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Autore: Francine    05/09/2014    7 recensioni
Tutti abbiamo degli scheletri nell'armadio, segreti che non vorremmo che mai e poi mai fossero rivelati, giusto? Bene. Anche Milo di Scorpio ne ha uno. E bello grosso, pure. Che proviene dritto dritto dal suo passato. E che salta fuori, all'improvviso, da un anonimo quaderno con la copertina bordeaux...
[Baby!Gold Saint!]
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Aries Shion, Scorpion Milo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scripta Manent'
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Quando il dito indica la luna lo stolto guarda il dito
(proverbio cinese)

 
I monti Lu in estate sono uno spettacolo che rinfranca il cuore e lo sguardo. Verdissimi, carichi di erba lussureggiante, spiccano contro un cielo azzurro come a volersi ricongiungere con le nuvole che, a sera, scendono a lambire i picchi come soffice bambagia. O come una coperta rimboccata da una madre amorevole.
La cascata scroscia a piena potenza, nonostante i fiumi abbiano una portata minore, adesso che luglio spande tutto il suo calore nell’aria. Il vecchio Doko è sempre lì, seduto ad osservare quell’acqua rombare a valle, in un salto di cento e passa metri. Un cappello di paglia intrecciata lo protegge dal sole. Una coperta gli è scivolata dalle spalle. Una pietra piatta gli fa da sedile, le gambe incrociate e le palpebre serrate. Sembra quasi stia dormendo. O faccia parte del paesaggio, come una piccola statua votiva lasciata dai pellegrini accanto alla cascata. In onore del Dio Dragone.
Sion dell’Ariete si avvicina a passi lenti. Non vuole svegliare Doko di soprassalto, e non vuole introdursi nel suo territorio come se fosse casa sua. Ne approfitta per sporgersi oltre il dirupo. È un bel volo. L’acqua crea una nuvola di schizzi e vapor acqueo che rende impossibile vedere il fondo della cascata e l’acqua limpida del fiume. E così lì sotto riposa l’Armatura del Drago, pensa Sion. Sovrappensiero. L’aria umida sale ad accarezzargli i capelli ed il lembo della veste.
«Attento a non sporgerti troppo. Non è un salto adatto ad una persona anziana come te», gracchia una voce, come di foglie secche calpestate.
«Vedo che ti sei rinsecchito, ma non ti è passata la voglia di scherzare, vecchio mio…»
Una risata secca, come di unghie che graffiano sulla lavagna, arriva in risposta.
«Non sei cambiato di una virgola, Sion.»
Neppure tu, Doko, vorrebe ribattere, ma non può. Lui ha conservato la stessa fisicità di un tempo. Certo, nelle notti umide le sue ossa gridano dal dolore e certe mattine ha bisogno della gru per alzarsi dal letto, ma Doko… Doko si è curvato su se stesso. Prosciugato, come se qualcosa l’avesse risucchiato dall’interno. E Sion sa di cosa si tratta. Misopethamenos. Il sangue della divina Athena – il sangue di Sasha – che scorre nelle sue vene. Deglutisce, a fatica, e ribatte: «Invecchiando non si migliora. Si matura, amico mio».
Doko annuisce.
Afferra il bastone nodoso che si trova ai suoi piedi e vi si puntella sopra. Si solleva, con movimenti lenti, da tartaruga, e scende dal suo sedile.
«Vieni», gli dice, tornando verso casa. «Si conversa meglio davanti ad un buon tè.»
 
