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Autore: IMmatura    06/09/2014    2 recensioni
Ormai il mondo sembra sempre più ruotare intorno al denaro, e il potere delle Nazioni dipendere dalla loro economia...ma un giorno tutte le più potenti Nazioni vengono private della loro ricchezza, e il denaro stesso viene svuotato del suo valore. Inizia così un sadico gioco in cui ogniuno dovrà lottare per vincere tutto o per non perdere la ricchezza, il potere...e forse la vita stessa. Chi c'è dietro tutto questo? Come uscirne vincitori e soprattutto...a che prezzo?
Ognuno sarà costretto a fare i conti con se stesso, e con la parte peggiore di se, in un gioco di egoismi e interessi dove l'inganno sembra essere l'unica risposta...
Genere: Introspettivo, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Gioco d'inganni

 

 

La vera misura della tua ricchezza è data da quanto sarebbe il tuo valore se perdessi tutto il tuo denaro. (Bernard Meltzer)

 

X

Gli altoparlanti avevano gracchiato di raggiungere la villa, dove, a detta del loro misterioso sequestratore, era stata imbastita per loro una piccola cena. Giappone però non aveva la minima intenzione di avviarsi. Aveva bisogno di calma, più che di cibo, dopo quella lunga giornata. Sapendo la maggior parte degli altri nell’edificio, poteva recarsi con meno rischi a controllare che il suo nascondiglio fosse sicuro. Poi, forse, li avrebbe raggiunti.

Tuttavia dovette rivedere i suoi piani udendo qualcuno...singhiozzare? Possibile?

Rimase immobile, trattenendo il respiro per secondi interminabili. Non aveva la più pallida idea di come comportarsi in quel frangente. Da una parte, voleva sincerarsi di cosa fosse accaduto. Dall’altra, sorprendere una persona in quelle condizioni l’avrebbe senza dubbio messa in imbarazzo. Quanto ad avvicinarsi di nascosto, e spiare, non era un’ipotesi da prendere in considerazione. Se qualcuno l’avesse fatto con lui, l’avrebbe ritenuto imperdonabile.

Non riuscendo a decidersi, optò per il rimanere in attesa che l’altro si palesasse. Erano stati convocati alla villa, quindi si sarebbe per forza diretto in quella direzione, prima o poi. Giusto il tempo di ricomporsi.

Mosse un paio di passi, al primo fruscio. Aveva intenzione di sembrare casualmente di passaggio, ma non riuscì a dissimulare la sorpresa quando si ritrovò di fronte America, pallido come non l’aveva mai visto, e ancora intento a strofinarsi la manica del giubbotto contro la faccia.

-A-america-san?-

L’altro sobbalzò, non avendolo notato. Si sforzò di sorridere. Non riuscì a capire subito se fosse convincente, dato che Giappone non lasciava mai trapelare le sue vere emozioni.

-Japan...allora? Tutto bene?-

-Ai.- rispose l’altro, prima di osar chiedere. -E tu?-

“Menti!” gridò il cervello di America. “Tu sei the Hero, non devi mostrarti debole, soprattutto adesso. Menti!”

Invece disse la verità. Forse perché era stanco, e deluso. Ammise di aver perso del denaro. Raccontò tutta la faccenda di Francia e della moneta. Arrivò per fino a dirgli di essersi vergognato, e di aver pianto, poco prima.

Kiku accolse con imbarazzo il suo sfogo, senza dire nulla.

-Perché mi stai dicendo queste cose?-

-Perché solo tu e England finora mi avete aiutato. Gli altri ce l’hanno tutti con me.- si lagnò il biondo, rischiando di riniziare a singhiozzare. -E poi...a te posso dirlo, perché tu mi hai già visto così: tu accetti sempre di vedere i film horror con me...a te lo posso dire. I-I’m scared, Japan.-

Non era stato facile pronunciare quelle parole. Kiku era davvero stupito. In genere America si guardava bene dal mostrare tutto ciò che smentiva quell’immagine di eroe che si era costruita attorno. La stessa storia dei film era iniziata proprio per quello: Alfred era convinto che si sarebbe dato maggiore contegno, in presenza di qualcuno. Poi, però, era diventato qualcosa di diverso. Con lui, America aveva ammesso un po’ delle sue paure (quelle più stupide, ovvio...). In più...Kiku aveva letteralmente visto il peggio di lui. Forse era quella la ragione per cui stava vomitando parole su parole, buttando fuori tutto senza remore.

