Capitolo 3
La fatidica mattina arrivò presto.
Per tutta la notte Maya riuscì a dormire tranquilla e questo
perché il ragazzo misterioso non emise alcun urlo di dolore, forse grazie ai
nuovi medicinali di Yukia o forse…perché non tentava di ricordare nulla del suo
passato.
Era ancora prestissimo e la giovane uscì malvolentieri dal
confortevole calore del suo futon dalla fantasia floreale.
Accese il fornello elettrico e collocò una bacinella sopra la
fiamma in modo che l’acqua contenutavi all’interno si riscaldasse.
Poi volse lo sguardo verso l’esterno: c’erano due pettirossi che
cinguettavano allegramente.
Sorrise.
Facendo attenzione a non bagnare i suoi lunghi capelli dall’odore di pesca nel giro di pochi minuti
lavò accuratamente il viso, il collo e il busto. Riusciva ancora a sentire
sulla sua pelle il respiro caldo di quell’uomo dai lunghi capelli corvini e al
solo ricordo di quell’abbraccio provò un brivido impercettibile prima e un
altro molto più profondo e penetrante dopo.
Penetrante…
Era sicura che anche quegli occhi ora senza luce lo fossero e non
vedeva l’ora di poterli contemplare.
Erano del colore del cioccolato?
Chiari? Oppure neri e oscuri come il passato di quel ragazzo?
Poi inspiegabilmente la giovane tirò fuori dal cassetto del comodino
uno specchio circolare di media grandezza.
Maya non era affatto vanitosa ma questa volta sentì forte il
bisogno di specchiarsi.
“Quando riuscirai di nuovo a godere della luce del Sole, Itachi-san…come
mi troverai? Mi considererai una bella ragazza o no?”pronunciò a voce alta in
uno stato di trance notando come le sue labbra rosee si riflettevano
perfettamente su quella superficie argentata.
All’improvviso però si accorse della mole gigantesca di
sciocchezze a cui stava pensando e portandosi entrambe le mani sulle guance
fece cadere lo specchio sui tatami di una pallida tonalità di verde.
Il suo giovane animo di ventenne non era mai stato così turbato.
Nemmeno quella volta.
“Maya, non mostrare così apertamente i tuoi sentimenti per lui, io scherzo, ma qualcuno potrebbe approfittarne.”
Yukia aveva ragione. Eccome
se aveva ragione.
Accantonando tutte le sue angosce Maya si diresse finalmente
vicino alla camera che era diventata di Itachi. Aprì con circospezione la
leggera porta scorrevole e con soli due passi entrò in quella stanza scura.
Aveva provveduto lei stessa a mettere delle tende in modo che i
raggi del Sole potessero infastidire quanto meno possibile gli occhi di
quell’uomo.
Pensando a questo venne scossa da un’ondata di adrenalina.
Forse l’idea di portarlo a lavoro era uno sbaglio: in fondo
l’avrebbe costretto ad uscire e a stare a contatto non solo con degli
sconosciuti ma anche con quei raggi che invece avrebbe dovuto evitare.
Fu in quel momento che Maya si ricordò che tra gli indumenti del
giovane c’era un cappello di paglia con un piccolo sonaglio.
“Maya…? Sei tu?”
La voce profonda di quello sconosciuto riempì quella camera di
pochi metri quadrati.
“Sì. Buongiorno anche a
te, Itachi-san.”rispose la ragazza leggermente risentita. Odiava dal profondo
quel suo vizio che aveva di non salutare.
Che fosse abituato a stare da solo?
“Hai…davvero intenzione di portarmi con te?”chiese lui sperando
che durante la notte Maya abbia cambiato idea. Nel frattempo Achimi si avvicinò
in prossimità della mano destra del ragazzo che non ci mise poi molto a donarle
una carezza sulla piccola testolina.
