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Autore: SunlitDays    04/09/2014    5 recensioni
Secondo Neville Paciock, tutta la vicenda era stata alquanto esilarante. Harry Potter disse che in fondo aveva sempre avuto ragione: un caffè al mattino ti cambia la vita. Ron Weasley, invece, voleva solo dimenticare le innumerevoli umiliazioni che aveva dovuto subire nelle ultime due settimane. E tutto per un caffè!
Però, doveva ammetterlo, quel caffè gli aveva davvero cambiato la vita.

[CoffeShopAU, Muggle!Hermione]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Neville Paciock, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Prompt: Harry Potter, Ron/Hermione, a colazione
Titolo: A Coffee a Day
Autore: terachan/SunlitDays
Rating: Verde/PG
Avvertimenti: Coffee-ShopAU, Muggle!Hermione, Fanwriter!Hermione
Conteggio Parole: 4310
Sommario: Secondo Neville Paciock, tutta la vicenda era stata alquanto esilarante. Harry Potter disse che in fondo aveva sempre avuto ragione: un caffè al mattino ti cambia la vita. Ron Weasley, invece, voleva solo dimenticare le innumerevoli umiliazioni che aveva dovuto subire nelle ultime due settimane. E tutto per un caffè!
Però, doveva ammetterlo, quel caffè gli aveva davvero cambiato la vita.
NdA: torno a scrivere dopo mesi e temo di essere un po' arrugginita, ma ci ho messo davvero tutto l'impegno (e tre giorni *sigh*).
NdA2: scritta per l'iniziativa iniziaparole sulla piscinadiprompt
 
 
Secondo Neville Paciock, tutta la vicenda era stata alquanto esilarante. Harry Potter disse che in fondo aveva sempre avuto ragione: un caffè al mattino ti cambia la vita. Ron Weasley, invece, voleva solo dimenticare le innumerevoli umiliazioni che aveva dovuto subire nelle ultime due settimane. E tutto per un caffè!
Però, doveva ammetterlo, quel caffè gli aveva davvero cambiato la vita.

Tutto cominciò in una grigia mattina di fine novembre. Ron entrò nell'ufficio Auror facendo dondolare il sacco per il pranzo preparato da sua madre. Era martedì, giornata della Shepherd's Pie. Era un buon giorno, il martedì.
Stava slittando tra i cubicoli quando la voce del suo migliore amico gli giunse alle orecchie.
«Ma cosa si deve fare qui per avere un buon caffè? Far schiantare Voldemort al suolo non basta?»
Alcuni loro colleghi fecero capolino dai loro cubicoli con sguardi di vaga curiosità. Ma ormai tutti avevano imparato ad ignorare gli improvvisi cambi d'umore del Salvatore del Mondo Magico. In fondo, era universalmente risaputo che quando aveva ricevuto la famosa cicatrice il suo cervello aveva subito dei grossi danni.
Il passo baldanzoso di Ron non vacillò nemmeno un attimo e, sorridendo a mo' di saluto a un paio di compagni del corpo Auror, raggiunse il cubicolo che condivideva con i suoi amici, lasciandosi cadere pesantemente sulla sedia.
«Buongiorno!» salutò.
«Buongiorno un asfodelo rinsecchito!» mugugnò Harry.
«Non far caso a lui,» disse Neville senza alzare gli occhi dal documento su cui stava scrivendo. «A quanto pare oggi il caffè era corretto allo sterco di drago.»
Ron posò con poca grazia il sacco del pranzo su una pila di pergamene. «Quindi? Che si fa oggi? Qualche mago oscuro da prendere a calci dove non batte il sole?»
«Scartoffie, scartoffie e ancora scartoffie» rispose Harry.
«Ah!» sospirò Ron. «La vita pericolosa ed emozionante di un Auror...»
«Se la smettessimo di catturare un mago oscuro ogni settimana, forse avremmo meno verbali da scrivere e documenti da firmare» commentò Neville, mentre cercava una particolare pergamena alla crescente e precaria fila sulla scrivania. A ognuno di loro fu assegnato un cubicolo personale quando ricevettero la nomina di Auror a pieno titolo, ma preferivano condividerne uno per praticità, e dato che non avevano mai vinto il premio di Dipendente Più Ordinato dell'Anno, la scrivania era perennemente assediata da documenti, ritagli di giornali, piume, inchiostro e bicchieri vuoti vecchi di giorni. Era sorprendente che non avessero mai perso delle prove importanti in tutto quel marasma.
«Senza un buon caffè non sono neanche in grado di riconoscerla, la mia firma» brontolò Harry, lasciando uno scarabocchio in calce a una pergamena. «Ron!» esclamò poi. «Sii un buon amico e va’ in quella bella caffetteria Babbana che si è aperta all’angolo del vicolo dell’entrata dei visitatori.»
«Ehi! Non sono il tuo Elfo Domestico, vacci tu!» replicò indignato Ron.
«Ho una riunione tra dieci minuti con Robards riguardo il caso Malphine. Una riunione alla quale — ci tengo a precisare — presenzierò senza un goccio di caffeina in corpo.»
«Non guardare me,» disse Neville. «Voglio finire questa relazione il prima possibile. Oggi vado via in anticipo.» Agli sguardi interrogativi dei suoi amici rispose: «Ho un impegno.» Ma le guance rosse lo tradirono.
Ron e Harry si guardarono negli occhi e silenziosamente si promisero di scoprire in cosa, o molto probabilmente in chi, consisteva quell’impegno.

