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Autore: May Begood    06/09/2014    3 recensioni
[UkHun] [Inghilterra x Ungheria]
Ungheria conduce una vita tranquilla: è rimasta in contatto con Austria a tal punto che entrambi vengono visti ancora come un Impero; frequenta spesso Francia e Spagna per stare in compagnia dell'amico/nemico ormai ex Prussia; si dedica alla sua casa e ignora quasi del tutto ciò che avviene oltre l'Italia o la Russia.
Per questo rimane sconvolta dall' intervento di Inghilterra, determinato ad aprirle gli occhi, e poi il cuore, trascinandola prima in una semplice collaborazione, poi in un rapporto amichevole che sfocerà nella passione più ardente.
Ad ostacolare la loro relazione interviene Scozia: non accetta, infatti, il fatto che suo fratello sia riuscito ad averla. Inventa quindi delle scuse per tenerli distanti e farsi avanti con Ungheria per il puro gusto di farlo.
Anche Romania è contrario alla loro relazione e minaccia Ungheria di svelare il suo segreto alle altre nazioni. Queste credono infatti che il patto fra Inghilterra e l'altra sia per lavoro.
Genere: Generale, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Scozia, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Succede al cuore'
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notaperilcapitolo: Ovviamente voglio ringraziare chi sta seguendo la mia storia e continua a darmi suggerimenti e consigli, o chiederli via messaggio privato, il che mi aiuta molto.
Siamo finalmente arrivati al Capitolo VII  di questa prima CrackPairing.
È stato un parto soprattutto perchè ho voluto descrivere l'intera serata, ma al contempo abbreviarla, visto che gli eventi più importanti della storia avverranno in un secondo momento. Tuttavia, gradirei qualche osservazione, soprattutto perchè ho cancellato e aggiunto parti e non so più se la storia segue un filo logico.
Ho scritto questo capitolo ascoltando "Kiss Me" di Ed Sheeran, per cui ci tengo moltissimo.

Detto questo, alcuni chiarimenti: non conosco molto nè la storia nè i personaggi dei fratelli Kirkland, e non ho trovato il tempo di approfondirli, visto che ero già in ritardo con l'aggiornamento. Per cui, i nomi che ho dato a Scozia, Galles, Irlanda e Irlanda del Nord sono quelli che ho trovato più spesso in giro per il web.

Non ho altro da aggiungere se non BUONA LETTURA.









CAPITOLO  VII

 