“Certo che sì. È importante che tu faccia un po’ di movimento
altrimenti i tuoi muscoli si atrofizzeranno e dopo sarà peggio.”esclamò convinta
la giovane, mentre s’inginocchiava accanto allo sconosciuto quasi cieco che in
uno slancio di sarcasmo disse “Credevo che l’infermiera fosse la tua amica…”
A quelle parole Maya non si sentì affatto indignata, anzi. Felice
piuttosto.
Quell’uomo si stava riprendendo e solo grazie alle sue cure e
finalmente dopo tanto tempo la giovane si sentì di nuovo utile. Poco importava
se colui che aveva bisogno delle sue attenzioni era uno sconosciuto.
“Hai dormito meglio stanotte?”chiese premurosa.
“Mh…”mugugnò il giovane che in secondo momento aggiunse “…se non
tento di ricordare il mio passato i miei occhi mi permettono di riposare.”
Triste. Era incredibilmente triste vederlo in quello stato.
“Meglio così. Non devi avere fretta, i ricordi torneranno da
soli…non c’è alcun bisogno che tu ti sforzi.”si affrettò a dire Maya, tentando
di assumere un tono dolce e rassicurante.
L’uomo non disse nulla. Si limitò a chinare impercettibilmente il
capo in avanti.
Era evidente che le parole della ragazza non avevano sortito
l’effetto sperato e lei se ne accorse quasi subito, tanto che cercò di spostare
il discorso esclamando “Hai…hai già preso la medicina?”
“Sì. Solo che ho inavvertitamente gettato per terra un po’
d’acqua…” disse contrito.
“Ma di che stai a preoccuparti!”pronunciò Maya mentre si spostava
alle spalle del suo interlocutore, spogliandolo poi del suo kimono “È solo
acqua, Itachi-san! Solo acqua!” aggiunse lasciandosi scappare un dolce risolino
che questa volta ebbe l’effetto sperato.
Mentre la fanciulla controllava che le piccole escoriazioni che
l’uomo aveva sulla schiena si fossero rimarginate, Itachi continuava ad
accarezzare la piccola gattina.
Dal canto suo, Maya rimase per qualche secondo ipnotizzata da
quella visione: era la prima volta che si doveva occupare INTERAMENTE DA SOLA di
medicare le ferite del suo “protetto” e quindi ebbe modo di contemplare
l’armonia e la perfezione dei suoi muscoli dorsali.
Fortunatamente per lei ci pensarono i capelli lisci e lucenti di
Itachi, appena scivolati tra le due scapole, a distoglierla.
S’imbambolava troppo spesso e questo non era un bene.
Controllò anche l’ustione che l’uomo aveva sul braccio destro e
grazie ad un minuscolo gemito di lui si accorse che doveva fare ancora molto
male. Poi la disinfettò, la bendò con delle garze sterili e passò a controllare
la ferita sulla coscia.
Questa in particolare era veramente profonda, tanto che la sua
amica Yukia dovette applicarvi cinque punti di sutura e tutti vicini tra loro.
Fortuna volle che l’infermiera avesse provveduto a toglierglieli due giorni
prima, infatti la ferita stava cominciando a cicatrizzarsi.
L’imbarazzo provato era evidente e fu per questo che Maya decise
di fare tutto nel silenzio più assoluto: se avesse parlato del più e del meno
la sua voce tremante l’avrebbe tradita e lei non poteva permettersi di mostrare
questa sua debolezza e non poteva neanche permettere che lui si avvicinasse
ancora.
Fu in quel momento che Maya si sentì in qualche modo crudele.
Dopotutto lui aveva bisogno d’aiuto e quindi era logico che
cercasse un qualche contatto, a scanso della sua natura di uomo freddo che a
volte trapelava dai suoi modi non proprio “cordiali”.
Ormai Itachi si era quasi abituato a stare fermo immobile in quel
letto, vestito solo delle bende e di un kimono sulla parte superiore e della
coperta del futon sulla parte inferiore, perciò quando la giovane gli fece
toccare la stoffa dei suoi pantaloni scuri ci mise un po’ a capire che cosa
stava succedendo.
“Li ho lavati e rammendati. Sono i pantaloni che indossavi, quando
ti ho trovato”
“Ah” si limitò a ‘dire’ il giovane, stupito da quella notizia.
