Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: HeartSoul97    03/09/2014    4 recensioni
"Alex Watson è una normale diciassettenne londinese, forse solo un po' sfigata, niente di più. I suoi amici? Una ragazza bellissima e dolce, un'allegra libraia e un chitarrista che sogna la fama. Ma i suoi nemici? Uno solo: un ragazzo tanto bello quanto stronzo, che non fa che prenderla in giro, e che abita proprio accanto a lei! Le cose cominciano a precipitare quando una misteriosa lettera giunge alla nostra protagonista..."
Ora, spazio all'autrice. Abbiate pietà, è la primissima storia DAVVERO romantica che scrivo, non ho esperienze su cui basarmi, quindi chiedo umilmente il vostro parere. Opinioni positive ben accette, negative anche di più, perché servono a migliorare. Grazie per l'attenzione, a tutti.
Un'altra cosa: nei vostri commenti potete darmi spunti o consigli su ciò che potrebbe succedere. Vorrei infatti che la storia risultasse anche divertente, ma io non ho molto senso dell'umorismo, quindi imploro il vostro aiuto. Grazie mille.
Vi auguro sinceramente una buona lettura e spero che continuerete a seguirmi.
HeartSoul97
Genere: Demenziale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
14. Camden Town
                                                                                                                                                   
                                                                                                                                                                                                              Per quanto un miele sia buono,
                                                                                                                                                                                               prima o poi ci si stufa.

 


Non penso di essere mai stata più felice in vita mia, lo riconosco. È stata la serata migliore che avessi mai potuto trascorrere, e la cosa migliore è che Jake è stato per tutto il tempo fuori dalla mia testa.
Ma a volte può accadere l’imprevedibile, basta un ronzio qualsiasi per ripensare all’ape che si era dimenticata.
E il mio ronzio, in questo caso, è ritrovarmi il suddetto ragazzo davanti alla porta di casa, vestito di tutto punto e con un’espressione davvero poco amichevole.
«Cosa stai facendo?» gli chiedo, con aria interrogativa.
Anche contro la mia volontà, ad essere sincera. Dopo quel che è successo questo pomeriggio, vorrei non aver mai più a che fare con Jake, mai più.
L’espressione minacciosa di poco prima si trasforma in qualcosa di molto più imbarazzato e confuso.
«Ehm… io…» balbetta.
Da quando Jake balbetta? Il Jake che conosco io è troppo sicuro di sé per balbettare.
«Stavo andando a buttare la spazzatura» dice, ma in una maniera che mi fa pensare ad una bugia.
Lo guardo.
«Quale spazzatura? Non vedo sacchetti».
La confusione sul suo viso si fa palese. La spazzatura non c’entra niente, a quanto pare.
Ma perché mi interessa?
Infatti. Entra dentro casa e lascia questo allocco qui fuori. Smettila di dargli altre possibilità di ferirti, porca miseria!
«In ogni caso, non sono affari tuoi» borbotta alla fine. Mi guarda in cagnesco.
«E com’è andata con lo svedese, Ohlsson o come cavolo si chiama?».
Arrossisco di imbarazzo e di rabbia. E lui che ne sa, che sono uscita con Ludvig?
«Mi pare che questi non siano affari tuoi, Jake» sibilo.
«Forse hai ragione, sai? Ma mi pare davvero un evento fuori dal comune che tu sia riuscita ad uscire con qualcuno». Le sue parole sono di scherno, ma nei suoi occhi non ce n’è traccia. Ma che cavolo gli passa per la testa?
La mia faccia si accende come un semaforo. Sono davvero stufa e arcistufa di sentire le sue prese in giro. In effetti è colpa mia, che gliene ho dato l’occasione.
Prendo che chiavi dalla borsa e provo a entrare in tutta fretta dentro casa mia. Non voglio più sentirlo parlare, questo cretino patentato!
Mi blocco solo al suono della sua voce, quando pronuncia il mio nome.
«Alex…». Lo dice come se mi stesse implorando. Come ha fatto oggi pomeriggio, da dietro la porta. Mi volto verso di lui.
Voglio solo che mi lasci in pace, perché non capisci?
«Mi dispiace. Sono un cretino. Ma io…».
Nei suoi occhi c’è davvero una supplica. C’è dolore. Tuttavia, non lo faccio finire di parlare, perché mi fiondo dentro casa e gli sbatto la porta in faccia.
Se avessi finito di ascoltarlo, probabilmente lo avrei perdonato. E sarebbe stato un altro, madornale errore.
Non può comportarsi così. Prima mi offende e poi mi guarda in quel modo. Sono sicura che lo fa apposta, per farmi sentire in colpa.
Dentro casa c’è un silenzio irreale, probabilmente i miei sono a letto da un po’: infatti è quasi mezzanotte.
Raggiungo la mia camera cercando di fare meno rumore possibile, mi cambio e mi butto sul letto, chiudendo gli occhi. Ma per quanto sia stanca, non riesco a dormire, i miei pensieri non me lo permettono.
La voce implorante di Jake non me lo permette.
C’è una parte di me che vorrebbe dimenticare tutto e ricominciare daccapo, con lui. Ma c’è un’altra parte che scuote la testa inorridita. È impensabile una cosa del genere. O no?
Non è il momento di pensarci. Dormi.
Forse dovrei smettere di fare sempre il bastian contrario. Che male ci sarebbe?
Poi ci pensi. Adesso dormi.
Tornare indietro…  a quando l’amicizia non scendeva a compromessi…
Dormi!
 

