrei voluto che si fermassero, almeno per quella notte.

Dopo un altro, breve scambio di saluti e di ‘buona fortuna’ reciproci, i coniugi Hayes proseguirono per la loro strada, arrancando sul loro carro dimesso, condotto da un sauro vecchio e spossato.

    Mi girai verso il piccolo cottage, il cuore aveva iniziato a battermi veloce, e le mani sudavano senza controllo, mi passai i palmi bagnati più volte sulla gonna, nel tentativo di asciugarli, presi un paio di boccate, trovando finalmente la calma.

  I cardini della porta cigolarono rumorosamente appena la aprii, mentre un silenzio quasi innaturale mi trasportò all’interno della casa.

   << Elisa? >> domandai con incertezza, avanzando di qualche passo dentro casa.

Il piccolo salotto era vuoto, Papà doveva essere nei campi assieme a Erial e Fletcher… ma Elisa? Dove poteva essere?

   << Oh, no… >>

Un’orribile pensiero si affacciò nella mia mente, pensando a quante volte fosse capitato, anche in un villaggio piccolo come Bedlington. Ma non lei! Non a mia sorella! Non poteva essere…

   << Elisa! >> chiamai di nuovo, l’angoscia e l’urgenza mi distorcevano la voce, trasformandola in un verso gracchiante che non aveva nulla di umano. << Elisa! >>

Mi raccolsi ancora le gonne e iniziai a salire le scale di legno, che cigolarono e gemettero sotto il mio peso, protestando e inveendo contro di me, ma non mi importava. L’unica cosa che volevo, che mi interessava…

   Ero così impegnata a pensare a quali orribili esiti avesse potuto portare la gravidanza di mia sorella, alla possibilità che lei e il bambino potessero essere morti, che nemmeno mi accorsi del vagito sommesso, eppure squillante, che proveniva dalla camera da letto di Elisa e Erial.  

 

 

°~Ω~°

 

 

Non era così che immaginavo l’incontro con Timothy.

   Aprii la porta con talmente tanta foga, che questa si schiantò contro il muro, staccando qualche pezzo di legno del battente, e aumentando l’intensità degli strilli del bambino.

   << Dio Santissimo, Madelaine! >> urlò mia sorella collerica, abbrustolendomi con l’intensità e la rabbia del suo sguardo verde. << Mi hai fatto venire un colpo, per Dio! >> sbottò, mentre intanto cercava di elargire paroline dolci all’infante che stringeva tra le braccia, mormorando parole sommesse ed emettendo versetti che, per miracolo, riuscirono ad azzittirlo. Il piccolo emise ancora qualche piccolo verso di protesta, ma poi, inevitabilmente, chiuse gli occhi, appoggiandosi al seno di Elisa, di nuovo tranquillo.

   << È… insomma, è lui? >>  sussurrai incredula, vedendo quel piccolo fagotto avvolto nelle logore copertine che nostra madre aveva usato per lei, Fletcher e me.

Elisa annuì appena, e io, il più silenziosamente possibile, mi avvicinai al suo capezzale, gli occhi avidi di quella piccola creatura addormentata.

   Era piccolo, molto più piccolo di quanto in realtà mi aspettassi. La testa era piccina e tonda, con della peluria leggera castano chiaro sulla sommità, il naso era praticamente invisibile e le mani erano talmente piccole che quasi faticavo a vedergli le unghie; era il bambino più bello che avessi mai visto.

   << Come si chiama? >> domandai a bassa voce, il petto gonfio di orgoglio come se fossi stata io stessa, la madre.

Elisa mi lanciò un’occhiata sprezzante e strinse gli occhi, serrando poi le labbra. << Sei lercia, Madelaine >>, mi disse compassata, stringendosi al petto il bambino con fare possessivo.

   << Io… >> Mi allontanai, prendendo il suo commento come un invito sgarbato ad allontanarmi.

Elisa ripose il piccolo accanto a sé, poggiandolo in un piccolo giaciglio fatto di coperte spiegazzate, quasi fosse stata la cuccia di un cane, poi tornò a guardare me, gli occhi chiaramente severi, e forse, preoccupati.  

   << Ma che diavolo hai combinato? >> mi domandò dura, facendomi sentire enormemente in colpa, per essere stata lontana da casa così a lungo, nonostante non fosse stata una mia decisione.

Strinsi con forza i lembi logori della mia gonna inzaccherata di fango e polvere, e alcuni pezzi di terra secca si staccarono, volando a terra.

   Gli occhi di Elisa si strinsero ancora di più, e io provai il desiderio di scomparire alla sua vista, e dalla sua rabbia a stento contenuta.

   << Mi dispiace, sorella. Io non… >> Le parole mi morirono in gola, non trovando spiegazioni adatte da darle. Come avrei potuto giustificare l’incontro con quell’uomo… Lord Cumbrae? Non avrebbe mai creduto alle mie parole, per quanto vere fossero. Nessun gentiluomo se ne andava in giro per le campagne inglesi, in una notte di tempesta, ad aiutare delle volgari contadine, per quanto in difficoltà potesse trovarsi la suddetta; i nobili – o ricchi che fossero – non aiutavano la povera gente. Ma lui… e ancora non riuscivo a spiegarmene il motivo.  

   Non potendo rispondere a simili domande, me ne restai zitta, aspettando la tirata di mia sorella, pronta a sopportare in silenzio.

Mi scrutò a lungo, soppesando le mie gonne strappate con quattro dita di fango, come minimo, i capelli assurdamente arruffati e imbrattati di sporcizia di ogni sorta, dal pezzetto di fango rappreso, alla foglia di un albero oppure ad un rametto secco incastrato tra tutti quei nodi; sospirò pesantemente e scosse la testa bionda.

   << Vai a darti una strigliata, Maddy. >> Gesticolò appena con la mano indicando la porta, segno che la conversazione era terminata.

Annuii e mi girai verso la porta, indirizzandomi verso le scale sgangherate e scricchiolanti.

   << Al tuo ritorno, voglio sapere anche dove sono finite le scarpe >>, mi annunciò, mentre mi chiudevo la porta alle spalle.

Scesi le scale di fretta e cercando anche di essere il più leggera possibile; in cucina tirai fuori un catino vuoto, dove vi gettai una grossa scaglia di liscivia e dei panni sporchi che raccattai in giro per casa, mi diressi a grandi passi verso il fiume, mentre il pensiero di togliermi la sporcizia di dosso diveniva un richiamo irresistibile.

 

  
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