Agape
CAPITOLO
7 – COLLABORAZIONE CON ANGELO_NERO
Per
sempre.
Queste
parole volteggiavano nella mente di Heather.
Lui
ci sarebbe stato finché lei avesse voluto.
No,
troppo semplice.
Lui
ci sarebbe stato finché avrebbe sopportato.
Perché
l’asiatica purtroppo non era quella. Non era intrisa
così tanto di dolcezza. Lo
aveva fatto perché infondo, sentiva d’amarlo. E
dopo?
Si
sarebbe stufata di tutto ciò.
Quelle
carezze, quegli abbracci e quelle parole dolci, non appartenevano a
lei.
Semplicemente, era diversa.
Diversa
da Gwen, diversa da ogni singola ragazza che popolasse quel fottuto
mondo.
Quanti
ne aveva avuti, di uomini? Oh, tanti. E cos’era a rendere
quel ragazzo speciale
al dispetto degli altri?
Quello
stesso pomeriggio avevano aiutato Duncan con i preparativi del
matrimonio e lei
aveva fatto di tutto per mantenere un sorriso smielato ed
incoraggiante. Con un
risultato nullo.
Si
detestava.
Detestava
il fatto che fosse così maledettamente cinica. E trincerava
sé stessa e ciò che
la concerneva.
Nessuno
avrebbe mai dovuto dedurre quando infondo, fosse cagionevole.
Heather
Wilson?
Quella
stessa Heather Wilson che disprezzava ogni singola esistenza, con il
solo fine
di renderla invivibile?
Sì,
era palesemente lei.
Lei
che ora, abbracciata a quel ragazzo così diverso e speciale,
temeva.
Temeva
che lui avrebbe scoperto i suoi altarini.
Ma
d’altro canto sperava che l’avrebbe accettata
così, senza cambiarla.
I
suoi pensieri erano una matassa, un garbuglio intrecciato…
così ineffabili!
Così cupi che neppure lei sapeva scorgerne la via
d’uscita.
Avevano
aiutato Duncan con la sua proposta e Scott era sembrato sinceramente
felice con
l’amico, senza proporre battute di cattivo genere e tirandosi
indietro ogni
qual volta che il punk gli poneva delle domande, giustificandosi con
“Io non ne
capisco nulla, di donne”.
Che
bugiardo.
Ah,
se ci capiva! Perché in quel momento Heather non sarebbe
stata così presa a
limonare con lui, negli ultimi posti del pullman che avevano preso per
andare
ad un ristorante parecchio distante dalle loro vie abituali.
L’asiatica,
mentre rivolgeva la lingua all’interno della bocca di Scott,
stentava a credere
che egli non usasse nessuna strategia e che andasse a istinto, come
appunto una
volpe faceva.
Il
ragazzo non amava perfezionare le sue mosse, se fiutava qualcuno di
interessante
quel qualcuno doveva essere automaticamente suo.
Cacciatore,
preda.
Di
chi erano i ruoli, lì?
Sapevano
che i loro caratteri erano incredibilmente affini. Con Alejandro,
Heather aveva
sopportato parecchie notti, concedendogli tal volta più
libertà nello spazioso
letto matrimoniale. Ma con lo spagnolo era tutta una messa in scena.
Oh,
i due cattivi che avrebbero vissuto felici e contenti in
quell’instabile
castello di carta che rappresentava il loro dolce amore…
Forse
così, una Gwen dagli ormoni a mille e dopo la sua prima
notte d’amore, aveva
definito quei due. Lo avrebbe di sicuro fatto se l’asiatica
non l’avesse
bloccata.
Cos’era
che rendeva diverso quell’idiota insignificante dai capelli
rossi?
Non
c’era nulla di che.
Bellezza?
Beh,
di quella ne aveva avuta. Heather aveva solo il meglio.
Eppure
Scott si differenziava.
Con
quella poca cura in sé stesso, quella fiducia mancata verso
il prossimo, quei
lavori pesanti che avevano fatto sì che sviluppasse un
fisico perfetto.
E
poi quei capelli ispidi, non sempre profumati, ma quando lo erano
sapevano di
talco e bagnoschiuma. Quello fu uno di quei rari momenti, forse
studiato a
posta, dove lei si dilettava nell’affondare le dita
affusolate tra la sua folta
capigliatura.
Le
lentiggini. Un’altra cosa che stranamente
l’eccitava.
Poter
baciare ogni singola macchiolina e scivolare su tutta la sua
pelle… era la cosa
più sexy che in quel momento, avvinghiata a lui e senza
respiro, pensò che
potesse fare.
