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Autore: Schifottola    08/09/2014    6 recensioni
Kurt, nato e cresciuto a New York, vive solo con la madre, Elisabeth Calhoun, ma dopo che lei muore scopre di essere figlio di Burt Hummel, un meccanico nella cittadina di Lima in Ohio. Costretto a seguire il padre si trova catapultato in una realtà provinciale e bigotta in cui la sua omosessualità non è ben vista e crea motivo di attrito e non accettazione nella sua nuova e detestata famiglia. Un giorno incontra Blaine, un ragazzo ingestibile, spesso protagonista di episodi spiacevoli. Kurt, scoprirà che a Lima, dove la gente non fa altro che parlare, colui che ha più da dire è proprio Blaine, muto selettivo che pur non usando la parola è capace di discorsi che sanno arrivare al cuore.
Tra situazioni tragicomiche Kurt e Blaine si conoscono, stringono amicizia, si innamorano e scoprono che il passato di Lima e di Elisabeth Calhoun e la Banda, i suoi amici di gioventù, è pieno di fatti mai sopiti che influenzeranno il loro presente portando delle conseguenze sull’intera cittadina.
Genere: Commedia, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Blaine Anderson, Burt Hummel, Carole Hudson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Sebastian/Thad
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Carole sistemò per l’ennesima volta la cucina dal disastro che doveva aver combinato qualche animale entrato durante la notte. Buttò nervosamente dentro la spazzatura i resti di un pacco di biscotti, aveva detto mille volte a Finn che, durante la notte, doveva chiudere la porticina basculante, inserita nella porta della cucina che dava sul giardino. L’avevano fatta installare all’inizio di quell’anno quando avevano comprato il loro cane, Bob, che in quel momento la guardava interrogativo come le volesse chiedere cosa avesse.

Bella domanda sarebbe stata, visto che il quel momento si stava chiedendo perché il destino fosse così cinico e crudele.
Era arrabbiata perché lei e Burt per anni e anni avevano provato ad avere dei figli e non c’erano riusciti e invece suo  marito aveva un figlio! Un figlio avuto dalla sua ex moglie!
Elisabeth era riuscita dove lei aveva fallito e questo la rendeva furiosa.
Elisabeth in un modo o nell’altro riusciva sempre dove tutti gli altri fallivano, rendendola sempre unica e speciale.

Era arrabbiata perché ancora una volta si era sentita inferiore a lei e ne provava invidia.
Era arrabbiata perché aveva appena sentito suo marito per telefono e lo aveva avvertito perso e spaventato e lui non poteva essere perso e spaventato, era la sua roccia, il suo punto fermo. Se lui crollava, crollava anche lei e viceversa.

Era arrabbiata perché sapeva che cosa avrebbe comportato che quel ragazzo venisse ad abitare con loro, sia a livello famigliare sia l’impatto avrebbe avuto sulla gente di Lima. Sarebbero stati sotto l’occhio del ciclone per molto tempo, perché il ragazzo aveva discendenza Calhoun e quella famiglia e i suoi discendenti avevano sempre portato solo guai nella piccola cittadina.
Era furiosa soprattutto con se stessa che in un momento del genere non riusciva a provare dispiacere per un ragazzo di quindici anni orfano che non centrava nulla con le scelte della madre o del desiderio di suo marito di avere figli, vedeva solamente che la sua piccola e perfetta vita stava venendo minata.

Lei e Burt in tutti i modi avevano cercato di togliere dalle loro vite i segni di Elisabeth e Christopher, avevano scelto, in un quartiere tranquillo un po’ di periferia,  una casa nuova immersa nella natura vicino a un bosco che fosse tutta loro. Avevano comprato tutti mobili nuovi e avevano venduto quelli vecchi e, tranne delle fotografie che aveva tenuto per Finn in un album che gli aveva donato, per il resto non c’era più niente delle loro vecchie vite.

Qualcuno avrebbe potuto dire che Finn era il segno che lei aveva avuto una vita con Christopher Hudson prima e che era raffrontabile con i fatto che stava per accogliere un ragazzo che rappresentava che suo marito prima aveva avuto una vita con Elisabeth… ma non era la stessa cosa!

Burt aveva cresciuto Finn da quando aveva pochi mesi, ed era sempre stato presente da quando lei era incinta! Finn poteva avere il sangue di Christopher Hudson, ma il padre di suo figlio era Burt Hummel. Il ragazzino che invece sarebbe arrivato, avrebbe avuto il sangue di suo marito ma fondamentalmente sarebbe stato uno sconosciuto per tutti nella loro casa.
Carole iniziò a pensare in quale modo poteva dare la notizia a Finn…
 


“Luis hai sentito il pettegolezzo che gira per Lima?”
Luis Lopez alzò il proprio sguardo su Richard Anderson, mentre questo si stava mescolando un caffè, erano entrambi in pausa dopo un lungo intervento che li aveva tenuti a lavorare fianco a fianco per quattro ore: una donna aveva avuto un gravissimo incidente e le avevano dovuto  amputare una mano, ma almeno erano riusciti a salvarla.
Luis voleva molto bene a Richard e Richard ne voleva a lui.

Richard era stato il marito di Melanie, sua carissima amica che considerava come una sorella, ma dalla sua tragica morte la Banda si era praticamente sciolta. Se Elisabeth da ragazzini  in un qualche modo li aveva riuniti e legati alla sua sparizione era stata Melanie che aveva tenuto insieme il gruppo. Lui, Jackson Zises, Olegh Clarington e Aron Puckerman dalla morte della piccola Mel non erano più stati in grado di essere amici, la Banda si era definitivamente sciolta. Avevano perso troppo. Luis lo aveva compreso alcuni giorni dopo il funerale dell’amica guardando negli occhi Aron, sapeva che l’amico era cresciuto insieme a Melanie e proprio per questo fra tutti loro era quello meno incline a mentire. Fu lui il primo a riconoscere che la Banda era morta e il tempo gli aveva dato ragione:  erano divenuti delle persone che una volta erano state molto amiche e che, se si incontravano, si fermavano a fare quattro chiacchiere e si salutavano con la promessa di vedersi per un caffè o una birra, ma che poi non avveniva mai.

Luis, invece, dalla morte dell’amica si era legato moltissimo a Richard e a Josh Pierce, forse complice il fatto che Richard si era legato ai due uomini dato che era grazie a loro se Blaine era sopravissuto quando la disgrazia era successa...

Il dottor Lopez sapeva che il rimpianto Richard era che il giorno che era morta Melanie, lui, era andato a pescare con Cooper. Sapeva che l’amico si chiedeva spesso cosa sarebbe successo se lui quel giorno non fosse andato.

Melanie quel giorno aveva lasciato Blaine andare a giocare dai loro vicini, i Pierce, con la loro figlia Brittany, ma ad un certo punto del pomeriggio il piccolo era tornato a casa a prendere un gioco e non era più tornato. Brittany era andata a piangere dai genitori perché l’amichetto ci stava mettendo troppo e Josh era andato a vedere perché il bambino tardava a tornare. Era inverno inoltrato e, anche se erano le sei del pomeriggio, fuori era buio. L’uomo aveva  capito subito che qualcosa non andava quando trovò la porta di casa Anderson malamente aperta.