Sistemai il fastidioso corpetto verde.
Lisciai il tessuto sui miei fianchi larghi.
Spostai i capelli dal collo e dal viso.
Movimenti che stavo ripetendo continuamente, nervosa, a tal punto da non riuscire quasi a respirare, da un’ora buona.
Non perché temessi per il mio aspetto.
Mi piaceva il costume, e il trucco e il modo in cui avevo lisciato i capelli.
A turbarmi era l’impressione e la reazione che avrebbe avuto Inghilterra vedendomi.
E se Francis avesse voluto scherzare?
No, me ne sarei accorta, pensai.
Al massimo, nel peggiore dei casi, avrei tolto le orecchie che avevo saldato alla mia testa con altri ferretti.
Nina, una delle mie cameriere, stava bussando alla mia porta per comunicarmi l’arrivo del taxi.
Avevo insistito tanto per convincerla che sarei arrivata a Bruxelles da sola, ma lei aveva ribattuto che non sarebbe stato elegante e che mi sarei sgualcita il bellissimo vestito che indossavo.
  -A proposito, signora Ungheria. Se permette: da cosa è vestita?
  -Sono un coniglio magico, Nina.
Mi rivolse altri complimenti, più concentrati sulla mia persona che sul costume, ma non ne diedi peso: anzi, servivano, perché stavo andando proprio in iperventilazione.
Inghilterra avrebbe potuto essere già lì. E non potevo farlo aspettare.
Raggiunsi il taxi, angosciata da quest’ultimo pensiero, e mi accomodai, cercando di ritrovare il respiro e di calmarmi.
La serata era ancora lunga.
Avrei visto Inghilterra in qualunque momento lo desiderassi.
Mi lasciai ipnotizzare dal paesaggio che ogni giorno avevo dovuto percorrere in macchina da casa mia fino alla Sede e che si presentava buio sotto i nuvoloni che minacciavano un tempo pessimo, e così riuscii a riprendermi e a pensare che era presto, che Inghilterra sarebbe comunque rimasto lì perché ci era rimasto una giornata intera. Mi avrebbe raggiunto.
  -Prego, signora Ungheria. – disse l’autista con garbo e aprendo la portiera per farmi scendere.
Mi avvolsi nel cappotto bianco, afferrai la borsa in cui avevo nascosto tutto ciò che mi serviva per tenere intatto il costume ed uscii all’aria fredda di Bruxelles.
Erano quasi le otto.
Prima avrei avuto il tempo di scambiare qualche chiacchiera con Bielorussia e Russia che si erano fermati non appena avevano riconosciuto il tassista.
Andai loro incontro per salutarli.
Tanto non li avrei rivisti per l’intera serata.
Da quel che capii, Natalia era vestita da strega e Ivan da drago, ma in un modo tutto particolare che lo faceva sembrare adorabile ed innocente. Non seppi dire chi dei due era vestito meglio.
Cominciando a sentirmi a disagio per l’atmosfera negativa che in due riuscivano a creare, feci per andarmene.
  -Non vieni con noi? – chiese lei, vedendomi allontanarmi a poco a poco.
  -Devo aspettare. Entrate voi, ci vediamo tra poco.
  -Sicura? – intervenne lui sorridendo. Inquietante.
  -Certo. Grazie. Ciao.
Corsi via, verso la Biblioteca, ancora rabbrividendo.
Mi faceva un certo effetto incontrare Russia da sola. Fortuna che c’era Natalia, anche se non cambiava poi molto. Lei diventava un’altra quando era con Ivan.
I segni delle sue violenze.
La cosa strana era che cominciavano a pulsare e farmi male quando lo incontravo.
Scossi la testa per scacciare via quei pensieri e cercare di tenere al caldo il fianco su cui quelle cicatrici erano più evidenti e recenti, perché un soffio di vento le aveva risvegliate.
Ma cominciarono a bruciare, un bruciore superficiale, non fisico, che sentivo perché la mia mente voleva, e fui costretta a fermarmi appena prima della Biblioteca. Mi afferrai il fianco e mi chinai con un gemito. Sembrava avessi un palloncino dentro di me che era sul punto di scoppiare, per cui ogni movimento si rivelava dolorosissimo.
Lasciai cadere la borsa su una panchina per cercare di aprirla e vedere se avessi portato con me qualcosa di utile, ma mi sentii afferrare bruscamente un braccio. Qualcuno mi voltò e mi tirò contro il suo petto.
Il dolore attenuò. Sospirai sollevata e alzai lo sguardo.
Sorrisi.
Scozia ricambiò, ma continuò a guardarmi dalla testa ai piedi con aria seria.
  -Cos’è successo, sweetie?
  -Nulla. Un mancamento.
  -Un mancamento? Forse il vestito ti sta stretto!
Non feci in tempo a dire nulla, perché Allistor aveva già aperto il mio cappotto e aveva dato un fischio d’apprezzamento che però mi urtò.
Mi coprii, afferrai la borsa e feci per allontanarmi, ma di nuovo mi tirò indietro, approfittando del fatto che fossi ancora sconvolta.
Ridacchiò e mi prese sotto braccio. Lo lasciai fare.
  -Sei una fatina?
  -No.
  -E cosa allora? Sembri una caramella.
Senza rispondere, indossai le orecchie e gli mostrai il vestito completo con aria seccata.
Corrugò la fronte, forse cercando di capire. Non impiegò molto prima di rendersi conto che ero vestita da Flying Mint Bunny. Inarcò un sopracciglio ed annuì:
  -Non male. L’hai cucito tu?
Visto che non smetteva di fissarmi, richiusi il cappotto per la seconda volta e sbuffai.
  -Sì, l’ho cucito io.
  -Bello. Peccato però...
  -Cosa?
  -Che lui non possa vederlo. Forse l’avrebbe presa bene. Si vede che ci hai lavorato molto.
  -Un momento! Ma cosa stai dicendo, Allistor? Che significa che lui non potrà vederlo?
Spalancò gli occhi sorpreso, anche se nel suo caso sembrò un altro tentativo di ammaliarmi.
  -Non lo sai, sweetie? Arthur non viene alla festa.
Mi voltai verso di lui, incredula: non poteva dirmelo così.
Non era possibile.
E non contava il vestito, assolutamente, né le giornate trascorse ai preparativi.
Scozia continuò:
  -È stato chiamato da Giappone e non credo farà in tempo a partecipare, soprattutto perché è partito tipo... venti minuti fa.
  -Non lo sapevo. – conclusi, sentendo il nervosismo scuotermi.
Si accese un sigaro e cominciò a fumare senza degnarmi di uno sguardo.
Gli diedi anche io le spalle e camminai furiosa verso la Biblioteca, con le prime lacrime che mi rigavano il viso.
Non sarebbe venuto.
Per tutta la serata non l’avrei visto.
Ed io, che mi ero appoggiata comodamente su quell’appuntamento organizzato dal fratello, mi ero resa conto che non valeva la pena entrare in Sala e divertirmi perché non sentivo la necessità di divertirmi.
Volevo chiacchierare con lui, consegnargli il libro, chiedergli tante cose, parlare in inglese e magari ballare con lui, più tardi. Ecco, era quello la serata che avevo programmato. Con lui.
Perché anche Inghilterra sapeva che era un’occasione per avvicinarmi. Sapeva che sarebbe stata la nostra serata e che tutti ci avrebbero guardato chiedendosi cosa io ci facessi con il rappresentante, e cosa lui ci facesse con il maschiaccio.
Ma non sarebbe venuto.
Mi rifugiai davanti all’enorme porta della struttura perché aveva cominciato a grandinare all’improvviso, senza un l’avviso della pioggia. Mi sedetti su uno scalino e sospirai nel disperato tentativo di calmarmi. Quella serata non voleva dare i suoi frutti, e non li avrebbe dati neanche se avessi preso il primo volo per il Giappone. Mi stavo sentendo male troppe volte e non era successo ancora niente.
Mi rialzai, decisa ad andarmene, ma Scozia mi aveva già raggiunta.
Si riavviò i capelli umidi con aria seccata e mi si avvicinò ancora intento a fumare.
Mi fissò e scosse la testa. Infine mise una mano nel taschino interno e mi porse un fazzoletto di stoffa, guardandosi attorno.
Lo accettai e mi asciugai il viso, tamponandolo appena.
  -Avanti, Liz. Entriamo. Hai fatto un lungo viaggio e hai faticato per avere un vestito molto originale.
  -Perché lo stai facendo, Allistor? Perché tanta cortesia nei confronti di tuo fratello?
Quella domanda lo fece voltare verso di me con un tale scatto che sembrava avessi parlato ostrogoto o che l’avessi insultato. Tornò ad evitare di guardarmi e diede un tiro al sigaro.
  -Che domanda è?
  -Non scorre buon sangue fra voi. Lo so benissimo. Perché mi hai fatto quel discorso sul “fare la brava ragazza”, “gli occhi dolci”, e tutte quelle altre cazzate lì?
  -Perché credo che si sia preso una bella cotta. Se non di più. Ma perché dovresti preoccupartene?
  -Perché forse sei tu che vuoi dargli una delusione! Non io!
Credevo che avesse in mente di avvicinarmi ad Inghilterra e poi allontanarmi per fargli un dispetto e dargli una nuova sofferenza.
  -Ho già dato.
  -Che significherebbe questo?
Sbuffò e il suo odio nei miei confronti aumentò visibilmente.
  -Che gli ho dato già abbastanza delusioni. Ma tu lo sai, no? Hai appena detto che sai!
Probabilmente si era innervosito perché imbarazzato.
Sospirai e gli chiesi scusa.
Calò un silenzio tombale, interrotto ogni tanto dai passi di Allistor che camminava nervosamente.
All’improvviso si voltò verso di me e mi sorrise.
  -Ti piace tanto?
Avvampai, non aspettandomi quella domanda. Ma annuii.
  -Sul serio? Sei strana. Cosa ti piace di lui?
Scossi la testa e ridacchiai infastidita: -Non lo so, effettivamente.
  -Avanti, rientriamo. – disse, prendendomi per un braccio e sollevandomi come se nulla fosse.
Senza lasciare la mia mano, Allistor mi coprì la testa con la sua giacca e mi trascinò contro le pareti della struttura per impedirmi di arrivare zuppa in Sala. Sarebbe stato molto utile aprire l’ombrello che avevo nella borsa, ma non mi aveva dato il tempo di prenderlo.
Raggiungemmo l’entrata e ci avviammo per il corridoio principale. Ebbi finalmente modo di posare le mie cose umide nel mio ufficio e di mostrare il mio costume, affatto pronta a spiegare il perché del Flying Mint Bunny.
Scozia mi disse che avrei potuto dire di aver letto una fiaba irlandese, visto che con il fratello avevo già qualche legame. Disse che Conor (Irlanda del Nord, mi sembrò di capire) si interessava alle leggende dei paesi dell’Est e che spesso scriveva qualcosa per il gusto di farlo, da fiabe a racconti horror, o umoristici.
Gli chiesi se Inghilterra era il solo dei fratelli ad essersi allontanato, o se era rimasto il solo alla festa.
  -Gli altri dovrebbero essere in giro. Non li vedrai in Sala. Ed io avrei voluto non venirci, ma poi ho pensato che saresti rimasta da sola, credendo di vedere mio fratello.
Disse l’ultima frase con un tono dispregiativo.
Forse gli costava davvero tanto starmi appresso per spingermi verso il fratello con cui non aveva buonissimi rapporti. Ma il fatto che lo facesse era apprezzabile. In fondo gli voleva bene, dopo il whisky e le donne. L’unica cosa a motivarlo doveva essere proprio la mia scollatura.
Ma non avevo intenzione di fare la pudica quella sera.
Mi sarei mostrata esattamente come avrei fatto con Inghilterra in giro.
Riavviai la chioma ancora un po’ umida e raggiunsi le altre nazioni che si tenevano vicini ai banchi colmi di buon cibo, in attesa della musica che potesse stimolarli a scendere in pista.
 
