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Autore: The Ghostface    05/09/2014    4 recensioni
Un folle dal cuore intriso di malvagità minaccia di attuare il più assurdo, rischioso e geniale dei piani, teneterà di liberare un potere celato al mondo da eoni, un potere senza uguali e di controllaro.
Ma i suoi progetti saranno stravolti dai suoi sentimenti verso Stella Rubia.
E sia lei che i Titans ce la metteranno tutta per sconfiggerlo e salvare Corvina, caduta nelle sue grinfie.
Chi attacca un Titan deve vedersela con tutti i Titans.
Una storia ricca di mistero e azione, in cui personaggi classici, nuovi e dimenticati si sfideranno tra loro per ottenere un ruolo nel grande gioco delle vendette.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Rigor Mortis'
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CAPITOLO 20
 
Ci vollero tre ore prima che Robin potesse rientrare alla T-Tower.
C’erano stati affari da sbrigare, l’incendio da spegnere, far tornare in città i civili evaquati e aveva ricevuto medicazioni di primo soccorso.
Nonostante poliziotti e vigili del fuoco avessero insistito per farlo ricoverare, il giovane eroe era stato irremovibile, nulla l’avrebbe tenuto ulteriormente separato dalla sua famiglia.
Arrivò esausto nella Main Rooms dov’era certo che avrebbe trovato Stella, Mar’i, e tutti gli altri.
Invece la Torre era buia, deserta.
Robin aveva il viso tumefatto, il corpo livido e coperto di garze e fasciature, le braccia leggermente ustionate, il suo costume sporco di sangue rappreso, strappato in più punti, e annerito dalle fiamme.
Puzzava di sangue e sudore, sentiva le gambe molli ma soprattutto non riusciva a sopportare il penetrante odore di fumo, la sua pelle ne era impregnata.
Si domandò dove fossero.
Tuttavia non ci diede troppo peso.
Dopotutto Ghostface non era più una minaccia.
<Saranno andati a festeggiare in pizzeria, probabilmente mi aspettano lì>
Rassicurato si lasciò cadere sul divano.
Benché non vedesse l’ora di ricongiungersi a Stella, guardando in che stato era ridotto, decise che forse era il caso di farsi un bel bagno caldo prima di andare da lei.
 
In breve tempo la vasca da bagno fu colma d’acqua calda e schiumosa.
Completamente nudo, Robin si calò adagio nell’acqua fumante, sussultando di dolore per le fitte causategli dai movimenti troppo bruschi, il liquido elemento era un vero toccasana per il suo corpo martoriato, un elisir di vita dopo quell’inferno fiammeggiante di cenere e fumo.
Sprofondò fino al mento, il getto d’acqua del telefono sulla testa, a pulirgli i capelli zozzi, ridotti a una spazzola disordinata dalla lama di Ghostface.
Faticava a respirare, le costole rotte rendevano lo riempirsi dei polmoni una tortura, tutto il suo corpo era in preda al supplizio, gli avevano consigliato di andare all’ospedale ma sperava che Corvina avrebbe potuto fare qualcosa di più efficiente e sbrigativo.
Dopo una buona mezz’ora passata a mollo e a lavarsi, il giovane eroe uscì dall’acqua avvolto nell’accappatoio bianco; ciabatte ai piedi, si diresse gocciolante verso l’armadietto dei medicinali dove trangugiò cinque pasticche di antidolorifici, sebbene la dose consigliata per forti dolori fosse di due.
Si guardò allo specchio il volto livido.
Un occhio nero e spento, labbro spaccato, due denti rotti, zigomi gonfi, lividi e bernoccoli sparsi un po’ ovunque, due sottile taglietti già rimarginati gli attraversavano la guancia dove gli artigli l’avevano sfiorato del combattimento.
<Certo che me le ha suonate proprio bene… e io che mi lamentavo di Slade…c***o, Ghostface per poco non mi ammazzava, se non fosse stato per quella trave ci restavo secco, Chiunque ci sia lassù, gli devo un megafavore, mi ha proprio salvato il culo, a me e a tutti i Titans>
Nonostante le cure ricevute dagli ambulanzieri chiamati sulla scena del rogo, Robin pensò bene di disinfettare ulteriormente tutte le numerose ferite ancora aperte.
 