Fu così che Ron si ritrovò alle nove e mezza del mattino a dover affrontare la solita folla di fan che si appostava nell’Atrio del Ministero della Magia nella speranza che uno dei componenti dell’Esercito di Silente passasse, e a condividere la cabina del telefono con un uomo che aveva un nido di Diricawl nel cappello, per ritrovarsi in una squallida strada Babbana a maledire il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto-Per-Rompere-Le-Scatole-Al-Suo-Migliore-Amico.
Secondo le indicazioni di Harry, la caffetteria si trovava all’angolo, quindi, naturalmente, Ron andò all’altro angolo e dovette tornare indietro per trovarlo.
Il posto era luminoso e non troppo grande, pieno di tavoli con Babbani che giocherellavano con strani aggeggi o parlavano fra di loro mentre facevano colazione. Ma in fondo, ragionò Ron, non era molto diverso da I Tre Manici di Scopa. Con la differenza che lì non c’erano boccali di Burrobirra svolazzanti, ma persone che ascoltavano qualcosa su delle specie di Orecchie Oblunghe mentre parlavano da soli.
Che strani, questi Babbani!
La fila era lunga e lenta e dovette aspettare un quarto d’ora prima che arrivasse il suo turno.
Ron aprì la bocca per ordinare un caffè nero, doppio, con una sola zolletta di zucchero, così come gli era stato detto, quando si ritrovò a mangiare una ciocca di capelli.
«Mi scusi!» sputacchiò, lanciando un’occhiataccia alla ragazza che gli stava di fianco. «Lei e quella scopa che si ritrova in testa, stia un po’ attenta!»
La ragazza si girò verso di lui con sguardo indignato. «Be’, se lei rispettasse gli spazi altrui non sarebbe successo.»
«Io? È lei che occupa troppo spazio con quella massa» replicò lui.
Lei assunse un'espressione di profonda offesa. «Maleducato! Io non sono grassa! E anche se lo fossi, è da meschini farlo notare ad una donna.»
«Io non— Non è quello che intendevo...» ma la ragazza era già andata via, il cespuglio di capelli al vento e un'enorme borsa in spalla.
«Allora?!» disse una voce annoiata dall'altra parte del bancone. «Vuoi ordinare o no?»
Curiosamente turbato dall'incontro, Ron dette la sua ordinazione, pregando mentalmente che Harry gli avesse dato abbastanza soldi Babbani.