Dopo un attimo di defaillance afferrò quegli indumenti scuri e con
evidente fatica riuscì ad infilarseli, rifiutando perfino l’aiuto della sua
soccorritrice.
Pochi minuti dopo la ragazza andò a prendere un paio di sandali
aperti e come fu per i pantaloni, anche questi glieli fece toccare.
Quel contatto era conosciuto.
Non c’era affatto bisogno della memoria che aveva perso: gli era
rimasta quella tattile e sapeva che quei sandali gli appartenevano.
Li toccò a lungo e poté notare che la suola era leggermente
consumata. Provò una sensazione indescrivibile: da qualche parte nel suo cuore
sapeva che nella sua vita ormai dimenticata era solito camminare molto.
“Ho notato una cosa strana, Itachi-san…hai le unghie delle mani e
dei piedi dipinte con una bellissima tonalità di viola.”
A quelle parole il ragazzo rimase interdetto: possibile che un
uomo come lui avesse “strane tendenze”? Questo fatto lo spaventò non poco, ma
alla fine giunse a pensare che qualcuno l’aveva costretto a fare una cosa del
genere.
“Non ricordo…” esclamò conciso e a Maya si spezzò il cuore.
Come aveva potuto essere così indelicata?
In ogni caso Itachi si spostò di poco dal futon e si mise a sedere
sui tatami, poi tastando i sandali per capire quale fosse il destro e quale il
sinistro li infilò ai piedi. Alla fine si ritrovò con il fiato corto.
Maya si sentì un’estranea.
Quell’uomo stava già meglio e di lì a poco sarebbe riuscito a
camminare da solo.
Rimanevano solo quegli occhi. Quegli occhi che ora rappresentavano
l’unico punto di contatto tra lo sconosciuto e la dolce ventenne.
Appena sarebbe riuscito a rivedere la luce del Sole se ne sarebbe
andato, con o senza memoria.
Maya questo non lo voleva e si ritrovò a pensare che era una
sporca egoista.
Magari c’era una fidanzata che lo stava aspettando preoccupata? O
comunque una famiglia?
Il cuore della giovane sprofondò in un baratro senza fine, ma chi
la salvò fu la sua micina che voleva assolutamente farsi accarezzare.
“Questa invece è la tua maglietta…”disse con tono vagamente
preoccupato e con le mani tremanti mentre porgeva l’indumento scuro tra le mani
grandi di quel fascinoso sconosciuto.
Itachi capì immediatamente cosa stava succedendo alla fanciulla ma
decise comunque di non disturbarla oltre.
Insieme a quel vestito ce n’era anche un altro: una maglia
metallica che tintinnava.
Tintinnava come se volesse farsi notare.
Era un indumento che Maya conosceva fin troppo bene e la giovane
deglutì al solo pensiero che anche lui fosse…
‘Aah…basta…!’ si ammonì.
Tuttavia decise di togliere quella maglia metallica e di porgere
al suo “protetto” solo la maglietta scura: voleva evitare che quell’indumento
così pesante lo costringesse in qualche modo ad affaticare il suo cuore già compromesso,
quindi diede a Itachi l’indumento scuro e in pochi attimi l’uomo si vestì.
“Itachi-san…penso che questo copricapo possa servirti…”disse la
fanciulla dopo aver preso lo strano cappello trovato in quella grotta insieme a
Itachi “…sai…per gli occhi…”
“Ah…sì…”rispose lui monocorde mentre alzava in aria la mano
destra, in attesa che Maya gli porgesse anche quell’ultimo accessorio.
Fu in quel momento che avvenne qualcosa di inspiegabile: il
sonaglio che vi era appeso trillò con forza e nella mente di Itachi ritornò la
confusione.
“…non è da voi
compatirli, Itachi-san…
Nonostante tutto
siete ancora attaccato al vostro paese natale?”
Una voce sconosciuta risuonò prepotente.
“No. Per
niente.”