Ironia
della sorte. Poteva avere il meglio ma per lei, si era infatuata del
peggiore.
Questo
c’era di sbagliato nella sua mentalità
-Heather,
cioè, non che voglia interromperti- cominciò con
un ghigno bastardo il rosso
–ma questa è la nostra fermata-
l’asiatica si alzò dalle sue ginocchia,
incrociando le braccia e scostando i capelli neri e lunghi
–Sì sì, capisco-
Scesero
dall’autobus e lei si sistemò i pantaloncini
corti. Era quasi sera oramai e
francamente era curiosa di avere notizie da Gwen. Anche se
più guardava il
cellulare e più si rifiutava nel contattarla
-Beh,
dove mi hai portato? Guarda che io, pranzo esclusivamente in posti di
prima
classe!- si rimirò le unghie laccate, fissandolo sottecchi
-Allora
ti conviene cambiare accompagnatore, perché io non ho la
benché minima idea di
come si mangi in quei posti strani dove va la gente come te e
soprattutto, non
ho intenzione di imparare per nessuno-
Sogghignò
vedendole storcere le labbra –Benissimo, chiamerò
un taxi e me ne tornerò a
casa!- concluse falsamente.
Scott
infondo sapeva che mai avrebbe rinunciato a lui per un’intera
serata. C’erano
tante cose che lei non conosceva della sua persona e, non capirci era
una cosa
ed essere stupido un’altra. Si vedeva lontano un miglio che
l’asiatica moriva
dalla voglia di stare con lui.
Heather
batté con le dita sullo schermo a cristalli liquidi del
cellulare, aspettando
che la iena lo fermasse. Ma perse, quella volta e ripose
l’aggeggio in un tasca
-Se
continui così ti mollo qua e me ne vado-
-Tesoro…-
sussurrò il rosso facendo schioccare la lingua contro il
palato –Che c’è?-
domandò sbrigativa lei –Potrei sputtanarti, sai?-
E
così dicendo estrasse il suo di telefono dalla tasca dei
jeans blu, facendo
partire una registrazione
"E
… sai io ti
ho portato nell'altra stanza perché … tu sei
diverso e la mia camera ne aveva
visti tanti, di ragazzi. Troppi. E non volevo che vedesse anche te. Non
andartene mai, Scott."
Heather
sobbalzò –Che hai fatto?!- domandò
furiosa, gettandosi su di lui e spingendolo
a terra. Si ritrovò sul suo stomaco, mentre tentava di
acchiappare il cellulare
dalle mani forti della iena, che appunto, le aveva fatto un bello
scherzo
-E
non ci sono solo queste registrate, sai? Ma tutte le sdolcinatezze che
mi hai
detto ieri sono qui! Insomma, le ho amate… ma infondo sono
sempre io, no? Così
avrò la possibilità di sentire la tua bellissima
voce anche quando non ci sei-
Concluse
con un pizzico di romanticismo a condire il suo tono di voce
-Sei
un… oddio quanto ti odio…-
Scott
si alzò su i gomiti, sorridendo falsamente e assumendo una
gentile aria da
innocente –Grazie, anche io ti amo-
Rispose
alzandosi e offrendole il suo braccio –Andiamo, signorina? O
mi deve
costringere a usare metodi drastici?-
Con
una fintissima malavoglia Heather si attaccò al suo braccio,
facendogli la
linguaccia.
Percorsero
la lunga strada di campagna, l’unica dove i mezzi pubblici le
passassero
difronte raramente. Heather continuava a lamentarsi per il dolore ai
piedi che
le zeppe le procuravano, quando Scott si calò, ponendo la
sua fidata sigaretta
tra le labbra, le sfilò le scarpe, tenendole in mano e
placando le ormai –per
lui. Innocue proteste dell’asiatica
–Così sarà più facile per te
e più
difficile per me- ammiccò, facendo passare un braccio sotto
le sue ginocchia e
dietro la schiena magra, per poi sollevarla e guardarla dritto in
quegli occhi
adirati –Mettimi giù, razza di…- un
microscopico bacio bloccò le sue proteste
sul nascere e per tutto il tempo che Scott spese per camminare aveva la
testa
poggiata sul suo petto, imprecando a bassa voce sulle sue idee malsane.
Le
spighe di grano e le canne di bambù volteggiavano piegate al
vento della sera
che man mano stava calando, mentre gli ultimi cinguettii degli uccelli
del
posto calavano, lasciando il silenzio alle cicale, ai grilli e al
fastidioso
gracidare delle rane presenti nel piccolo stagno al fianco al quale
stavano
camminando. Quella distesa gialla parve non interrompersi
più e quando
finalmente Scott la scosse dai suoi pensieri, Heather si
stropicciò gli occhi
che aveva chiuso per riposarsi.