Generalmente, Ron non era solito soffermarsi troppo sugli stessi pensieri, e una ragazza ferita era l'ultima delle sue preoccupazione, eppure per qualche ragione non obbiettò quando la mattina dopo Harry ebbe un'altra crisi di astinenza da caffeina.
Doveva solo spiegarsi, tutto qui. Dire alla Babbana capellona che lui non era maleducato né meschino, c'era stato solo un malinteso. Così si sarebbe liberato dal senso di colpa e arrivederci e figli maschi.
Mentre superava la soglia della caffetteria si dette dello stupido; che possibilità c'erano che la Babbana si trovasse di nuovo lì alla stessa ora?
E invece c’era. La individuò subito dalla massa castana di capelli crespi che le incorniciava la testa. Era seduta da sola in uno dei tavoli vicino al muro e stava maneggiando con un aggeggio quadrato che emetteva una leggera luce.
Senza pensarci troppo, Ron si avvicinò. Cercò di attirare la sua attenzione schiarendosi la gola un paio di volte, ma la ragazza sembrava molto assorta da ciò che stava facendo.
«Ehm ehm» provò ancora e le persone dei tavoli vicini alzarono lo sguardo.
Spazientito e in imbarazzo, si sedette sulla prima sedia libera che trovò: quella allo stesso tavolo della capellona.
A quel punto lei alzò lo sguardo. «Che cosa vuoi?» ruggì.
Ron soppresse l’istinto di innalzare uno scudo magico tra loro, optando per alzare le mani in segno di pace. «Niente. Voglio dire... sono qui per... volevo dirti... insomma non era mia intenzione darti della grassa, ok?»
Lei non disse niente, limitandosi a guardarlo con occhi glaciali e le braccia incrociate al petto.
«Vedi...» continuò Ron precipitosamente. «Parlavo dei tuoi capelli. Occupi molto spazio perché i tuoi capelli... non che abbiano qualcosa di male, eh! Ma sono... tanti e... voluminosi, ecco.» Dato che i suoi balbettii sembravano non fare effetto, aggiunse: «Tu non sei grassa. E proprio per questo non dovresti offenderti se qualcuno ti accusa di esserlo. Non che io ti avessi accusata di... insomma hai capito. Non è come se avessi detto “che denti che hai”... No! No! Non andartene!» gridò. «Non voglio dire che i tuoi denti...» gemette disperato. Poi si ricompose e decise di metter fine a quella figura di cacca di gufo. «Senti, qualsiasi cosa abbia detto... non volevo offenderti. E niente. Volevo dirti solo questo. Me ne vado.»
Si alzò e fece un paio di passi verso l’uscita quando la voce della ragazza lo fermò: «Ti sarebbe bastato un semplice scusa.»
Ron si voltò. «È quello che ho fatto.»
«No,» disse lei, lo sguardo leggermente meno freddo ma ugualmente altezzoso. «Hai vaneggiato, ma sì comunque, sei perdonato.» E così dicendo, tornò a maneggiare sulla sua diavoleria Babbana.

«Cosa ti affligge, caro fratello di avventure?» chiese Harry due giorni dopo. Era di eccellente umore. Avevano catturato un ciarlatano che vendeva pozioni oscure spacciandole per un Decotto Tiramisù e, tramite una sottile tecnica di persuasione (che consisteva nel mettersi uno a fianco all’altro, le braccia incrociate al petto e la loro miglior espressione da Siamo-Il-Trio-Che-Ha-Salvato-Il-Mondo. Funzionava sempre) avevano scaricato l’onere delle scartoffie ad una recluta. Altro motivo di tale buon umore era il fatto che gli addetti alla Manutenzione Magica avessero finalmente aggiornato l’incantesimo sulla caffettiera d’ufficio. (A quanto si diceva in giro, il motivo di quell’ultima protesta era stato la scarsa fattura delle loro divise. Sembrava che il 70% del personale avesse avuto una reazione allergica contemporaneamente.)
«Già,» aggiunse Neville. «Ti vedo un po’ giù di morale oggi.»
L'unica risposta di Ron fu una scrollata di spalle, e non disse niente nemmeno quando la freccetta di Harry colpì il centro del bersaglio (il nasone di Amycus Carrow). Questo, più di ogni altra cosa, fece capire ai suoi due amici che c'era qualcosa che non andava.
Harry si appoggiò alla scrivania, incurante della boccetta di inchiostro che si rovesciò. Neville si preoccupò di staccare lentamente tutte le freccette dal poster sul muro mentre aspettava che Ron cominciasse a parlare.
«È che... c'è questa ragazza...» cominciò il rosso e subito capì di aver fatto un errore quando vide i sorrisi sornioni sui visi dei suoi compagni. «Non in quel senso!» Si affrettò a rettificare. «È solo una con cui ho avuto uno scontro in quella caffetteria Babbana. Una tipa permalosa e altezzosa, sinceramente.»
«Una tipa permalosa e altezzosa che a quanto pare ti distrae continuamente...» disse Neville.
«No, davvero. Io... suppongo sia carina e ha questi capelli... ma non mi piace. Dico sul serio!» aggiunse ai loro sguardi scettici. «È che ha questi modi così...» fece un ampio gesto con le mani, come se ciò potesse spiegare il suo dilemma. «Ed è una Babbana. Vive in un mondo anni luce da noi e lo sapete che,» Si sporse in avanti con l’aria di voler condividere un segreto. «I Babbani usano le scope per spazzare il pavimento!» sussurrò, gli occhi sbarrati.
«Ok. Fammi capire bene,» cominciò Harry. «Hai conosciuto questa ragazza Babbana in una caffetteria. Una Babbana carina, con cui hai litigato e che a quanto pare ti fa stare con la testa fra le nuvole tanto non ti piace... uhm... posso vederlo il problema qui. Non è vero, Neville?»
«Verissimo. E c'è una sola cosa che possiamo fare ora, vero Harry?»
«Sì, amico, solo una.»
«Di cosa Merlino state parlando?» chiese Ron, allarmato.
«Partiamo per una missione!» dissero in coro gli altri due.