La Sala era diventata un palcoscenico bellissimo.
 
I panneggi delle tende con i diamanti che Inghilterra aveva fatto appendere avevano creato un’atmosfera magica con colori vibranti e sfocati sulle pareti e piccole stelle circolari sparse ovunque.
Ma ogni angolo era diverso dall’altro: c’era quello del fuoco e degli altri elementi naturali; la notte e il giorno; il sacro ed il profano; lo Zodiaco, ecc...
Quattro ragazzi agli angoli che controllavano la Sala e le portate.
Seychelles, vestita da sirena, occupava il bancone decorato con elementi marini.
Doveva essere l’Acqua.
Una piccola Luna (mi pare si trattasse del Principato di Wy) cercava di costringere un piccolo Sole, Sealand, a ballare come stava già facendo qualcuno.
Australia, mio compagno di nuoto, doveva essere un diavoletto che trascinava un povero angelo neozelandese tra un bancone e l’altro, alla ricerca di cibo poco grasso.
Gli orientali, che si erano proposti immediatamente di aiutare la Gran Bretagna con i preparativi e l’organizzazione del servizio dei tavoli, vagavano per la Sala con i loro splendidi vestiti esotici che, a loro modo, e senza particolare insistenza, rappresentavano i Segni Zodiacali.
 