Quando uscì dalla sua stanza asciutto e con un nuovo costume addosso, non vedeva l’ora di arrivare al Pizza Arriba, zoppicava appoggiandosi a una stampella presa dall’infermeria, la caviglia era una dolore continuo, sperò che Ghostface non gli avesse rotto un tendine, se fosse accaduto sarebbe rimasto inerme per molto tempo e forse non avrebbe mai recuperato completamente le sue doti ginniche.
Quando però entrò nella Mains Rooms, notò subito che c’era qualcosa di diverso…
Era buio, ma una sagoma nera si specchiava contro la vetrata della Torre.
Ad aspettarlo, seduta nell’ombra, stava Bumblebee.
Subito non la riconobbe, insospettito accese le luci e non appena i neon rischiararono l’ambiente il ragazzo potè lasciarsi andare a un sorriso sereno.
Dopo tanto tempo finalmente un viso amico.
-Bumblebee! Che bello vederti!- disse dirigendosi a fatica verso l’amica.
-ROBIN!! Cielo! Cose ti hanno fatto!!??- esclamò la ragazza dalla pelle scura incredula.
L’altro sorrise sarcastico –Questo è niente, dovresti vedere come si sono ridotte le nocche di Ghostface dopo avermi picchiato-
Lei andò subito ad abbracciarlo, stringendolo forte.
-AH! Fa piano, ho male dappertutto-
Lei nemmeno lo ascoltò, sottili lacrime colarono lungo le guancie color nocciola.
-Robin…mi dispiace tanto…-
-Ehi, apetta, non fa niente. Certo una mano contro quel pazzo mi avrebbe fatto comodo, ma ormai è tutto finito. Non è il caso di disperarsi se non siete arrivati in tempo- disse il ragazzo battendole delicatamente la mano sulla schiena.
-Piuttosto, mi aspettavo ci fosse una festa, dove sono tutti?-
Bumblebee si separò da lui guardandolo sconvolta e stralunata. 
-Ancora non lo sai…- mormorò cercando di frenare le lacrime.
-Sapere cosa? Il mio T-phone è stato distrutto nello scontro-
Lei nascose il viso tra le mani , singhiozzando –Tutto questo è terribile…terribile…-
Robin ora era veramente preoccupato.
-Bumblebee…che cosa succede?-
Lei lo guardò fisso nella maschera, i suoi occhi neri erano segnati da profonda tristezza.
-Mi dispiace terribilmente, Robin…non ho potuto fare nulla per impedirlo, nessuno ha potuto…-
Il ragazzo le prese con forza le spalle costringendola a guardarlo negli occhi –Dimmi cosa è successo!-  le ordinò fissandola duro.
Lei, un po’ intimorita, fece un sospiro malinconico, con gli occhi bassi, mormorò -È meglio se ti siedi…-
 
