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Autore: ifeelconnection    03/09/2014    1 recensioni
Dal primo capitolo//
“Beh , a quanto pare le apparenze ingannano anche nel nostro caso.”
Mi fissò per un lungo istante e poi tornò a guardare il mio lavoro, o meglio il lavoro di Maya.
“È qui che ti sbagli,” replicò toccando l’erba del mistero, come a ricordarmi delle parole di Madame “io sono esattamente come mi vedi.”
//
Brianna Raynolds, campionessa di Trigonometria a livello nazionale.
Tristan Evans, campione in tutto, amore compreso.
La Dickinson High , scuola gioiello dell'intera New York City sembra troppo piccola per tutti e due.
Cosa succede quando due mondi uguali ma paralleli si scontrano?
Le rivalità imperversano tra i due, che hanno fin troppe cose in comune, e lo sanno.
Basteranno le profezie di un'aspirante maga a tenere lontana Brianna dal suo destino?
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tristan Evans
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
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The B Team
(Capitolo Tre)

 

The Author:
Oddio , aiuto, non mi uccideteeee.Allora. Scusate se non ho aggiornato , maaaaaaa ho avuto una sorellina e mi ha portato via sonno e tanto tempo per scrivere lolol. Bene, la storia comincia a sbloccarsii, o forse no, Ah. Dopo questo prologo alquanto inquietante, voglio ringraziare tutti quelli che hanno recensito <3 siete adorabili aw.
Buona lettura!
Tita x

 


---

~~“Potresti essere più veloce ,Luke? Se mamma torna e io sono uscita con Thomas come minimo stanotte posso dormire in giardino.”
“C’è sempre casa mia.”
Rispose ammiccando Luke, che ricevette in cambio una mia occhiata ammonitrice.
“Se venissi da te potrei dormire per sempre in giardino poi. E poi Liz non sarebbe d’accordo.”
La madre di Luke era il peggior esame che avessi mai affrontato nella mia vita, dire che era protettiva con il figlio è dire poco.
“Ma che dici, mia madre ti adora! Sei forse l’unica ragazza che abbia mai avuto che abbia passato ‘l’esame Liz’. E poi hai diciott’anni Bri, sarebbe ora che anche tu avessi un po’ di libertà.”
“Oh, frena Mr. Saxobeat. Chi sarebbero queste centinaia di ragazze che mi hanno preceduto?”
Un sorriso compiaciuto apparve sul suo volto, impegnato a guardare la strada, resa difficile dalla nebbia. Fortunatamente il Manhattan Bridge era dritto, come tutti i ponti del resto.
“Perché pensare al passato, quando abbiamo davanti un brillante futuro?”
Risi alla sua domanda retorica, tipico di Luke quando voleva evitare un argomento. Non era poi così importante.
“Sai che penso , dovresti esserci andato anche tu alla Dickinson, il tuo talento come esistenzialista sarebbe stato apprezzato anche oltreoceano.”
Dissi con un’espressione altezzosa, accompagnata da un gesto della mano, come a sottolineare la mia ironica osservazione.
“Mai quanto il tuo talento nel dire cazzate , Raynolds.”
Tommy era impegnato a scrivere con le dita sui finestrini appannati, quindi dubito che avesse sentito quello che aveva detto Luke, concentrato com’era in chissà quale disegno. In ogni caso quell’incosciente si meritava lo stesso la strigliata
“Lucas Robert Hemmings. Devo ricordarti che hai un pubblico di minori ad ascoltarti?”
“Chiedo umilmente perdono per i miei atti sconsiderati!”
Alzò le mani dal volante in segno di rassegnazione e la macchina slittò leggermente sull’asfalto bagnato, facendomi sobbalzare sul sedile e mi lasciai sfuggire un gemito di paura. Vidi che anche Luke si era irrigidito e aveva prontamente rimesso le mani a posto, mentre mio fratello lo sgridava
“Ho sbagliato il disegno adesso!”
“Scusa piccolino, non l’ho fatto apposta.”
Rispose Luke in tono colpevole. Fece per continuare, ma non appena vidi Tommy che si rimetteva a disegnare lo interruppi
“Si può sapere che ti salta in mente? Lo sai che c’è mio fratello, sta più attento!”
La frustrazione si stava rimpadronendo di me e dovevo impedire che accadesse, non era giusto che per un piccolo errore la mia rabbia verso tutto quello che era successo tornasse a galla. Luke era tornato per me, non se lo meritava.
“Scusa Luke, io non…”
“No, hai ragione. Lo so che sei nervosa. Però mi stai facendo penare Bri, oggi sei quasi insopportabile.”