Josh quando trovò Melanie purtroppo era già deceduta e per lei non c’era stato niente da fare, Blaine, però, anche se mal ridotto era ancora vivo. Si era salvato solo perché Josh lo aveva trovato in tempo e Luis in sala operatoria aveva fatto di tutto per salvare il figlio della sua amica e ce l’aveva fatta.

“Quale? Quello dell'ispettore MacManara?” domandò mentre sorseggiava il suo caffè nero.
“No, quello su Burt Hummel!”
Richard notò immediatamente l’espressione di Luis farsi più dura.
“Cos’è ha tradito sua moglie per mettersi con un'altra donna?” domandò tagliente l’uomo.
“No, ma in realtà non so nemmeno se è vero, anche se Blaine mi ha detto che a scuola sua il giornalino del McKinley l’ha pubblicata come notizia da prima pagina!”
“Addirittura una notizia del giornalino della scuola mi riporti.” Rise Luis tranquillo nonostante Richard avesse detto: me ne ha parlato Blaine.

Come tutti a Lima sapeva che il giovane Anderson era una sorta di muto selettivo e che in quel momento parlava solo con Richard, Cooper, i suoi nonni, lo zio Thomas e a volte aveva spiaccicato qualche parola anche con lui.

 “Non ridere! Chi ha diffuso il pettegolezzo, è una fonte affidabile a quanto pare…” Richard aveva pensato molto se provare a parlarne con Luis, sapeva dell’acredine che aveva nei confronti di Burt Hummel e anche della rabbia che ormai provava nei confronti di Elisabeth, ma se la notizia era vera, aveva il diritto di sapere. Non c’era persona a Lima che più di lui aveva voluto bene a Elisabeth, lui e i membri che rimanevano della Banda.
“Dai Richard non tenermi sulle spine!Chi ha diffuso il pettegolezzo sul caro Burt? ”
“Molly Hummel!” Richard gli venne in mente l’immagine della donna con i suoi capelli sempre in piega e tinti di rosso, che spesso in quei giorni era andata a casa del figlio, suo dirimpettaio nella via dove si era trasferito dopo la morte di Melanie. Richard doveva ammettere che in effetti in quei giorni non aveva visto nemmeno una volta Burt e questo confermava ancora di più le voci che suo figlio aveva riportato.
“Oh quella pettegola di sua madre! Interessante! Cosa tratterebbe? A Burty stanno ricrescendo i capelli? Si è messo a dieta perché finalmente si è reso che ha messo su un considerevole panzone?”
“Qualcosa di più serio! –Richard prese un respiro profondo prima di dirlo, immaginava l’impatto che la notizia avrebbe avuto sull’amico, che in quel momento aveva dipinto sul viso un’espressione scanzonata.-Elisabeth è morta e- ”
Luis alle parole di Richard sentì un improvviso dolore all’anima, mai avrebbe immaginato una cosa del genere.
“Stai scherzando? Dimmi che stai scherzando!” disse in tono quasi supplichevole.
“Mi dispiace Luis non sto scherzando, a quanto pare Elisabeth si era trasferita a New York  e aveva un figlio che sembrerebbe essere di Burt.”
Luis non riuscì a sentire altro perché si alzò e se ne andò.
Richard guardò l’amico andarsene e sospirò sentendosi più stanco per quelle parole piuttosto che per le quattro ore di intervento che aveva appena concluso.
 
 
Burt guadò fuori dal finestrino e si perse ad osservare le strade di New York cariche di gente che camminava con fretta, il traffico era intenso e non era raro sentire il rumore di qualche guidatore che abusava del clacson. In tutta quella giungla di auto l’attenzione dell’uomo veniva spesso catturati dai taxi che con il colore delle loro vetture gialle dava un tono di allegria a tutto quell’agglomerato di macchine.

Burt ringraziò dentro di sé che Johann non avesse provato a instaurare nessuna conversazione o rinfacciargli nessuna delle cose che aveva detto, non sarebbe stato in grado di gestire le sue emozioni in quel momento. Tremante aveva telefonato a Carole per dirgli gli esiti del Test di paternità, sua moglie era stata magnifica come sempre, lo aveva incoraggiato e in parte tranquillizzato, non si erano persi a parlare tanto, sapevano a quello che comportava il fatto che quel ragazzo fosse suo.
Kurt, questo era il nome di suo figlio. Burt dentro di se aveva troppo sentimenti e non capiva bene quello che stava provando, c’era dolore per quello che aveva perso con quel ragazzo e che mai avrebbe potuto riavere, c’era ansia perché lo stava per incontrare la prima volta e c’era paura di quello che rappresentava: il suo legame con Elisabeth.

Elisabeth... dentro di se l’uomo sentì anche un odio profondo appena nato e, proprio per quello, ancora più forte e vigoroso. Non riusciva a credere del torto che gli aveva fatto.
“Siamo quasi arrivati.” Lo informò l’assistente sociale che in quel momento si sentiva sollevata.

Era contenta che quella storia si stesse risolvendo nei migliore dei modi burocratici per lei, togliendole dalle spalle definitivamente l’incarico di quel ragazzo che, per quanto gli dispiacesse per lui, era anche molto fortunato dal punto di vista economico visto la lauta eredità, la liquidazione sulla polizza della vita della madre e, in più, già con un proprio e considerevole conto in banca dato dal lavoro di attore e giovane promessa di Broadway. Johanna sapeva che probabilmente il ragazzo in un primo momento sarebbe stato più felice con Etienne Smythe, che avrebbe mantenuto la sua vita più similare a quella che aveva prima, ma Burt Hummel era il padre naturale e anche se questo avesse comportato diversi cambiamenti nella sua vita, forse, a lungo andare si sarebbe dimostrato meglio per lui. Burt aveva il diritto di conoscere il proprio figlio! Ma se non fosse andata bene quella convivenza, Kurt finito il liceo a Lima, ovvero tre anni e mezzo, sarebbe tornato a New York e avrebbe ripreso la sua vita da dove l’aveva lasciata.

Burt sentì il cuore che gli pompava a una velocità impressionante.
Davanti a loro a guidarli c’era una macchina molto elegante, metallizzata e sopra c’erano Isabelle e Etienne.
Burt aveva avuto l’istinto, poco dopo che aveva assimilato la notizia, di dire una sequela di insulti verso Elisabeth ed esternare la propria rabbia, ma quello che lo aveva bloccato erano state le lacrime sia di Etienne che di Isabelle. Per loro, il fatto che fosse il padre di Kurt, rappresentava che il ragazzo sarebbe andato via da New York e venuto via con lui a Lima.

Il meccanico sussultò quando Johanna Sullivan parchèggiò. Scesero dalla macchina e l’uomo si guardò attorno. Si rese conto che il palazzo dove erano davanti i due amici della sua ex moglie era di fronte a Central Park, lui non era stupido e sapeva perfettamente che i prezzi degli appartamenti in affitto o in quella zona venivano una follia e comprarli ancora di più. Isabelle Wright doveva essere una donna davvero ricca e anche quel Smythe lo sembrava, Burt si sentì ancora più a disagio.

“Abbiamo già avvertito Kurt, sa che stiamo venendo qui con lei signor Hummel.”lo avvertì con voce incolore Etienne che in quel momento faticava ancora ad accettare che Kurt era davvero figlio di quell’uomo. Isabelle in auto aveva cercato di far di tutto per rassicurarsi e rassicurarlo, dicendo che Kurt sarebbe venuto spessissimo a New York, avrebbe pagato lei il biglietto se necessario e che anche loro avrebbero potuto scendere a Lima a trovarlo, cercava in tutti i modi di trovare le soluzioni a quel disastro che era appena successo. 

