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Autore: AuraNera_    03/09/2014    2 recensioni
Non serve superare degli esperimenti genetici per essere speciali. Si può scampare alla morte... o essere posseduti.... non saperlo è pericoloso.... ma se ne sei a conoscenza, come va a finire? Qual è il tuo futuro? Perché combattere? Per chi?
Ma soprattutto..... contro chi?
Genere: Drammatico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Valkyria

Essere un maschio era una sensazione strana. Non avvertivo più il solito oscillare dei miei capelli: ora erano una zazzera cortissima. Sapevo che era una cosa temporanea, ma io adoravo i miei capelli lunghi. Poi mi sentivo un sacco di muscoli da tutte le parti, e mi mancava quel qualcosa sul davanti, non so se mi spiego.
In compenso sentivo un qualcos’altro di intruso più in basso. Ero una attenta ai dettagli, ma la situazione era imbarazzante. Probabilmente, se fosse stato il contrario, ossia un ragazzo che si trasforma in una ragazza, sarebbe stato diverso.
Me li immagino col sangue che scende dal naso ad ispezionarsi il petto. Ridacchiai al pensiero di un prototipo maschile del genere.
Egypt mi guardava preoccupata, per la mia sanità mentale probabilmente. Forse aveva ragione, ma scossi la testa per liquidare la situazione.
“Sei diventata rossa, Val... ehm, Kathleen... cioè, Kheelan.” Borbottò a mezza voce lei.
‘Merda’ pensai io, tentando di nascondermi tra i capelli lunghi, che non avevo più. ‘Doppia merda’ constatai. Speravo solo che quella situazione durasse poco. Perché già non ne potevo più.
Intanto, avevo dovuto procurarmi un nome falso, maschile. ‘Kheelan’ ci era sembrato adatto. Per Egypt non c’era problema, dato che aveva mantenuto il suo sesso, e quindi poteva utilizzare il suo vero nome.
Stavamo camminando in un lungo corridoio illuminato dalle luci fredde dei neon, con pavimenti bianchi e i muri azzurrini, privi di porte o di finestre. Le sole aperture erano quelle per i condotti dell’aria. Sembrava una di quelli appartenenti ad un ospedale, ma senza la gente, le flebo e le sedie a rotelle. O almeno, forse era stato un ospedale, ora in disuso. Non potevo saperlo. Avevo seguito Egypt senza fare domande.
“Ehm... Lucy... dov’è che siamo, tanto per la cronaca?” chiesi, stando attenta a non chiamarla ‘Egypt’.
Quella si mise a ridere senza troppi complimenti; dapprima leggermente, poi tenendosi al muro con una mano e la pancia con l’altra.
Dopo un momento passato ad osservarla basita, decisi che era il caso di interromperla, prima di venire scoperte.
“Beh, che cavolo hai da ridere?” sbottai nervosamente.
Quella, ormai giunta alle lacrime, rispose: “La... tua... voce!” e continuò a ridere per cinque minuti buoni, mordendosi un braccio per soffocare il rumore.
Nel frattempo io mi ero accorta di parlare con la mia voce normale, quindi in un modo fin troppo dolce e femminile per un ragazzo. Ma io non sapevo e potevo modificare la parlata e, dopo alcuni tentativi di falsificazione vocale, falliti miseramente, decisi di fingermi muta e di far parlare Egypt, che nel frattempo aveva smesso di ridere e si stava asciugando le lacrime. Esagerata.
Continuammo a camminare ancora per parecchio tempo, nel quale appresi tutto quello che poteva rivelarsi interessante. Quindi, specialmente, dove eravamo.
“Oh mio dio, Lucy, dove cavolo mi hai portato” mormorai scandalizzata finito il racconto di lei.
Quella ridacchiò, per poi tornare immediatamente seria.
“Come hai detto tu, questo posto doveva essere un ospedale psichiatrico in origine. Successivamente, probabilmente in un luogo nascosto e almeno parzialmente insonorizzato, hanno costruito un centro di ricerca e hanno cominciato a fare esperimenti anche atroci sui ‘casi irrecuperabili’. Dopo qualche anno hanno completamente chiuso l’ospedale e hanno cominciato a specializzarsi sulle prove scientifiche archiviate nel corso degli anni. Penso abbiano sorpassato il limite.” Disse lei mesta.
Era una delle cose più schifose del mondo a me vicino di cui avevo mai sentito parlare.
“Ma è legale?” sbottai rabbrividendo. Lei fece spallucce.
“Non del tutto. Lo avevano permesso entro un determinato limite, sulle persone oramai incapaci di intendere e di volere e fino ad un certo punto, per evitare ulteriori torture a livello fisico e psichico.” Spiegò lei.
“Sembra quasi una creepy pasta” mormorai io con un mezzo sorriso tirato.
Lei annuì distrattamente. Anche io captai quel suo movimento con la coda dell’occhio, poiché entrambe avevamo occhi per la medesima cosa.
Una porta. La prima che incontravano dopo un corridoio lunghissimo. Troppo lungo.
“Pronta?” chiesi alla bionda al mio fianco.
Lei sorrise. “Certo.”

