Cap IX Ciocche Bionde e Ciocche Corvine
- Eglerion!-.
Zoe n’aveva azzeccata solo una su tre.
Castiel non era
ancora in procinto di diventare madre e il Capitano, ahimè, non s’era ancora
portato a letto Rhavanwen.
- Sto arrivando! Aspetta un secondo!-.
-
Muoviti, che Nimloth sta per dare di matto!-.
D’altra parte, la povera
Lancaeriel era decisamente sull’orlo d’un esaurimento nervoso.
- Che cos’ha
il mio povero cavallo, adesso?!-.
- A forza di stare con il suo padrone, ha
finito per assomigliargli, ecco cosa!-.
- Che cosa intendi insinuare con
questo?!-.
Alastegiel osservò, dall’alto del castello di poppa, l’Alto Re dei
Noldor correre attraverso il ponte verso la scala di poppa, seguendo le urla del
suo secondo.
- Ma quei due son davvero amanti?- domandò a Gelirion, al timone
in quel momento.
- Non preoccupatevi, mia signora. Questa è normale routine.
E, sì, quei due sono amanti. Per cui non si sposerebbero mai l’uno con l’altra-
rispose l’uomo, senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte.
- Capisco-.
-
Lady Galadhwen s’è ripresa?- domandò poi l’uomo, riferendosi alle condizioni in
cui verteva la politica durante quei cinque giorni di viaggio passati.
-
Inizia a star meglio, forse stasera riusciremo anche ad avere la sua compagnia
per cena. Povera elfa, non è fatta per le navi- disse sorridendo la
Regina.
L’elfa s’alzò.
- Meglio che vada in cucina. È quasi il meriggio,
tra poco sarà tempo di mangiare. Chissà se Rhavanwen mi darà una mano,
oggi-.
Insomma, la situazione, sulla Ithil, non era delle più rosee. Lancaeriel ed
Eglerion avevano aumentato esponenzialmente il numero dei loro battibecchi. La
Regina, nello stupore generale e dopo molte insistenze da parte di quest’ultima,
aveva gentilmente preso il posto di Waith in cambusa, talvolta aiutata da
Rhavanwen o dal nano Burin. Galadhwen aveva scoperto a sue spese (e a spese di
Rhavanwen, con cui condivideva i quartieri) di soffrire di mal di mare. Castiel
e Meldarion non avevano ancora fatto parola con nessuno dell’ultima visione di
lui. Ella, dal canto suo, continuava a tartassarlo di domande, convinta che la
rossa apparsa fosse una sua vecchia conoscenza. Gelirion, infine, riusciva a
mantenere il contegno dietro ad una maschera di stoicismo, con cui accoglieva
ogni disgrazia.
Se questi son cinque giorni, spero proprio che le città
della sponda occidentale si mostrino presto, si disse il timoniere, vedendo
la sentinella svuotare l’ennesimo secchio fuori bordo.
- Raich!-
imprecò quest’ultima. Un improvviso rollio della nave le aveva fatto versare
metà del secchio sul ponte.
- Castiel!- chiamò il timoniere. L’elfa alzò
gl’occhi dalla carta che stava consultando per l’ennesima volta.
- Prendi tu
il timone, che laggiù c’è bisogno d’una mente razionale, prima che questa nave
vada a fondo definitivamente- disse, sorridendole. Ella ricambiò con un sorriso
mesto.
Gelirion scese dal castello di poppa e s’avvicinò alla Sindar.
-
Come va? Sembra che ti serva una mano-.
- No, tranquillo, basta che mi dici
dove trovare qualcosa per lavar via questa schifezza dal ponte- rispose la
sentinella, voltandosi.
- Sinceramente, tu sembri aver necessità di un po’ di
sonno, più che altro-.
Ella non si trattenne.
- È impossibile, son tre
notti che non dormo! Ed in quella stanza è impossibile anche respirare, ormai!
Mi dispiace per la Ithil, ma penso che l’unico modo per togliere l’odore ormai
sia un rogo purificatore-.
- Vedrò cosa fare una volta raggiunta la costa
Ovest. Se vuoi una stanza meno odorosa, puoi usare uno dei letti di Waith o
Stephane. Le lenzuola sono pulite ed io non entrerò fino a stasera in quella
stanza, quindi hai tutto il tempo che vuoi- le disse, porgendole una
chiave.
- Gelirion, batti per gentilezza persino il più nobile degl’elfi-
rispose ella, mostrandogli un sorriso a trentadue denti.
Felice di potersi
finalmente liberare delle occhiaie, Rhavanwen si diresse verso i quartieri del
timoniere, pronta a dormire.
Gelirion sospirò e, armatosi di ramazza e santa
pazienza, cominciò a togliere il vomito della politica dal ponte della Ithil,
sotto lo sguardo divertito di Castiel.
- Mandos, che cos’hai contro di me? Per quale dannato motivo continui ad
essere così criptico?-.
Meldarion si abbandonò sulla sedia.