“Non posso cadere più in basso.” pensò distrattamente. “Anche se sto ammettendo di avere paura, non è niente. Non posso cadere più in basso di...quella volta.” Un giorno sarebbe riuscito a pensarci, senza usare eufemismi. Almeno con se stesso.

-Non voglio perdere tutto.- continuò -Non posso permetterlo. Io...io sono l’America. Tutto quello che ho si basa su quanto sono forte e, si, anche ricco. Non voglio diventare inutile. Non voglio essere un’altra di quelle vecchie glorie come Inghilterra, o Spagna, o Francia, di cui tutti dicono: “Oh, quello...una volta si che era importante.”. Non lo sopporterei. Non voglio!-

-P-per favore. Calmati.- farfugliò l’asiatico.

-T-ti ho messo a disagio?- chiese ad un tratto, notando il modo in cui l’altro aveva distolto lo sguardo.

-Leggermente, ma non ha importanza.- ammise Kiku. -Comincio ad abituarmici.-

-Sorry, ma stavo per scoppiare. Dovevo parlare con qualcuno.-

-G-grazie della fiducia che hai riposto in me, America-san. Purtroppo non saprei come aiutarti, al momento...lasciami riflettere...-

-Non importa. I-in qualche modo la risolverò. Sono pur sempre un eroe, no?- rispose, gonfiando il petto e battendovi sopra un pugno, per sottolineare il concetto. Stava recuperando un po’ di positività, ed energia...

-Non credi sia il caso di parlarne anche con qualcun altro? Forse Ighiru-san potrebbe avere qualche idea...-

-Ma...-

-Capisco le tue perplessità, ma credo davvero che potrebbe essere d’aiuto. Di sicuro non avrebbe alcuna remora a mettersi contro Francia e, inoltre...credo sia sinceramente preoccupato per te. Anche se dubito possa ammetterlo spontaneamente...-

-Se lo dici tu...- borbottò Alfred, non del tutto convinto. Pian piano tornava a comportarsi nella sua maniera un po’ infantile, ma allegra. Si sentiva un po’ più leggero. -Però non dirgli che l’ho chiamato “vecchia gloria” o, usciti da qui, cercherà di nuovo di farmi sedere su quella specie di sedia maledetta!-

Giappone sospirò, senza sapere se il suo ritorno alla normalità fosse una cosa buona o meno.

 

§§§

 

La sala che li aveva accolti ospitava una tavola riccamente imbandita dal medesimo personale mascherato e silenzioso che avevano visto quella mattina. Alcuni uomini sorvegliavano la situazione, con sguardo fisso. Non parlavano e sembravano quasi non sbattere neppure le palpebre. A qualsiasi domanda delle nazioni davano la stessa risposta, ripetuta con tono freddo e quasi meccanico: “Non siamo autorizzati a rispondere.”

Si muovevano quasi sotto ipnosi. Persino quando uno di loro fu strattonato da un esasperatissimo Romano, nessuno degli altri fece una piega. Neppure la vittima stessa dell’aggressione aveva reagito. Era rimasta immobile, in attesa di poter rientrare nelle cucine. La voce misteriosa aveva gracchiato l’ordine di lasciarlo, reiterando le consuete minacce.

Inghilterra avrebbe volentieri sbattuto il pugno sul tavolo. Cercare di cogliere indizi da quella gente sembrava impossibile: i volti erano completamente celati da maschere o passamontagna. Le espressioni assenti, i corpi rigidi e impettiti. Si esprimevano in inglese, ma per semplice comodità. Non avevano l’accento anglosassone. Anzi, non vi era nessun genere di inflessione particolare nella loro voce, che lasciasse intuire qualcosa circa la provenienza. Le mani, e gli altri lembi di pelle scoperta, rivelavano carnagioni eterogenee e contraddittorie.

Aveva già sospettato che potesse trattarsi di un’organizzazione vasta, e adesso ne aveva la conferma. Quegli individui venivano un po’ da tutto il mondo. Sembravano ben addestrati, anche se al momento non erano armati.