Louise
Non vidi la porta che si apriva. Avevo gli occhi chiusi, per colpa di quelle dannate fitte. Quando riaprii le palpebre, Egypt e Valkyria in versione maschile si stavano scambiando qualche raccomandazione del tipo ‘non farti scoprire’ oppure ‘non fare l’idiota scavezzacollo’.
Poi premettero un pulsante sulla parete, che si illuminò mentre iniziava a diffondersi un tenue rumore metallico. Un po’ a fatica mi venne in mente la definizione adatta per quell’aggeggio: ascensore.
Entrammo in quello spazio ristretto, circondate dai nostri riflessi. Ok, scherzavo, io non mi riflettevo. Era strano guardarsi su una superficie riflettente e non vedersi, o cercare la propria ombra e non trovarla.
“Lucy, come hai intenzione di trovare Nightmare? Voglio dire, non è esattamente una struttura piccola...” disse ad un certo punto Valkyria.
Egypt, trattenendosi dal ridere, guardò nella mia direzione e si diede una manata sulla fronte. Perfetto, si era dimenticata che lei per puro caso poteva vedermi, ma quell’altra no.
“Ehm... ecco... non so se lo sai... Nightmare aveva una sorellina piccola...” cominciò la spiegazione la bionda, esitante. La compagna annuì.
“Louise” disse semplicemente.
“Ciao” risposi io con un ghigno divertito sulla faccia, ben consona che lei non poteva sentirmi. Lucy ridacchiò e quell’altra le gettò nuovamente un’occhiataccia.
“Piantala di ridere per la mia voce!” sbottò. La bionda scosse la testa e liquidò la faccenda con un gesto della mano.
Un campanello risuonò nell’aria. Eravamo al primo piano sotterraneo.
“Lei è qui e sa dov’è lui” bisbigliò in fretta Egypt alla mora stupita mentre le porte si aprivano.
Uscimmo per ritrovarci in un altro corridoio. Nessuna porta, nessuna finestra. Solo una cosa cambiava. La presenza di altre persone.
Un uomo, in divisa.
“Buongiorno, agenti. Posso sapere i vostri nomi?” chiese in modo molto formale.
“Lucy Ranuby e Kheelan Seven” disse Egypt tranquilla, mentre Valkyria si muoveva furtiva dietro di lei. L’agente, dal canto suo, aveva gli occhi posati sul monitor di un piccolo portatile che aveva appresso.
“I vostri nomi non risultano. Di qui non potete passar...” concluse la frase con un gemito strozzato, quando la falce della mora gli squarciò il petto, schizzando sangue cremisi in tutte le direzioni. Il rosso imbrattò il pavimento, le pareti e i vestiti delle due. Mi sentii privilegiata, mentre mi rimiravo nella mia pulizia.
“A...allarme...” rantolò la guardia prima di consegnarsi all’oblio.
Egypt guardò la compagna di nuovo femminile con aria di sufficienza.
“Cosa avevamo detto del sangue?” chiese lei, tranquilla, osservando con lo sguardo placidamente curioso le goccioline di sangue che erano schizzate sul suo petto.
L’altra fece spallucce. “Scusa” borbottò, mentre si sfilavano l’uniforme da poliziotto e poliziotta e rimanevano nei loro costumi da assassine.
“Tu non ne hai idea di quanto sia piacevole essere di nuovo ne mio corpo.” disse soave la ragazza – demone. La sensitiva ridacchiò.
“E spero di non saperlo mai” rispose.
Ristabilita la serietà, Egypt si rivolse a me, mentre Valkyria ispezionava il portatile. Io ero ancora rintontita per causa di una nuova ondata di dolore che mi aveva completamente fatto vibrare le mie impalpabili interiora. Non potevo vomitare, ma la sensazione era quella.
“Louise?” chiese esitante la bionda.
Scossi la testa e forzai le mie labbra in un sorriso.
“Non è niente... ora vi faccio strada” dissi iniziando a fluttuare davanti a loro.
‘Non mi rimane molto tempo... e voglio aiutarvi fino all’ultimo, ragazze. Voglio salvare mio fratello’ pensavo, disperata.
Avevo paura, non volevo sparire.
Non conoscevo molto bene la strada, per cui mi fermai di botto quando iniziarono le porte.
“Eeeehm...” esordii con un sorrisino innocente.
“Santo piripillo! Non dirmi che non ti ricordi la strada!” sibilò scandalizzata Egypt. Se possibile quella era ancor più sotto pressione di me.