“Itachi-san? Qualcosa non va?”disse Maya vedendo che il ragazzo si
era improvvisamente bloccato.
“…nulla…”si limitò a rispondere lui, permettendo così a lei di
dirgli “Beh, questo copricapo dovrebbe proteggerti dai raggi solari. Almeno un
pochino.”
“Non lo voglio” rispose lui, mentre poggiava sul ginocchio sinistro
la mano che fino ad un attimo fa era sospesa a mezz’aria.
“Come?”
“Non lo voglio.”ripeté il giovane.
C’era qualcosa di sbagliato. Qualcosa di cui non ricordava ancora
l’esistenza. Qualcosa che riempiva il suo cuore d’inquietudine.
Qualcosa di pericoloso e…malvagio. Bruciante come fiamme nere.
“Ora prova tu…”
Era già la seconda volta che sentiva quella voce.
In quel momento Itachi ebbe una sgradevolissima sensazione in
fondo allo stomaco: come se…sì, come se nella sua vita lui non fosse stato proprio
una brava persona e per la prima
volta desiderò di allontanare quella dolce figura che gli stava accanto.
Ma non lo fece. Non lo fece.
“Come vuoi” rispose Maya rispettosa, evitando di insistere.
“…non lo voglio…” continuò lui come se non avesse udito affatto la
voce della fanciulla. Poi agitato si spostò convulsamente alla sua sinistra e
inavvertitamente gettò, ancora una volta, il contenuto del bicchiere sul futon.
Il suo corpo venne scosso da uno spasimo.
Dal canto suo Maya pensò di aver sbagliato, così dopo aver
rialzato il bicchiere d’acqua da terra, esclamò con un filo di voce “Scusami
Itachi-san…sono stata una sciocca a pensare di portarti con me al lavoro. Se
vuoi non- -…!” ma lui la interruppe.
“No. Verrò. Non voglio che i tuoi familiari mi considerino un
bambino capriccioso che non ti ascolta”
La ragazza non rispose ma il suo volto s’incupì.
“…ma non voglio indossare quel copricapo. Non so perché ma
m’infastidisce parecchio” aggiunse infine con voce grave.
“E va bene” disse lei sconfitta, ma sorridendo “Allora vediamo un
po’ se riusciamo ad alzarci, eh?”
Così la giovane porse le sue mani a Itachi che, dopo essersi
aggrappato, puntò i piedi per terra e con uno slancio riuscì a mettersi in
posizione perfettamente eretta ma comunque ancora seduta. La ragazza tuttavia lo
ammonì: “Piano. Potresti avere le vertigini”
E piano piano Itachi riuscì ad alzarsi.
La testa girava, le ferite alla coscia tirava e bruciava e si
sentiva svenire, ma l’odore di vaniglia di
Maya lo rimise in sesto.
L’atmosfera diventò impalpabile, soprannaturale e l’uomo gemette
senza rendersene conto. Se era per dolore o chissà cos’altro Itachi non lo
sapeva ma la sensazione provata era speciale e piacevole.
“Tutto bene Itachi-san? Come ti sent- -“ e a questo punto il
giovane le cadde esausto sulle spalle, facendola arrossire all’instante. La
fanciulla non fu neanche in grado di balbettare il suo nome per quanto era
imbarazzata e si stupì anzi di riuscire a comprendere razionalmente che il
torace di lui premeva contro il suo, alzandosi e abbassandosi al ritmo di quel
respiro che ora solleticava la sua nuca nuda.
Maya, infatti, aveva raccolto in alto i suoi capelli e di questo
cambiamento Itachi se ne accorse immediatamente.
“Aspetta un attimo. Ora mi sposto. Ho bisogno solo di…riposarmi un
po’…”esclamò lui già senza fiato, mentre si allontanava impercettibilmente da
lei “…mi ci devo abituare…sembra che fossi a letto da un secolo…”
“Ce-certo…” biascicò sconvolta la fanciulla.