Burt annuì sentendo l’ansia assalirlo insieme alla curiosità di vedere che aspetto avesse il ragazzo. Cominciò a chiedersi se Kurt somigliasse a lui, se fosse alto e un po’ piazzato e se gli piacessero gli sport, magari il football, oppure se preferisse le macchine. Si domandò se fosse timido e se magari avesse già avuto la prima fidanzatina, che voti potesse avere a scuola e se avesse problemi con la matetica esattamente come l’aveva avuta lui a suo tempo.

Salirono in ascensore, c’era un silenzio strano denso di sentimenti che ognuna delle persone portava con se. Per Burt fu strano che Isabelle schiacciasse il ventiduesimo piano, raramente in vita sua era stato in palazzi che superassero i dieci piani, figurarsi uno con più di venti.
Quando l’ascensore fece il suo ding per dire che erano arrivati, Burt sentì le gambe tremare.
Johanna fu la prima a uscire dall’ascensore e si posizionò davanti a un appartamento che recava il numero 45.

“No, Kurt è a casa sua, non da me.” Disse Isabelle all’assistente sociale e poi si voltò verso di lui spiegandogli: “Elisabeth aveva comprato l’appartamento di fronte al mio.”
Burt rimase stupito di quella informazione. Elisabeth era benestante, i Calhoun come famiglia lo erano anche di più dei Fabray, ma non pensava che la sua ex moglie lo fosse tanto da potersi permettere un appartamento a Manhattan all’Upper West side, i prezzi li erano da capogiro. Quando si erano sposati avevano mantenuto la separazioni dei beni proprio per evitare problemi, quindi mai era venuto in mente di sapere dei conti di sua moglie.
Burt fece un respiro profondo e pensò che forse la ex moglie aveva un ottimo lavoro e stava facendo un mutuo, non era possibile che avesse avuto tutti quei soldi.

Etienne andò a suonare al campanello dell’appartamento numero 46, Burt si sistemò l’abito in maniera agitata e nervosa con l’intento di sembrare in ordine e forse anche elegante. Si sentirono dei passi ed aprirgli venne un giovane molto alto, bello dai lineamenti dritti e perfetti, con capelli castano ramato e occhi verdi, spalle larghe. I loro sguardi s’incontrarono, il meccanico rimase piacevolmente sorpreso da quello che era suo figlio e un po’ s compiacque di quel bel ragazzo.
“Ciao Sebastian.” Etienne salutò il figlio stancamente, ma il ragazzo studiava ancora avidamente la figura del meccanico.
“Ciao.” rispose Sebastian non facendoli entrare.
Burt dentro di se si vergognò per l’errore commesso, in effetti quel ragazzo era troppo adulto per avere quindici anni appena compiuti, ma si assolse, in fondo non aveva mai visto suo figlio.
“È lui?-domando il giovane al padre con un faccia stranita che semplicemente annuì col capo. – mi aspettavo tutt’altro onestamente!” commentò facendoli finalmente spazio per entrare e Burt si sentì punto sul vivo.
“Sebastian!”disse intono di ammonimento Etienne al figlio che lo fissò in maniera strafottente.
Sebastian colse perfettamente la faccia infastidita che gli fece il meccanico per esprimere il proprio disappunto, ma a lui, onestamente, non gli interessava. Era vero quello che aveva detto: si aspettava qualcosa di diverso, magari un uomo bello, affascinate in una maniera mascolina e un po’ rude, esattamente come i personaggi dei telefilm di serie z di alcuni canali satellitari improbabili. Invece, aprendo la porta, si era trovato certamente un uomo rustico, alto, ben piazzato con una bella panzetta e un faccione paragonabile a quello di Shrek. Sebastian si concesse ancora uno sguardo e si chiese che diavolo ci avesse trovato Elisabeth in quell’ uomo che, onestamente, al massimo era da farsi offrire un drink e non vederlo mai più. Mentalmente ringraziò la genetica che evidentemente aveva escluso ogni cosa di quell’uomo dal profilo di Kurt.

Il fastidio di Burt durò poco, dato che rimase attratto dagli eleganti arredamenti della casa che dava immediatamente sul soggiorno e nel quale c’era un altro ragazzo in piedi, chiaramente di origine latina, alto nella norma, pelle olivastra, occhi castano scuro come i capelli quasi neri, la canotta che portava faceva vedere i muscoli delle braccia allenate il giusto. Il meccanico si disse che quello non poteva essere suo figlio, ne lui e ne Elisabeth avevano quelle caratteristiche genetiche in famiglia.

“Ciao Thad, vedo che hai caldo come al tuo solito!” costatò Etienne entrando e salutandolo con un certa confidenza e Burt vide che anche l’altro ragazzo, dopo aver ricambiato il saluto, lo fissava con una certa curiosità, ma, a differenza di quel Sebastian, diede il buongiorno tutti e poi gli venne di fronte.
“Sono Thad Harwood, piacere di conoscerla.”
“Burt Hummel.”
Si strinsero la mano.

Poi improvvisamente da una porta finestra che dava probabilmente su un terrazzo vide spuntare una figura con in mano un annaffiatoio e Burt rimase totalmente folgorato, non aveva bisogno di chiedere se quello che aveva davanti fosse Kurt, sapeva che era lui.
Capelli di un caldo color castagna, pelle d’alabastro, occhi grandi e lunghi come un gatto delle tonalità chiare, un naso all’insù, corporatura magra ed elegante e particolarmente piccola per un ragazzo di quindici anni.

Burt studiò ancora la figura che aveva di fronte, era la copia precisa della madre e come lei aveva quella incredibile bellezza che toglieva il fiato, solo che nel ragazzino era ancora acerba data l’età.
Kurt fissava un uomo che a lui era sconosciuto, non è che avesse bisogno di sentirsi dire che quello era Burt Hummel, lo immaginava, solo che non centrava nulla con l’idea che aveva nella mente, anche se in realtà pure quella era abbastanza nebulosa, ma certamente quello che aveva davanti non era un uomo che avrebbe immaginato vicino a sua madre. Non era deluso, solo stranito.

Kurt poggiò l’innaffiatoio dove sempre era stato sul terrazzo, entrò e chiuse la finestra dietro di se, notò che le sue mani tremavano. Lui aveva paura, quell’uomo lo avrebbe portato via da tutta la sua vita e la verità era che lui non voleva lasciare le persone a lui care, la scuola di recitazione e il suo liceo.

Vide che l’uomo che aveva di fronte lo osservava con meraviglia, eppure era curioso di sapere chi fosse suo padre, la persona su cui tante volte aveva fantasticato segretamente e che tanto aveva desiderato...
 