«È una cosa assolutamente stupida!» esclamò Ron venti minuti dopo.
«Ssshh!» lo ammonì Harry sotto voce. «Siamo nel bel mezzo di una missione sotto copertura.»
«Ecco, sta uscendo qualcuno. Presto!» sussurrò Neville.
«Questo coso era troppo piccolo per tutti e tre già al quarto anno.»
«Non chiamare coso il Mantello dell'Invisibilità di mio padre, Ron.»
«È una cosa assolutamente stupida!» ripeté, quando si furono intrufolati nella caffetteria.
«Allora? Chi è?» domandò Neville.
«Nessuno. Non c'è» rispose Ron troppo frettolosamente, il che fece capire loro che la Babbana era presente quella mattina.
«È meglio che ci dici chi è, amico.»
«No che non ve lo dico. Non so nemmeno perché mi sono lasciato convincere a venire qui...»
«Perché saremmo venuti anche senza di te e avremmo chiesto ad ogni ragazza del locale se martedì ha avuto una disputa con un tizio alto con i capelli rossi.»
«E avremmo scaricato a te il lavoro d’ufficio.»
E lo avrebbero fatto; su questo Ron non aveva dubbi.
«Ma non riuscirete mai a farmi dire chi—» si bloccò quando nelle sue orecchie cominciò a suonare l'ultimo singolo di Celestina Warbeck (Un Cuore Fatto di Amortentia). «Smettetela!» disse a voce troppo alta, facendo spaventare una donna di mezza età che si trovava alla loro destra.
«Dicci chi è!» minacciò Harry.
A volte avere degli amici esperti negli interrogatori era davvero controproducente.
«Ok. Ok. Miseriaccia! Ve lo dico!»
L'incantesimo venne annullato immediatamente.
«Miseriaccia!» ripeté sconsolato. Poi alzò il dito indice verso la ragazza Babbana.
Soddisfatti, Harry e Neville si incamminarono verso di lei e Ron fu costretto a seguirli.
«Sentite, l'avete vista. Adesso possiamo andarcene.»
«Neanche per sogno» disse Neville.
«Vuoi ascoltare un altro pezzo della buon vecchia Celestina?» aggiunse Harry.
«Vi odio!» esclamò Ron, mentre con circospezione si avvicinavano al tavolo della Babbana. «Dal profondo del mio cuore di Amortentia, vi odio!»
«Ssshh!» fece Harry prima di lanciare un Muffiato.
Si fermarono proprio a fianco la sedia dove, due giorni prima, Ron si era seduto. Il viso della ragazza era seminascosto dallo stesso aggeggio luminoso dell'altra volta. Harry e Neville si piegarono in avanti per vederla meglio, costringendo Ron a fare lo stesso per evitare di rimanere senza Mantello.
«È carina» commentò Neville a pochi centimetri dall'orecchio di lei. Ron grugnì.
«Non so,» fece Harry. «Ha l'aria troppo intellettuale per te, Ron.»
«Che intendi dire? Va benissimo per—»
«Ah! Ah! Quindi lo ammetti che ti piace?»
«Ma cosa sta facendo?» domandò Neville.
«Sta lavorando su un laptop» rispose Harry, poi alzò gli occhi al cielo vedendo gli sguardi vacui dei suoi amici. «Lasciate perdere.»
Si spostarono alle spalle della ragazza e da lì potevano vedere chiaramente cosa stesse facendo. Stava scrivendo, ma senza piume né inchiostro. Semplicemente batteva su dei tasti e magicamente — perché di magia doveva trattarsi — le parole comparivano su quel foglio di plastica luminosa.
"Gerry Porter e L'Elfo Oscuro?"
Improvvisamente la ragazza si voltò come se avesse percepito la loro presenza. Ron, Harry e Neville non osarono nemmeno respirare finché lei, dopo aver guardato attentamente lo spazio dietro di sé, non tornò a concentrarsi sulla sua diavoleria Babbana.
«Fiù! C'è mancato poco...» disse Neville, mentre si sporgeva di nuovo oltre la spalla della ragazza. E proprio in quel momento lei si voltò di nuovo di scatto. Per evitare di collidere con la sua testa, Neville si tirò indietro velocemente e con troppa forza, costringendo Harry a fare lo stesso. Ron invece inciampò sull'orlo del Mantello e cadde. Gli ci vollero un paio di secondi di troppo per rendersi conto di essere di nuovo visibile. Si alzò frettolosamente.
«Che cosa ci fai di nuovo qui? Mi stavi spiando per caso?»
«I-io? N-No... mi sono solo trovato a passare e... sono inciampato.» Un calcio negli stinchi da uno dei suoi amici bloccò i suoi balbettii.