Svegliarsi dopo una notte insonne è come essere rimasti svegli per tutta la notte, e proprio per questo mi sveglio molto prima del solito.
Quando entro in cucina, i miei mi osservano incuriositi.
«Già in piedi?».
Mugugno una risposta qualsiasi.
«Com’è andata ieri?».
Sento un vago rossore invadermi le guance.
«Cosa?»
«Le ripetizioni. Di fisica. Te ne sei già dimenticata?».
«Oh. Ah, sì, benissimo. Ho capito perché ho sbagliato nel compito». Non è del tutto una bugia. In fin dei conti mi ha aiutato, sebbene anche questo mi procuri un ricordo spiacevole.
«E poi dove sei andata? Non ti abbiamo sentita rientrare».
«Ehm… sono uscita con Sean e Momo, non te l’avevo detto?».
«Perché sei rientrata così tardi?»
«Perché… mi sono fermata a chiacchierare e ho perso la cognizione del tempo».
La mamma mi squadra di sottecchi. Spero che abbia finito l’interrogatorio.
Dalla mia camera, sento il mio telefono squillare. La suoneria è quella dei messaggi.
Cerco di sbrigarmi a finire la colazione – un po’ per controllare il telefono, un po’ per eludere altre domande.
«Ottime le uova di stamattina, mamma» dico ancora con la bocca piena, alzandomi e correndo verso la mia stanza.
Il cellulare segna due messaggi, il primo è di Momo.
Alex! Grandi novità. Anche se tu non me la racconti giusta. Chiamami appena puoi, oppure vieni da me. Please!
Sorrido. Spero che il mio piano abbia funzionato.
L’altro messaggio è di Ludvig.
Ciao, Alex. Come va? Stavo pensando ad una cosa… se da lunedì rimaniamo un po’ di più in palestra e ci esercitiamo? Solo se lo vuoi, naturalmente. E mi devi un segreto.
A leggere quel messaggio mi sento stranamente emozionata, e sorrido come una scema.
Mi arrovello alla ricerca di qualcosa da rispondere.
Mi fa piacere che mi aiuti, L. Ma non basta a farmi rivelare i miei segreti.
Premo “invia” con il sorriso sulle labbra, sentendomi sempre più scema ogni minuto che passa. È vero, mi sto comportando da civetta, ma avrò diritto anch’io a divertirmi ogni tanto, no?
Ludvig mi risponde dopo poco.
Questo non vale, A. Giochi sporco. Credo che tu sia l’unica persona sulla faccia della terra ad aver visto quella fototessera.
Rido.
Colpa tua che me l’hai mostrata. E poi sei un bugiardo. Almeno i tuoi genitori l’avranno vista, no?
Aspetta la sua risposta, che arriva dopo qualche minuto.
Non sono bravo ad eludere le domande. E per la cronaca, per “persona” intendo ragazza.
Arrossisco.
Dovrei considerarlo un privilegio, L.?
Non mi risponde. E poi dice che non è bravo ad eludere le domande!
Sto già per disperare quando sento il bip dei messaggi.
Oh, certo che lo è. Ma anche io voglio avere il privilegio di conoscere un tuo segreto.
Rido, ma dopo un po’ il sorriso mi sparisce dalla faccia. Ho già giocato a questo gioco. Con una persona che vorrei dimenticare, per la precisione.
Aspetta e spera. Ma chi lo sa, magari riesci a farmi cambiare idea…
Stai pur certa che ci proverò.