“Mamma, mamma, mamma!”
Elisabeth si chinò e con un enorme sorriso si preparò ad accogliere fra le sue braccia Kurt di quasi quattro anni, che correva verso di lei con un espressione concentrata per non cadere. I vestiti erano tutti pieni di macchie di quella che sembrava pittura, segno che quel giorno avevano fatto qualche lavoro particolarmente complicato. il bambino le aveva buttato le braccia al collo e la donna lo sollevò in braccio.
“Amore come è andata la scuola[1] oggi?” suo figlio non le rispose e con un tono d’urgenza nella voce chiese:
“Mamma perché io non ho un papà?”
Kurt la fissava con gli occhi sgranati e un’espressione sgomentata, come se avesse capito che a lui mancava qualcosa di fondamentale.
Elisabeth rimase un attimo impreparata, non si aspettava onestamente una domanda del genere, suo figlio aveva tre anni in pochi mesi quattro, poi collegò, il 21, quella domenica sarebbe stata la terza di Giugno[2], il giorno del papà e forse a scuola avevano fatto qualche lavoretto da donare.
La donna non sapeva che rispondergli, onestamente non ci aveva mai pensato anche perché Kurt non sembrava mai aver dato peso che la loro famiglia fosse composta solo da loro due.
“Perché mammi? Perché?”richiese il bambino quando vide sua madre che non gli rispondeva.
“Perché amore mio esistono vari tipi di famiglie! Alcune hanno una mamma e un papà, altre una mamma e una mamma, come Helen la tua compagna. Altre ancora hanno due papà, infine ci sono quelle dove c’è o soli il papà o solo la mamma... esattamente come siamo tu ed io.”
Elisabeth guardò suo figlio che sembrò pensarci su, poi la guardò con i suoi occhioni così simili ai suoi.
“Ma io non capisco!” disse corrucciato il bambino e la donna sospirò.
“Ti ricordi che ti ho raccontato che i bambini sono portati dalla cicogna?”
“Sì-”
“Ecco amore mio, è stata la cicogna a portarti da me.” Il sorriso di Kurt era tornato sulle labbra ed Elisabeth si sentì un po’ meglio, ma sapeva che un giorno quella stessa domanda le sarebbe stata riposta e lei non se la sarebbe cavata con un: ti ha portato la cicogna.

Così era stato, Elisabeth era andata prendere Kurt a scuola e lei s’inteneriva sempre vedere suo figlio con quella enorme cartella di Winnie the Pooh che aveva tanto voluto quando aveva cominciato le scuole di primo livello.
Elisabeth si era accorta che suo figlio aveva qualcosa che non andava, ma aveva aspettato che fosse lui a venire da lei a dirle cosa lo tormentava.

“Mamma posso farti una domanda?”domandò timido Kurt e Elisabeth seppe che era qualcosa di abbastanza serio se suo figlio le chiedeva qualcosa in quel modo.
“Tutte quelle che vuoi pulcino.”gli rispose dolcemente.
“Oggi a scuola Tracy, la mia compagna di banco, mi ha chiesto se ho un papà. Io le ho risposto che non ce l’ho e lei mi ha detto che tutti abbiamo un papà! Allora mi ha chiesto che fine ha fatto e io non ho saputo che dirle! Mamma dov’è il mio papà?”Chiese Kurt che davvero voleva sapere dov’era e capire perché non era con lui e la sua mamma.
Elisabeth sospirò, non poteva dirgli tutta la verità. Non in quel momento che era troppo piccolo.
 “Amore mio, tu non hai un papà perché mamma voleva tanto un figlio, ma non aveva vicino un uomo che volesse essere suo marito e allora ha deciso che, anche se da sola, avrebbe avuto un bambino, cioè te! Ora spiegarti tutto, tutto non posso amore mio, ma sappi che quando sarai più grande la mamma ti racconterà ogni cosa.”
Kurt spalancò i suoi occhi, la mamma gli aveva detto delle cose importanti, ma lui ancora non capiva perché  non avesse un papà.
“Mamma, ma io voglio saperlo adesso!”
“Non si dice voglio, ma vorrei!”
“Mamma io vorrei saperlo adesso!”
“Te l’ho già detto, quando sarai più grande!”
“Ma mamma!”
“No! Quando sarai più grande.”
 Kurt sbuffò, sapeva che quando la sua mamma diceva, no in quel modo non c’era niente che potesse fare per convincerla del contrario, però si sentiva arrabbiato.
“Va bene! Tieniti quello stupido segreto per te! Io non voglio saperlo non te lo chiederò mai più!”Kurt se ne andò in camera sua a giocare con il suo meraviglioso servizio da tè, con il suo peluches, , Mister solo Jack, che gli avevano regalato Thad e Sebastian, a forma di pinguino, chiamato così in onore del personaggio preferito della sitcom che seguiva la sua mamma.
Elisabeth alzò gli occhi al cielo, Kurt aveva preso decisamente da lei, se da un lato questo le faceva piacere dall’altro la spaventava immensamente.
 Ricordava perfettamente perché lei aveva deciso di non crescere suo figlio insieme a Burt, ma da quando Kurt gli aveva chiesto per la prima volta perché lui non avesse papà, aveva ponderato se non fosse il caso di tornare sui suoi passi. Sapeva che fra lei e Burt era lei quella che aveva sbagliato maggiormente con il fatto che era scappata senza dirgli di aspettare un bambino, nonostante lui l’avesse tradita e avesse intrapreso una relazione extra coniugale con Carole Hudson. A mente fredda sapeva che il suo agire era stato sbagliato, ma lei all’epoca era così arrabbiata e ferita e poi c'era Carole che era stato il motore di tutta quella decisione…
Elisabeth come al solito, quando la assalivano i dubbi, si disse: ‘Ci penserai dopo, non preoccuparti una soluzione la troverai.’

Altri cinque anni erano passati ed Elisabeth la sua soluzione l’aveva trovata …
 Kurt, come promesso nella sua tenera età di sei anni, non aveva più chiesto nulla riguardante la questione del perché lui avesse un padre, eppure lei aveva visto un sacco di volte in quei anni lo sguardo malinconico e desideroso di suo figlio quando vedeva dei bambini in compagnia o giocare con i loro papà. Questo faceva male ad Elisabeth, perché vedeva quanto suo figlio fosse felice quando il suo fidanzato, Etienne, era con loro, Kurt era sempre stato felice fin da bambino quando il padre di Sebastian aveva giocato con lui o gli aveva riservato delle attenzioni.

Elisabeth voleva parlare con suo figlio riguardo all’argomento, ma Kurt in quel periodo era nervoso e arrabbiato, Sebastian e Thad i suoi migliori amici, come al solito, gli facevano pesare che lui era troppo piccolo per fare le cose che facevano loro e poi entrambi avevano avuto il risveglio pieno degli ormoni e avevano appena scoperto le ragazze. Succedeva spesso che i due ragazzini più grandi uscissero per conto loro con le loro fidanzatine lasciando Kurt con il broncio a urlare indispettito che trovava noiosi i ragazzini della sua classe e della sua età.

Elisabeth sapeva che non era vero, Kurt non era mai riuscito a legare tantissimo con i ragazzini della sua età perché non si faceva problemi a mostrare cosa gli piacesse: vestiti, accessori, musical, canto, ballo, recitazione... tutte cose che i suoi coetanei non gradivano o, meglio, non apprezzavano che determinate cose interessassero a un ragazzo.

Kurt aveva più amicizie alla scuola di teatro, ma tolti Sebastian e Thad, anche lì l’ambiente non favoriva particolarmente il legame fra i componenti, c’era tantissima rivalità fra i pochi ragazzini di età comprese fra gli 11 e i 18 anni, che avevano raggiunto determinati standard e che venivano scelti per degli spettacoli a Broadway e off Broadway. Kurt aveva già preso parte ad alcuni spettacoli, venendo indicato come una futura promessa, e per questo spesso l’età incompatibile e l’invidia che aveva riscosso dai suoi compagni non aveva certo aiutato.