La Babbana lo guardava con sguardo diffidente, ma non aprì bocca e Ron si sentì profondamente stupido a stare in piedi lì, sotto gli occhi accusatori di una ragazza così... così...
Si sentì spingere da delle mani invisibili e un secondo dopo era di nuovo seduto alla solita sedia.
«Ehm... posso?»
Lei alzò un sopracciglio. «Mi pare che tu l'abbia già fatto.» Poi, evidentemente pensando che la strategia migliore per i pazzi era ignorarli, tornò a lavoro.
Sentendosi ridicolo, Ron cominciò a giocherellare con la saliera. La mano invisibile gli dette uno scappellotto. Il rumore attirò l’attenzione della ragazza che alzò gli occhi giusto il tempo di guardarlo con uno sguardo che diceva «Sei ancora qui? E sei ancora pazzo?»
Un dito lo pungolò.
E va bene! E va bene! Pensò rivolto a quei traditori dei suoi amici.
Esasperato, Ron aprì la bocca e disse la prima cosa che gli venne in mente: «chi è Gerry Porter?»
Sorprendentemente, la ragazza arrossì. «Allora ammetti che mi stavi spiando.»
«No!» esclamò Ron con foga. «Mi è solo... caduto l’occhio sul tuo tiptap.» La mano invisibile gli dette un altro scappellotto.
«Sul mio cosa
«Ehm... sai... quel...» Laptop, la voce di Harry gli sussurrò all’orecchio. «Laptop!» terminò, trionfante.
La ragazza si sporse un po’ per guardare dietro di lui; il suo sguardo si fece sempre più sospettoso.
«Quindi? Chi è Gerry Porter? Il tuo ragazzo?» Un calcio e l’espressione incredula della Babbana gli suggerirono di aver detto un’altra cosa sbagliata..
«Chi è Gerry Porter?! Chi è Gerry Porter! È semplicemente il mago più famoso del mondo!»
Ron la guardò a bocca aperta. Dietro di lui, si sentì una risata soffocata.
«Non ne hai mai sentito parlare?» Sembrava sbalordita. «Non hai mai letto— no, non l'hai mai letto. Ma ne avrai visto i film o i videogiochi.»
Ron stava cominciando davvero ad entrare nel panico. A quanto pare questo Gerry era roba seria tra i Babbani e lui non aveva la più pallida idea di cosa fosse un film.
La capellona scosse lentamente la testa, poi si raddrizzò sulla sedia, si portò i capelli dietro l'orecchio e cominciò a parlare con un tono che gli ricordava la McGranitt: «Dunque... è la storia di questo ragazzo orfano, Gerry ovviamente, che per anni ha vissuto in un orfanotrofio ignorante delle sue origini e dei suoi poteri. Una notte degli elfi brutti e grossi—»
«Gli Elfi non sono grossi» obiettò Ron.
Lei lo guardò con sguardo di sufficienza. «E tu che ne sai? Non hai nemmeno visto il film che, seppur avendo seguito la trama alquanto fedelmente, non è riuscito a catturare l’anima vera del villano. E ora non interrompermi, per favore. Quindi dicevo... una notte questi brutti e grossi elfi si intrufolano in orfanotrofio per rapirlo, ma Gerry, che inconsapevolmente aveva anche il potere della preveggenza, lo sogna e, svegliandosi all'improvviso da quell'incubo, li vede e riconosce il pericolo. Così cominciano a combattere a colpi di magia e--»
«Senza una bacchetta?»
«Bacchetta? Ma che dici! I maghi non hanno mica bisogno di una bacchetta magica, quello è un concetto superato» disse lei con l'aria di essere un'esperta.
«Ma se questo Gerry non sapeva dei suoi poteri come ha fatto a combattere degli... uhm... elfi esperti? Voglio dire... non ha avuto un'educazione magica, no?»
Lei sbuffò. «Gerry è un mago potentissimo, non ha bisogno di un'educazione magica. Il potere è dentro di lui, nelle sue origini.»
«Ma... e dove li ha imparati gli incantesimi?»
«La magia è innata, non si impara. E non ha bisogno di formule magiche o occhi di rospo» gli rispose, soddisfatta della sua immensa conoscenza in materia.
Parlò per un'ora buona, raccontandogli tutta la trama e alzando gli occhi al cielo ogni volta che lui interrompeva per fare" domande stupide". Ron la lasciò fare. Gli divertiva il modo contorto in cui i Babbani vedevano la magia. E poi lei era così animata... così passionale, con quegli occhi vibranti, i capelli che non stavano in ordine...
«A proposito,» disse poi. «Io sono Hermione Granger.»