Scozia ridacchiò e mi trascinò verso i suoi fratelli che attendevano in disparte, vicino ad una seconda uscita, che la Sala si riempisse. C’era anche Irlanda. Mi guardarono perplessi, poi sorpresi e alla fine sorrisero compiaciuti.
Allistor mi circondò le spalle con un braccio.
  -Ragazzi, lei è Elizaveta. Posso presentarvi? Liz, loro sono Seamus e Owen. Poi c’è Conor.
Mi salutarono con un cenno della testa o della mano, per indicarsi non appena Allistor ebbe fatto il loro nome. Non sapevo se sarei riuscita a distinguerli.
Certamente mi sarei ricordata di Conor: era molto simile allo scozzese, ma al contempo sembrava avere la garbatezza di Inghilterra. Mi si avvicinò e mi strinse la mano:
  -Elizaveta! Nice to meet you! Complimenti per il vestito!
  -Il vestito, certo. Va a vedere il vestito. Tsk. – borbottò Scozia.
  -Come mai questa scelta? – continuava l’irlandese.
I fratelli sorrisero e mi guardarono incuriositi, ma mantenendo una certa discrezione. Seamus e Owen sembravano molto più timidi degli altri due.
Gli spiegai che avevo scoperto la leggenda del coniglietto di menta per caso e leggendo un libro.
Lui mi sorrise e mi diede altri dettagli dell’esserino, ma disse che il mio vestito era davvero convincente ed unico nel suo genere.
  -Arthur sarebbe impazzito vedendoti. Che tessuto hai toccato? Posso toccare?
  -No. – intervenne di nuovo Scozia, allontanando la mano del fratello tesa verso una spallina.
  -Velluto. È abbastanza caldo.
Risposi, divertita dalla situazione.
Erano persone davvero garbate e simpatiche, ma tendevano troppo spesso a stare tra loro, anche se sembravano avere un’idea su come fossero le altre nazioni, su come fosse il mondo. Probabilmente leggevano e studiavano tanto. Tutti, eccetto Scozia.
  -Ho letto molto su di te, Hungary, davvero! E ho letto delle tue imprese e dei tuoi metodi di sopravvivenza quando eri in Russia. Davvero incredibile! Sei davvero forte, non conosco paese così furbo. Mi piacerebbe sapere di più sul tuo passato da nomade. Mica ti offendi? Ti piacerebbe se ne parlassimo davanti ad una birra? Ti piace la birra?
  -Signori, noi andiamo.
Allistor mi afferrò il braccio e mi trascinò via mentre il fratello mi raccomandava di fargli sapere cosa ne pensassi dell’appuntamento. Non mi sembrava così malizioso, eppure Allistor mi aveva tirata via bruscamente.
  -Che ti prende? Potevi lasciarmi lì!
Scosse la testa e si accese una sigaretta.
  -No, hanno da fare. Tocca a me guardare la Sala e tenerti d’occhio.
  -“Tenermi d’occhio”? Fortunatamente ho guadagnato la mia indipendenza da un bel po’ e non credo abbia bisogno dei guardiani per muovermi.
Rise dando un primo tiro e soffiando via il fumo dalle labbra socchiuse. Continuava a guardarmi con quell’aria superba, il che, in verità, mi faceva davvero incazzare.
Mi resi conto che sarei rimasta bloccata con lui per tutta la serata. E che probabilmente avrebbe agito sempre allo stesso modo: non avrei ballato, questo era sicuro anche perché io non mi sarei lasciata andare con lui; mi avrebbe fatto bere, ma solo perché era l’unica cosa che gli veniva in mente per tenermi occupata; e non mi avrebbe fatto avvicinare a nessun altro.
Una prigionia strana, ma a cui intendevo adeguarmi. Non volevo ballare, mi piaceva bere e non intendevo parlare con nessuno.
Neanche con le ragazze che mi stavano guardando con aria molto sorpresa ed incredula, che mi indicavano e parlottavano tra loro. Tutte vestite da fatina.
Perplessa, presi il mio drink e seguii Scozia che si stava avvicinando alla solita finestra aperta del corridoio per fumare in pace. Mi resi conto di ciò che stavano dicendo da me quando le intravidi affacciarsi per osservare il britannico.
Avevo avuto quello che volevo da quella serata, ma al posto di Inghilterra c’era il fratello.
Sospirai. Me l’ero cercata. Basta che non mi avesse messo le mani addosso e...
Una sua mano sul mio fianco.
Mi allontanai sorpresa e lo fulminai con un’occhiata, cosa che fu del tutto inutile, perché fingendo di non essersene accorto, si riappropriò del mio fianco e guardò fuori dalla finestra. Aveva smesso di grandinare, ma proveniva un’aria gelida insopportabile. Feci per tornare in sala, ma mi bloccò.
  -Eh, ma dove vai?
  -Ho voglia di un altro drink.
  -Anche per me, sweetie.
  -Sì, sì, certo...
Sgattaiolai via.
Quindi mi sarebbe bastato parlare di drink per svignarmela? Ottimo.
Mi avvicinai al banco dei drink, controllato da Liechtenstein e presi due analcolici.
Feci per andarmene, ma mi accorsi che le ragazze si stavano avvicinando a me, con espressioni divertite e maliziose.
  -Eli, che bel vestito!
  -Che fai, non ci saluti?
  -Te ne stai con Scozia stasera?
  -Ciao, ragazze. Grazie, anche i vostri vestiti da fata sono molto belli. Tutti, eh! Allistor mi aspetta...
 
