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Autore: Blue Eich    06/09/2014    1 recensioni
Hello, friends! Mi chiamo Siena Kiku, ho tredici anni e due sogni nel cassetto.
La mia vita cambiò radicalmente quando papà decise d'iscrivermi all'accademia migliore di Ferrugipoli: la Formation Ability Academy. Non perché pensava al mio futuro, ma come punizione. Mi aspettavo un collegio – senza suore – dallo stile di vita meccanico e gli studenti seriosi, invece sbagliavo…
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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- Questa storia fa parte della serie 'Distance: doesn't matter'
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Distance: doesn't matter.

32. Let's go

 

Era il giorno dello spettacolo. Non contavano le spiegazioni al mattino o che fosse l'ultima settimana di scuola. Contava solo che quella sera ci saremmo esibiti davanti a tutti i genitori, invitati tramite posta elettronica dal preside. A vedere me non sarebbe venuto nessuno, ma ero troppo in agitazione per rattristarmene. Tutti questi pensieri mi mulinavano in testa, mentre la Ato spiegava un paragrafo di storia dell'arte.

«Naomy?» bisbigliai, picchiettando il braccio della mia vicina, finché i suoi svogliati occhi smeraldini non si puntarono su di me. «Stasera vieni a vederci?»

«Certo!» trillò, più allegra di quanto mi aspettassi. «Ma tu no, caro.» Afferrò Plusle dietro al collo, che fece il broncio, come un bambino.

«Babysitter Andrey?»

«Per carità!» Sgranò gli occhi, come se le avessi appena proposto di buttarsi giù dal tetto con un tuffo ad angelo. «No, no. Dopo l'ultima volta, non lo ritengo idoneo al mestiere.»

Annuii con un sorriso mesto: non aveva tutti i torti.

La Merodi entrò all'improvviso in classe, trafelata, con la solita borsa effetto vintage e i braccialetti di pizzo sui gomiti. «Miho, scusa, posso rubartene alcuni?»

Quella lanciò un'occhiatina dubbiosa all'orario nel registro. «Eh, non lo so, dovresti chiederlo alla collega.»

«Mi assumo ogni responsabilità.» L'altra sorrise, alzando le mani in segno di arrendevolezza. «Mi servono… Ririshi, Stander, Delevigne, Matthews, Eri, Saknser, Mirai e la Piccola Kiku.»

«Va bene, potete andare.»

Mentre uscivamo, gli altri ci lanciarono occhiatacce malevole, perché avremmo saltato di sicuro l'interrogazione di francese.

 

I proprietari delle chitarre dovevano stare su un rialzamento schiacciato contro un drappo bianco. Invece prime e seconde a terra, a gambe incrociate, rivolte verso la platea. Per terze e quarte c'erano sedie di plastica a lato e, in esclusiva per le quinte, un podio a parte a destra. In assenza del pianoforte, Scarlett avrebbe usato la tastiera fino al mio turno per l'assolo, tra cavi ingarbugliati e prese di corrente.

A inizio anno, alcune classi erano state inserite al giovedì, altre al mercoledì. Ecco perché non conoscevo molta gente: il mio gruppo era in netta minoranza.

La Merodi fermò me e la bionda coi codini, mentre scendevamo i gradoni per accodarci ai nostri compagni. «Azuma, Siena, me lo fate un favore?»

Annuimmo senza neanche guardarci.

«Avete presente dov'è lo sgabuzzino della palestra?» chiese, per sicurezza.

«Sì sì» assicurò la giapponese, cordiale.

«Ecco, mi servirebbe la scatola con le decorazioni per il concerto. Riuscite a portarmela?»

Annuimmo ancora. In realtà non avevo capito bene dove dovessimo andare, ma data l'intelligenza della mia socia non c'era da preoccuparsi.

«Tu non sei agitata?» domandai, mentre ci aggiravamo tra i corridoi.

«Un po', ma Yakumo mi ha spiegato come funziona» rivelò lei, con un sorriso lieve. «Mezz'ora prima che arrivino i genitori andiamo dietro le quinte a prepararci. Oggi ci daranno la scaletta dei brani.»

 

«Accipicchia, quanta polvere» commentai, sottovoce.