“Beh guarda il lato positivo, tu sei sempre insopportabile.”
Conclusi ridendo lievemente, mentre Luke faceva una faccia piuttosto rassegnata.
Il viaggio proseguì in silenzio, con la radio accesa che passava le canzoni dei Coldplay, una delle mie band preferite. Una volta addentratici nel traffico di New York, che stava diventando abbastanza stressante, notai che Thomas adesso non disegnava più , ma era fermo a fissare il suo lavoro, come se mancasse qualcosa che non sapeva come fare.
“Che stai disegnando Tommy?”
Senza staccare gli occhi dalla sua opera mi rispose
“Papà. Ma non riesco a ricordare come aveva i capelli.”
Ammutolii e Luke si girò verso mio fratello a guardarlo con sincera compassione.
“Aveva i capelli bruni e sempre scompigliati, proprio come i tuoi.”
Dissi in un sospiro. Mancava tanto a tutti noi papà, forse anche a Luke, che lo aveva conosciuto quando ci aveva ‘beccati’ dentro casa a guardare un film, un anno e qualche mese fa. Da allora erano in buoni rapporti, avevano la passione per il football, in particolare tifavano entrambi i Redskins. Tommy non rispose e riprese a tracciare linee con il polpastrello, il fatto che già avesse dimenticato i particolari di papà faceva pensare.
“Domani è un anno, non riesco ancora a credere che sia successo davvero.”
Continuai con malinconia, fissando l’ormai visibile Columbus Circle, dentro il quale speravo di trovare Tristan al più presto, per riavere il mio cellulare.
“Non ci pensare adesso,” aggiunse Luke mentre si fermava proprio lì davanti per farmi scendere “vorrei passare una serata felice. Ti va se prendiamo qualcosa al Cake Boss’ Cafè per cena?”
“Certo! Lo sai quanto amo quel locale.”
 Esordii entusiasta alla proposta, fregandomene di quello che avrebbe detto mia madre . Lasciai un bacio sulla guancia a Luke e uscii dalla macchina, nella fredda aria di Novembre. Entrai in fretta nell’edificio, visto che all’entrata il ragazzo che cercavo non c’era, e mi diressi verso l’entrata Ovest, il punto più vicino ai negozi di tipo maschile, dove presupponevo fosse possibile trovare una testa bionda e impertinente. Anch’essa era vuota, non c’era ombra di Tristan. Vediamo, pensai, se fossi narcisista e cinica come lui, devo ammettere che la mia impressione di lui non era certo migliorata, dove mi metterei per farmi trovare? All’improvviso mi venne il lampo di genio: il centro della galleria. Sicuramente aveva pensato che sarei andata a cercarlo lì, visto che era impossibile non notare le quattro rampe di scale che si annodavano al centro del Columbus Circle. Mi avvicinai alla prima e anche lì non trovai nessuno che mi interessasse. Presi a girare intorno e finalmente lo vidi, seduto su uno dei primi scalini, che si rigirava il mio cellulare in mano. Non si era cambiato dalla mattina, solo che adesso la giacca era finita accanto a lui per via del caldo asfissiante che c’era lì dentro e la canotta con il logo dei Ramones gli evidenziava le spalle ampie e il fisico slanciato, che era impossibile non notare data l’altezza.
Deve essere alto quanto Luke. Pensò la mia testa. Alzò lo sguardo verso di me, puntandomi gli occhi blu addosso e sorrise. Un sorriso freddo.
“Puntuale come un orologio, avevo qualche dubbio.”
Commentò avvicinandosi e tendendomi il cellulare, come a voler sancire che non dovevo avvicinarmi più di così, come se io ne avessi avuta la minima intenzione.
“Dubbi risolti. Grazie , Tristan.”
Sputai abbastanza acida, non avevo intenzione di fare la carina con lui.  Alzò le spalle e girò i tacchi, allontanandosi senza più replicare. Evidentemente era un gesto che faceva spesso, quello di alzare le spalle. Non mi offesi minimamente, la mia priorità era riavere il cellulare, e l’avevo riavuto. Decisi di salire al piano di sopra, da H&M c’erano gli sconti e aspettare dieci minuti non avrebbe fatto male a quei due, non avevo mica un orario da rispettare. Uscendo da dove ero entrata, mi accorsi che il cellulare era ancora al 35% , e che il display di blocco era pieno dei messaggi di Maya che Tristan mi aveva detto che avevo ricevuto, compresi quelli in cui diceva che aveva trovato interessante il nuovo studente. Segno che non aveva aperto il cellulare, nonostante sprovvisto di codice di blocco. Era stato furbo, anche se non avrei saputo dire perché volesse apparire così bastardo, forse era puro egocentrismo. Mi avvicinai all’auto grigia e salii, buttandomi sul sedile morbido.