Aveva già
discusso un’altra volta con Eglerion, il giorno prima, quando questi s’era
accorto della mancanza di una bottiglia di Miruvor e di una di rum, nel
suo armadietto etilico. Aveva deciso di prendersi la colpa anche per quello, non
voleva che la povera Zoe c’andasse di mezzo. Per di più, una visione della
cavalleria numenoreana che caricava una falange elfica l’aveva tormentato, la
stessa sera.
In quel momento sedeva, solo, nel refettorio, davanti ad un
boccale di birra ch’aveva spillato da una delle botti caricate a Minas
Duin.
Il pranzo era passato e la nave continuava ad avanzare, nella corrente
dell’Anduin. Ma mancavano parecchie miglia al punto in cui sarebbero
approdati.
Osservò il liquido scuro nel boccale, prima di vuotarlo.
Una
voce fioca lo fece voltare.
- Di solito non si beve in compagnia?-.
Una
pallida Galadhwen avanzava a passi malfermi attraverso il refettorio. Meldarion
si alzò ed andò ad aiutarla.
- Vedo che vi sentite meglio, Lady- le disse,
dopo che si furono entrambi seduti.
- Sì, più o meno. Non sono proprio fatta
per le navi-. Meldarion le sorrise.
- Dopo il settimo giorno di solito
sparisce, fidatevi- le disse.
- Comunque, devo dire che resta una gran bella
nave, la Ithil. Non avevo mai visto qualcosa del genere. Anche quando dovetti
andare nell’Harad, qualcosa come cent’anni fa, ho viaggiato su qualcosa che
assomigliava più ad una chiatta-.
- Chiatte in quel tratto di mare? Avete
decisamente un bel coraggio- commentò il moro, rimuginando sulle parole della
dama.
Continuavano a fargli venir in mente un Qualcosa, che sembrava
irraggiungibile.
- Anche in quel frangente il viaggio fu una vera esperienza-
disse l’elfa, perdendosi nei ricordi.
Meldarion tacque, continuando a cercare
nella sua mente.
- E voi, perché siete qui solo?- domandò la fanciulla.
-
Beh… la mia compagna è al timone, al momento. Ieri ho discusso con il Capitano
ed ora affogo i pensieri- disse, accennando al boccale.
- Comprendo… e come
mai avete discusso?-.
- Nulla di tale, tempeste di sabbia e bottiglie che
scompaiono- le disse, sorridendo. Poi si rese conto.
Tempesta di sabbia,
Harad, un secolo prima.
- Dunque siete voi!- esclamò.
- Come prego?-.
-
Ora ho capito dove avevo udito il vostro nome prima. Siete voi che avete
incontrato Eglerion nell’Haradwaith, un secolo fa!-.
- Ne aveva
parlato?-.
- Sì… insomma, non molto, ma si capiva che qualcosa era successo,
in quella settimana in cui era stato dato per disperso-. Ella arrossì.
-
Cantava odi alle dame dalle chiome corvine… avreste dovuto vedere Lady
Lancaeriel-.
- Era gelosa?-.
- Abbastanza. Al tempo era molto più legata,
solo negl’ultimi decenni hanno definito il loro rapporto-.
-
Comprendo-.
Ci fu una pausa silenziosa.
- Non sarei troppo indiscreto, se
vi chiedessi di narrarmi che cosa accadde?- domandò poi Meldarion.
- Oh
Valar… è passato un sacco di tempo… però se proprio lo volete, potrei
raccontarvi la storia dal mio punto di vista-.
Galadhwen si sistemò sulla
panca e cominciò a narrare.
- Erano passati solo sei mesi dalla Dagor
Ram, la battaglia del Vallo, in cui la nostra Regina si guadagnò
l’appellativo di Intrepida. Avevamo subito molte perdite, nonostante la
vittoria, e i Maethor -il partito guerrafondaio dell’Ithilien-
insistevano che qualcuno andasse in cerca dei disertori del nostro
schieramento.
Non ricordo perfettamente le peripezie politiche e dialettiche
che mi misero al comando della spedizione, fatto sta che il giorno della
partenza ero là, sulla costa meridionale dell’Ithilien, in armatura e con un
battaglione di quattrocento elfi, tra picche, spade, asce ed
archi-.
Meldarion annuì, visualizzandosi il battaglione nella mente.
-
Decisi di lasciarne metà a guardia delle chiatte, assieme ad uno dei miei
migliori capitani, e di condurre io stessa l’altra metà delle
truppe.
Marciammo per giorni attraverso pantani, paludi e giungla
ininterrotta. Ringrazio Eru che gl’Eldar non possano ammalarsi, altrimenti avrei
perso chissà quanta gente, in quella zona. Certi insetti che non ti dico, mi
meraviglio ancora che le punture siano andate via, altrimenti avremmo avuto
duecento elfi butterati-. Meldarion rise, seguito dalla conciliata.
-
Poveracci, non li vedo proprio, duecento elfi butterati. Ma, ti prego, va’
avanti- commentò il moro.
- Al quinto giorno senza aver trovato nessuno,
cominciammo a meditare di tornare indietro. Probabilmente tutta la spedizione
era stata organizzata dai Maethor in modo che io non potessi essere
sulla scena. Bellrauthien è più bravo di me, quanto a nozioni di politica, ma in
quei mesi si stava compiendo la mia ascesa e probabilmente avranno ben pensato
che sarebbe stato utile togliermi dalla scena per un po’-.