Era da tanto che non sentiva Doko ridere così.
Era da tanto che non sentiva Doko ridere, con quel modo così suo di coinvolgere chi ha intorno, anche se chi gli sta intorno non ha alcuna voglia di ridere. E anche Sion, il vecchio Sion dell’Ariete ci casca. E ride. Anche se la situazione richiederebbe un approccio più serio. Ma l’allegria di Doko è così contagiosa che niente, non ce la fa a schiarirsi la voce con due colpi di tosse.
«Quanto mi ricordano quei due», dice Doko, asciugandosi una lacrima.
«Hai detto bene. Sono le loro copie, fatte e finite», commenta Sion. «Tutti loro, intendo...»
Lo sguardo di Doko si fa più attento. E serio. «Capisco», dice. «Doveva succedere, alla fine. Non trovi anche tu?»
E Sion si dice che sì, doveva succedere. E doveva succedere per lei. Per Sasha. Perché i suoi compagni – i loro compagni – li avrebbero raggiunti. E avrebbero combattuto ancora una volta per lei. Tutti assieme.
Il vecchio Ariete si schiarisce la voce con due colpi di tosse, e annuisce. «Sì. Doveva succedere.» E grazie ad Athena è successo.
«Su, non prendertela», gli dice Doko. «Tieni presente che sono ancora piccoli…»
«Sono Santi di Athena, non monelli di strada! Devono collaborare, non…»
«Non rammenti quanto sapesse essere dispettoso Kardia? O quanto sapesse essere indisponente Manigoldo?», gli domanda Doko, lo sguardo perso ad osservare il vapore che si alza dalle tazze di tè verde.
E Sion ricorda la propria gioventù, quando non capiva che gusto ci trovasse Kardia a punzecchiare quel santo di Dégel, e perché mai Manigoldo dovesse usare tanta strafottenza nei confronti del vecchio Sage. Vecchio Sage che sapeva rimetterlo in riga a suon di pugni, se necessario, rammenta il vecchio Ariete prendendo la propria tazza. È ancora calda. E profumata.
«Tu sei stato un maestro, differenza mia», e gli occhi di Doko si velano di tristezza. Sion sa di stargli propinando un boccone amaro con sopra appena un velo di zucchero; ma spera che sia sufficiente a convincere Doko a ricordare il passato. E a suggerirgli un modo per aiutare quei due a capirsi. Perché forse non sarà stato Milo a cospargere di colla il cuscino di Aldebaran, ma quando Acquario e Scorpione si incontrano, c’è odore di piombo, nell’aria. E se lui non interverrà subito, Ade non troverà nessuno a sbarrargli il cammino verso Athena…
«È stato molto tempo fa. Troppo», dice Doko, la voce velata di una tristezza agrodolce. «Ogni allievo è un universo a sé.»
«Me ne rendo conto», ribatte Sion. Che non si è certo teletrasportato in Cina per sentirsi dire cose che sapeva già.
«Ma c’è qualcosa che lega tutti quanti, allievi e non.»
«E cosa?»
Doko sorride. In quel modo così franco e aperto da risultare quasi pericoloso.
«Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito…»
 