Okay. Queste parole mi mandano ufficialmente fuori di testa.
Non gli rispondo, perché non saprei proprio cosa dire. Al contrario, cerco di rispondere anche alla povera Momo.
Sono curiosa! Devi dirmi tutto.
La sua risposta arriva poco dopo.
Non per telefono. Forse domani a scuola, oggi ho un impegno… e comunque non me la racconti giusta, signorina! Dove sei stata ieri?
Mi mordo il labbro, indecisa se rispondere o meno.
Segreto per segreto, Momo. Domani a scuola.
D’accordo. Ma sappi che se non ti presenti ti vengo a prendere io.
Fidati, sono troppo curiosa per non presentarmi.

Inviato l’ultimo messaggio, mi alzo controvoglia dal letto e vado a farmi una doccia. Oggi, per fortuna, niente visite di cugine rompiscatole.
La giornata passa velocemente, ma a pomeriggio sono comunque annoiata. Momo non c’è, Sean non so proprio dove sia… cosa posso fare?
Dopo un po’ mi decido e vado a fare una passeggiata. Esco di casa di soppiatto e mi dirigo lentamente verso Regent’s Park.
Una folla di ricordi si fa strada nella mia mente mentre passeggio nel parco. I ricordi di due dei giorni più belli della mia vita. In uno c’è zia Sophie che mi tiene sulle sue spalle mentre corre. Nell’altro… nell’altro, come quasi tutti i miei migliori ricordi estivi, c’è Jake.
Scaccio dalla mente quelle immagini. Non sono venuta qui a deprimermi rivangando i vecchi tempi. Volevo solo prendere un po’ d’aria.
Mi addentro nel parco, e riconosco la quercia che mi sta davanti – non so perché, ma la riconosco, la rivedo come se fosse stato ieri che mi sono sdraiata sull’erba lì vicino. Come se fosse stata marchiata a fuoco.
Vorrei tanto fare come in quel giorno d’estate. Ma davanti a me c’è solo un tappeto di bianca, fredda neve.
Rimango lì vicino alla quercia, perdendomi nei ricordi. Il mio respiro crea nuvolette bianche nell’aria gelida.
Soltanto quando sento dei passi mi risveglio, e con meraviglia vedo Jake camminare distrattamente verso la stessa quercia, con negli occhi la stessa malinconia che sento nei miei.
Cerco di andarmene senza essere vista, ma purtroppo fallisco.
Jake si arresta di botto.
«Alex…».
Sento gli occhi lucidi. Voglio andare via.
Cerco di ignorarlo e provo ad allontanarmi, ma lui è più veloce di me e mi prende per un braccio.
«Ti prego… aspetta. Ti prego».
Mi costringe a girarmi e io faccio di tutto per non guardarlo, perché già è abbastanza faticoso ricacciare indietro le lacrime.
«Alex, ti prego. Mi dispiace. Mi dispiace. Lo so che detto adesso non conta niente per te, ma voglio solo che tu lo sappia, okay? Mi dispiace. E continuerò a dirlo anche per tutto il resto della mia vita, se vuoi».
«È troppo tardi, Jake. Non basta un “mi dispiace”, per la miseria, non basta!» sbotto, perdendo il controllo. «Voglio solo che mi lasci in pace, va bene? Per favore». Sento le lacrime bagnarmi le guance gelate, e la vista mi si offusca.
Jake ha lasciato la presa sul mio braccio, con un’espressione confusa e arrabbiata e ferita e dispiaciuta insieme.
Mi giro e me ne vado, ma stavolta lui non mi ferma.