- È così meschina
la politica, nell’Ithilien?- domandò Meldarion.
- Purtroppo sì. Spesso ci son
lotte interne tra i partiti, anche dello stesso schieramento-.
- Allora son
felice del nostro Capitan Etilico e dei suoi metodi di governo,
sinceramente-.
Galadhwen sorrise e continuò il racconto:
- All’alba del
settimo giorno fummo attaccati. I numenoreani ci superavano di numero ed erano
assistiti da una fiera tribù di Mahud, gli Haradrim delle zone più a
Sud.
Sopraffacemmo molti nemici, ma era inutile. Il sangue bagnava la
foresta, l’aria era pesante per l’umidità, il caldo insopportabile. Molti non
fecero neanche in tempo a raccogliere le armi che le frecce dei mori li avevano
già trafitti. Chi ebbe il tempo di mettersi l’armatura, fece uno dei più grandi
errori: il caldo e l’umidità, aggiunti al peso dell’usbergo rendevano ancora più
difficile combattere.
Dopo poco tempo il muro di scudi cedé, gl’arcieri si
trovarono senza nulla da scagliare. I nostri nemici avevano usato bene le loro
conoscenze riguardo al territorio e ci ritrovammo circondati.
Io stessa mi
trovai in una selva di lance e fui costretta alla resa.
Uccisero tutti i
sopravvissuti tranne me. Forse speravano di utilizzarmi come ostaggio per
invadere l’Ithilien-.
Meldarion si alzò e versò della birra in due
bicchieri.
- Forse non sarà un toccasana per il tuo stomaco, ma son certo che
ti ridarà un po’ di colore- disse.
- Come?-.
- Sei più pallida di prima-
disse Meldarion.
- Non preoccuparti, è la mia carnagione- disse.
Bevve un
paio di sorsi e continuò a parlare.
- Mi portarono al loro accampamento, a
poche miglia di distanza, ai margini del deserto.
Quella sera fu una
delle peggiori della mia vita. La maggior parte degli uomini s’ubriacò, e venne
il momento in cui mi tirarono fuori della tenda. Mi spogliarono, pronti a
lanciarsi su di me uno dopo l’altro.
Ma, come il primo dei numenoreani
s’accingeva a violentarmi, due frecce lo trafissero. Una al collo e una tra le
gambe-.
- Poco dopo apparve.- disse ella, - Un elfo dalla capigliatura
dorata, che combatteva con furia contro tutti quegli uomini. Mi pareva d’aver di
fronte un eroe delle antiche leggende, pensavo d’aver incontrato l’ennesima
reincarnazione di Glorfindel o di Fingolfin. Quando l’ultimo degli uomini cadde,
sotto la sua lama, s’avvicinò a me-.
Si fermò un momento, a ricordare la
scena, per poi riprendere a narrare:
- La sua espressione era mutata, da
quella di fredda ira ad una di notevolmente calda gentilezza. Mi porse i vestiti
che m’erano stati tolti e mi chiese se stavo bene.
Attese ch’io mi fui
rivestita e mi fece cenno di seguirlo.
Poco più in là trovammo il suo
cavallo, assieme ai suoi bagagli. Fu solo in quel momento che si presentò. Mi
parlò in Ovestron.
“Mi chiamo Eglerion” disse.
“Io sono
Galadhwen”.
“E che cosa ci faceva un’elfa così bella nelle mani di
quegl’uomini?” mi domandò-.
- Sempre il solito. Se può far un
complimento, non si trattiene- commentò Meldarion.
- Gli feci un riassunto di
ciò che m’era capitato da quella mattina fino a quel momento. Non domandò
altro.
Semplicemente, mi fece salire sul suo cavallo e lo diresse verso
Est.
“C’è un’oasi, più avanti, se non ricordo male. Mi sembra il posto
migliore dove passare il resto di questa notte”.
Cavalcammo per un’ora o
poco più, sotto le stelle di Varda in pieno deserto, finché non arrivammo in una
macchia di vegetazione.
Lì scese e condusse l’animale a piedi, dicendomi di
restare in sella. Poco più avanti v’era un lago, da cui partiva un
fiume.
“Questo” disse, “è il Duin, il Fiume. Parte da
qui, luogo di comunione tra Yavanna, Ulmo ed Aule, per poi correre verso Nord.
Ci sono vari punti in cui s’inabissa, più avanti nel deserto, ma sbocca comunque
nel grande Mare, dopo esser passato attraverso il Santuario
d’Ulmo”.
“Come prego?”.
“Il Santuario d’Ulmo. Non ne
avevi mai sentito parlare?”.
“No”.
“È uno dei templi dei
grandi di Arda. Esistono da molte ere, ormai. Una volta erano la culla della
magia elementale, ma dopo il cataclisma ne sono rimasti solo due, qui
nell’Haradwaith: quello di Ulmo e il Santuario di Varda, sulla costa più a
Nord-est”.
Ascoltai in silenzio le sue parole.
