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Autore: HeartBreath    07/09/2014    1 recensioni
“Dillo e basta, Smythe”
Un altro sorriso, probabilmente il più compiaciuto e perverso che il Warbler avesse mai messo in scena – e questo era tutto dire. “Ti porto a Parigi”
Kurt per un attimo pensò di aver sentito male. Spaesato, gli chiese di ripetere.
“Ti porto a Parigi, Hummel”
Gli uscì una risata secca e piuttosto aspra. “E' uno scherzo, vero?”
Sebastian non staccò quell'espressione vagamente maligna dalla vista di Kurt nemmeno quando aprì la tracolla e ne tirò fuori una busta. Ne mostrò il contenuto: due biglietti aerei.
“Ti sembra ancora che stia scherzando?”
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Finalmente sono riuscita a pubblicare questo capitolo!!
Vi ringrazio per tutte le visite, le recensioni, chiunque stia leggendo questa nuova storia in qualsiasi modo ^^
Lascio qui buona buona la mia pagina Facebook, in caso vi andasse di fare un salto: HeartBreath
Per ora vi saluto, alla prossima!


V
 


















Cicerone


“Dolcezza? E' ora di svegliarsi”
“Mmmh...”
“Andiamo, apri gli occhietti”
“No. Sento la tua voce, non è mattina, è solo un brutto sogno...”
“Scommetti che riesco a farlo diventare un sogno stupendo? Abbiamo già verificato quanto poco ti convenga sfidarmi...”
Kurt sbuffò.
“Apri gli occhi e basta, sei già nella posizione adatta”
A malavoglia, ubbidì. Si sforzò di sollevare le palpebre, trovando lo stesso rettangolo di plastica trasparente. Ma dall'altra parte del finestrino, lo scenario era completamente diverso da quando aveva aperto gli occhi l'ultima volta.
Uno spettacolo dipinto di rosa salmone gli esplose davanti agli occhi. Vedeva le case, gli edifici, la Senna, la Tour Eiffel, la città più spettacolare al mondo illuminata dalla luce dell'alba.
La bocca era spalancata, inerme di fronte a tanta meraviglia, la mano era andata a reggere il cuore, come per paura che cedesse da un momento all'altro. Era tutto talmente perfetto da fargli sentire un familiare solletico tra le ciglia. Come avrebbe mai potuto sostenere l'emozione di camminare per quelle strade, se solo vedere Parigi dall'alto gli faceva quest'effetto?
“Direi che mi devi un'altra risposta”
Nel ricordare di avere Smythe accanto a sé, la magia svanì.
Quando, una manciata di minuti dopo, l'aereo atterrò, Kurt marciò in aeroporto come se fosse sul punto di scattare e correre chissà dove, perdendosi nel cuore della città. Sebastian, alle sue calcagna, riusciva a malapena a non perderlo di vista, e dovette addirittura urlargli dietro di dover aspettare che uscissero i loro bagagli imbarcati per andarsene.
“Dove pensi di andare, se non sai neanche dove e come ci muoveremo?” bacchettò il soprano, mentre recuperava la valigia di pelle dal nastro trasportatore.
In effetti, Kurt non ci aveva nemmeno pensato. “Allora illuminami tu, Smythe: come ci muoveremo?”
“Vedrai”
Avanzando verso l'uscita, attraverso il vetro Kurt intravide accostata al marciapiede un'auto blu notte in mezzo all'accecante giallo dei taxi. Solo in un secondo momento notò un uomo accostato allo sportello dell'auto parcheggiata, un uomo alto con giaccone nero, sciarpa di lana e guanti. Un uomo che guardava Sebastian con sorriso cortese.
“Etienne”. Il sorriso di cui era intriso quel nome suonava quasi sincero, nonostante venisse da lui.
“E' bello rivederla, signorino Smythe”
Kurt non seppe se sentirsi imbarazzato per Sebastian o se ridere a crepapelle, sentendo quell'appellativo.
“Hummel, questo è Etienne, il mio autista”
Trovandosi interpellato, tentò di trattenersi e inscenare un sorriso cortese. “Molto piacere, Etienne”
Con un cenno del capo e un'espressione che ispirava fiducia, l'uomo rispose al saluto. Poi, con un accennato “Prego”, allungò le mani verso i bagagli che Kurt trasportava. Il ragazzo non poté che balbettare un “Grazie” e lasciare che lui li mettesse nel bagagliaio. Fece la stessa cosa con le valigie di Sebastian, e aprì la portiera ai due ragazzi per farli accedere alla macchina.
Kurt si adagiò sul sedile di quell'abitacolo che sembrava aver visto un anno di viaggi al massimo. Era figlio di un meccanico, sapeva riconoscere un'auto nuova di zecca quando ci entrava dentro.
Stette attento a farlo prima che Etienne aggirasse la macchina per sedersi al posto del conducente, quando sibilò a Sebastian: “Signorino? E io che ero convinto ti facessi chiamare Vostra Maestà. Così mi deludi, caro”
L'altro sembrò incassare il colpo come avrebbe fatto con la presa in giro di un vecchio amico: roteò gli occhi e – ovviamente, come sempre – sorrise. “Io sono il signorino perché il signor Smythe è mio padre, Hummel”
Quando l'autista finalmente entrò in macchina, domandò con impeccabile tempismo: “Dove andiamo, signorino Smythe?”
“Oh, a casa per ora. Ma andiamo solo a posare le valigie, avremo ancora bisogno dei tuoi servigi: Kurt non è mai stato a Parigi, dobbiamo mostrargliela”
Etienne non commentò, si limitò a fissare la strada davanti a sé mentre metteva in moto. E nella mente di Kurt, una sola parola risuonava:casa.