In
braccio a lui, poi. Che infinita vergogna
-Siamo
arrivati-
La
posò per terra e lei poté alzare il volto in
alto, percependo la fresca aria
serale sul viso e fissando per un paio di secondi il cielo imbrunito
-Ma
mi prendi in giro? Questo è un posto identico a tutta questa
schifo di campagna
che qualche sfigato avrà coltivato, e pure male, ci
aggiungo! Mi hai solo fatto
perdere tempo-
Fece
per andarsene, quando il polso esile fu bloccato dalla presa del
ragazzo –Aspetta
a giudicare, bella- le fece l’occhiolino, scostando le alte
canne di bambù
difronte a loro, prendendola per un braccio e trascinandola con poca
grazia al
suo fianco –Questa, è casa mia-
Presentò
indicando fiero l’orizzonte.
Il
sole tagliava perfettamente la linea tra il cielo e i campi, mentre le
rondini
volavano verso l’alto, verso un nulla sconosciuto. Quel nulla
in cui, anche
Heather si stava avventurando.
La
distesa erbosa e, infondo a tutto, nel bel mezzo del campo, si
stagliava una
classica fattoria rossa, con tanto di mulino.
Il
ruscello continuava sotto i loro piedi, irrigando tutta la terra che
Scott con
suo padre aveva lavorato per interi anni.
Il
tramonto appena finito riscaldava la loro pelle, forgiata anche dal
vento.
La
palla infuocata solare, stava scomparendo
-Questo
sono io, Heather- sussurrò per non porre fine
all’espressione estasiata di lei,
che si riprese battendo le ciglia –Questo sono io e se
vorrai, dovrai
accettarmi così. Non posso cambiare-
Attraversò
di nuovo le canne, rientrando nell’altro campo e lasciando
l’altura collinosa
che aveva fatto godere loro il paesaggio
-Ora,
te ne puoi pure andare-
La
stava letteralmente cacciando.
Purtroppo
l’asiatica sapeva che quel tutto non le sarebbe mai bastato.
Lei
ambiva all’élite, una cosa che il contadino non le
poteva offrire. Lui poteva
darle solo amore.
Ma
l’amore, a una come lei, non bastava.
Tornò
a casa sua da sola, capendo che Scott non l’avrebbe
riaccompagnata, offeso
palesemente dal suo comportamento.
Una
volta arrivata difronte la porta di casa sua, attanagliata da quelle
molteplici
angosce che mai le concedevano tregua dalla notte passata,
ritrovò, appoggiato
allo stipite della porta, un ragazzo.
Non
ricordava neppure chi era, sapeva solo che era infuriato.
E
capirai!
Non
era la prima volta che lasciava qualcuno senza neppure ricordarsene e
se uno di
quei tanti idioti voleva darle rogne si sbagliava alla grande, non era
in vena!
-Chi
sei?- domandò sbuffando e cercando le chiavi nella borsa.
Sentì il polso
stretto nella mano dell’altro, che
l’attirò a sé –Nessuno
d’importante… e che
capiscimi, sta sera nulla avevo da fare e stare un po’con te
mi sarebbe
piaciuto. Naturalmente senza impegni, bellezza-
Era
un ragazzo dai capelli biondi e lunghi, con due occhi grigi e un
sorriso
perfetto. Il corpo ben sviluppato e l’aria superiore.
Sì,
infondo aveva bisogno di svagarsi un po’.
Non
era la prima volta neppure che andava a letto con un chissà
chi dimenticato dal
tempo.
Fece
spallucce, indifferente
-Mi
casa est tu casa-
Spalancò
la porta e quello entrò. Dal suo portamento lo riconobbe
subito! Dylan!
Sì,
quel modello con il quale era finita col farci sesso senza naturalmente
ricordandosi il perché.
Oh,
tutto chiaro adesso!
Dopo aver messo ben a fuoco l’immagine annuì
soddisfatta, posando la borsa sul
divano in pelle –Sei agitata?- sussurrò lui al suo
orecchio, spogliandola.
***
Duncan
ha sempre pensato che un vero amico si vedesse nel momento del bisogno,
difronte a una birra, seduta a un tavolino d’un bar.
Per
questo alle otto e mezza di quella sera, invece di stare con la sua
futura
moglie, era appoggiato svogliatamente a una sedia, interessato ai
discorsi di
Scott
-Insomma,
chi si crede di essere? Capisco che è potente e bla bla, ma
nessuno si comporta
in questo modo impertinente, con me, poi!-
Continuava
a farneticare su quanto l’asiatica fosse scortese e il punk,
da amico fedele,
annuiva accondiscendete a tutte le proteste del rosso. Che poteva fare,
d'altronde?