Se possibile evitavo di respirare, in quel cunicolo angusto. Proseguiva in discesa, sempre nella stessa direzione.

Azuma tossì, come se avesse un'allergia o un raffreddore improvviso. «Già, questo posto avrebbe proprio bisogno di una ripulita.»

«Che di certo non gli daremo noi» aggiunsi, avanzando a tentoni in avanti.

«Guarda! Dev'essere una di quelle.»

Finalmente giungemmo a fine antro. Lì era più illuminato perché in alto c'era un pannello dal vetro opaco, che lasciava intravedere il cielo. Tale luce picchiava su tante scatole impilate l'una sopra l'altra, un po' come nella 194. Nell'angolo, contro al muro, ce n'era una con la scritta decorazioni concerto, proprio quella che cercavamo.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Erano le otto. Dopo mezzo piattino di lasagna e una fetta di crostata alle mele, ero schizzata in bagno a lavarmi i denti.

Niente coda, stasera” decisi, pettinandomi alla veloce. “Questa però sì.” Pinzai la solita molletta a cuore, come rinforzo per tener su la frangia. Il tempo sembrava così poco e nulla al proprio posto.

 

Mancavano trenta minuti. Ero seduta su una sedia dietro le quinte, in mezzo a persone che parlavano a gruppetti da due o più. Solo un panno bianco ci separava dal vero palcoscenico.

«Jeanne!» bisbigliai, quando incrociai gli occhietti annoiati dell'albina. «Come ti senti?»

«Bene» mi rispose, serrando la bocca. «Ci saranno molte persone, immagino.»

«Ah, non ricordarmelo.» Scossi il capo. «Salvo le chitarre, io e te siamo le uniche a suonare due strumenti.»

«Non sarà il massimo della comodità» commentò infine, scrollando le spalle. Poi andò a ritirarsi nell'angolo, con gli occhi chiusi e l'archetto pronto.

Mi torturavo le dita congiungendole, perché la tastiera era fuori e non potevo ripassare un'ultima volta.

«Siena!» Francesco corse davanti a me, pulito e in ordine più del solito. «Ecco la tua fotocopia.»

Lo ringraziai per la sua gentilezza e scorsi velocemente la lista dei brani, quattordici in tutto. Il settimo era l'assolo di Elia. L'ultimo il mio e di Leonard… Chissà se ce l'avremmo fatta. Ogni tanto io andavo ancora nel pallone e lui perdeva il ritmo, anche se eravamo notevolmente migliorati.

 

«Ragazzi, ci siamo!» sussurrò una dell'ultimo anno, scostando il tendone per entrare dietro le quinte.

Ogni cosa si stava mettendo in moto. Là fuori, dove regnava un perenne brusio, il preside ringraziava i genitori per la presenza.

Presi la mano delicata di Azuma e, in semicerchio, uscimmo tutti allo scoperto; i Pokémon si acquattarono sotto al palchetto delle chitarre, come fosse un portico.

Sui gradoni, i parenti indicavano o sorridevano fieri ai propri figli. Repressi l'invidia per un attimo, ma in fondo c'ero abituata. Alcuni alunni assistevano in piedi, sul fondo, altri spiavano sporti dalle finestre che davano sulle quarte. La sala era immersa in una penombra tipica da cinema, salvo per delle lucine blu sparse nei muri e il riflettore puntato al palco.

Il cuore non smetteva di battere né le mie dita di tremare.

La Merodi si posizionò al centro, seduta sul primo gradone accanto a delle casse acustiche. Diceva sempre di guardarla, mentre suonavamo, così ci dava aiuti con gesti o sguardi.

Let's go!” pensai, mentre contavo i secondi del primo brano, con il flauto in bocca e le dita malferme.




 

Angolo Autrice
Hiya!
-2!
L'anno prossimo ci sarà qualcosa di un po' più elaborato per lo spettacolo, vedrete! ;)
Anche stavolta, per la giusta suspense, devo tagliare e inserirne un pezzo nel prossimo. Forse sarà lungo il doppio ma non importa.
Siccome ho aggiornato l'altra mia long ne ho approfittato anche per aggiornare qui owo anche se ormai... Va beh. Alla prossima.
-H.H.-
 
   
 
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