Elisabeth ringraziava il destino che suo figlio avesse incontrato Sebastian e Thad, anche se non era ben chiaro però perché i due ragazzi quando erano bambini avessero preso così tanto in simpatia Kurt. Sebastian sosteneva che fosse per via dell’aria orgogliosa con cui suo figlio, vantandosi di essere un maschio, indossava un tutù, Thad, invece, diceva che era per proteggerlo dalle prese in giro che gli altri ragazzini gli facevano.

Il vero problema non era del perché era cominciata quella amicizia, ma la piccola differenza di età. Elisabeth sapeva che Sebastian e Thad si trovavano meglio fra di loro per via delle esperienze simili che vivevano: la prima cotta, la prima fidanzatina, la rivalità di determinati ruoli in teatro ecc... La donna sapeva che solo altri sei- sette anni avrebbero colmato il divario dato dall’età, ma era certa che per altri versi un altro divario li avrebbe sempre un po’ separati: Kurt, a differenza dei due amici, preferiva i ragazzi anziché le ragazze. Lei ne era certa.

Sebastian e Thad, chiaramente con i loro nuovi impegni verso il gentil sesso, non avevano più il tempo di prima per stare con suo figlio e quindi Elisabeth aveva cominciato a portarsi il figlio al lavoro appena questo usciva da scuola e non aveva lezione alla scuola di teatro. Lei e Kurt adoravano passare tempo insieme alla redazione di Vogue, anche perché Elisabeth scriveva articoli sulla storia della moda e seguiva una rubrica su i look migliori e peggiori delle Star e insieme si divertivano a imbastire articoli colmi di ironia.

Quella soluzione sembrava colmare un po’ quella solitudine che Kurt provava per l’assenza dei suoi amici e rendeva più forte il loro rapporto. Elisabeth era stata contenta fino a che, un giorno, successe un episodio molto spiacevole…

Era un pomeriggio freddo di Dicembre alla redazione, suo figlio le aveva detto che aveva bisogno di fotocopiare alcuni appunti che gli aveva prestato una sua compagna di classe, dato che la settimana prima per un malore aveva saltato un paio di giorni di scuola. Lei lo aveva mandato da Isabelle che in ufficio aveva anche una stampate che era anche fax e fotocopiatrice. Elisabeth nel frattempo aveva approfittato di sbrigarsi le telefonate più lunghe e noiose, ma, mentre stava inviando una mail con la bozza del suo articolo, sentì la voce di suo figlio adirata …
 
“Ritira immediatamente quello che hai detto, megera pettegola e invidiosa che non sei altro! Mia madre è eccezionale nel suo lavoro e non ha dovuto aprire le gambe per avere il posto che ha! E io non sono il frutto di un errore avuto col vecchio direttore!” Kurt era rosso in faccia dalla rabbia, era tornato dall’ufficio di Isabelle con le fotocopie che gli servivano quando aveva sentito la segretaria di sua madre che spettegolava con la stagista, su come,  secondo lei, la signora Calhoun fosse arrivata ad ottenere quel lavoro. Le due donne poi colte in fragrante erano letteralmente sbiancate quando lo avevano visto.

La porta dell’ufficio era stata aperta di botto e sua madre era apparsa con in volto una faccia allarmata.
“Che sta succedendo qui?”
“Mamma!”
“Elisabeth ascolta tuo-” cominciò Helen, la segretaria, mentre Carrie, la stagista, era diventata ancora, se possibile, più pallida di quanto già non fosse.
“Silenzio.- intimò con autorità sua madre.- Kurt, tesoro dimmi che sta succedendo?” gli chiese e lui le spiegò quello che aveva sentito, anche se Helen più volte cercò di minimizzare o smentire.
“Bene Helen è questo che pensi di me?”

Kurt poteva notare che sua madre era furiosa per quello che era stato detto e lui si sentiva il cuore che pulsava dalla rabbia e dall’ansia di quello che stava per accadere.
“Guarda Elisabeth, perché non ci calmiamo un attimo e ma-”

“Io sono calmissima, ma, prima che tu continui a spettegolare, ti vorrei ricordare che ho una laurea e un master conseguiti alla Columbus University, in più, prima di trasferirmi a New York, ho lavorato per anni per svariate testate facendo gavetta sempre nel campo della moda. Quando poi sono arrivata alla redazione di Vogue, sono partita come una normale giornalista e ho fatto altra gavetta!Mi sono guadagnata con sudore il posto dove sono! Non perché ho aperto le gambe con il direttore anche perché, ignorante che non sei altro, vorrei ricordarti che la direttrice è Anna Wintour dal 1988! Io sono arrivata qui nel 1995 e tu invece lavori qui dal 2004! Sei qui da soli due fottuti anni! E tu Carrie, sei stagista in una delle più famose riviste di moda al mondo, come fai ad ascoltare certe cazzate senza replicare? Si suppone che entrambe, dato che lavorate qui, ripeto in una delle riviste più importanti al mondo, sappiate almeno un po’ della sua storia!”

Helen e Carrie fissarono Elisabeth entrambe vergognandosi, mentre la donna dalla pelle d’alabastro aveva piegato le labbra in un’espressione furiosa.

“Sapete la cosa che però mi fa più arrabbiare in tutta questa storia? Che mi rende a dir poco furiosa?- domando con un tono leggero e Kurt per la prima volta in vita sua ebbe paura di sua madre.- Che avete tirato in mezzo mio figlio! Solo perché tu Helen dovevi riempire la tua bocca di cazzate. Quello che mi domando: queste cose vengono dalla tua testolina o te le ha dette qualcun altro? Anche se dubito fortemente che qualcun altro dica cose di questo genere, dato che sanno perfettamente dove e con chi lavorano e, come me, ne sono orgogliosi!”

“Io .. onestamente Elisabeth.. io, io.” Balbettò la donna mentre la stagista sembrava aver deciso che il silenzio era la soluzione migliore.
“Va bene, sapete cosa succede? Ora verrete spostate e andrete a lavorare sotto John Nolan, addetto al reparto stampa!”
“MA NON PUOI!”urlò Helen spaventata, tutti sapevano quanto difficile fosse lavorare per Nolan, le sue segretarie si licenziavano una dopo l’altra per la tirannia dell’uomo.
“Posso e lo sto facendo! Tu aprendo quella tua boccuccia hai fatto diffamazione immotivata nei miei riguardi! Mi hai dato della puttana e hai detto che mio figlio è un errore che ho usato per incastrare qualcuno! Un bambino di undici anni. - Helen era incredula e la stagista tremava quando sua madre si voltò verso di lei.- e tu!E tu Carrie, ascoltando e dando ragione fai lo stesso!”
“La prego non lo faccia! Mi serve per l’università questo stage nel reparto moda!”disse cominciando a piangere Carrie.
“Ci pensavi prima di sparlare alle mie spalle! Anche se devo ammettere che ho non idea di chi ti abbia preso, dato che non sai nemmeno da quanti anni Anna Wintour dirige questa rivista! E tu saresti un’aspirante giornalista di questo settore?”
“Ma io lo so!”
“Non si direbbe proprio visto che davi ragione a lei! Che vi serva di lezione a entrambe che le vostre azioni hanno un prezzo, che lo vogliate o meno.” Ringhiò Elisabeth.
“Elisabeth ti prego!”provò Helen.
“Io ora vado a casa con mio figlio e domattina delle vostre cose non ci deve essere traccia! Non ti preoccupare Helen, Samantha sarà felice di prendere il tuo posto e di lasciare le dipendenze di John! Kurt vai a recuperare la cartella, immediatamente!”