Raggiunsero la dimora degli Smythe non più di dieci minuti dopo, entrando in quelli che a Kurt sembravano essere i quartieri alti della città. Nonostante il freddo pungente, volle abbassare il finestrino e respirare quell'aria nuova a pieni polmoni, e intanto osservava con non poca meraviglia le case della zona. Erano tutte di tonalità chiare e discrete, abbastanza eleganti da rapire lo sguardo del ragazzo per tutto il tragitto.
La casa davanti alla quale l'auto si fermò, non era molto diversa dalle altre. Bella, luminosa, e grande a livelli imbarazzanti.
Etienne spinse un pulsante sulla tastiera del navigatore, e un cancello bianco si spalancò dando a Kurt l'impressione di avere lì ad aprirsi le porte del Paradiso. Tanto lo sapeva già, che Parigi sarebbe stato il suo Paradiso personale – e sarebbe stato tutto perfetto, se non avesse dovuto sopportare la presenza di Lucifero con lui sul sedile posteriore.
Parcheggiando nel vialetto in mezzo ad un giardino verdeggiante, Etienne si affrettò ad aprire la portiera ai due passeggeri. Kurt scese dalla macchina guardandosi intorno, esterrefatto.
“Mi sento buono: aspetterò che tu veda l'interno, prima di accreditarti un'altra risposta”
Esasperato, fulminò Sebastian. “Intendi rovinarmi ogni momento di meraviglia con i tuoi irritanti conti?”
Il Warbler si strinse nelle spalle e prese le proprie valigie scaricate sulla ghiaia da Etienne. “Come vuoi, conterò a mente”
“Grazie” soffiò Kurt, seguendolo verso l'entrata di casa.
Dalla tasca sinistra dei pantaloni color cachi, Sebastian tirò fuori le chiavi per aprire la porta. Si scostò sulla soglia, facendo cenno a Kurt di entrare: “Prima le signore”
“Fottiti, Smythe”
“Fossi in te non urlerei, mia madre è-”
Bas?
Ridacchiando dello stridulo richiamo che aveva riecheggiato per l'atrio, Sebastian finì la frase. “... In casa”
Chiuse la porta alle proprie spalle, guardandosi intorno in cerca di un contatto visivo con quell'invisibile voce. E, dal piano superiore, apparve una figura che quasi trottò giù per le scale. Era veloce e agile nei movimenti, ma anche posata in qualche modo. La madre di Sebastian arrivò ad abbracciarlo in un batter d'occhio.
“Oh, Bas! Cucciolo mio dolce, come mi sei mancato” cinguettò.
Stavolta, Kurt non aveva dubbi che ridere a crepapelle sarebbe stata la reazione migliore. Ma anche stavolta si contenne, attendendo che l'attenzione della signora Smythe passasse a lui.
“Ciao, tu devi essere Kurt” gli disse lei infatti subito dopo, tendendogli la mano. “Io sono Irènée Smythe”
“Incantato” sorrise il soprano, completamente sincero. La conosceva tra venti secondi e già gli risultava difficile credere ad una qualunque parentela tra lei e Sebastian: quella donna era così affabile, genuina, bella.
Sì, era senz'altro molto bella. Scorgeva già al primo sguardo diverse differenze con Sebastian, ma anche non poche somiglianze. Il colore dei capelli raccolti in una treccia, era quello di Sebastian. Il taglio sottile degli occhi, era quello di Sebastian. Ma lei, a differenza di Sebastian, sorrideva in modo candido e stupendo.
“Mi dispiace non poter restare con voi, ragazzi” disse d'un fiato lei, recuperando giacca e borsa Vuitton dall'appendiabiti. “Ma il mio editore vuole vedermi per colazione”
“Tranquilla maman, stamattina volevo portare Kurt a fare colazione fuori, tanto per fargli iniziare il tour in grande stile”
Il soprano non riuscì a non notare che Sebastian lo chiamava per nome solo rivolgendosi ad altri. Che anche lui stesse fingendo con le persone intorno a sé di essere in viaggio con un amico?
“Sono sicura che sarai un perfetto Cicerone” commentò Irènée, allungando al figlio un bacio sulla guancia. Poi fece per prendere la porta. “Domani lavoro a casa, quindi sarò con voi a qualunque ora e pasto. Ora scappo. Piacere di averti conosciuto, Kurt”
“Tutto mio, signora Smythe”
Quando sua madre se ne fu andata, Sebastian prese le scale senza dire una parola. Fu non poco complicato per Kurt trascinare la capiente valigia su per la rampa: dalla sua camera all'uscita, gliel'aveva sollevata Finn, ma non si aspettava certo il medesimo aiuto da Sebastian Smythe.
“Sai, preferisco cucciolo mio dolce a signorino Smythe” si concesse, interrompendo il silenzio.
“Molto divertente, Hummel”
“Sì. Sì, sono un tipo divertente...”
“Stiamo ristrutturando la camera degli ospiti” gli disse il Warbler tentando di cambiare discorso, appena arrivati al piano superiore. “quindi ho una brutta notizia per te, dolcezza”
Appena gli fu aperta la porta di una camera con due letti paralleli, Kurt capì e sbiancò.
“Siamo compagni di stanza?” stridette.
Sebastian sembrò divertito della sua espressione – come sembrava divertito di qualunque cosa gli creasse disagio.
“Posa i bagagli, lì c'è il bagno se ne hai bisogno”
Senza farselo ripetere, Kurt occupò uno dei letti con la borsa. Tirò fuori dalla valigia il beauty case e corse in bagno a mettere le creme per il viso che non aveva potuto usare in aereo.
 