La mattina dopo, un Ron rosso in viso e trafelato entrò nel Dipartimento Auror correndo.
«Doveteaiutarmi!» disse tutto d’un fiato.
Harry e Neville si guardarono negli occhi. Quest’ultimo girò un dito sulla tempia nell’universale segno del “l’abbiamo perduto definitivamente”.
«Dobbiamo decifrare un codice»
«Un codice?»
Ron schiaffò sulla scrivania un piccolo pezzo di carta con su scritto dei numeri.
«Che cos’è?» chiese Neville.
«Dove l’hai preso?» fece Harry.
«Me l’ha dato Hermione.»
«E perché credi che sia un codice?»
«Cosa credi che sia? È una serie di numeri ed Hermione è una cervellona, sai? Sono sicuro che è un test. Un modo per vedere se sono degno— Perché ridi?»
Per poco Harry non rovesciò il suo terzo bicchiere di caffè dalle risate. «Amico,» boccheggiò. «Questo non è un codice!»
«È cos’è allora?»
«È il suo numero di telefono.»

Quando finalmente Ron ebbe perfezionato l’arte della telefonata, non passò giorno in cui non si recò al primo telefono pubblico per parlare con lei. Ogni mattina prima di andare a lavoro, passava alla solita caffetteria per fare colazione insieme, e nonostante ci fossero tante cose che Ron non capiva (cosa Merlino è un e-mail?) e altre che Hermione non sapesse spiegarsi (come sarebbe a dire non hai un cellulare?), quelle erano di certo le mattine più piacevoli che avessero mai passato.
Ed ogni volta era un “ci vediamo domani?”, “ci sentiamo dopo?”
Ma era sempre troppo poco.
Non mancavano mai dei bisticci e troppo spesso Hermione si sentiva esasperata da un uomo così ignorante sulle più piccole cose e così saggio sulla vita. Ma per la maggior parte dei casi, Ron la divertiva, ed Hermione non aveva mai realizzato quanto le mancasse ridere senza remore.