 
Non so perché mi comportai in quel modo odioso. Forse perché ero stanca di fingere che mi importasse qualcosa di loro e dei loro stupidissimi problemi di cuore.
Io non ne avevo.
O meglio, non ancora.
 
 
In quel momento, nella Sala entrò Francis con uno strano vestito bianco e coperto dalla testa ai fianchi con una coperta anch’essa bianca; sulla testa c’erano due orecchie a punta e qualche ciuffo che fungeva da criniera e che si estendeva fino alla schiena di Antonio, chinato dietro Francis, che molto probabilmente aveva il ruolo di “posteriore”. E ne sembrava davvero entusiasta.
Esclamarono contenti e soddisfatti del loro costume, suscitando le risate dei presenti e di quelli che stavano arrivando proprio in quel momento.
Mi videro e corsero a salutarmi. Francis con un inchino, per cui scoprì Antonio che mi abbracciò con la solita invadenza e gioia.
  -Mon amour, tu es très belle!
  -Grazie, Fran.
  -Te gusta? Te gusta? – intervenne lo spagnolo indicando con orgoglio infantile la parte del costume che indossava.
  -Tonio, sei perfetto. E Gil? L’avete sentito?
  -Non, non penso che verrà. Siamo passati a trovarlo e non era à la maison.
  -Davvero?
  -Pensiamo sia andato a qualche altro evento mondano. D’altronde, a lui è concesso non partecipare, se non vuole. Mais... C’è poca gente, o sbaglio?
  -Il tempo non è molto invitante. Arriveranno più tardi, se gli viene permesso.
  -Tu sei sola, ma cherie?
  -Ehm, in realtà no.
  -Arthùr?
  -Non c’è. È andato da Giappone, ma non so perché. Me l’ha detto Scozia. Sono con lui adesso. Mi ha presentato i fratelli e adesso stiamo prendendo qualcosa da bere.
  -Oh, che peccato! Non potrà vederti! Tonio, hai sentito? Angleterre non c’è.
  -Adesso vado a...
  -Mais non! Cherie! Resta con noi! Balliamo un po’, ci divertiamo!
Non potevo dirgli di no perché contavano sulla mia compagnia, in assenza di Gilbert.
Così consegnai l’analcolico ad Allistor, che lo corresse con del whisky, e tornai dai miei amici per partecipare al primo ballo di gruppo della serata.
Era stata una sciocchezza credere che per la delusione non sarei stata in grado di ballare e divertirmi, legata prima a Francis, poi ad Antonio, poi a qualcun altro che non riuscii a identificare subito a causa del caos e della bevanda che reggevo e che mi prese in braccio, sollevandomi fino a mostrarmi alla folla.
Quando fui rimessa giù incontrai un paio di occhi rossi, accesi di desiderio.
In un primo momento pensa a Gilbert, e infatti lo abbracciai e gridai di gioia.
Ma sentii una bocca e qualcosa di freddo ed affilato che mi sfiorava la pelle del collo.
  -Salve. – sussurrò Vladimir, stringendomi a sé.
Feci appello a tutte le mie forze per mettergli le mani addosso e fare leva per allontanarlo.
Scaraventai facilmente Romania a terra e ripresi a ballare con i miei compagni.
 