Ridotto in quello stato anche un uomo dall’oscuro fascino come era
Itachi poteva far tenerezza. Poco importava se in passato fosse stato una brava o cattiva persona e Maya faticò non poco a scacciar via il suo
desiderio di abbracciare quella schiena e tener quindi ferme le braccia vicino
ai fianchi. Rigide come pezzi di legno.
Dopo un po’ il ragazzo si spostò del tutto e cominciò a muovere
qualche passo da solo, ricordandosi di tenere stese in avanti entrambe le
braccia: si mosse prima a destra, poi a sinistra e andò avanti fino a quando
non toccò una parete.
Il dolore alla coscia era più che sopportabile e il suo respiro
cominciava a normalizzarsi, stessa cosa valeva per i battiti del suo cuore
debole. Aveva solo bisogno di stare attento all’ustione del braccio destro:
quella, se non toccata, non dava alcun fastidio.
Maya lo guardò rapita, poi si avvicinò alla finestra e scostò di
poco le tende scure per vedere com’era il tempo: nuvoloso. Itachi era
fortunato.
“Andiamo, Itachi-san? Il luogo dove lavoro non è molto lontano”
I due percorsero le vie del piccolo villaggio insieme, lui
poggiato a lei di tanto in tanto.
A dire la verità era un po’ difficoltoso a causa della differenza
d’altezza che c’era tra i due: l’uomo, infatti, doveva chinarsi parecchio per
farsi sorreggere dai soli
È vero che aveva dato l’impressione di non voler assolutamente
seguire Maya e invece si ritrovò ad essere felice di averlo fatto: almeno
poteva provare la meravigliosa e nuova sensazione
di stare all’aria aperta.
Passarono davanti a diverse case e da un negozio di fiori dal
profumo inebriante, tanto che Itachi si voltò in direzione di quello stabile.
Le strade non pullulavano ancora di gente perché era presto,
tuttavia quando Maya e Itachi si trovarono davanti alla casa di Yukia, la madre
dell’infermiera li fermò. Parlarono del più e del meno e la donna tirò
affettuosamente le orecchie alla giovane: era contrariata in quanto Maya aveva
preferito “non disturbarla”.
Finalmente arrivarono a destinazione.
Maya estrasse le chiavi e inserendole nella serratura diede due
veloci scatti verso sinistra e spinse in avanti la porta a vetri. Aveva delle
tendine bianche ricamate e alla sua sommità un campanellino con dei delfini.
Questo tintinnò più volte.
“Accomodati pure, Itachi-san. Vai tranquillo, non c’è nessun
gradino.”e lui fece come le disse la ragazza anche se con l’evidente timore di
andare a sbattere contro qualcosa.
Si fermò dopo aver compiuto tre passi, aspettando che lei dicesse
qualcosa.
Nel frattempo nelle sue narici si fecero strada gli odori più
svariati: vaniglia, cioccolata, cannella, lievito, farina…era finito forse in
un… “Questo è il mio negozio di dolci, Itachi-san.”disse finalmente lei, mentre
chiudeva alle sue spalle la porta e girando il cartello da ‘Chiuso’ ad
‘Aperto’.
Finalmente al ragazzo fu chiaro il perché Maya profumasse così
tanto di dolci.
Poi Maya si avviò in avanti e prendendo la mano sinistra di Itachi
lo condusse verso quello che era il bancone e lo fece sedere su una poltroncina
sulla quale in precedenza aveva messo due cuscini di media grandezza. Lo
sistemò il più comodamente possibile ed infine gli chiese premurosa “Stai
comodo?”
“Sì.”rispose lui tranquillamente.
Non sentiva il vociare di qualche probabile aiutante. Evidentemente
la giovane riusciva a gestire da sola il piccolo negozio e di questo Itachi se
ne compiacque.
Doveva essere una ragazza in gamba. Sì, forse un po’ ingenua ma
comunque in gamba.
Improvvisamente arrivò anche la piccola Achimi e si accomodò sopra
la coscia sana del ragazzo.
“Ah! Ah! Achimi deve essersi innamorata di te,
Itachi-san!” constatò la giovane impegnata a mettersi un grembiule mentre la
gattina cominciava a fare le fusa. A Itachi scappò un leggero sorriso. Il
primo.