Il resto della giornata passa in uno stato di apatia. Anche la mattina dopo.
Non sento niente. Non provo niente. Non sono niente.
Mi risveglio solo quando Momo si decide a raccontarmi cos’è successo sabato, a ricreazione.
«Ecco, vedi, siamo usciti, e tu non c’eri, e Sean era un sacco triste perché tu gli piaci da un sacco di tempo e voleva dichiararsi, e…»
«Aspetta, che?» la interrompo, sgranando gli occhi. Io sarei quella che piace a Sean?
Momo mi guarda senza capire, ma poi fa una faccia esasperata.
«Oh, ti prego, non dirmi che non te ne eri neanche accorta! Anche Susan ci aveva fatto caso. Susan! Tua madre!» dice.
«Be’, ehm, mi dispiace… ma non ci fatto caso, mai…» dico, confusa. Povero Sean!
«Scuse accettate. Insomma, ti dicevo, Sean era triste perché tu non c’eri, e io non riuscivo a tirarlo su, e mi stava venendo da piangere perché invece a ma Sean piace da una vita, ma lui non mi vedeva neanche, per lui c’eri solo tu, e io ci sono stata male per un sacco di tempo…»
«Come, ti piaceva Sean? Era per questo che stavi così male?»
«Sì, e io mi sentivo una persona orribile perché a lui piacevi tu e a me piaceva lui, e insomma ho cominciato a sperare che gli spezzassi il cuore, e se ci ripenso mi chiedo come possa essere stata così cattiva…» gli occhi le si riempiono di lacrime.
«Oh, no, non piangere! Guarda che non sei stata una persona orribile. Sei solo innamorata, Momo! È ovvio che volevi che Sean prestasse più attenzione a te che a me» dico, comprensiva, e la abbraccio.
«Va bene. Grazie per aver capito. Però smettila di interrompermi!»
«Okay, va’ avanti!»
«Insomma, io ero triste e lui se n’è accorto e mi ha cantato una canzone e quindi mi sono detta o la va o la spacca e gli ho detto quello che provavo, però volevo andarmene perché ero sicura che mi avrebbe respinta, ma lui mi ha bloccata e mi ha abbracciata e io piangevo e poi mi ha baciata» dice tutto d’un fiato.
«Non ci credo!»
«Neanche io ci stavo credendo, ma poi mi ha detto una cosa carinissima – e qui Momo arrossisce – e mi ha baciata di nuovo». Abbassa lo sguardo, gli occhi luccicanti di felicità e le guance rosse. La guardo con tenerezza. Sì, ce la vedo bene, con Sean.
«E com’è stato?» non posso fare a meno di chiedere, curiosa e, lo ammetto, un po’ invidiosa.
«È stato… be’, sai… un bacio».
Non mi è molto d’aiuto. Che ne so io di com’è un bacio?
«Quindi?»
«Ehm… di più non saprei dirti!»
«Ma almeno bacia bene?»
«Altroché!» esclama Momo, e torniamo in classe ridendo.
«E adesso?»
«”E adesso” cosa?»
«Be’, sai… uscite insieme, o cosa?».
Momo fa una faccia da palloncino bucato.
«Il punto è che non lo so. Non so cosa siamo. Un bacio non fa di me la sua ragazza. Ma certo non posso chiederglielo».
«Eh no! Devi assolutamente chiarire, oppure ci parlo io!»
«Va bene, ci parlerò. Ci devo parlare».
Prendiamo le nostre cose per la lezione, ma ovviamente non ascoltiamo una singola parola.
«Adesso tocca a te, signorina. Non credere che mi sia dimenticata che mi hai dato buca, per quanto gli effetti possano essere stati benefici. Dove sei stata?»
«A casa» rispondo debolmente.
Momo emette un verso a metà tra uno sbuffo e una risata, che diventa un colpo di tosse quando il prof ci guarda.
«Tu! A casa! Il sabato sera! Non ci credo neanche se lo vedo. E comunque Dave mi ha detto che non eri rientrata».
«Hai chiamato a casa mia?»
«Sì. Ieri. Ma mi hanno detto che non c’eri».
Ah. Probabilmente ha chiamato mentre ero al parco. Nuova malinconia si impossessa di me.
«Insomma, racconta! Dov’eri?» chiede.
Con voce tremante le confesso che quel pomeriggio avevo ripetizioni di ballo con Ludvig. Tralascio il mio pomeriggio con Jake, o il fatto che sono praticamente scappata da casa sua – non so perché, ma voglio tenerli per me. Le racconto del tango, della cena, del parco, ma ovviamente non rivelo niente di quanto mi ha detto Ludvig. Anzi, comincio a rimproverarla per aver cospirato contro di me.
«Tu sei una cospiratrice! Almeno potevi dirmelo che gli avevi dato il mio numero, no?».
Momo fa una faccia furbetta.
«Te l’avrei detto, ma tu non l’hai mai chiesto. E poi è stato così gentile, ed è davvero bellissimo…»
«Guarda che lo dico a Sean…» ridacchio.
Momo mi guarda offesa, ma non sul serio.
«Ma che c’entra! Dico che L. è bello perché è bello, oggettivamente parlando. E in corridoio è stato così gentile e mi ha sorriso e non ho potuto dirgli di no. In fondo un po’ vi conoscevate, no? Ero abbastanza sicura di non star dando il tuo numero ad un maniaco serial killer. Puoi fidarti del mio giudizio. E poi mi è parso così… interessato a te. Insomma, sappi che io approvo completamente, nel caso in cui...»
«No, tranquilla, dubito che possa accadere una cosa del genere» la interrompo frettolosamente, ricordando in un lampo l’atmosfera che si era creata al laghetto, e il modo in cui lui mi guardava con i suoi occhi di un blu impossibile.
«Dicevo così, tanto per… e poi sareste carini insieme»
«Ma smettila!» la rimprovero.
Il prof Richardson ci guarda con un’espressione da se-non-la-smettete-vi-mando-giù-dal-preside, e finalmente ci azzittiamo.
Momo riprende la parola solo a lezione finita.
«Parliamo di cose serie, ora. Che ti metti alla festa di Amber?».
Cavolo.