 
Quando il Grande sacerdote di Athena ti manda a chiamare, non è bene farlo attendere. Mai. Perché se il Sant’Uomo chiede di te c’è sempre un motivo. Quale che sia, non importa. Lo scoprirai una volta arrivato, ed è la curiosità di sapere perché il Sacerdote li abbia chiamati – li abbia chiamati assieme – che mette le ali ai piedi di Camus e di Milo. Ciascuno per ragioni diverse, ma la domanda di fondo che accomuna le loro menti – senza che neppure lo sospettino – è la medesima: «Perché c’è anche lui?».
Trovano Aiolos nelle stanze del Sacerdote. Ritto come uno stoccafisso, avvolto nella sua scintillante armatura, le lunghe ali drappeggiate alle sue spalle che sfiorano il velluto rosso ai piedi del trono. Sembra un angelo. Un angelo vendicatore, dall’espressione seria che sfoggia il Santo della Nona Casa. Lancia loro appena uno sguardo, di sfuggita, mentre avanzano e si inginocchiano ai piedi del trono. Ma quando Camus e Milo abbassano il capo per ascoltare le parole del Sacerdote, entrambi sentono lo sguardo di Aiolos passarli da parte a parte. Come un pugnale ben piantato nella schiena.
Il Sommo Sion trattiene a stento un sorriso. Non indossa la maschera, oggi. Fa troppo caldo. E quell’affare sta diventando sempre più pesante, per lui.
«Scorpione. Acquario. Vi ringrazio per esservi presentati con tanta celerità.»
«Dovere, Santità.»
«Ho bisogno di affidarvi una missione», inizia a dire il Sacerdote, seduto sullo scranno. «Come saprete, Saga dei Gemelli sta monitorando i movimenti di Poseidone nelle vicinanze di Capo Sounion.»
«Poseidone?», azzarda Milo. Perplesso. Ma come? Il nostro nemico giurato non era Ade?, sembrano dire i suoi occhi azzurri.
«Poseidone si contendette l’Attica con Athena», mormora quasi Camus, accanto a lui. «Athena lo rinchiuse in un’anfora, secoli fa. E potrebbe…»
«Precisamente», interviene Sion. «Saga sta osservando eventuali movimenti di Poseidone. Un suo risveglio è sempre possibile, pur se poco probabile. E non vorremmo trovarci ad affrontare due nemici in contemporanea.»
Ok. Quindi?, gli chiedono gli occhi di entrambi. Aiolos tace. Non muove un muscolo. Sembra quasi una Cariatide che ha lasciato l’Eretteo per andare a farsi una passeggiata.
«Ho bisogno che voi portiate una missiva a Saga e torniate al Santuario con il resoconto dei suoi appostamenti», dice Sion alzandosi.
«Dobbiamo fare i portalettere?», domanda Milo. Scandalizzato quasi.
«Vorrei che tu non la vedessi in questi termini, Scorpione, ma se ti fa piacere, sì.»
«Santità», e Milo si alza in un clang sotto gli occhi esterrefatti di Camus e lo sguardo severo di Aiolos. Il Sagittario fa per posargli una mano sulla spalla e metterlo in ginocchio a forza, ma il Sacerdote lo ferma con un gesto. «Santità… è proprio necessario
«Sì, Milo», ma nemmeno questo sembra vincere le rimostranze del ragazzino che ha davanti. Cocciuto di un greco cocciuto, pensa Sion. Poi si schiarisce la voce e prosegue: «Il luogo dove si trova Saga  e la sua stessa missione devono rimanere nel segreto più assoluto. Posso parlarne a voi solo, che fate parte della cerchia più alta dei Santi di Athena.»
«Comprendo, Santità. Ma allora, perché non inviare Aiolos?»
«Perché Aiolos ha un altro compito, Camus.»
«D’accordo», protesta Milo. «Ma perché dobbiamo andarci in due?»
«Perché è una missione rischiosa, Scorpione.» Silenzio. Sion può proseguire. «Ho bisogno che vi guardiate le spalle a vicenda. E che almeno uno di voi torni indietro con le informazioni raccolte da Saga.»
Milo e Camus lo fissano ammutoliti. C’è davvero il rischio di lasciarci la pelle?, pensano entrambi, nello stesso momento, anche se non l’ammetteranno mai. Ed il silenzio che ricevono dal Sacerdote è una risposta più che eloquente.
Sion colma la distanza tra sé e i due giovanissimi Santi e porge loro una pergamena, chiusa dalla ceralacca. Sul rosso cremisi spicca la civetta di Athena. «Questa missiva deve arrivare intatta a Saga. Intatta. Partirete immediatamente per Capo Sounion. Porterete questa missiva a Saga e tornerete al Santuario con il suo rapporto.» Silenzio. «È tutto chiaro?»
«Sì, Santità», rispondono all’unisono.
 
«Di qua.»
«No. Di qua.»
«Ti dico di no.»
«E io ti dico di sì!», insiste Milo. «Chi è il greco, tra i due?»
«La domanda dovrebbe essere chi ha il senso dell’orientamento», ribatte tranquillo l’Acquario.
«Io ho il senso dell’orientamento!», protesta lo Scorpione, rosso in viso.
«Dov’è l’Est?»
«A destra.»
«A destra» Camus trattiene un sospiro. «E dov’è la destra?»
«Da quella parte», risponde Milo. Indicando un punto alla sua sinistra.
«Cominciamo bene…»
 