Dopo un’ora, Francis ed io eravamo seduti ad un tavolo per consumare qualcosa, mentre Antonio ancora ballava, con una volontà che andava al di fuori di ogni aspettativa.
Ballava e rideva, rideva e ballava, invitando il Sud Italia, intento a scambiare qualche parola con Ucraina, a fare altrettanto.
  -Ma come fa?
  -Antoine! Vieni qua!
Tesi le gambe e continuai a sgranocchiare qualche nocciolina, mentre Seychelles si avvicinava per servirci di persona una porzione del banchetto italiano, visto che i camerieri scarseggiavano, piuttosto interessati a ballare e divertirsi.
  -Michelle, ma belle!
La ragazza brontolò qualcosa.
  -Sei stanca. Siediti – la invitai, spostando una sedia verso di lei.
Accettò il mio invito, con un sorriso esausto, e cominciò a togliersi il grembiule e le scarpe:
  -Ma dove sono i Kirkland? È un’anarchia senza di loro. Stanno cominciando tutti a bere, portare alcolici e spogliarsi.
  -Hai ragione, mon amour. Ma almeno ci si diverte. Altrimenti sarebbe stato un mortorio. Perché non vai a ballare anche tu?
  -Devo controllare il banco, altrimenti finiscono per rompere tutti i piatti. C’è Lily a controllare. È l’unico bancone sopravvissuto.
Francis si offrì di accompagnarla e di ballare insieme, e lei accettò disperata.
Povera ragazza. Era giovane, ma aveva avuto più buon senso di tutte le altre nazioni più anziane ed esperte. E aveva dovuto accettare di ballare con il francese a proprio rischio e pericolo.
  -Mi hai fatto male, prima!
Mi voltai e incontrai di nuovo gli occhi infiammati di Vladimir.
Sbuffai e lo ignorai mentre mi si avvicinava per spiegarmi che forse gli avevo rotto qualcosa.
Mi parlava e agitava il bicchiere di vino.
Dai pezzi di stoffa che indossava, quei pochi che gli rimanevano, capii che era vestito da lupo mannaro.
Solo appena cominciò ad allungare le mani per toccarmi una gamba, reagii gettandolo a terra con una spinta.
Dove avevo messo la mia adorata padella?
Avevo smesso di usarla da quando era avvenuto quel cambiamento in me.
Avevo già abbandonato la vecchia Elizaveta, ma non avevo ancora raggiunto la nuova.
Totalmente isolata dal mondo, continuai a bere il mio analcolico corretto con il rum finchè non mi sentii stanca e la mente non mi portò a fare ragionamenti strani.
Mi sentii costretta ad ammettere a me stessa che desideravo vedere Inghilterra e che forse il mio interesse nei suoi confronti andava oltre la semplice ammirazione.
Ero attratta da lui, anche se non avevamo mai avuto un incontro informale.
Sapevo che bisognava guardare oltre le sue mille divise storiche, dal pirata al soldato, per conoscere il vero Inghilterra. Io ero intenzionata a conoscerlo. Era l’infatuazione a parlare e a deciderlo.
Non avevo ancora bene in chiaro cosa provassi per lui, varie forze mi spingevano, altre mi allontanavano. Però avevo attirato la sua attenzione. Era interessato a me. Probabilmente sentiva la mia stessa necessità di avvicinarci, come alleati o forse amanti.
Non intendevo impegnarmi con lui, ma neanche giocarci.
Dovevamo unirci e basta.
E sarebbe avvenuta quella sera, se lui fosse stato presente.
Ma qualcosa mancava e alla fine non avevamo avuto modo di ritrovarci soli.
 
  -Lizzy?
Aprii gli occhi.
Mi girava la testa.
Incontrai l’immagine confusa di Allistor che mi teneva in braccio.
Sussultai, affatto intenzionata a farmi toccare da lui, ma non ebbi la forza di scendere.
Non reggevo la stessa quantità di alcol che reggeva lui. Perché avevo bevuto così tanto?
Mi poggiò ad un muro e mi fissò divertito, dandomi qualche schiaffetto sul viso.
  -Ti svegli, o no?
  -E basta, idiota! Non vedi che mi sto riprendendo?
Lo allontanai e sospirai, cercando di farmi passare il terribile mal di testa.
  -Ma a che cazzo pensavi? Te ne sei venuta fuori con discorsi sull’amore, sul sesso, sui pirati...
  -Ho parlato?
  -Hai più che parlato. L’hai praticamente gridato a chiunque ti si avvicinasse mentre ti portavo fuori. Dannazione, ve ne vuole per ubriacarsi dopo appena cinque minuti che inizia la festa, ragazza mia!
  -Devo andarmene da qui.
  -Hai detto anche questo. Hai detto che volevi andare in Giappone e so anche perché. Eheheh.
Lo spinsi via e gli restituii la giacca.
Rientrai per recuperare le mie cose.
Allistor non mi seguì e si lasciò distrarre da altre nazioni carine.
Arrivai al mio ufficio, tirai fuori le chiavi per aprire e magari rilassarmi sulla comoda poltrona, ma una presenza inquietante attirò la mia attenzione.
Mi voltai piano e la prima cosa che notai fu il suo canino.
Vladimir era nascosto nell’oscurità e mi fissava beffardo con i suoi occhi rossi.
Esasperata ricambiai lo sguardo.
  -Cosa vuoi?
Si strinse nelle spalle e mi si avvicinò pensieroso.
Un attimo prima che potesse allungare le mani per tentare di afferrarmi un braccio, capii le sue intenzioni e corsi via, cercando un posto in cui stare tranquilla.
Quel vestito, fortunatamente, non era ingombrante e mi permise di allungare le gambe e aumentare la velocità della corsa.
“Una serata da dimenticare!” pensai furiosa, rifugiandomi nella Sala e scomparendo tra la folla di nazioni che danzavano.
Non solo dovevo essere importunata dallo scozzese, ma anche da Romania che non trovava mai di meglio da fare se non irritarmi e mettermi le mani addosso. Doveva essere ubriaco anche lui. Si comportava in quel modo solo quando era brillo. La cosa odiosa era che mi rinfacciava di essere una femmina e quindi debole, secondo lui. Roba da pigliarlo a schiaffi fino a fargli saltare in aria quel canino finto, un dente che gli avevo scheggiato dopo averlo preso a padellate per ore.
Prima che potesse trovarmi, mi infilai sotto le lunghe tende, attenta a non far cadere né ciondolare troppo i diamanti appesi.
Affannata e stanca, e anche mezza stordita, cominciai a tranquillizzarmi. Mi appoggiai al parapetto, convinta che nessuno mi avrebbe trovata perché intenti a ballare e perché le tende erano doppie e non permettevano alla luce della luna di entrare.
Dapprima rimasi a guardare il paesaggio già innevato, poi tornai a piangere, dando sfogo alla sbronza e agli stupidi capricci che mi portava a fare.
Poi, esausta, mi accasciai contro la parete e mi addormentai tra il frastuono dei presenti, i tuoni e la musica ad alto volume.
 