È strano come tutto sia
collegato. Solo pochi giorni fa il menestrello di corte c’ha narrato un’antica
leggenda che accenna anche all’esistenza di questi templi. Ma, se non avessi
visto il Santuario di Ulmo con i miei occhi, dubito che avrei creduto ad ogni
singola parola, sia di Eglerion, sia di Merilairon.
Tralasciando la
parentesi, campeggiammo in quell’oasi, per quella sera e per maggior parte del
giorno dopo. Non che fossimo tanto stanchi, ma Eglerion non accennava a partire,
la mattina dopo, ed io accolsi con gioia il riposo, dopo i giorni di ricerca-
disse l’elfa.
Meldarion annuì. Peccato non ci sia un Santuario di
Mandos, pensò, forse lì riuscirebbero a chiarirmi le idee. Scacciò
tali pensieri, per tornar ad ascoltare la politica.
- Sul calar della sera,
egli s’allontanò dicendomi qualcosa riguardo alla cena.
Tornò poco dopo con
un paio di conigli, che furono la nostra colazione e cena nello stesso
momento.
A fine pasto raccolse la sua roba e mi guardò.
“Io seguirò il
corso del Duin, fino alla costa. Tu sembri aver bisogno d’aiuto. Vuoi venire con
me o preferisci tornare indietro in cerca dei tuoi compagni?”.
Decisi
che sarei stata certamente più al sicuro, con lui, anche perché avevo perso le
mie armi nella lotta e di certo non sarei tornata a cercarle. Cavalcammo a
lungo, quella notte, seguendo il corso del fiume -che poi era poco più d’un
ruscello, nonostante il nome così altisonante- fermandoci a metà d’una larga
ansa di quello. Ormai cominciava ad albeggiare-.
- Viaggiavate di notte,
quindi. Ecco perché le vedette non riuscivano a vedervi-.
- Come?-.
- Dopo
la tempesta di sabbia, noi ci dirigemmo ad Alas, una città Haradrim poco più ad
Est dell’ansa del Fiume. Rimanemmo là tre giorni, nei quali le nostre vedette
scrutarono il Duin in ogni suo singolo miglio, dalle torri di Alas. Poi,
perdemmo la speranza e ci muovemmo verso Kadura, a Nord-Est- disse
Meldarion.
Galadhwen annuì. Eglerion insisteva per viaggiare di notte per
evitare incontri con Numenoreani che, nella sua opinione, erano ancora in giro
per quelle contrade. Oltre a ciò, il caldo del giorno desertico lo patiscono
anche gli elfi, purtroppo per loro.
- Eglerion scese da cavallo e si voltò
verso di me.
“Se hai freddo, dimmelo. Ho una coperta e non esiterei a
dartela, per le traversate notturne” mi disse.
La sua premura nei miei
confronti gl’aveva fatto dimenticare che gl’elfi non provano il freddo. Glielo
ricordai, poco dopo. Mi sorrise, per la prima volta in quel paio di
giorni.
“Vedi che cosa accade, a preoccuparsi troppo?” mi disse.
Ridemmo.
Mangiammo del Lembas per “cena”, se così la si può chiamare,
parlando un po’ di tutto. Gli chiesi da dove veniva e che cosa ci facesse
nell’Harad, ma mi disse soltanto che proveniva da Manwetol. All’epoca ero
vagamente a conoscenza della sua esistenza, per cui gli chiesi di narrarmi
qualcosa di più sull’arcipelago. Mi parlò a lungo della storia di esso e di come
Tegalad costruì il suo reame negl’anni successivi alla catastrofe, sulla
falsariga degli antichi reami come l’Hithlum.
“Devi conoscere veramente
bene il Re, se sai tutte queste cose” gli dissi, ad un certo
punto.
“Certo che lo conosco. È mio padre” mi disse,
sorridendo.
Rimasi interdetta, per utilizzare un eufemismo-.
- Sempre il
solito, Eglerion. Preferisce che gli altri non sappiano chi egli sia veramente,
prima di conoscerli. Un’eccezione è stata la nostra amica sentinella, ma penso
che gliel’abbia detto solo per istinto di sopravvivenza- disse Meldarion. Ella
confermò, per poi ricominciare a parlare.
- “Quindi tu…?"
chiesi.
“Sì, sono l’erede al trono… e anche l’unico,
purtroppo”.
“Perché “purtroppo?”.
Non rispose, ma fissò le
dune per qualche momento.
“Splendido spettacolo, non trovi?” mi
disse, riferendosi al sole, che in quel momento si stava alzando sopra le dune
più grandi.
Decisi di non ritornare sul discorso di prima. Solo qualche
giorno fa seppi che, in quel momento, era già Re.
Quella giornata la passai
meditando, mentre Eglerion, dopo avermi esposto le sue teorie sull’inutilità e i
danni della trance elfica, si stese sulla sabbia e passò il tempo russando,
svegliandosi solo di tanto in tanto per chiedermi come stavo.
Verso
l’imbrunire mangiammo e ripartimmo, pronti ad un’altra notte al galoppo-.
-
Che atmosfera romantica- disse Meldarion. Galadhwen sorrise.