Il sole al tramonto tinge di arancio acceso le colonne candide del Santuario, che si sta preparando per la sera. Le voci si abbassano, le luci si accendono, i ritmi rallentano. Giusto per il tempo della cena, giusto il tempo che il sole sparisca oltre i colli, ed il cielo si tinga di viola, indaco, blu. E le stelle fendano il buio della notte con il loro assoluto splendore.
Aiolos dovrebbe recarsi alla Nona Casa, perché sta per sorgere Venere. E Aiolia lo attende per la consueta lezione d’astronomia. Forse si unirà anche Shura a loro, e forse lo stanno già aspettando, con un bicchiere d’aranciata tra le mani; eppure i piedi del Sagittario sono fermi sugli scalini che collegano Tredicesima e Dodicesima Casa. E sta osservando da troppo tempo il cielo perché il Sommo Sion non se ne accorga e non decida di raggiungerlo.
«Ti vedo pensieroso, Aiolos…»
Aiolos serra la mandibola. Freme, quasi. Ma non accenna a parlare.
«Ti prego. Confidati pure con me. Cosa rende il tuo animo così inquieto?»
«Santità… Posso essere sincero?»
«Certamente, ragazzo.»
Aiolos prende fiato. Come quando si deve sputare un rospo indigesto. «Non credo sia stata una buona idea mandarli entrambi da Saga.»
«Perché? Temi forse Saga?»
«No, Santità», risponde il Sagittario. Male, pensa Sion. Dovresti, invece. Perché c’è qualcosa nell’animo di Saga che lo lascia inquieto. Un’ombra scura. E se davvero Doko ha ragione, se davvero i suoi ex compagni si sono reincarnati in quest’epoca per servire ancora Athena – per servire ancora Sasha – c’è la remota possibilità che possa saltare fuori un altro Gemelli. Come Aspros. E Defteros, pensa Sion.
«E allora cosa temi, Aiolos?»
«Quei due», gli confida il Sagittario. «Temo che possano finire per ammazzarsi a vicenda, Santità.»
Sion si stringe nelle spalle. «Aiolos, questa missione non esiste. Saga mi ha già inviato il suo rapporto la settimana scorsa.»
«Ma allora… allora perché?»
Sion fissa la luna che li osserva curiosa, coi suoi occhi d’argento. « Perché quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito.»
«Santità…»
«Stai tranquillo, Aiolos.Se così sarà, confido che Athena ci invierà un altro Scorpione ed un altro Acquario.» Sion si lascia andare ad una risata sommessa. «Vai pure. Aiolia ti starà aspettando.»
Sarà, pensa il Sagittario annuendo e scendendo i primi gradini. Sì, Aiolia lo starà aspettando. E chiederà a Shura di unirsi a loro, passando per la Decima Casa. Sarà. Ma ho lo stesso un brutto presentimento...
 
 


Sion dell’Ariete condivide con Mu, il suo discepolo, gli stessi poteri: telepatia, telecinesi e teletrasporto. E siccome non può alzare il telefono e farsi una chiacchierata col suo ex collega Doko per rinverdire i vecchi fasti, lo va a trovare. Così lo sveglia anche dalla catalessi in cui cade ogni due per tre, e che la Bilancia ha la faccia tosta di chiamare “meditazione”.

Doko della Bilancia ha ricevuto in dono il Misopethamenos, il sangue divino di Athena (Sasha), ragion per cui il suo cuore compie centomila battiti l’anno, invece che al giorno. Il suo compito è quello di vigilare che il sigillo su Ade non si spezzi prima del tempo, e se volete sapere chi, come e cosa, sfogliatevi Lost Canvas, ché vi fa solo bene. L’allievo di Doko era Tenma di Pegasus. Che sì, ha ficcato il nasino in questo capitolo, ma sarebbe stato strano se non fosse successo.

Nella mia capoccia bacata, i Santi di Lost Canvas e quelli della serie classica hanno le stesse fattezze per un motivo semplice: hanno deciso di reincarnarsi per continuare a proteggere Sasha/Athena. Pure se Saori sta a Sasha come la Strega Bacheca sta a Biancaneve.
 
Aspros e Defteros sono i Gemelli di Lost Canvas. Perché vi pare a voi che un Gemelli non abbia un gemello? Essù…
   
 
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