Sul filo di quei pensieri notò, finalmente, l’assenza di Alfred. Quell’idiota era sparito proprio quando il suo aiuto, per una volta, poteva rivelarsi utile. Per quanto Arthur faticasse ad ammetterlo, sapeva che nessuno come America era preparato riguardo questo genere di cose. A causa della minaccia incombente del terrorismo, l’americano aveva dovuto per necessità applicarsi allo studio delle dinamiche di organizzazioni del genere, internazionali, vaste e gerarchizzate. Doveva riuscire a parlarci il prima possibile, si disse Inghilterra, sperando che, per una volta, l’altro riuscisse a mantenere un minimo di serietà.

Alzò lo sguardo sugli altri commensali, per lo più silenziosi, o al massimo intenti a borbottare con il vicino di tavolo. I fratelli Vargas si erano praticamente isolati ad un lato del tavolo, discutendo fitto fitto. Ogni tanto però Feliciano alzava lo sguardo per rivolgere un sorriso a Germania. Ci mise un po’ a notare che l’italiano cercava, meno spesso, anche uno sguardo di intesa da parte sua.

Dall’altra parte della tavolata, intanto, Gilbert aveva seguito il diffondersi della notizia del “fattaccio” tra Francia e America. A partire da Polonia la notizia aveva percorso già mezzo tavolo, in una specie di silenzioso telefono senza filo. Sperò mentalmente che quel pasto inutile (la maggior parte delle nazioni, per la tensione, non stava toccando cibo) finisse prima di far arrivare quella storia alle orecchie di Matthew. Al momento il caro vecchio amico francese era in una situazione di vantaggio, quindi Gilbert se lo stava tenendo buono con sogghigni di finta complicità. Al momento giusto, non avrebbe guardato in faccia a nessuno, ma per il momento era meglio fare un po’ l’ipocrita.

Una scenata con lacrime agli occhi era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. L’utilità di quella specie di “alleato” che era Canada derivava da una sola cosa...non dava nell’occhio. Vanificato questo talento, sarebbe diventato del tutto inutile. Aveva già in mente un paio di idee, per dar da fare a quel pulcino spaurito, ma doveva continuare a tenere il basso profilo che si era imposto fino ad adesso.

Lo osservò. A testa bassa, fissava il piatto ancora pieno. I capelli biondi ricadevano sul viso, e non si curava di spostarli. Aveva gli occhi lucidi, ed il corpo era percorso da leggeri fremiti. Serrava le dita attorno al bordo del tavolo, come volesse rivoltarlo da un momento all’altro, o vi si stesse aggrappando per disperazione. Matthew era assorto in qualche pensiero, o meglio, in qualche preoccupazione. Era successo qualcosa di grosso. Il brusio, nella parte della tavolata alla sua destra, cresceva. Qualcosa di negativo, secondo lui: aveva visto Ivan sorridere e battere un paio di volte le mani, come divertito. E pericolosamente soddisfatto. Anche Prussia si comportava in modo strano. Osservava ora quella gente intenta a spettegolare, ora lui. Come se lo tenesse d’occhio. Qualunque cosa fosse, lui la sapeva già. Sperò di convincerlo a parlargliene, dopo.

 

§§§

 

Appena anche America e Giappone ebbero varcato la porta della sala, la voce nell’altoparlante annunciò che aveva altre notizie per loro.

-Ho fatto allestire per voi delle camere, così che possiate riposarvi. Immagino sia stata una lunga giornata.-

Romani si trattenne a stento dall’inveire contro quello stronzo, che adesso si permetteva anche di fare del sarcasmo.

-Le vostre stanze si trovano al piano superiore.- annunciò l’uomo misterioso. -Ciascuno di voi riceverà una tessera magnetica con cui potrà avere accesso solo e soltanto alla propria camera. Questo per non sfavorire coloro che hanno deciso di difendere il proprio tesoro tenendolo con se. Quello che voglio vedere da voi è una spietata guerra d’astuzia, non furtarelli da quattro soldi.-

Inghilterra sobbalzò. Al piano superiore? Quindi...tutto il tempo impiegato nel perquisire quel piano era stato inutile?