- Devo
ammetterlo, lo era molto, tra le albe e i tramonti, le stelle, le sabbie e
l’aria stessa. Ad ogni modo, le sabbie correvano sotto i piedi del destriero, ed
Eglerion era ben attento a seguire il corso del Duin, la nostra unica risorsa
d’acqua. Dopo poche ore, però, egli fermò il cavallo, in vista d’un’altra
oasi.
“Qui il fiume s’inabissa e non riemerge per miglia. Potremmo anche
fermarci qui, per le poche ore di buio rimasti e per domani. Poi riempiremo le
otri e continueremo. Di questo passo raggiungeremo il Santuario dopodomani, se i
miei calcoli sono esatti” disse. Annuii e scendemmo dal dorso
dell’animale.
Anche qui il fiume formava un lago, profondo solo poche
braccia. S’inabissava poi in un pertugio sul fondo petroso, per cui passava una
violenta corrente, pericolosa per chi decideva di sfidarne le
acque.
“Puoi farti un bagno, se vuoi. Attenta solo a non andare troppo al
centro del lago. Io caccerò qua intorno, ma, tranquilla, non ho intenzione di
spiarti. Poi, penso tu mi sentirai, al mio avvicinarmi” mi disse. Colsi la
sincerità, nelle sue parole.
Attesi che si fosse allontanato abbastanza, per
poi spogliarmi e immergermi nell’acque del lago.
Rimasi ammollo per ore, o
almeno così mi pareva, mentre intorno a me cominciavano a vedersi le prime luci
ed il cielo s’ingrigiva, prima di diventare azzurro.
Uscii dall’acqua -nuda-
per dirigermi verso il mio bagaglio-.
- Rischioso, però-.
- Mi fidavo di
Eglerion, in quel momento. Dopotutto, m’aveva già vista senza nulla addosso,
no?-.
Meldarion non rispose, ma ridacchiò, invitandola a continuare.
-
Estrassi una veste ed una busta di cuoio, che giaceva in fondo al fagotto da
troppo tempo.
Mi asciugai le mani e mi procurai una foglia di tabacco, che
cresceva selvatico nei dintorni. Dopodiché mi dedicai al rollo della sigaretta.
Trovai un’esca e riuscii ad accendere una fiammella da delle foglie secche,
raccattate là attorno. Mi accesi la sigaretta e tornai nell’acqua.
Mi stavo
godendo la mia Falchonlass quando sentii un trambusto alle mie spalle.
Era Eglerion che tornava con qualcosa da mangiare e stava facendo più rumore
possibile, per avvertirmi.
Sentii la sua voce chiamarmi e parte di me mi
suggerì d’asciugarmi e rivestirmi. Ma me ne fregai altamente. Stavo così bene in
mezzo a quell’acqua, e gli effetti della foglia stavano pian piano rilassando la
mia mente.
Quando arrivò, si stupì di trovarmi ancora nel
lago.
“Galadhwen, ancora lì?” mi domandò, con una punta
d’ironia.
Mi coprii il seno con un braccio e mi voltai a
guardarlo.
“Sì. Perché non ti unisci a me?” gli domandai-.
-
Molto ardita. Devo ritenere quella domanda effetto della
Falchonlass?-.
- No. Ho un lucidissimo ricordo delle mie intenzioni.
La sua gentilezza mi aveva fatto sciogliere, come direbbe una ragazzina
di Rohan, e sentivo un prurito dalle parti dell’inguine ogni volta che
sorrideva, che mi trattava gentilmente o, semplicemente, mi guardava, con quegli
occhi, profondi come il mare aperto- disse la ragazza. Meldarion non diede voce
al suo pensiero sul ripetersi dei paragoni sul mare.
- “Mi prendi in
giro? Su, esci fuori e rivestiti, che tra un poco preparo la cena. Tranquilla
che non ti guardo”.
“Oh, ma io voglio che tu mi guardi”
pensai.
“Come?”.
Il mio pensiero era risuonato nella sua mente,
che io lo volessi o meno. Piuttosto, direi che il recondito di me, liberato da
quella situazione, lo voleva eccome, ma non l’avrei mai detto così
sfacciatamente.
Ma, poiché ormai sapeva, decisi d’ardire ancora di più. Tolsi
il braccio che mi copriva il petto e lo guardai negli occhi, tirando un’altra
boccata e buttando fuori l’ultima voluta di fumo, per poi buttar il mozzicone
lontano, nel centro del lago-.
- Alla faccia della Femme Fatale!- esclamò
Meldarion. Entrambi gl’elfi risero di gusto.
- Sì, quella penso fosse la
Falchonlass. Ad ogni modo, non ero mica contenta.
“Ancora non ti
muovi?” gli urlai.
Mi alzai. L’acqua mi lambiva le ginocchia, per cui
non lasciai nulla alla sua immaginazione.
Egli non distolse lo sguardo dalle
mie iridi.
Lentamente, si avvicinò. Mi strinse in un abbraccio e mi
baciò.
Non ti racconto i dettagli di ciò che accadde dopo, ti basti sapere
che eravamo entrambi nudi, nelle acque basse del lago. Ciò ti dovrebbe far
capire che, di certo, non stavamo parlando di filosofie o della storia della
nostra vita- disse l’elfa.