Aveva
ragione! Eccome, se ce l’aveva.
Non
capiva proprio il perché quel ragazzo già con
tanti problemi con la sua
famiglia, dovesse incasinarsi di più con una donna del
genere. Una volta che
l’altro bevve tutto d’un fiato l’ultimo
sorso di birra, si pulì le labbra con
il dorso della mano, sospirando per poi fissarlo malizioso
-Allora,
come ha reagito Gwen alla proposta?-
Domandò
ammiccante e sorridente. A quella domanda gli occhi gli si
illuminarono.
Pensare a quella
sera fantastica gli
faceva venire il mal di stomaco… come lo chiamava, Gwen? Ah,
sì. Le farfalle
svolazzanti!
Duncan
si limitò a annuire, dandogli una pacca sulle spalle
–Amico, capisco che
l’amore è cieco… ma… beh,
potresti fottertene di Heather e cercare una vera
ragazza, una donna con la “D” maiuscola,
perché quella pensa solo al sesso. Non
che non sia bello, però non ti mettere in testa
d’avere una storia seria con
quella tipa-
Scott
sospirò, passandosi una mano sul viso e annuendo concorde
-Lo
so, ma non posso farne a meno-
Ammise
arrossendo a quella rivelazione
-E
che intendi fare?- scrollò le spalle, ignorante sulle
decisioni più giuste che
avrebbe dovuto intraprendere –Fratello, te lo dico io:
dimenticatela. Hather
Wilson porta solo rogne, non è fatta né per amare
né per essere amata.
RASSEGNATI-
Anche
lui bevve l’ultimo sorso della bevanda giallastra, senza
poter fare a meno di
pensare alla sua Gwen e ai discordi folli che solo due ventenni
potevano fare.
Si
sarebbero sposati, avrebbero fatto la loro luna di miele e sarebbero
scappati
per l’eternità, accompagnati fino alla vecchiaia
dal loro amore. Non poté far a
meno di sorridere al ricordo delle parole della fidanzata, che aveva
raccontato
anche a Scott, tentando di tirargli su il morale. Purtroppo non
funzionava
nulla, il rosso era talmente giù che neppure una super
sbronza lo avrebbe
aiutato a rimettersi in piedi
-Ma
si può sapere che cosa vedi in lei oltre alla bellezza?-
chiese esausto perché
infondo, per lui non ragionava abbastanza –Tante cose-
rispose ovvio
-Elencamele-
-Non
lo saprei fare-
-E
perché? Io potrei dirti ogni singola caratteristica della
mia Gwen!-
-Vedi,
non è semplice. Heather non si può definire in
qualche modo, non ci sono
aggettivi per lei, se non la falsità. Mi sembra che reciti
sempre una parte che
le di addice poco e che le venga anche male-
-Io
penso il contrario- replicò, ma l’altro non lo
badò –Lei ha quel qualcosa in
più che mi affascina, quel gusto di stranezza che devo per
forza comprendere!
Mi capisci?-
-Vorrei,
amico, lo vorrei tanto. Ma purtroppo, no, non comprendo-
Si
alzarono entrambi insoddisfatti della chiacchierata, dirigendosi alle
loro
rispettive case.
Solo
che a Duncan, Gwen l’aspettava.
Mentre
a Scott toccava rinchiudersi in quella solitudine che era la soffitta
scadente
della sua fattoria.
Quella
notte, posto sotto il tetto rotto e senza tegole, guardava il cielo.
E
fissava le stelle, tentando di capire il mistero.
Il
mistero che stava intraprendendo con quella donna.
Dio
ci da l’amore, ma non sceglie chi farci amare.
Questo
era ciò che sua madre gli ripeteva quando era ancora in
vita, senza riuscire a
spiegare cosa provasse per quell’uomo rozzo e privo
d’interessi che era suo
padre.
Intanto,
neppure gli astri gli davano pace per resistere a intere ore notturne,
che
passò insonni a tormentarsi.
Su
quale fossero i pensieri di Heather e quale fosse il modo migliore per
comprenderli.
Eppure
non trovava risposta.
Sapeva
per certo che, ogni persona sulla faccia della Terra, dovesse avere
qualcosa di
buono.
E
lui per poco tempo aveva potuto godere del lato luminoso
dell’asiatica.
Voleva
farlo venire alla luce.
Non
sapeva se ci sarebbe riuscito.
Writen By Stella_2000