“Indovinato” ridacchiai, per poi tornare seria nel vedere la sua occhiata scandalizzata.
“Dobbiamo scendere. So questo. Solo che effettivamente io di solito passo attraverso le pareti, quindi non mi sono mai imposta di memorizzare la porta.” Spiegai un po’ imbarazzata.
Valkyria spostava lo sguardo da Egypt, all’aria attorno a lei. Probabilmente voleva dare l’impressione di guardare da lei a me.
“Si può sapere che sta succedendo?” sbottò infine, prima che Egypt le tappasse la bocca. L’altra la guardò perplessa mentre la bionda si irrigidiva e sgranava gli occhi.
Poco dopo passò una guardia, che non le degnò di uno sguardo, nonostante la loro posizione piuttosto comica, e passò oltre.
E poi suonò l’allarme, e il corridoio si animò.
“Qualcuno ha assassinato l’agente addetto alle entrate! Qualcuno si è infiltrato!” e mentre diceva questo mostrava le divise insanguinate lasciate alle nostre spalle da Egypt e Valkyria.
La prima spinse la seconda dentro una stanza a caso, una che aveva la porta ancora aperta dall’uscita delle guardie.
La bionda tolse la mano dalla bocca della mora e riprese fiato.
“Attenta, ora siamo visibili.” Disse semplicemente, per poi continuare a guardarsi attorno.
“Hai in mente qualcosa?” chiese a mezza voce il demone. L’altra ammiccò.
“Più o meno... dipende tutto se... ah, perfetto!” disse, soffocando l’esclamazione per non essere sentita. Seguii con lo sguardo la sua mano bendata, sollevata nel gesto di indicare a me e alla mora qualcosa.
Un condotto dell’aria.
“Tu scherzi” disse Valkyria, scuotendo la testa, ma si avvicinò comunque per togliere la grata.
I condotti dell’aria erano stretti e entrarci era difficile. Per arrivarci, avevano usato un tavolo accostato là vicino, si erano aggrappate al bordo dell’imbocco del condotto e si erano issate su di braccia.
Eravamo circondate da pareti di metallo e le due assassine dovevano strisciare le ginocchia, invece di sollevarle, poiché ogni minimo rumore dovuto all’appoggio della rotula, provocava un boato tremendo e innaturale.
Il piano di Egypt consisteva nel passare di stanza in stanza attraverso i condotti fino a che non saremmo riuscite ad identificare la stanza con le scale.
Un piano buono, con tutte le sue pecche. Una, il rumore, l’altra, lo spazio.
Ad ogni movimento, anche minimo, si sentiva un “Ahi, mi hai tirato un calcio in pancia” oppure “Molla il mio piede!”. Ma la più comune era “Piantala di ridere, Louise!”. Oh, sì, perché la cosa era moooolto divertente, almeno per me. Anche se le fitte erano aumentate, io continuavo a ridere.
Finalmente trovammo la stanza delle scale. Solo che scesero in un modo un po’... strano.
Di faccia.
La grata ‘di arrivo’ aveva ceduto mentre Valkyria tentava di buttarla giù. Ed era finita giù anche lei. Per fortuna aveva buoni riflessi e riuscì a non rompersi l’osso del collo.
Però fece rumore, e anche se non l’avesse fatto, il suo meraviglioso e poetico commento avrebbe rimediato appieno.
“Merda, vaffanculo!” sbottò, mentre i poliziotti nelle vicinanze facevano il loro ingresso.
“Ops” fu il geniale commento della ragazza, mentre anche Egypt saltava dai condotti con i triplo dell’agilità e della grazia della compare. Aveva già pronto il pugnale nella mano destra. Gli occhi grigi mandavano lampi.
Anche Valkyria mise mano alla falcetto, che divenne una falce in un millesimo di secondo. Ok, magari un po’ di più.
Egypt fece roteare diverse volte il pugnale; quel movimento fece partire alcune punte affilate che si abbatterono sulle guardie, abbattendone un paio, e ferendo e rallentando le altre. Poi optò per delle palle di fuoco, mentre Valkyria li minacciava avanzando verso di loro roteando la falce.
Il piccolo gruppo non riuscì nemmeno a mettere mano alle pistole che il demone fu loro addosso. La lama squarciava e tagliava, la punta penetrava e perforava, l’asta spingeva e li rendeva inermi.