Kurt non se lo era fatto ripetere due volte, sua madre era impressionante in quel momento e poi lui aveva un malessere che lo tormentava dopo le parole delle due donne.
La stagista stava piangendo e continuava a chiedere scusa, il bambino dentro di sé stava avvertendo una fitta data da un senso di colpa che in realtà non aveva, mentre sua madre era al telefono con John Nolan e da quello che poteva capire, l’uomo aveva accettato lo scambio della sua segretaria e di tenersi anche la stagista.
“Infilati la giacca e andiamo.” gli disse in tono tranquillo Elisabeth, lui non aveva intenzione di disobbedire, voleva solo tornare a casa e chiudersi in camera magari a vedere un film.
Elisabeth lo guidò alla macchina e lui si mise immediatamente la cintura di sicurezza, mentre cercavano di non finire in strade particolarmente trafficate. Sua madre era nervosa e lui lo sapeva, rimasero un po’ così con la donna che cercava di raccontargli fatti allegri e lui che ostinatamente fissava fuori dal finestrino.

“Ehi tesoro mio che ne dici se andiamo mangiare fuori stasera? Giapponese che ne dici? E da un po’ che non andiamo.”
“Mamma chi è mio padre?”
Elisabeth era, come le altre volte, impreparata a quella domanda in quel momento, voleva parlargli in un contesto diverso, non dopo quello che era appena successo, anche perché a suo figlio non sarebbe piaciuto quello che aveva deciso di dirgli.
“Non so chi sia.” In realtà dentro di lei c’era ancora una parte che la supplicava di fermarsi di dirgli la verità.

“Che significa che non sai chi sia?” domandò Kurt girandosi verso sua madre con gli occhi spalancati, questa per lui giungeva una notizia inaspettata, ricordava ancora perfettamente cosa gli aveva detto sua madre quando lui era piccolo, ma si era immaginato che suo padre avesse abbandonato la madre quando lei era incinta di lui, perché magari sposato o spaventato...
Elisabeth deglutì nervosa, aveva pensato di raccontargli che aveva chiesto aiuto a una banca del seme, ma conoscendo la puntigliosità di Kurt, presa da Burt per sua sfortuna, sapeva che non gli avrebbe creduto finché non avesse avuto sotto mano la documentazione che dimostravano la veridicità delle sue parole e allora l’unica alternativa che gli era rimasta era di raccontargli:

“Ero appena arrivata a New York, non stavo con nessuno. Sono andata a ballare con delle colleghe della redazione. Mi portarono al Limelight, un locale famoso per essere molto trasgressivo e nel 1994 era, e rimane, una specie di grande magazzino all’incrocio tra la 6th avenue e la 20esima strada... volevo solo ballare e divertirmi. Quella sera ho bevuto parecchio e c’era un uomo che mi ha corteggiato tutto il tempo, non gli chiesi nemmeno come si chiamava lo portai a casa …”

Elisabeth si sentì malissimo, vide gli occhi di suo figlio riempirsi di lacrime e si sentì sporca come non mai,  mentre stava mentendo in quel modo, inventando fatti mai avvenuti. Quando era stata assunta a Vogue, cosa del quale non si aspettava, lei era già incinta di Kurt di tre mesi.
Riprese a parlare, ma le tremava la voce.

“La mattina dopo mi svegliai e lui non c’era più. Mi resi conto che avevamo fatto sesso senza protezioni, feci tutte le analisi di controllo del caso nelle settimane successive e quando mi resi conto che probabilmente ero rimasta incinta ne fui felice, era da tempo che desideravo diventare madre … Poi arrivasti tu. ”

Kurt non replicò e ne le fece più domande, semplicemente pianse in silenzio. Arrivarono a casa e Kurt si andò a rinchiudere nella propria camera sbattendo violentemente la porta.
 Elisabeth si sedette sul divano, distrutta, nascondendo il volto fra le mani. Sapeva che quella era una storia troppo forte per un bambino di soli undici anni, ma non aveva alternative. Un giorno, avrebbe raccontato la verità a Kurt, quando sarebbe stato un uomo forte e orgoglioso e non un fragile ragazzo, perché, per affrontare suo padre, avrebbe avuto bisogno di tutta la forza di cui disponeva e lei lo sapeva, lo aveva capito il giorno del funerale di Melanie...

Elisabeth stessa pianse quel giorno per il peso della bugia che aveva raccontato al suo bambino. Pianse perché un giorno avrebbe dovuto spiegare a suo figlio perché voleva che nascesse a New York. Pianse per la voragine che aveva dentro e che mai l’avrebbe abbandonata dato tutto quello che aveva perso e che solo Kurt riusciva a non farle sentire. Pianse per il ricordo della terribile morte di Melanie e di quanto sentisse la mancanza dei suoi amici della Banda e soprattutto di Luis. Pianse per il ricordo di quando si era resa conto che nascondere tante cose a Burt era stata solo una fortuna …

Elisabeth pianse anche per il giorno in cui avrebbe svelato la verità a suo figlio e per la paura che lui l’avrebbe odiata per sempre.
Solo che Elisabeth non avrebbe mai raccontato con la sua voce la verità a Kurt, un uomo ubriaco alla guida della sua auto non rispettando uno semaforo l’avrebbe investita e uccisa.
Il ragazzo lo venne a sapere chi fosse suo padre quando andò dal notaio accompagnato da Isabelle e da Johanna e gli venne letto il testamento che sua madre aveva lasciato, redatto per ogni evenienza.

Quel giorno Kurt venne a sapere la verità quando il cancelliere lesse che suo padre si chiamava Burt Hummel, un meccanico che veniva da Lima, ma allo stesso tempo nacquero in lui migliaia di domande alle quali forse non avrebbe mai avuto risposta, perché l’unica persona che le aveva era morta…



Kurt fissò un po’ intimorito Burt, ma dentro di sé si diede forza pensando che sua madre non lo aveva cresciuto perchè lui avesse paura, ma gli aveva sempre insegnato ad affrontare qualunque cosa e fu questo pensiero che lo fece andare verso l’imponente uomo, con passo sicuro e mento alto in una posa un po’ altezzosa forse.

“Piacere sono Kurt Calhoun.” Disse un po’ banalmente per una prima presentazione al proprio padre.
Burt strinse la mano che quel ragazzino gli stava porgendo, riprendendosi dalla sorpresa della voce morbida e dalle innegabili somiglianze che anche nella gestualità che Kurt aveva ereditato dalla madre. Vedendolo più vicino notò che la tonalità degli occhi di Kurt era azzurra con delle pagliuzze verdi, rendendo il suo sguardo più caldo rispetto a quello di Elisabeth che era un calmo cielo cristallino.
“Burt Hummel.”