 
A svegliarmi, finalmente, fu un tuono particolarmente forte.
Sussultai e cacciai un urlo.
Timorosa che qualcuno potesse avermi sentita, mi tappai la bocca con una mano ed ascoltai.
Silenzio assoluto.
Una brutta sensazione si impossessò di me e alzai appena il lembo della tenda per dare un’occhiata alla Sala.
Buio totale.
Non c’era musica, né risate, né chiacchiere, nessun ubriaco cronico.
Ero sola.
Mi avevano chiuso dentro?
Pazienza, pensai.
Sarei scappata via con le cattive maniere.
A mali estremi...
Feci per alzarmi e uscire allo scoperto, ma un rumore di passi mi fece rimettere sull’attenti, all’ascolto.
Riecheggiavano forte.
Era una sola persona.
Altri passi intervennero.
Qualcuno che correva e che si fermò più distante dalla prima persona che era entrata in sala.
Un leggero chiacchierio in sottofondo.
Un breve scambio di parole.
E i passi tornarono ad essere due.
Un sospiro stanco, un sussurro.
Mi chiesi se fosse il caso di uscire allo scoperto.
Se se ne fosse andato non avrei avuto più la possibilità di uscire.
Perciò mi alzai e inavvertitamente mossi la tenda, segnalando la mia presenza.
Ero stata scoperta?
Silenzio, di nuovo.
Non sentivo più nulla.
Che se ne fosse andato?
La tenda si aprì di colpo, svelandomi.
Feci per giustificarmi (ero ubriaca, mi sono addormentata), ma i miei occhi avevano già incontrato quelli che avevano cercato per l’intera serata.
Inghilterra mi guardò stupito, sorpreso, incredulo.
  -Ungheria!
Feci un cenno con la testa per ricambiare il saluto e sorrisi appena.
Si nascose anche lui dietro la tenda.
  -Ciao...
Si accorse del mio vestito e spalancò gli occhi, sorpreso.
  -Very beautiful.
Sussurrai un ringraziamento.
Annuì, ancora preso dallo scintillio delle mie orecchie e del velluto rivestito.
 
Ne approfittai per guardarlo e chiedermi cosa ci faccia a Bruxelles.
È sempre stato alla festa? Ha mentito a tutti per andare dove, poi?
Trattenni le lacrime, sentendomi sul punto di scoppiare.
“Perché devo piangere? L’ho visto, no? Non era quello che volevo?” pensavo mordendomi un labbro mentre Inghilterra allungava una mano per toccare una delle mie orecchie da coniglio.
Lentamente, la sua mano scivolò tra i miei capelli per poi fermarsi sulla spalla.
Mi sorrise e poi abbassò lo sguardo.
 
  -Mi dispiace molto. Il mio viaggio è stato anche inutile. Non sono arrivato in Giappone, il temporale non me l’ha permesso. E sono arrivato troppo tardi a Bruxelles.
Spiegò in un sussurro.
Rise nervoso e provò a mantenere il sorriso, ma il mio broncio non lo aiutò.
Sospirò e mise entrambi le mani dietro la schiena, notando una certa indifferenza da parte mia al suo tocco che voleva essere di consolazione.
 
Rimase in silenzio a lungo, non sapendo bene cosa dire.
Aspettava forse una mia risposta, ma non volevo rompere quel momento dicendo qualche sciocchezza. Ero ancora abbastanza sconvolta.
Involontariamente lasciai andare un singhiozzo ed una lacrima mi scivolò lungo la guancia.
Mi asciugai con una mano, accarezzandomi il viso con i polpastrelli, ma non riuscivo più a fermare il pianto.
I suoi tentativi di incoraggiarmi non mi avevano aiutata, anzi, erano un’ulteriore modo di deludermi.
Doveva essere la stanchezza.
Oppure mi ero finalmente lasciata andare alle mie emozioni, dopo anni di autocontrollo.
 