“Bentornata, spero non ti dispiaccia sapere che abbiamo già preso qualcosa da Starbucks, sei stata dentro per secoli!”
Mi informò il ragazzo alla guida, che aveva già in mano un Mocha Cookie frappuccino, nonché il mio preferito.
“No, non mi dispiace, se torniamo prima non dispiacerà nemmeno a Jane e alla mamma. Mi auguro che abbiate preso qualcosa anche per loro.”
Tommy prese la parola al posto di Luke
“Certo che lo abbiamo fatto, noi siamo dei bravi ragazzi, vero Luke?”
“Giustissimo Tommy!”
Concluse il ragazzo, lanciandomi un’occhiata soddisfatta. Quei due erano proprio in sintonia, suppongo che costruire piste per automobili giocattolo facesse bene a tutti qualche volta.
“Perfetto, ma questo lo prendo io!”
Replicai arraffando il beverone in mano a Luke, che nel frattempo stava facendo retromarcia.
“D’accordo, saprò come vendicarmi!”
Tommy scoppiò a ridere, impiastricciandosi la faccia con il cioccolato della sua ciambella e fece ridere anche noi, contagiandoci con la sua risata limpida.
Durante il tragitto verso casa, il mio fratellino si addormentò , appoggiato proprio sotto il ritratto di papà, appena visibile sul finestrino. La pioggia non aveva smesso di scendere per un secondo e ben presto il suo rumore cominciò a cullare anche me, che mi sistemai comoda, in attesa che gli occhi si chiudessero anche a me. Quando stavo per addormentarmi, il cellulare di Luke squillò ma io decisi di continuare a tenere gli occhi chiusi, troppo pigra per curarmi di chi fosse.
“Signora Raynolds?”
Sentii Luke rispondere rigido, come se non si aspettasse di ricevere quella chiamata.
“Ah ciao Jane. Brianna? E’ qui, con me. C’è anche Tommy , si. Stiamo tornando, tra venti minuti saremo a casa, cosa… No, sta dormendo. Stanno dormendo. Dì  a tua madre che stanno tutti bene, siamo andati…”
Fu l’ultima cosa che sentii, prima di cadere addormentata, per quello che sarebbe stato il più breve sonno che avessi mai fatto.
“Bri, siamo arrivati. E credo che tua madre ti butterà giù dalla macchina se non sei tu a scendere di tua spontanea volontà.”
Proferì delicatamente la voce divertita del mio ragazzo, che nel frattempo stava portando un Thomas addormentato dentro casa, come potevo vedere in quel primo secondo in cui avevo aperto gli occhi. Luke sarebbe stato decisamente un bravo fratello maggiore, se solo non fosse stato l’ultimo di tre figli, e un giorno, un bravo padre.
Mi decisi a trascinare le mie gambe fattesi improvvisamente pesanti fuori dalla macchina e mi avviai verso la porta, che chiusi alle mie spalle delicatamente. Incurante dell’occhiata fulminante di mia madre, che nel frattempo aveva aperto la bocca per protestare e riempirmi di sgridate, mi buttai sul divano, con il frappuccino mezzo sciolto in mano.
“Non esiste signorina, tu non esci senza avvisare con il tuo ragazzo e tuo fratello, con questa pioggia…”
“Mamma ti prego. Ho avuto una giornata difficile e … Fatti spiegare da Jane.”
Borbottai di rimando, massaggiandomi le tempie doloranti.
“Ah, e ricordati che Luke è qui, può sentirti.”
Aggiunsi leggermente scocciata, non era possibile che dovesse fare sempre le scenate. Mentre sentivo Jane che continuava con un “Mamma rilassati, Luke ha portato …” controllai il display del cellulare. Un nuovo messaggio.
*Numero *
Prego, nel caso ti importasse.
Non mi fu nemmeno necessario pensare a chi potesse essere stato a scrivere una cosa del genere.
A: *Numero*
Se ti ringraziassi poi dovresti rispondere prego di nuovo, Evans.
Evitai di salvare il numero, pensando che quella sarebbe probabilmente stata la nostra prima e ultima conversazione telefonica. Non appena posai il telefono il sonno si reimpossessò di me e l’ultima cosa che percepii fu il tocco di due labbra inconfondibili sulla mia fronte, che mi avrebbero accompagnato fino alla mattina dopo.