- Ah! E io che pensavo avreste parlato proprio di
quei due temi!- esclamò Meldarion.
Galadhwen fu lieta ch’egli sdrammatizzasse
l’argomento.
- Quella sera ripartimmo, entrambi con un sorriso ampio ed il cuore più
leggero.
Arrivammo in quei due giorni al Santuario d’Ulmo. Ci fermammo a
poche centinaia di metri da esso.
“Qui termina il nostro viaggio assieme,
Eglerion” gli dissi, triste. La sera prima, le dune sabbiose erano state le
testimoni al nostro amore, come le acque del lago il giorno ancora prima.
Mi
guardò, mesto.
“Capisco. Devi tornare alla tua terra. Ci sarà qualcuno ad
aspettarti, immagino” mi disse. Non pareva ferito, nei sentimenti -o,
almeno, non lo dava a vedere-, piuttosto, era malinconico-.
- Tipico
d’Eglerion. Non vuole far pesare sugl’altri la propria tristezza, ma preferisce
tenerla per sé. Solo con pochi si confida-.
- Capisco. Comunque, mi parlò
ancora.
“Son felice d’averti conosciuta, nìn hiril”
disse.
“Non è come credi. Non c’è nessuno. Le malelingue, ormai, dicono
che ho sposato il mio lavoro. E forse hanno ragione, perché è per quello che
devo tornare. I Gwannen Moth hanno bisogno d’aiuto, e devo esser io a darglielo.
Questi giorni con te mi son sembrati la vita di un’altra”.
“Forse
perché eri un’altra, in questi giorni. E adesso stai tornando colei ch’ha
sposato la sua causa. Per cui posso solo dirti vai, Galadhwen. Capisco quanto tu
abbia a cuore ciò in cui credi, ma non scorderò mai questi giorni. Fammi solo un
favore: ricordali anche tu e, se mai ci rivedremmo, siine felice”.
Mi
baciò un’ultima volta, alle ultime luci di Anor. Ci staccammo e mi disse solo
una parola:
“Ricordami”.
Poi, salì sul suo cavallo e si diresse
verso Est, mentre io volgevo i miei passi verso il santuario, sperando di
trovare aiuto. Ma di ciò non m’è lecito parlare, per cui il mio racconto termina
qui.
Meldarion guardò la conciliata da sopra il boccale.
- Soddisfa la tua
curiosità?- chiese Galadhwen al moro, sorridendo.
- Si riunì a noi due giorni
dopo. Ci disse che aveva ricevuto asilo nel Santuario e null’altro. Mi chiedo
solo il perché di quel “Ricordami”- rispose egli.
- Mi sono
interrogata a lungo anch’io su questo. Penso sapesse che non avrebbe potuto
funzionare, ma voleva solo ch’io ricordassi la felicità provata in quei giorni
assieme a lui, nonostante tutti i diverbi politici ed il mio lavoro-.
-
Probabilmente è così. Altrimenti, penso avrebbe rivolto la prua della prima nave
verso Ovest, non appena gli sarebbe stato possibile. Non l’ha fatto perché
sapeva di dover passare avanti-.
I due rimasero silenti, a meditare sulle
ultime parole, finché Meldarion non riempì di nuovo i due boccali.
- Non c’è
due senza tre, si suol dire- disse, offrendo un bicchiere alla dama.
Ella
rise.
***
Eglerion sospirò.
S’accese la sigaretta con un fiammifero e rimase in
piedi pensoso, sul cassero di poppa. Il mare era liscio come l’olio. Prese un
paio di boccate, tenendo fermo il timone.
Anche quel giorno era giunto alla
sua fine.
Osservò la posizione di Valacirca e corresse di qualche grado la
direzione della nave.
La Luna non c’era, quella notte. Ma le stelle facevano
sì tanta luce da esser sufficienti.
- E resto solo con i pensieri
miei…- mormorò Eglerion, citando una vecchia canzone.
Continuò a
canticchiare, con i pensieri che s’inseguivano nei meandri della mente.
E
lui? Che cosa voleva?
La fredda aria notturna gli lambiva il volto. Degli
occhi smeraldini erano ben fissi nella sua mente.
Erano cinque giorni che non
riusciva a parlarle per bene, come qualche tempo prima. Sempre a correre da una
parte all’altra della nave, per evitare ch’essa affondasse.
Oggi l’aveva
vista solo a pranzo, per quanto era preso a far su e giù.
Sospirò di
nuovo.
Non riusciva a levarsela dalla testa.
Vide una figura solitaria attraversare il ponte.
- Ehi! Vieni qua un
secondo!- abbaiò. Oltre ai pensieri per la sentinella, era ancora irritato con
Lancaeriel, che gli aveva sbraitato contro tutto il giorno. Dannata la mania di
quell’elfa sul voler tener alte le apparenze.
La persona si avvicinò,
rivelandosi essere Alastegiel.
- Oh, scusatemi, vi prego. Non volevo
rivolgermi in così malo modo a voi, ma è una giornata tendente allo
storto-.