«Fanfiction? Si mangia?»
Hermione ridacchiò. «Ma no che non si mangia, sciocco. Sono storie. Storie che i fan scrivono su altre storie.»
«Uhm?»
Lei arrossì. «Lo so che è stupido. Gerry Porter in fondo è un libro per ragazzini, ma... a me piace. E mi piace giocare con i personaggi, vedere come potrebbero comportarsi in una data situazione, esplorare i loro passati...»
«Non sono sicuro di aver capito bene, ma comunque non devi vergognartene. Io ho ancora la collezione completa di Martin Miggs, Il Babbano Matto.»
«Martin Miggs?»
Ron non fece in tempo a dare una risposta, perché in quel momento la cameriera passò loro accanto e inciampò. Con gli infallibili riflessi di un Auror, Ron tirò fuori la bacchetta ed evitò il disastro.
«Oh! Mi dispiace tanto. Che sbadata!» si scusò la cameriera. «Fortuna che è riuscito ad acchiappare il vassoio, signore.»
Ron le sorrise nervosamente, la bacchetta ben nascosta nella manica.
«Come hai fatto?» domandò Hermione.
«Ho dei buoni riflessi» ridacchiò Ron.
«No,» sussurrò lei. «Non l’hai preso con le mani.»
«Ma certo che l’ho preso con le mani. Come dovevo prenderlo, con i piedi?»
«Non prenderti gioco della mia intelligenza! So cosa ho visto. Che cos’era quel bastoncino che hai nascosto?»
Ora o mai più, si disse Ron. Era inutile girarci intorno. Tra lui e Hermione c’era qualcosa e se voleva che continuasse doveva essere sincero con lei.
«Ok,» sospirò. «Hermione, quello che sto per dirti potrebbe scioccarti, ma è l’assoluta verità, va bene?» Prese un respiro profondo, si sporse verso di lei e sussurrò: «Hermione, io sono un mago.»
«Un mago» ripeté lei.
«Esatto! E non sapevo come dirtelo. Mi sento così meglio adesso che te l’ho de—»
«Ho capito» disse Hermione.
«H-hai capito?»
«Sì, ho capito benissimo. Ho capito di essere una stupida. Una ragazzina ingenua che credeva di aver trovato un ragazzo che la capisse e desideroso di sentirla parlare delle sue stupide passioni.» Si alzò e si sistemò la pesante borsa sulla spalla. «Ho capito che solo perché sono ossessionata da un mago che nemmeno esiste, tu credevi di poterti prendere gioco di me—»
«No! No! Hermione, aspetta! Sto dicendo la verità.»
«Addio, Ron Weasley.» E così dicendo, se ne andò.

«E tu l’hai lasciata andare via?»
«E cosa avrei dovuto fare? Bloccarla con un Petrificus Totalus?»
«Be’, se non altro dopo ti avrebbe creduto.»
Ron sospirò e affondò il viso sulla relazione che stava scrivendo. «L’ho perduta» gemette. «Non risponde neanche più al telefono. Ha smesso di fare colazione in caffetteria... l’ho perduta!»
«Andiamo, amico, sei un Auror o no? Usa tutte le risorse che hai e trovala!»

Hermione era studentessa di una facoltà dal nome lunghissimo e apparentemente senza senso, ma Ron non ci aveva messo molto a capire dove si trovasse la sede. Erano già tre giorni che se ne stava appostato in un angolo, protetto dal Mantello dell’Invisibilità, sperando di vederla.
Harry e Neville avevano inventato una scusa da dire a Robards per coprirlo, ma quello era l’ultimo giorno che aveva a disposizione, dopodiché sarebbe dovuto tornare a lavoro e chissà quando avrebbe più rivisto Hermione...
Eccola lì. I capelli cotonati, l’enorme borsone che sembrava pesare più di lei e quel suo modo di camminare spedito. Ron le corse dietro, la superò e poi si tolse il Mantello.
Hermione gridò.
«Ti prego!» la supplicò Ron. «Lascia che ti spieghi e poi dopo potrai decidere di mandarmi a quel paese, ma... lascia che ti spieghi
Lei era immobile, gli occhi spalancati.
«Lo so che è difficile da credere. Cavolo! Nemmeno io riuscivo a credere che i Babbani avessero degli aggeggi che potessero volare senza magia, ma... Io non ti ho mai mentito, Hermione. Giuro che non ti ho mai mentito. Sono davvero interessato alle tue passioni e mi piace sentirti parlare e mi piacciono i tuoi pazzi capelli e i tuoi denti troppo lunghi e mi piace il fatto che parli con le mani e che i tuoi occhi brillando quand—»
Lo stava baciando. Le sue braccia attorno al collo, i capelli che gli solleticavano il viso... Hermione Granger lo stava baciando. Davvero.
Quando finalmente si staccarono, Ron era così stordito che temeva di vomitare se avesse aperto la bocca.
«Ti credo, Ron. Ti credo» disse lei.
Strinse la presa sui fianchi di lei e sentì il suo viso aprirsi in un largo sorriso. Poi lei si stacco e tornò ad essere l’Hermione pragmatica di sempre.
«Adesso dimmi: come funziona esattamente quel Mantello?»
Gli avrebbe fatto un milione di domande, avrebbe voluto sapere ogni più piccolo particolare, ma a Ron non importava perché Hermione era fatta così, e adesso avevano tutto il tempo per parlare.





 
   
 
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