Mi svegliai con la schiena indolenzita dalla barbara nottata sul divano, una gamba praticamente a terra e un cuscino in corrispondenza della mia testa, messo lì sicuramente da mia madre, che si aspettava sarei caduta da un momento all’altro. Il cellulare era magicamente a caricare, forse vivere con una madre e una sorella dalle manie protettive non era poi così male. Mi vestii di fretta e mi lavai i denti, tentando di domare con una mano la mia folta chioma castano scuro. I capelli mi avevano sempre fatto penare e non potendomi permettere un parrucchiere personale, come quello che per esempio aveva Sarah, dovevo arrangiarmi ogni mattina. Per l’ultimo giorno prima delle vacanze di una settimana avevo scelto una gonna nera leggermente plissettata, stretta in vita, con una camicietta bianca molto semplice, e avevo legato i capelli in una coda di cavallo altissima. Sarei sembrata quasi una ragazza con un portafogli abbastanza grande, se non fosse stato che quei vestiti provenivano dall’emporio di Madame Renaude e non dalla 5th Avenue. Mentre prendevo al volo un cookie, pronta a raggiungere a piedi la banchina del porto, che distava pochi minuti da casa mia, un clacson suonò proprio davanti alla mia porta. Afferrai la borsa e corsi fuori a vedere. La stessa macchina grigia che mi aveva riportato a casa ieri sera adesso mi stava aspettando, per portarmi a scuola , supponevo.
“Facciamo buco. Cioè, fai buco. Andiamocene a Central Park.”
La sua proposta mi lasciò un attimo pensierosa, non sarebbe stata la prima volta che avrei fatto buco ma dopo il secondo posto del giorno precedente avevo una strana voglia di tornare a scuola per far vedere che in realtà tanto seconda non ero.
“D’accordo. Tanto il primato della puntualità l’ho perso, tanto vale divertirci , no?”
Un grande sorriso spuntò sul viso del ragazzo, oggettivamente bellissimo.
“Questa è la Bri che mi piace!” esclamò premendo il piede sull’acceleratore “Sarà che ti faccio diventare una bad girl?”
“Basti tu ad essere bad per tutti e due.”
Risposi aprendo il finestrino, facendo entrare l’aria pungente , resa più mite dal sole che oggi si stagliava sul fiume Terrace , rendendolo il quadro perfetto per una divertente ‘fuga’, se così si poteva chiamare una semplice giornata in cui saltavamo la scuola.
Una volta arrivati a Central Park , la scena sembrava uno di quei film schifosamente romantici che non avevo mai guardato, per paura di impallarmi la testa con tutta quella roba zuccherosa. C’eravamo noi, seduti sulla fontana al centro de parco, con i piccioni che beccavano qualche cosa per terra, e il sole che illuminava la scena sempre più brillante.
“Oh accidenti, sembra troppo perfetto per essere vero, mi sto quasi spaventando. Dì qualcosa di stupido Luke.”
Sospirò contrariato.
“Sei perennemente difficile, possibile che non ti vada bene mai niente? Goditi il momento, Mary Poppins!”
Ribattè indicando la mia gonna.
“Beh scusa, non mi ero preparata per una fuga dal Covo dei finti Poeti con te, altrimenti avrei messo qualcosa di più sexy.”
Dissi di rimando, ammiccando a Luke in modo del tutto idiota.
“Di certo non ti avrei portata qui se ti fossi vestita in modo sexy.”
Se ne uscì con fare colpevole, beccandosi uno schiaffo sulla spalla.
“Hey ma non c’è mica tuo fratello!”
“Te lo meriti in qualunque momento, mio caro.”
Non rispose . Rimasi in silenzio per un po’.
“Quel tipo ti sta fissando.”
Mi fece notare Luke indicando una sagoma bionda e piuttosto possente appoggiata a una delle scalinate che portavano ai bagni, proprio di fronte a noi.
Le coincidenze a volte mi spaventavano.
Portava un maglione rosso, che sembrava troppo leggero, a giudicare dalla sua postura raccolta.
“E’ il tipo del cellulare, aspetta qui.”
Proferii mentre mi alzavo, sciogliendo l’abbraccio. Mi avvicinai a lui con passo deciso, non so bene con quale intento. Più mi avvicinavo, più potevo chiaramente distinguere la curva che aveva sul viso, un sorriso malizioso. Mi fermai più o meno alla stessa distanza della sera prima.
“Che ci fai qui Tristan?”
“Buongiorno Brianna. Pensavo di chiedertelo io, credevo fossi la santarellina della Dickinson, di solito quelle come te lo sono sempre.”