“Fra un po’ arriverà qualcuno. Tu stai pure tranquillo, non
permetterò che t’infastidiscano” disse lei con una dolce inflessione che
mascherava, anche se non del tutto, la sua crescente e sconveniente gelosia.
L’uomo non poteva di certo vedere ciò che lo circondava, ma il
luogo in cui si trovava insieme a Maya era veramente delizioso.
Arredato semplicemente con legno di ciliegio e non molto grande
era diviso in due piccoli locali, uno adibito a piccolo bar, l’altro a vero e
proprio negozio di dolci.
A destra, dietro il bancone corredato di una piccola vetrina in
cui facevano sfoggio le qualità più disparate di dolci tra orientali e
occidentali, c’era un gran tavolo rettangolare in cui Maya stava già impastando
gli ingredienti necessari per fare la sua specialità: i biscotti al cioccolato.
Nessuno in quel piccolo villaggio eguagliava la sua bravura e di
questo ne era molto orgogliosa.
Le piaceva. Le piaceva da morire quel lavoro e Itachi la sentì
canticchiare per la seconda volta.
Sotto quel tavolo giaceva il forno mentre accanto c’era il frigo.
Dietro Maya e quindi accanto a Itachi c’era una piccola credenza.
La luce era calda e rassicurante.
“Itachi-san…ti piacciono i dolci?” chiese improvvisamente Maya al
suo protetto. Aveva già messo a cuocere nel forno più di tre dozzine di
biscotti e si stava pulendo le mani con un tovagliolo color panna.
“…sì…” rispose lui tentando di nascondere la sorpresa.
“Non appena saranno pronti ne potrai mangiare quanti ne vuoi!
Dopotutto è triste mangiare sempre riso in bianco, vero? Ormai credo proprio
che potrai mangiare qualcosa di più sostanzioso!” esclamò entusiasta Maya
“L’importante è che lo fai piano, va bene?”
“…certo” disse lui vagamente stizzito.
Non le piaceva essere trattato come un bambino, ma in cuor suo
dovette per forza giustificare le premure di quella ragazza così gentile,
quindi lasciò correre.
“Ecco qui!” esclamò lei vittoriosa mentre aprì il forno “Aspetta
solo un pochino che si raffreddino e potrai finalmente fare una colazione come
si deve!”
L’aroma del cioccolato intanto cominciò a diffondersi in quel
piccolo locale e a Itachi sembrò di sentirsi ancor meglio di prima.
“A te! Buon appetito, Itachi-san. Spero ti piacciano” disse lei,
mentre gli porse una manciata di biscotti in un tovagliolo di stoffa e
aggiungendo “Achimi su…scendi che Itachi-san deve mangiare!” e la gattina obbedì
immediatamente.
Il giovane assaporò lentamente il gusto delicato e irresistibile
di quel prezioso cibo e dovette ammettere che Maya era davvero degna di essere
la proprietaria di quel negozio.
Tuttavia qualcosa non tornava: la ragazza non gli aveva mai
parlato della sua famiglia e se in un primo momento pensava che lo facesse solo
per delicatezza e per non farlo sentire un estraneo che non ricordava chi
fossero i suoi cari, ora cominciava davvero ad essere strano.
Né un ‘mamma sto andando al
lavoro’ o un ‘papà sto portando
Itachi-san con me al lavoro’.
O almeno, era questa che Itachi pensava fosse una famiglia visto
che della sua non aveva ricordo tranne il viso dolce di una donna dai lunghi
capelli neri e brillanti.
“Allora?” chiese Maya mentre era intenta ad impastare i nuovi
ingredienti “Sono di tuo gradimento, Itachi-san?”
Lui non rispose immediatamente ma quando lo fece disse “Ottimi.
Però Maya…gradirei che mi chiamassi solo Itachi. In fondo credo che abbiamo
entrambi la stessa età”
Questa affermazione spiazzò non poco la fanciulla.