 
 
“Sappi che non ti accrediterò una risposta nemmeno se mi farai servire la migliore colazione che abbia mai mangiato” disse Kurt, nel sedersi ad un tavolino di metallo dipinto di azzurro. “E' abbastanza ovvio che rimanga senza parole, con la bocca piena”
Col mento abbandonato sul palmo della mano, Sebastian gli lanciò un’occhiata maliziosa dall’altra parte del tavolino di metallo.
Kurt lo fissò un istante, prima di capire e gettare gli occhi al cielo. “Pervertito”
“Io non ho detto niente”
Ad interromperli ci pensò il cameriere, che gli mise sotto il naso due piatti di croissant decorati con macaron variopinti.
“Oh, ho sempre desiderato mangiarli” cicalò il ragazzo prendendone uno tra le dita pallide. Lo morse con cautela, avvertendo la meringa sgretolarsi tra le sue labbra. Sentì sulla lingua un delicato sapore di zucchero fondersi con quello pungente della crema di pistacchio. Una sensazione che portò i suoi occhi ad abbandonarsi verso l'alto e congedarsi dietro le palpebre, e il suo respiro a smorzarsi per poi buttare fuori aria dai polmoni in un lungo sospiro.
Stavolta Sebastian non disse niente, gli uscì soltanto una risatina a cui Kurt fece caso a malapena.
Di macaron e croissant, quella fu effettivamente la migliore colazione di cui avesse memoria, ma – com'era prevedibile – non lo ammise ad alta voce.
Dopo la colazione, fu trascinato di nuovo in auto, dove sentì un'indicazione data a Etienne come fosse un codice segreto. Era un indirizzo, una via parigina che ovviamente lui non conosceva.
“Fermati, va bene qui” sentì dire all'autista e, appena la macchina accostò, Smythe uscì immediatamente in strada portandosi dietro lui.
Kurt lo seguì fino in fondo all'isolato, dove si apriva il fianco di quella che sembrava una piazza o qualcosa di simile. Il Warbler si fermò di colpo, lo guardò un attimo con una bizzarra scintilla negli occhi e gli disse solo:
“Svolta l'angolo, Hummel”
Accigliato per tutto quel mistero, il soprano si mosse incerto verso lo spiazzo di fronte a sé. E, da dietro quel palazzo, come fosse un sipario, la vide sbucare.
La Tour Eiffel.
“Oh, mio Dio”
Elegante, infinita, fiera, invincibile.
“Oh, mio Dio!”
Incorniciata da candide nuvole e da palazzi che facevano solo da comparse alla vera star di quel palcoscenico, la Tour Eiffel era lì davanti ai suoi occhi.
“Oh, mio Dio, mio Dio, mio Dio!”
Senza la minima speranza di trattenersi, Kurt iniziò ad urlare in mezzo alla strada, attirando l'attenzione di qualche passante allarmato. Si portò le mani alla bocca ma non servì ad attutire il suono della sua stridula voce che strepitava, mentre gli occhi si riempivano di quella vista, spalancati come due fari celesti.
Sebastian lo raggiunse con più calma, con le mani nelle tasche e un'aria vagamente divertita da quel fanciullesco entusiasmo.
“Immagino sia inutile chiederti se vuoi avvicinarti”
Fece appena in tempo a finire la frase, che venne trascinato dalla manica della giacca da un bambino impaziente di arrivare all’albero la mattina di Natale.
  
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