 
Quel pomeriggio passa in fretta. Io e Ludvig facciamo vedere alla Costance quel passo che mi ha insegnato sabato e lei ne rimane talmente contenta che obbliga Jake ad impararlo.
Non so perché, ma con Jake è più faticoso. E imbarazzante. E mi mette a disagio, perché non ci parliamo e neanche mi saluta e questo mi fa male.
Lo hai voluto tu, cretina.
Vero. Però… mi dispiace. Non avrei voluto che finisse così. Quasi mi mancano le sue prese in giro.


A fine lezione, la Costance ci fa sedere sul pavimento della palestra e accende lo stereo.
«Ho pensato alla gara. La musica degli altri pezzi è quella scelta dalla giuria, perché saranno tutte le coppie in pista, ma il tango è singolo e ha una sua valutazione. Quindi possiamo scegliere noi la nostra musica. E io ho pensato a questa, che amo molto». Quasi si commuove premendo on.
Basta poco per riconoscere la canzone.
Quel violino che stilla dolore da ogni nota, intenso e drammatico, il pianoforte che lo segue, e poi le voci. Dio, quanto amo quelle voci, le voci maschili del Tango de Roxanne.
C’è quel pezzo che mi fa sempre impressione. Quello che racconta il problema in due parole.
His eyes upon your face
His hand upon your hand
His lips caress your skin
It’s more than I can stand!
Why does my heart cry?
Feelings I can’t fight…
You are free to leave me
but just don’t deceive me
And please, believe me
when I say I love you…