- Non è un problema, Eglerion. E basta con questi titoli, che
cominciano a stufarmi- rispose ella, aprendosi in un ampio sorriso. Egli
ricambiò, riconoscente.
- Senti, puoi farmi un favore?-.
- Dimmi
pure-.
- Potresti tener il timone fermo in questa posizione, mentre vado a
gettare l’ancora? Preferirei fermarmi, stanotte-.
- Sicuro-. La Regina prese
il timone, tenendolo saldo, mentre Eglerion s’allontanava sottocoperta.
Pochi
minuti dopo l’elfo biondo riapparve sulla tolda.
- Ti ringrazio sentitamente.
Ci son certe notti in cui si rischia d’addormentarsi sulla ruota- disse,
accendendosi una seconda sigaretta.
- Ti dispiace?- domandò alla Regina,
indicandole il tabacco.
- No, anzi, ne avresti una? Non son riuscita a
procurarmi del tabacco, prima di partire-.
Eglerion sorrise e le porse quella
già accesa, mentre se ne girava un’altra.
- E così, anche tu presa da questo
vizio- disse.
Ella annuì.
I due sovrani si appoggiarono alla balaustra a
poppa, dove giorni prima Gelirion aveva trovato Rhavanwen.
Alastegiel ruppe
il silenzio.
- La nostra politica sembra si stia riprendendo. O, meglio, l’ho
vista parlare con Meldarion, questo pomeriggio, nel refettorio-.
- Capisco.
Povera lei… per fortuna tra non molti giorni dovremmo arrivare alla costa
occidentale-.
Fumarono, silenti, finché Alastegiel non fece una domanda.
-
Tu la conoscevi già, giusto?-.
- Sì, la conobbi un secolo fa.
Nell’Haradwaith- tagliò corto Eglerion.
- Non ti vedo troppo propenso a
parlarne- commentò l’elfa.
Il Capitano sbuffò.
- Sapevo che sarebbe stato
doloroso lasciarla. Ma l’ho fatto, perché si vedeva che aveva più a cuore il suo
lavoro che me. Avrebbe sofferto per l’inedia, a restare con me-.
- Sarebbe
diventata Regina di Manwetol, però- gli fece notare Alastegiel.
- Seh… allora
avrebbe divorziato da un lavoro per sposarne un altro, lasciandomi nel mezzo. A
ben pensarci sarebbe stato più doloroso restar con lei-.
- Direi che hai
fatto bene, allora. E di Lancaeriel che mi dici?-.
- Te l’avran detto. Siamo
solo amanti, nel senso che ci siam l’uno per l’altra, ma non ci sposeremmo. Può
sembrare strano, forse immorale, ma non importa. Quell’elfa si merita molto
meglio di me-.
- E tu chi ti meriteresti?- domandò Alastegiel.
Eglerion
prese un paio di boccate, mentre pensava alla risposta.
- Nessuna. Non sarei
degno neanche d’una contadina del Rhovanion-.
- Perché sei così duro con te
stesso? Fidati che non è vero-.
- Mah… con il carattere che mi ritrovo sarei
un pessimo marito-.
- Il carattere che ti ritrovi ha conquistato Galadhwen,
che aveva da tempo preso il lavoro per marito-.
- È un po’ diverso. Penso che
anche tu saresti molto grata se io t’avessi appena salvato da un’orda di uomini
che stava per stuprarti-disse Eglerion.
Alastegiel sorrise.
- Devo darti
ragione, ma non esser così disilluso. Avrai sicuramente una qualità che ti farà
piacere-.
- Mh… l’essere fin troppo premuroso non la calcolerei come qualità-
disse egli.
- Che cosa intendi dire?-.
Eglerion le narrò dell’episodio
della coperta, nell’Harad con Galadhwen. Entrambi risero.
- Ah, ma io sono
certa che c’è un’elfa che accetterebbe con piacere tutte le premure che le dai,
essendo abituata ad una famiglia fin troppo dura con lei- disse Alastegiel,
sibillina. Eglerion le sorrise.
- E tu, invece? Hai intenzione di donare
l’Ithilien d’un regal consorte?- chiese il biondo.
- Non c’ho mai pensato.
Nessuno di coloro che conosco, però, m’ha colpito a tal punto- rispose la
Regina, brevemente. Eglerion comprese che non era il caso d’insistere.
Fu così che i due si conobbero veramente, continuando a parlare per la durata di quella notte, osservando le stelle, dissertando e domandando, finché il Sole non sorse ed il pacco di tabacco fu finito; fu così che divennero come fratelli.
- Fame?- domandò poi Eglerion. Doveva esser passata mezz’ora dall’alba.
-
Abbastanza. Direi d’andare a frugare in cambusa- rispose ella.
I due si
diressero verso le dispense, tentando di far meno rumore possibile.
Rumori
d’acciaio che strideva provenivano dalle armerie dei ponti sottostanti.
Si
stupirono non poco di trovare Rhavanwen già sveglia, seduta davanti ad una tazza
di caffè fumante.
- Buongiorno, mia signora, buongiorno, Capitano- li salutò,
vedendoli. O, biascicò, più che altro.