“Penso che sia il caso lasciarvi un po’ soli così parlate un momento in pace, che ve ne pare? Noi altri andiamo a casa mia così, quando volete che torniamo, basta suonare. ” disse Isabelle prendendo tutti di sorpresa.
“Splendida idea! Io comunque dovrei andare a preparare tutta la documentazione di Kurt.- disse Johanna al meccanico, intendendo tutto ciò che riguardava il riconoscimento del ragazzo e le carte di patria podestà da presentare al giudice minorile per essere timbrate. - signor Hummel ci vediamo nel pomeriggio così le porto tutte le scartoffie. Intanto, pranza con suo figlio e iniziate a conoscervi. Siete contenti?” Disse in tono allegro e anche soddisfatto Johanna ad entrambi.

Kurt fissò l’assistente sociale con un sopracciglio alzato, lui era certamente emozionato di conoscere il padre ma, non era felice ne tantomeno entusiasta... a volte davvero non sopportava la signora Sullivan.

“In effetti ci sarebbe molto da parlare.” Disse Burt con voce esitante osservando il ragazzo che istintivamente si era portato vicino ad Etienne e a Isabelle.

Thad fissava Burt Hummel e si scoprì a non sopportarlo, quell’uomo si sarebbe portato via Kurt e lui, come Sebastian, sapevano che il loro amico non voleva. L’ispanico si girò a fissare il suo ragazzo che guardava anche lui il padre appena trovato del loro amico, il viso non esprimeva chissà quali emozioni, Sebastian era sempre stato bravo a nascondere cosa provasse, lui lo sapeva bene, ma non poté fare a meno di notarne la mano chiusa in un pugno così stretto che era divenuto bianco.
Thad non disse nulla quando Isabelle e Etienne li spinsero dolcemente nell’appartamento della donna, l’unica cosa che colse prima di andarsene fu un’occhiata di Kurt, sembrava quasi volergli dire di rimanere con lui, ma fu solo per un attimo perché il suo amico si voltò ad affrontare Burt Hummel con sguardo fiero.

Kurt quando sentì la porta di casa chiudersi e seppe di essere solo, sentì un enorme ansia corroderlo.
Burt solo in quel momento si concesse di osservarsi intorno, il soggiorno era molto grande, con raffinati arredi dai colori chiari, i quadri e soprammobili con le giuste tonalità allegre di colore che gli davano un aspetto vivace nell’insieme, con lo sguardo poteva scorgere la cucina anch’essa spaziosa e con un mobilio davvero di prima qualità.
Tutto in quella casa urlava un gusto impeccabile e un tenore di vita decisamente benestante, gli stessi vestiti che indossava Kurt lo suggerivano.
“Non rimanga in piedi, si sieda. Posso offrirle qualcosa da bere? Acqua, una soda, un caffè? Se vuole è ancora caldo.”

Burt rimase colpito dal fatto che il ragazzo che aveva parlato era suo figlio. Suo figlio che per rivolgersi a lui gli dava del lei… Burt sentì una nuova scarica di odio nei confronti di Elisabeth.
“Dammi del tu.”
“Come?”
“Ho detto che puoi darmi del tu, non darmi dei lei… solo è strano visto-visto quello che siamo!” Burt non sapeva bene come esprimersi con quel ragazzo.
Kurt pensò che l’uomo infondo avesse ragione a dirgli di parlargli in un modo meno formale, ma lui non aveva la minima idea di come chiamarlo: papà era fuori discussione, era uno sconosciuto e rivolgersi per nome aveva paura che la prendesse male.
“Ok, vada per il tu … Posso offrirti qualcosa?”
“Un bicchiere d’acqua andrà benissimo, ti ringrazio.”

Kurt andò immediatamente in cucina e Burt si guardò ancora una volta intorno, notò che su una mensola di un mobile c’era una cornice con una foto. Si avvicinò per osservarla meglio, era un ritratto di Kurt molto piccolo con Elisabeth, scattato in un momento che i due non erano consapevoli della macchina fotografica in quanto il bambino era intento a ridere felice per qualcosa e la sua ex moglie lo osservava con un sorriso innamorato.
Elisabeth era bellissima come lo era sempre stata, forse in quella foto con quello sguardo era perfino più bella, ma Burt provava solo fastidio, odiava tutto: dal sorriso della sua ex moglie, a come era vestita a come portava i capelli, all’antico medaglione di famiglia che indossava. Quella foto rappresentava chiaramente tutto quello che si era perso della vita di suo figlio.

“Avevo appena compiuto tre anni, eravamo a una lettura di favole per bambini in una libreria.”
Burt sobbalzò, non lo aveva sentito arrivare.
“Eccoti l’acqua.”
“Grazie.” Burt guardò ancora una volta quella foto e pensò gli sarebbe piaciuto vedere quel bambino che rideva felice, ricordava ancora quanto adorava vedere Finn da piccolo che rideva per qualcosa.
“A casa ho già avvertito mia moglie che organizzerà una camera per te e poi quando verrai le apporteremo tutte le modifiche che vorrai … Se vuoi puoi anche scegliere fra la camera che noi abbiamo adibito per gli ospiti oppure una mansarda … sono confortevoli entrambe!” Burt onestamente era agitato ed emozionato, non sapeva bene come comportarsi cosa dire e cosa fare, eppure, aveva tanto sperato che quel ragazzo non fosse suo...

Kurt sentì una spiacevole sensazione quando Burt disse la parola casa, lui parlava di Lima in Ohio e onestamente non gli piacque molto sentire camera per gli ospiti. Infondo sapeva che si sarebbe sentito un ospite nella casa del meccanico, per lui casa era New York. Poi pensò che l’uomo gli aveva detto che aveva una moglie e una strana sensazione si fece largo in lui: era un senso di vuoto.

“Penso che forse allora preferirò la mansarda.”
“Sceglierai quando saremo lì in modo che vedrai quella che ti piace di più. Abbiamo molto da organizzare … il tuo trasloco, la tua iscrizione al liceo dove va già Finn, così non sarai solo, anche se lui ha un anno più di te!”
Kurt più l’uomo parlava più si sentiva male e gli occhi cominciarono a pizzicare.
“Chi è Finn?” chiese con un filo di voce.
“Scusami è che sono davvero agitato!-si giustificò Burt.- Finn è il figlio di Carole, mia moglie, lui è anche il mio figlio adottivo.”

Kurt assorbì questa spiegazione e non sapeva cosa dire. In quel momento realizzò che Burt aveva una famiglia, una moglie e un “figlio” che magari lo chiamava papà. Sentì il panico crescere in lui, sapeva che l’uomo lo avrebbe portato via con sé, ma semplicemente non voleva.

“Io non voglio lasciare New York! Qui ho persone che sono state la mia famiglia, non voglio rinunciare al liceo che frequento, al mio lavoro e al mio sogno! Mi ci sono voluti anni di scuola e sacrifici per arrivare dove sono!” Esplose nervoso Kurt per il fatto che nessuno gli avesse chiesto cosa volesse. Da quando era morta sua madre tutti si erano sempre occupati di sistemarlo, ma lui non era un pacco che si poteva spostare a piacimento!

Burt rimase un attimo sorpreso dall’uscita del ragazzo.
“Lavori?”

“Lavoro come attore a Broadway e off-Broadway. Faccio parte di una scuola di arti teatrali che ha una buona reputazione e grazie alla quale vengo richiesto da alcuni registi o accedo a dei provini se vengo scelto partecipo a delle vere produzioni! Io ho già preso parte fin da quando ero piccolo a svariate rappresentazioni! Mi sono fatto un certa reputazione nell’ambiente! Se me ne vado ora perderò tutto quello per cui ho lavorato!”spiegò accorato Kurt.