Mi viene la pelle d’oca. C’è così tanta passione, c’è così tanto amore, c’è così tanta tristezza. Christian che ama Satine, Satine che ama Christian ma il Duca vuole impedirglielo. E la fine…
Quante volte l’avrò visto Moulin Rouge!, una decina? Non mi stanco mai. È troppo bello.
La canzone finisce prima che me ne renda conto. No, non è finita, è solo il pezzo dove il violino sembra trasmettere tutta la suspense, tutto il dilemma della ballerina. È meraviglioso.
Sono contenta che la Costance abbia pensato a questa canzone, ma io non potrei mai ballarla, la rovinerei.
«Che ve ne pare? Avete visto Moulin Rouge!, sì?» chiede subito la Costance, non appena la canzone finisce.
Io annuisco energicamente, Ludvig fa solo un cenno con il capo e Jake fa una faccia interrogativa.
«Non dirmi che non l’hai mai visto?» chiede la prof, allibita.
«No. Non mi piacciono i film d’amore». Non ha peli sulla lingua, il ragazzo!
La prof assume un’espressione minacciosa.
«Vedilo. È il tuo compito per casa».
«Non dobbiamo mica riprodurre il tango del film, vero?» chiedo, terrorizzata.
«Ma no, certo che no» si affretta a rispondere.
«E allora perché devo vederlo?» protesta ancora il cretino patentato.
«Perché ti servirà a capire la musica. Come pensi di ballare, se non fai tue quelle parole?».
«Mi creda, prof, sono già più mie di quanto immagina» replica, amaro.
Che vuol dire?
Lascio che la mia occhiata interrogativa vada su di lui, ma non incrocia mai il mio sguardo.
Non capisco.
Cerco di scaldare l’atmosfera ghiacciata causata da quelle parole, perché neanche la Costance sa cosa replicare.
«Perché ha scelto questa canzone?»
«Perché trovo che quel film sia davvero bello, e perché siccome siete tre ballerini mi pareva un’idea carina associare la canzone al ballo… anche perché le voci maschili sono due» dice. In effetti, non fa una piega.
«E poi, dovrai ballare con entrambi, Watson. Mi pare di avertelo detto. Ideerò una coreografia dove sia messo in evidenza l’amore dei due ballerini per la ballerina, come Christian e il Duca amano Satine. L’indecisione di lei e, ovviamente, i due litiganti. Oh, sarà fantastica» le luccicano gli occhi, mentre si avvicina alla porta per andarsene.
Amore? Ma quale amore e amore! Nessuno dei due mi “ama”. Spero solo che siano bravi attori.
Be’, Jake lo è di certo.
Raggiungo la prof sulla soglia.
«A me pare un’idea un po’ azzardata…» provo a protestare, ma lei mi zittisce.
«Certo che no. Perché la pensi così?»
«Be’, ecco… io non mi sento né Satine né tanto meno Nicole Kidman»
«E con ciò?»
«E con ciò a malapena so ballare, se mi mette in imbarazzo…»
«Non devi provare imbarazzo. Hai due splendidi uomini che litigano per te. Devi sentirti come Satine»
«Ma io non mi sento Satine. Mi sento solo… io. A disagio. E imbarazzata».
«Non dovresti. Puoi provarci? Per lo spettacolo? Per Imogen e Robert?». Non aspetta la mia risposta, perché se ne va.
Gioca sporco. Ricordarmi il fatto che sono qui perché ho fatto precipitare dalle scale i ballerini designati non mi aiuta di certo a scaricare la tensione.