- Altra notte in bianco?- domandò
Eglerion.
- Mio malgrado. Lady Galadhwen non ha avuto malori, durante
stanotte, ma ho preferito restar sveglia a controllare-.
-
Capisco-.
Rimasero in silenzio, mentre la sentinella si abbandonava di nuovo
sulla sedia e sorseggiava dell’altro caffè. La Regina ne preparò dell’altro, per
sé e per il Capitano.
Parlarono poco, preferendo bere il caffè tentando di
darsi una svegliata dall’abbiocco post-veglia.
Al quinto sbadiglio,
Alastegiel s’alzò.
- Vi dispiacerebbe pensar voi alla colazione? Purtroppo
non penso riuscirei a fare qualunque cosa che non sia dormire, al
momento…-.
I due annuirono.
- Siete stati svegli tutta la notte?- domandò
Rhavanwen, curiosa, dopo che la Regina fu uscita.
- Sì, più o meno. Abbiamo
avuto occasione, finalmente, di conoscerci…- disse egli, assonnato.
-
Conoscervi?- chiese l’elfa. Ad Eglerion parve di sentire una punta di gelosia,
nel tono di lei.
Egli annuì. Bevve un altro sorso di caffè -l’ultimo- e poi
rispose:
- Sì. Abbiamo parlato, un po’ di tutto. Mi trovo a volerle bene,
nonostante la conosca poco-.
Ella lo guardò con un’espressione indefinita.
Eglerion dovette sforzarsi molto per non perdersi in quelle iridi verdi.
-
Invitami, quando Manwetol e l’Ithilien diverranno un unico stato-.
- Come?
No! Non è nulla di tale!- disse Eglerion. Ella non parve ammorbidirsi.
- La
sento quasi fosse una sorella. Non penso convoleremo a nozze. E, ad ogni modo,
stai certa che saresti stata la prima ad essere invitata al mio eventuale
matrimonio- spiegò l’elfo.
Anche perché, pensò, di questo passo
saresti la prima a cui chiederei la mano.
Rhavanwen si rilassò e,
finalmente, sorrise.
- Grazie per la gentilezza- disse, ritornando al tono
allegro di sempre.
- Di niente. Lo sai, oramai, che fa parte dei miei
innumerevoli difetti, quest’ultima-. Alastegiel aveva ragione. Risero un’ultima
volta, per poi lasciare che il silenzio calasse sulla nave ancora quasi del
tutto addormentata.
Rhavanwen finì di bere il suo caffè e poi, sempre in
silenzio, si mise a preparare il refettorio per la colazione della ciurma,
aiutata da un altrettanto silente Eglerion.
Chiunque fosse entrato, in quel
momento, avrebbe potuto respirare un misto d’imbarazzo e complicità
nell’aria.
Ed ecco finalmente il cap IX.
Capitolo un po’ di passaggio,
questo…
La vita sulla Ithil è sempre quella e finalmente sappiamo cosa
accadde tra la mora e Capitan Alcol, quel secolo fa.
MA, mi son scordato un
paio di credits del capitolo VIII.
Innanzitutto, c’è una libera citazione a
Stairway to Heaven che tutti -spero- conoscerete.
Poi, nascosta, troviamo una
citazione a Dylan e alle porte del Paradiso, altra canzone che DOVETE
conoscere.
Poi, citazione cinematografica, l’uscita sul caprone dei tre
raminghi è liberamente ripresa dal film “Alatriste - Il Destino di un
Guerriero”. Oh, io l’ho visto in originale (in spagnolo, per cui), se nel
doppiaggio han cambiato han fatto una grande cagata.
Infine, l’idea degli
specchi ovviamente è di Archimede a Siracusa. Confido nella vostra cultura per
non dover riportare il fatto. Casomai, una breve ricerca dovrebbe darvi le
nozioni cercate.
Fine parte riguardante il cap VIII.
In questo cito solo
il Cesco (Guccini) e la sua “Vorrei”, che tra l’altro ho già citato nel capitolo
III.
Dopodiché, ringrazio Dama Gilraen, che ha gentilmente concesso la
citazione alle sue piccole storie, riguardo rigetti e fuochi purificatori.
E,
infine, un immenso Grazie a Hareth, consulente, betareader improvvisata e
lettrice accanita.
Dai, che hai avuto la scena a luci rosse che tanto
chiedevi. Tanto io quei due non li pago, che si so' pure divertiti. E, poi, dopo
Harma Ondo, penso tu sappia quanto costa portare negli studios tutta quella
sabbia per avere un Harad credibile, per cui siamo a corto. Senza scordare i
Santuari. Per fortuna qua me la son cavata con una sagoma di cartone.
Tralasciando gli scherzi, grazie anche per quelli... sono e non sono gli stessi,
dopo tutti i cataclismi.
E pensare che tra non molto mi toccheranno anche le
montagne...
Ad ogni modo, grazie mille per la recensione e per il
beta-reading. Mi è piaciuta veramente l’idea di questo finale silenzioso,
sai.
Quanto agli altri, spero che vi sia piaciuto, statemi bene.
Ci si
sente al prossimo.