Giunsero al General Hospital trafelati.
Robin non chiuse nemmeno la R-cycle, lo buttò semplicemente a terra.
Corse lungo i corridoi, gli ambulatori, per le scale, incurante delle proteste di medici e infermieri e del dolore del suo corpo.
Bumblebee volava davanti a lui facendogli strada.
Si udì un urlo straziante.
Attraversarono un corridoio che dava su un cortiletto interno, lì stavano ammassati tutti i Titans del mondo, riuniti in un tragico lutto.
I medici non avevano acconsentito a farli entrare, nonostante la tragedia solo gli amici più prossimi erano potuti assistere.
Gli altri avrebbero solo ostacolato le cose.
Ma Robin non li degnò di uno sguardo, continuò a correre a perdifiato, con la caviglia che esplodeva di dolore.
Un altro grido ancora più forte e angosciante risuonò
Giunsero ad un ambulatorio.
Fuori dalla porta c’era solo un medico.
Il poveretto cercò di fermare la carica dei due, ma senza neanche spiccicare una sillaba gli eroi lo buttarono a terra entrando nella sala.
Stella cacciò un terzo urlo disumano, straziate di dolore, che riecheggiò per tutto l’ospedale.
Ma a parte le grida dell’aliena non c’era che il suono dei singhiozzi e il meccanico “bip” ininterrotto dei macchinari.
Un suono di morte.
Era arrivato troppo tardi, nonostante tutti i disperati tentativi per salvarla non c’era stato nulla da fare…l’avevano persa.
In piedi vicino al letto stava Cyborg.
L’occhio umido di pianto appena placato, il mezzo robot non riusciva a sostenere la vista del corpo adagiato sul letto.
BB accucciato in un angolo con la testa tra le gambe, nascosta dalle braccia piangeva e tra i singhiozzi si potevano udire fievoli sussurri di maledizioni atroci rivolte verso Ghostface e verso se stesso.
Colpevolizzandosi per un incidente.
Corvina era l’unica che avesse la forza e il coraggio di stare vicino a Stella Rubia in un simile momento.
Anche la maga era distrutta, non nascondeva il dolore, versava lacrime assieme all’amica, sforzandosi di restarle vicino nonostante quella la respingesse violentemente, sparsi attorno al letto c’erano i resti si sedie, riviste, piante, macchinari costosi, anche al finestra era stata ridotta in frantumi, persino le pareti erano cosparse di crepe fresche, era impossibile definire se tutto ciò fosse stato causato dalle emozioni fuori controllo della maga o dall’aliena straziata dal dolore.
Ma la figura più atroce era quella di Stella Rubia, inginocchiata a terra, col corpo gettato sul lettuccio, strillava in modo inumano, urla selvagge, acute, dolorose…grida di morte.
Le lacrime le appannavano gli occhi al punto che non avrebbe distinto chi fosse entrato nella stanza...se solo gli avesse rivolto uno sguardo.
Gli stessi occhi verdi dell’aliena erano intrisi di sangue, rossi per i capillari spezzati dentro di lei, il dolore si ritorceva anche sul suo corpo oltre che sulla sua mente.
Nulla aveva potuto trattenere la tamaraniana dal dare libero sfogo alla sua disperazione.
Faticava a respirare tanto singhiozzava, si affannava per recuperare un filo d’aria per poi ricacciarlo via con urla tremende, annaspando tra i singhiozzi.
Sembrava che il respiro inciampasse nei denti.
Le vene del collo erano tirate al punto da trasparire quasi completamente, l’abito viola era lordo di sangue ormai secco, ma la cosa più raccapricciante era quel corpo steso sul lettino, un piccolo corpo innocente che l’aliena stringeva tra le braccia in un inseparabile abbraccio materno.
Il corpicino che già iniziava a raffreddarsi aveva una taglio lungo il torace scoperto.
Defibrillatori, scariche di adrenalina, elettroshock, neppure la magia…nulla era riuscito a rianimarla.
Robin con gli occhi colmi di lacrime e la gola che sussultava come se si stesse strozzando con l’ossigeno fissava incapace di muoversi il corpo morto di sua figlia stretto tra le braccia di Stella Rubia, in un disperato ultimo abbraccio straziante d’amore e dolore.
Il trauma fisico delle ferite e quello psicologico furono troppo per il ragazzo.
Robin collassò lì dov’era, sulla soglia.
L’ultima cosa che vide, fu il faccino senza vita ma comunque bellissimo della bambina, gli occhi chiusi sembravano dirgli addio.
Robin svenne, non riuscì a sostenere la vista del cadavere di…Mar’i.
Un ultimo pensiero balenò nella mente dell’eroe in una frazione di lucidità prima di finire privo di sensi.
<Bruciare, doveva! Bruciare!! Non avessi mai salvato quello s*****o>
 
 
 
 
Capitolo u po’ corto, ma molto toccante.
Nel prossimo farò luce su glie eventi omessi in questo, fino ad allora…resterete sulle spine.
 
Ghostface
  
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