Come ho promesso a Ludvig, rimango un altro po’ con lui e ci esercitiamo. Riprendiamo anche gli altri balli, sebbene mi mettano in imbarazzo, ma purtroppo devo ripassarli. Per forza.
Però è divertente ballare con lui. Forse perché non ha quello sguardo di ghiaccio apatico, chi lo sa.
Torno a casa, quella sera, felice e rilassata. Non siamo usciti – devo correre o mia madre mi ucciderà – però va bene lo stesso. È bello stare con lui.
Tento di fare un po’ di compiti, ma quasi mi addormento sul libro. Ho bisogno di dormire, cavolo.
Verso le undici mi arriva un messaggio da Momo.
Scusa l’ora. Urge shopping per la festa, perché non ho proprio niente da mettermi. Camden venerdì?
Ci penso un attimo. Sì, se avverto la Costance potrebbe anche darmi il pomeriggio libero.
Andata.
Premo invia.
Sono troppo stanca per lavorare ancora, quindi mi butto sul letto e sprofondo in un sonno senza sogni.


 
La settimana passa in fretta. Sono un po’ preoccupata per Jake, se devo essere sincera, perché… boh, è strano. Sembra come se stia rimuginando su un tarlo che lo rode da dentro, e non sorride. I suoi occhi sono più grigi e tristi che mai.
La Costance mi ha dato l’okay per venerdì, a patto che resti a esercitarmi con Ludvig gli altri giorni. E che nel weekend veda Jake per ballare anche un po’ con lui.
«È fuori discussione», ho protestato, ma niente.
«Anche lui deve allenarsi». E l’argomento è stato chiuso lì, perciò domenica devo trascinare Jake in palestra ad esercitarsi con me.


Oggi è giovedì, l’ultima sessione con Ludvig per questa settimana. Ieri mi ha fatto fare qualche passo con la benda che abbiamo usato tempo fa per gli esercizi di fiducia. Dice che mi aiuta a concentrarmi solo sui passi e sulla musica, senza lasciarmi distrarre dall’ambiente esterno. Quando mi ha detto così sono arrossita. Non è colpa mia se lui ha quegli occhioni blu. Dovrebbe essere illegale quel colore.
Ballare con la benda è, per certi versi, più semplice. E anche più divertente, ma credo che sia perché ormai mi fido ciecamente di lui. Sono sicura che non mi farebbe mai cadere.
Ha provato a farmi sputare qualche segreto, ma io sono una roccia. Non mi lascio incantare da quello sguardo… o almeno ci provo.