Ignorai il commento sprezzante e continuai, certa che con quel ragazzo non si potessero avere conversazioni civili, o almeno come ci si aspetta da due compagni di scuola.
“Ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio. Non dovevi partire per la Pennsylvania?”
Sollevò gli occhi, posandomi lo sguardo blu sui capelli.
“Non credo siano fatti tuoi.”
“Non puoi darmi un indizio e poi lasciarmi sulle spine, è maleducazione.”
“Vedo che non hai ancora imparato che con me non funziona così.”
Evitai di rispondere, pensando addirittura che la cosa migliore da fare sarebbe stata andarmene, emulando il suo comportamento della sera precedente. Non potevo dargli quella soddisfazione tutto sommato, Tristan Evans non l’avrebbe avuta vinta con me.
“Per stavolta ti accontento, ti dico perché non vado più in Pennsylvania.”
“Non voglio il tuo contentino. Ero solo curiosa.”
“Magari ti sarebbe di conforto per il secondo posto, il mio contentino.”
“Pensi davvero di essere migliore di me, Evans?”
Si fissò le scarpe. Passando poi alla mia faccia.
“Te lo avrei detto comunque. I miei hanno litigato, nonostante siano separati , e mio padre è sparito. Mia madre non vuole lasciarmi andare , e lei non ha intenzione di tornare a Philly, dice che stare un po’ a New York mi farà bene.”
“Beh , almeno tu un padre ce l’hai. Il mio è morto esattamente un anno fa.”
Il mio commento era  privo di senso in quel momento, ma consideravo il suo l’ennesimo dramma familiare, che si sarebbe risolto presto probabilmente.
“Fidati, per quanto io ami Philly , è meglio non avere un padre che averne uno come il mio.”
Lo fissai per un secondo, poi voltai la testa verso Luke, che sembrava volermi dire che ci stavo mettendo tempo, nonostante fossimo stati al parco per più di un’ora e mezza.
“Saperlo vivo , sarebbe un conforto per me.”
“Non ci pensare, le cose più brutte ci vengono gratis, non ce le scegliamo.”
La sua frase mi fece pensare al mio Ed.
“La tua frase sembra tanto quella di una canzone. The A Team, conosci?”
Mi rivolse un’occhiata beffarda.
“Ed Sheeran? L’ho usato per conquistare una ragazza.”
Ed ecco che il suo essere più vero tornava alla luce. Quando mi stavo illudendo che infondo qualcosa in comune, oltre alla matematica, forse ce l’avevamo.
“Sì , lui. Com’è andata con la ragazza?”
Sbuffò, ma non sembrava scocciato.
“Non bene, era una metallara. Avrei dovuto aspettarmelo.”
“Beh, se hai usato quella canzone non c’è da stupirsi, le hai dato della sgualdrina praticamente. Le delusioni si superano in fretta a New York.”
“Proprio riguardo a questo, la vita è troppo breve per il passato, non ci pensare a tuo padre.”
Le mie risposte pronte scarseggiavano con lui, ero troppo impegnata a scaricargli addosso una serie di appellativi che potessero descrivere il suo particolare e apparente disinteresse verso qualunque cosa non lo riguardasse direttamente. Ancora volta non trovai le parole, che non sarebbero suonate banali almeno.
“Ah, Brianna. Sul fatto di essere migliore di te, potremmo scoprirlo molto presto.”
La sua impertinente frase mi fece solo venire voglia di sfidarlo in qualsiasi cosa, per dimostrargli chi era Brianna Raynolds.
“Ci si vede.”
Conclusi io, un attimo prima di prendere e andarmene, senza troppe cerimonie. Era già un passo avanti che lo avessi salutato.
“Prima di quanto pensi.”
Fu il sussurro lontano e piuttosto convinto che ricevetti.
Tornai da Luke con passo svelto, impaziente di lasciarmi alle spalle l’ennesima conversazione senza capo né coda con il biondo. Il cellulare mi squillò nella borsa.
*Numero*
Test di Trigonometria, campionessa.
Me ne ero totalmente dimenticata. Saltare Trigonometria per me sarebbe valsa come blasfemia, e dopo la seconda ora non si poteva più entrare. Mi avrebbero crocifissa sull’androne della scuola. Erano stati molto chiari con me quando mi ero iscritta a scuola, nessuna verifica da saltare, avrebbero avvisato mia madre e se non avessi dimostrato di essere malata, la scuola mi avrebbe tolto i crediti per il test di ammissione all’università di Portland, il sogno di una vita.
“Luke,” Chiamai con voce allarmata “credo che abbiamo un problema.”
 
  
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