Inghilterra mi si avvicinò, cacciando un fazzoletto di stoffa pulito dalla tasca e tamponandomi le guance, mantenendomi il viso alzato con una mano senza fare troppa pressione.
  -Scusami, Elizaveta. – continuava a sussurrare, chiamandomi per nome.
La sua voce era bassa, vibrava e si perdeva in un sospiro.
Sentirla mi rilassava, mi faceva sentire bene, mi faceva sperare che la serata non era affatto finita.
Arthur era di fronte a me, e tentava di consolarmi sussurrando qualcosa nella sua lingua: sembravano piccole frasi sconnesse che non avevano né capo né fine.
Continuò a sfiorarmi il viso, ad accarezzarlo finché non fu asciutto e non mi tranquillizzai.
Finalmente gli sorrisi e lui ricambiò sollevato.
 
Dolcemente mi prese le mani e le accarezzò.
Da parte mia gliele strinsi, curiosa di approfondire quel contatto. E lui rispose.
 
Le sue mani non erano affatto morbide, ma ruvide e appena più grandi delle mie.
Sfioravano, accarezzavano, afferravano in uno strano gioco che conoscevamo solo noi due.
Si strinsero talmente che mi portarono ad avvicinarmi a lui e studiare meglio il suo viso e gli occhi che non avevano smesso un attimo di guardarmi meravigliati.
 
Tra i due, quello che aveva avuto realmente ciò che cercava sembrava lui, e non io.
Quelle carezze erano migliori anche di qualsiasi altro contatto formale od informale.
 
Arrossii, notando come quel semplice contatto mi stesse piacendo, e come fosse in grado di svelarci.
 
Le mie cercavano le sue, poi accadeva l’inverso non appena osavo ritirarmi di poco.
Non si erano trovate per tutta la serata. E adesso ci stavano dando modo di comunicare.
 
All’improvviso, con una strana esigenza, Arthur mi tirò a sé ed il mio naso sfiorò il suo.
Le sue mani si fermarono.
Il cuore cominciò a battere come impazzito.
Le mie mani si poggiarono sul suo petto, mentre lui mi cinse la vita con le braccia.
 
Sperai che non fosse un sogno.
Che lui mi stesse realmente guardando in quel modo.
E che il destino mi avesse davvero spinto tra le braccia di Inghilterra.
 
Mi baciò il viso, lì dove una lacrima si era appena fermata, ed io mi aggrappai a lui per invitarlo a continuare. Volevo che lo facesse per la serata insieme persa e perché ero stanca di aspettare.
Si avvicinò nuovamente per baciarmi l’altro zigomo.
 
Sorrise, tornando a sfiorarmi il mento.
Abbassai la testa per baciargli la mano che stava scivolando via.
 
Prima che potessi fare qualsiasi cosa, fece congiungere e schioccare le sue labbra con le mie in un casto bacio del tutto improvvisato.
Fu cauto, delicato e leggero.
Neanche me ne accorsi e lo guardai sorpresa, ma compiaciuta.
 
 
  -Arthur.
  -Scusami. Me lo riprendo subito.
 
Non colsi subito il significato di quelle parole, chè mi baciò di nuovo la bocca, stavolta facendo una leggera pressione.
 
Ridemmo, imbarazzati, ma senza aver perso la curiosità l’uno dell’altra e la voglia di continuare quel gioco.
 
Infatti gli restituii il bacio allo stesso modo, e allo stesso modo me lo ripresi.
E lui ricambiava, ogni volta più intenso della volta prima.
 
 
Francia aveva portato a casa Seychelles, che dopo un lungo viaggio lo aveva ricompensato con un sorriso.
Spagna aveva incontrato una nuova compagnia gioiosa e dolce.
Molto probabilmente, Austria dormiva già da qualche ora nel suo enorme letto a Vienna.
Romania stava vomitando l’anima per il troppo bere.
La Germania festeggiava insieme all’Italia.
Liechtenstein stava raccogliendo nuovi ricordi e li stava sistemando nel suo diario personale, prima di andare a dormire.
Scozia si era portato a casa qualche souvenir con cui divertirsi e trascorrere la notte.
Belgio era davanti casa, e stava rientrando proprio in quel momento, con i due fratelli Olanda e Lussemburgo.
Ed io ero rimasta dietro un’enorme tenda a scambiarmi dei baci con Inghilterra.
 
Mi ero legata al suo collo e mi ero sollevata appena sulle punte per riuscire ad arrivare alla sua bocca e baciarla più di una volta. Lui mi teneva i fianchi, li accarezzava. Le sue mani scivolavano dalle mie spalle fino all’anca, lente e senza particolare aspirazione.
Mi accompagnò a casa per allungare il tempo da trascorrere insieme e approfittare di esso per continuare a baciarmi finchè non si fece molto tardi.
 
  -Permettimi di scriverti durante le feste. Non vorrei che questa serata finisse così, anche se è colpa mia. Vorrei continuare a tenermi in contatto con te, se la cosa non ti è di disturbo.
  -Attenderò le tue lettere. E ti risponderò ogni giorno, davvero.
Mi avvicinai, leggendo nei suoi occhi lo stesso desiderio che si poteva leggere nei miei.
Gli diedi un ultimo bacio e mi costrinsi a staccarmi e andare via.
 
  -Buon Natale, Elizaveta.
 
 
   
 
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