Venerdì.
I colori di Camden Town mi abbagliano. Le facciate rosse, verdi e gialle degli edifici sulla strada principale sono così vividi da far male agli occhi.
«Da dove iniziamo?» comincia a chiedere Momo, sbirciando in tutti i negozietti. Adora questo posto, e sono perfettamente della stessa opinione.
Nella rigida, precisa Londra, Camden è una boccata d’aria fresca. La periferia-non-periferia, la chiama mia madre.
Ci inoltriamo nel vecchio ospedale dei cavalli, che adesso è un mercatino che vende di tutto – dalla cucina indiana ai vestiti gotici, dal kebab ai libri usati. C’è di tutto.
Mangiamo qualcosa ad una bancarella e poi ci avventuriamo nelle boutique, senza fermarci a guardare se ci sono vestiti gotici o vintage.
«Oooh! Guarda!» Momo si dirige di corsa verso un corto abitino nero che di certo può stare bene solo a lei.
«Non sentirai freddo?» chiedo, ma non mi ascolta.
«Non è un amore? Quanto costa… okay, me lo posso permettere. Mi entrerà?» entra alla ricerca della commessa, parecchio contenta di vedere una cliente, e le indica un camerino.
«Come sto?» mi chiede, riemergendo dopo poco.
Le sta d’incanto, e glielo dico.
«Però non metterlo quando c’è Sean, o gli farai venire un colpo!» rido.
Alla cassa è più felice di pagare di quanto lo è la commessa che ha venduto il vestito. Anzi, Momo è così raggiante che credo che lo avrebbe comprato anche se le avessi detto che le stava malissimo.
Però le sta bene, quindi tanto meglio.
Poi cerchiamo un regalino per Amber, riuscendo nell’impresa in poco tempo – non ci interessa molto cosa le piace. In fondo, a caval donato non si guarda in bocca!
Il difficile arriva ora.
Momo mi trascina per negozi e negozietti, cercando di capire cosa potrebbe piacermi, ma io non so che fare. Provo qualcosa, ma mi sembra che mi stia tutto così male!
Solo poco prima di andarcene entriamo in un ultimo negozio.
Vende abiti dai colori scuri, molto gotici. Adoro questo genere di vestiti, ma non potrei mai comprarmeli (grazie mamma). Eppure, in qualche modo Momo mi convince a provare una maglietta.
Le spalline si allacciano dietro il collo e sono in un tessuto stile tartan nero e rosso, coperto davanti da una sorta di bustino con i lacci, molto gotico. La schiena è quasi completamente scoperta.  
Quando esco dal camerino, Momo trattiene il respiro.
«Ti sta a meraviglia, credimi» dice infine.
Non mi convince. Non so, non credo che faccia per me.
«Dici?»
«Assolutamente sì!»
«Non mi convince… mi sento ridicola».
Momo alza gli occhi al cielo.
«È una festa. Le feste esistono perché così puoi metterti quello che ti pare e nessuno lo giudicherà strano o fuori dal comune o ridicolo».
«E se sento freddo?»
«Secondo te Amber lascerà il riscaldamento spento? E poi saremo così tante persone che farà caldo, semmai. Non freddo».
«È per questo che hai comprato quel vestito?»
«Certo! E l’avrei comprato in ogni caso, per tua informazione».
Mentre mi cambio di nuovo, penso a cosa fare. La compro? Non la compro?
L’indecisione – mia antica nemica – mi attanaglia la mente. Che faccio?
Momo mi direbbe di comprarla, ma io non mi sento a mio agio. Però mi piace e la comprerei, solo che…
Esco dal negozio a mani vuote, e Momo non la smette di dirmi di tornare indietro.
«Ma no. Mi sono ricordata che a casa avrò sicuramente qualcosa da mettere»
«Certo. E io ci credo. Ma sappi che se questa è una scusa per non venire, vengo a casa tua e ti trascino lì! Anche se sei in pigiama!».
Con le minacce di Momo non c’è da scherzare.
«Non è un modo per eludere la festa, scherzi? Però…»
«Non fa niente». Chiude gli occhi. Quando li riapre, è raggiante come prima. «Vengo un po’ prima di andare, okay? Così ti trucco. Niente scuse». La scintilla malvagia dei suoi occhi mi fa talmente paura che non protesto neanche.



Il fatidico giorno è arrivato.   
La mattina sembra scivolare via come sabbia tra le dita. Inoltre, quando lo chiedo a Ludvig, mi dice che lui non ci sarà perché ha le prove al Blue Theatre.
L’unico volto amico della festa sarà quello di Momo, e devo ringraziare il fatto che questo sabato Sean si vede con la band, altrimenti mi avrebbe dato buca alla grande.
Verso le tre, comincio sconsolata a rovistare nei cassetti alla ricerca di qualcosa di decente da mettermi.



 
 
 
***
Angolo autrice
Buonsalve a tutti! Sono tornata, con molto ritardo e assai poca ispirazione. Il capitolo fa un po’ schifo, se devo essere sincera, ma meglio di niente. E scusate se non c'è l'extra...
Secondo voi, cosa succederà a questa benedetta festa? Eh eh, lo saprete nel prossimo capitolo… che ho progettato secoli fa, quindi devo solo dargli un’aggiustata.  
Jake si è scusato, ma Alex non vuole starlo a sentire. Anzi, si allontana sempre più da lui, ma… ci riuscirà? Lo saprete nel prossimo capitolo!
Come al solito ringrazio tutti coloro che recensiscono, seguono, ricordano e preferiscono. Vi adoro, siete tantissimi e mi spronate a fare del mio meglio. Grazie!
Dunque, al prossimo capitolo!
-H


 
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: HeartSoul97