Il rosso regnava più di prima, in un tetro scenario di morte.
Valkyria faceva scivolare la falce ormai cremisi tra i palmi e le dita, se la passava dietro la schiena, la abbatteva con forza, eleganza ed efficacia, in una danza della morte che non lasciava superstiti.
Quando le vite degli avversari si furono azzerate, il demone placò la sua furia.
Egypt era rimasta ferma a guardarla, di nuovo immobile mentre gli schizzi di sangue raggiungevano le sue vesti, la sua pelle, il suo volto.
Rimase a guardare, per non perdere neanche una delle luci che mano a mano si spegnevano, inghiottite nell’ oblio, lasciando solo un corpo morto e martoriato.
A modo suo, la sensitiva li onorava, provava una sorte di pietà.
Quando tutto cessò, il pavimento aveva cambiato colore, così come la lama della falce di Valkyria. Il silenzio e l’immobilità venivano scanditi solo dalle gocce rubino che scivolavano lungo la lama ricurva e cadevano, in balia della forza di gravità.
“Andiamo?” chiese la mora.
“Andiamo” rispose l’altra.
Si girarono all’unisono e spalancarono la porta, lasciando un odore acre e dolciastro dietro di loro.
Le precedetti con fare esitante, per non interrompere quel silenzio talmente profondo da sembrare sacro.
Stetti in silenzio, ma indicai la via. Mancava poco ormai.
Superammo una pesante porta tagliafuoco e subito l’odore di piscio infastidì le narici delle due. Le urla dei matti erano strazianti, e l’eco non contribuiva di certo. Grida di chi ormai non conosce altro che dolore. Quelle creature, ormai impossibili da definire umane, erano state create con la violenza fisica e psicologica. Ormai, erano la cosa vivente più vicina ad un cadavere.
Li videro. Persone invecchiate prima del tempo, pelati, senza denti, sbavavano e sbraitavano frasi incomprensibili. Battevano i pugni sulle sbarre e piangevano. Alcuni strisciavano e tendevano le mani. Alcuni non si muovevano: erano morti, finalmente liberi da quell’inferno, ma ammassati ai muri o accasciati sul pavimento. Il loro dolore era percepibile, quasi palpabile.
L’umanità lì non esisteva. Non più ormai. Quelle erano le persone rimaste in vita dopo gli esperimenti. Ibridi. Talvolta deformi, ma tutti ugualmente segnati.
Donne, uomini, persino alcuni ragazzini.
La pietà era stata dimenticata. Ormai, non erano nessuno, avevano perso il proprio ego.
Rabbrividii nell’immagine illusoria di Nightmare che perdeva i capelli, bagnato della sua stessa saliva, a imprecare contro un mondo che li aveva voluti così.
Finalmente arrivarono in fondo a quello scempio, attraversando un’altra porta tagliafuoco. Lì era tutto in penombra e i loro passi riecheggiavano nel silenzio.
I loro passi...?
Ce ne accorgemmo in fretta. Qualcuno camminava con passo lento verso di noi. Non faceva niente per nascondere la sua presenza.
Nel buio avanzava, lentamente, inesorabilmente, verso di noi che, fermi, l’attendevamo.
Le due assassine avevano messo mano alle armi, di nuovo.
Ancora passi, ancora, e ancora. Ormai quell’ombra era vicina.
Lo sguardo grigio di Egypt e quello marrone di Valkyria erano pronti ad assimilare i dettagli di quel volto, di prendere la mira, di distruggere l’avversario per poter passare.
Un passo, un altro.
Stop.
L’incredulità sconvolse i volti delle due assassine, specialmente quello di Valkyria.
Capelli celesti, occhi come il sangue che era stato versato, tenui bagliori dalle lame della doppia alabarda.
“Echo?!”

 



Angolino nascosto nell’ombra:


Oye! *tanto per citare Ele*

Alla fine ce l’ho fatta! Mi metto subito a scrivere GoL.

Perdonate il ritardo ma c’ho da fare! Eeeh, pace!

Questo capitolo è un po’ corto, mi ha fatto dannare e io sono stanca. Spero comunque che vi sia piaciuto ;)

Ok, se volete lasciate una recensione, se non volete, non lo saprò mai muahahaha  (?)

Perdonatemi, è la sera.

Buonanotte!

*si infila sotto le coperte*

  
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