Era evidente che quel ‘–san’ era un modo molto carino per mettere
la dovuta distanza tra i due giovani. Tuttavia l’uomo, ricordandosi forse di
quella frase sconosciuta in cui una voce che non era proprio il corrispettivo
di “bella” esclamava proprio la parola ‘Itachi-san’, sentì il bisogno di avvicinarsi a quella ragazza almeno un
po’.
Forse proprio per scacciare quei ricordi che gli lasciavano un
sentore alquanto sgradevole.
“V-va bene…I-Itachi-sa- -! Itachi…” bisbigliò imbarazzatissima la
giovane proprietaria del negozio.
“Perfetto” si limitò a dire lui, soddisfatto del suo operato.
Passarono circa dieci minuti e la ragazza infornò altri biscotti
mentre collocò nel frigorifero una splendida torta alle fragole fatta su
ordinazione, probabilmente per il compleanno di una bambina.
All’improvviso Itachi si fece coraggio e richiamando l’attenzione
della giovane pasticcera, disse “Maya…la tua famiglia non dice nulla di me?”
<< Buongiorno! >>
<< Buongiorno Maya! Finalmente hai aperto! I tuoi dolci
creano proprio una sorta di assuefazione, non puoi permetterti di sparire così!
>>
Erano due carpentieri che solitamente andavano a fare colazione
prima di partire a lavoro presso un ponte. Entrambi si sedettero al tavolo
vicino alla finestra e aspettavano pazientemente che la giovane desse loro un
po’ di credito.
Dal canto suo Maya si lasciò sfuggire dalle mani un uovo che
inevitabilmente si infranse non appena toccò il pavimento.
“Cos’è successo?”chiese Itachi non capendo a cosa corrispondesse
quel rumore.
“N-niente…mi è caduto un uovo…eh eh! Capita…!” biascicò la
fanciulla che solo dopo un po’ disse sottovoce “Itachi io…io non ho famiglia”
Quella rivelazione fu per il ragazzo una doccia d’acqua gelata.
Lady_KuroiNeko &
Deliaiason88:
Come sempre
ringraziamo le persone che aggiungono ai preferiti la storia:
1 - allychan
2 - Anima
3 - Cavallina_Bianca
4 - Crystal Alchemist
5 - damnedmoon
6 - ery twohands
7 - fenicex8
8 - haily
9 - ladysakura
10 - lella95
11 - Liby_chan
12 - maninja87
13 - masychan
14 - Rukia_Chan
15 - Saiyo83
16 - SaphiraLearqueen
17 - Sasori_Danna
18 - Serenity452
19 - Yuki no Hime
20 - Yunie the Black
Angel
21 - zibha
Serenity452: Ciao sorellina mia!
Grazie per i complimenti, siamo molto felici che ti piaccia! Dai avevi capito
che era una pasticcera?? Sei un genio!!! Diciamo che è stato uno slancio di
romanticismo la parte dell’abbraccio, ma è stata Delia a descriverlo
perfettamente. Io la mente lei il braccio e viceversa ^_^ Anche noi ti mandiamo un bacione!!!
Lauretta92: Si, le ferite sono state riportate in seguito lo scontro,
infatti la storia è ambientata dopo il capitolo 402 o 403…non mi ricordo di
preciso, ma comunque alla fine dello scontro tra i fratelli Uchiha. Sicuramente
poteva andargli molto peggio…sai cosa intendo! Grazie per i complimenti,
sicuramente Maya è il personaggio, che ho creato, che amo di più. Baci
zibha: Siete tutti fan n°1 per noi, ci fa piacere avere tante
persone che amano la storia. Anch’io adoro gli odori dolci, ho una varietà di
profumi e prodotti che non ti dico!
Ps. Grazie per i video piccolina!
damnedmoon: Ciao, siamo in due e magari tre, a voler fare lo stesso mestiere (infermiera di Itachi) e anche a desiderare di vivere in un posto del genere!!! Beh, ho già detto che la storia è ambientata dopo lo scontro con Sasuke…Per questo Kisame non lo cerca o forse si?! Chissà!