No. Loro erano di meno, rispetto alle porte che aveva visto. C’era una porta in più, era certo di ricordare bene. Quello si che era un indizio coi fiocchi. Anzi, era un obiettivo! Avrebbe tentato di nuovo di forzare la serratura con un incantesimo e, forse, sarebbe venuto a capo di quell’assurda matassa in cui si erano ritrovati aggrovigliati. Non subito però...prima voleva vedere cosa sarebbe accaduto nella notte. Aveva l’impressione che ci sarebbe stato ben poco tempo per fare sonni tranquilli.

Notte significava almeno otto ore di buio, solitudine, e guardia abbassata. Sicuramente qualcuno avrebbe cercato di approfittare della situazione. Magari la stupida rana francese, che rideva in maniera scandalosa da quando si era accomodato.

Gli uomini che li circondavano diedero ad ognuno di loro un tesserino magnetico. Ciascuno recava su un lato la bandiera del Paese rappresentato. Quelle dei Vargas avevano, per distinguerle, le iniziali dei loro nomi. Ancora una volta, il tesserino di Gilbert riportava il bianco e il nero della bandiera prussiana. L’albino continuava a rigirarsi la scheda tra le mani, ossessivamente, ridacchiando tra se e se. Bene, non erano li da nemmeno ventiquattr’ore, e già due di loro erano partiti per la tangente. Fantastico.

Vennero scortati lungo le scale e videro che le porta del piano superiore erano state contrassegnate, esattamente come le “chiavi”. Tranne l’ultima porta, in fondo al corridoio.

-Ve, e li che cosa c’è?- chiese Italia.

-Non lo so. -Borbottò il fratello. -Ma non mi piace, e sono contento che le nostre camere siano ben lontane!-

Inghilterra fu tentato di maledirli entrambi. Perché stavano mostrando tutto quell’interesse per l’unico indizio che avevano, così avrebbero spinto il loro carceriere a stare più all’erta. Però non si sentiva di dare completamente torto al maggiore. Adesso che si trovava più vicino (per una bizzarra coincidenza, la sua camera era praticamente contigua a quel luogo misterioso.), percepiva anche lui una sorta di aura negativa. Non era vera e propria magia, ma comunque qualcosa di sovrannaturale. Forse la stessa cosa che incantava gli individui al piano di sotto. Forse gli stessi poteri che avevano permesso a quel tipo di derubarli. Tutti. Quasi in contemporanea.

Anche ammessa una disponibilità immensa di mezzi e uomini, sarebbe stato difficile eludere la sicurezza di mezzo mondo. Qualunque cosa fosse, quella strana energia, poteva essere la risposta. Si avvicinò con aria circospetta. La sensazione di angoscia che avvertiva in quel momento gli aveva fatto dimenticare tutti gli altri propositi, e persino la presenza delle telecamere di sorveglianza. Se c’era di mezzo qualcosa di magico, doveva scoprirlo subito. La situazione poteva essere molto più pericolosa di quanto avessero immaginato tutti finora. Per fortuna, prima che potesse tradirsi, qualcuno lo chiamò.

-Ighiru-san.-

-Si, Giappone?-

Voltandosi, vide che con lui c’era anche America. Kiku stava spronando, con lo sguardo, quest’ultimo ad aprire bocca.

-C’è una cosa di cui dovremmo parlarti...però non arrabbiarti, ok?-

 

 

Una volta eliminato l’impossibile, quel che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità. (Arthur Conan Doyle) 

 

 

 

 

 

 

Angolino del disimpegno (presso il Mind Palace di IMma)

Buonsalve, gente. Pronti per il rientro a scuola?

Dall’alto della mia immensa saggezza e magnanimità ho pensato di anticipare la pubblicazione di questo capitolo, in modo da sollevare un po’ i vostri animi. Spero possiate gradire questo umile omaggio, accompagnato dai migliori auguri per questo anno scolastico.

Approfitto dell’angolino del disimpegno, quest’oggi, per ringraziare tutti coloro che hanno letto finora la fanfiction, e in particolare: Lady White Witch, adrienne riodanne e chocobanana_  per aver recensito lo scorso capitolo.

Grazie a tutti e al mese prossimo

IMma

  
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