“Ma io-” provò a parlare Burt, ma il ragazzo lo interruppe.

 “Poi io non voglio andare in una scuola superiore normale, io qui frequento la Fiorello H. LaGuardia High School of Music & Art and Performing Arts, curriculum Dramma! Non è facile essere accettato in quella scuola superiore! Ho dovuto sostenere un’audizione di ammissione!” Kurt ricordava ancora quando Sebastian riuscì essere ammesso e con che toni entusiasti parlava di quel liceo, tanto che lo stesso Thad aveva voluto seguirlo anche se col curriculum danza. Quando era toccato a scegliere a lui il liceo non aveva avuto dubbi. Per anni aveva sentito parlare di quella scuola e aveva finito di sognare di entrarci, così aveva lavorato duramente per farcela e quando era stato ammesso era stato uno dei giorni più belli della sua vita... e, in quel momento, tutto stava crollando.

Burt fissò Kurt e sospirò. Avevano un sacco di cose di cui discutere, ma che il ragazzo lo volesse o meno sarebbe venuto a Lima con lui, era suo figlio.
 


Luis era seduto sul dondolo del portico di casa sua, stentava ancora a credere a quello che gli aveva raccontato Richard.
Elisabeth era morta.
Luis ricordò quando otto anni prima era tornata per il funerale di Melanie, nessuno lo sapeva, ma in quell’occasione era riuscito a parlarle e la discussione che avevano avuto gli aveva scatenato una arrabbiatura profonda e allo stesso tempo lo aveva distrutto.
Non era mai riuscito a capire cosa fosse successo alla donna per portarla alla decisione drastica di lasciarsi lui e tutti gli altri alle spalle. Quando Burt l’aveva tradita ognuno dei membri della Banda si era adoperato ad aiutarla, ma lei un giorno aveva lasciato un biglietto ad ognuno di loro nella casella delle lettere con scritto di non cercarla ed era sparita.
Solo in quel momento il comportamento di Elisabeth aveva un senso.
Elisabeth era scappata perché aspettava un bambino e lo aspettava da Burt.
Luis si chiese come aveva fatto a non pensare a un’ipotesi del genere, lui era la persona che conosceva Ellie più affondo di chiunque altro, perfino di Burt che era stato suo marito.
Si appoggiò di peso contro lo schienale, sospirò a fondo e gli tornò alla mente un ricordo sopito.
Lui undicenne, quando era ancora piccolo e mingherlino, che veniva “bullato” dai ragazzini più grandi per colpa dei suoi capelli e occhi neri lucidi e la pelle caramello dovuta alle sue origini latine, così in contrasto con i caratteri somatici chiari del Midwest. Odiava che gli altri ragazzi lo sbeffeggiassero e succedeva spesso visto che non era disposto a farsi mettere i piedi in testa da nessuno e non aveva amici che volessero schierarsi con lui per difenderlo...

Era pronto a prendersi un pugno in faccia dai bulli quando una vocetta squillante di una bambina alta quanto lui con le ginocchia ossute, due occhietti azzurri furiosi e delle trecce davvero ridicole si intromise e cominciò a urlare e lanciare sberle a casaccio richiamando l’attenzione dei professori che letteralmente li salvarono.
Solo in presidenza seppe che quella bambina era Elisabeth Calhoun e che faceva parte della famiglia più eccentrica di Lima. Dopo quella volta Elisabeth cominciò a seguirlo per difenderlo dai bulli, diceva lei, ma lo sapevano entrambi che lo seguiva perché lui era stato il primo bambino che non l’aveva allontanata per il suo cognome o per le storie ingombranti che giravano sulla sua famiglia..
Dopo quell’episodio nel giro di due mesi i cittadini avevano cominciato a chiamarli gli “Inseparabili” come i pappagallini perché tutti sapevano che dove c’era uno c’era l’altra o dopo poco appariva. Dopo qualche altro mese avevano conosciuto Aron e Melanie e poi un giorno alla sagra cittadina conobbero Olegh che scappava ricorso dal suo antico nemico: Jackson.
Due anni dopo le sue spalle erano cresciute, si era alzato in altezza ed era stato lui che aveva cominciato a proteggere Elisabeth picchiando chi cercava di prenderla in giro. Al liceo non era passata settimana che fosse finito in qualche rissa...

Luis sospirò ei suoi ricordi si spostarono a lui e Elisabeth studenti universitari a Columbus e alla loro felicità quando avevano capito che la loro vita era in procinto di cambiare per sempre... e era cambiata davvero portandoli poi su due strade diverse.

Sentì dei rumori dentro casa e dei passi veloci che si muovevano per le camere e poi finalmente la porta che dava sul portico venne aperta e Santana, sua figlia, apparve sulla soglia.
“Oh papà sei qua... ti volevo dire che io sto uscendo e ci vediamo dopo. Guardi tu la nonna, ok?”
Luis osservò la figlia che sembrava la sua versione più giovane, delicata e femminile. 
“Papà? Papà stai bene?”
Fu in quel momento che collegò che Santana era l’unica cosa che gli era rimasta che lo collegava indirettamente a Elisabeth e a lui...
Si coprì gli occhi con i palmi delle mani e i gomiti appoggiati alle ginocchia e scoppiò piangere lasciando che vecchi rancori, nostalgia e dolori lo investissero sotto lo sguardo sconcertato della sua bambina.
 
 
 
“Mi scusi, ma io non ho ancora capito perché siamo qui!”
“Signor Anderson, siamo qui, perché suo fratello ha atterrato il signor Adams!”
Cooper alle parole di Figgins si voltò ad osservare la parte offesa della questione, ma quello che vide fu un enorme ragazzone di colore, alto un buon metro e ottantacinque, pesante circa 300 libbre (circa 136 kg) se non addirittura di più. Azimio era un compagno di squadra di football suo fratello, ma si chiese come facesse a giocare visto che aveva un fisico che sembrava molliccio e grasso.

Cooper valutò che suo fratello era circa un metro e settanta forse poco meno, e pesava più o meno 160 libbre (72 kg), ma ogni centimetro del fratello era fatto d’acciaio data la passione che aveva per sport vari e palestra, lui stesso non avrebbe voluto litigare con Blaine visto che era certo che lo avrebbe steso in tre secondi netti, questo però non poteva ammetterlo a Figgins.

“E tu stai qui a frignare di essere stato buttato a terra da uno che rispetto a te è un moscerino? Se fossi mio compagno di scuola, sai quanto ti prenderei in giro?” disse candidamente Cooper ad Azimio che fu colto di sorpresa.
“SIGNOR ANDERSON”Tuonò Figgins.

“Ma dai preside! Onestamente vuole davvero richiamare mio fratello? Quel ragazzo lì è tre volte Blaine!-disse esagerando le dimensioni di Azimio- Mi scusi, ma davvero non è credibile che abbia fatto del male a quella specie di montagna!”

‘Ma come non è credibile?! L’ho steso! L’ho fatto davvero!’ Pensò Blaine fissando malamente il fratello che lo ignorava cercando di salvarlo da una punizione certa.

Figgins sospirò stanco, si massaggiò le tempie e fissò trucemente i fratelli Anderson. Il preside avrebbe tanto voluto una tregua dalla famiglia Anderson, ma i due fratelli avevano quattro anni di differenza l’uno dall’altro e quindi quando Cooper si era diplomato era arrivato Blaine. Durante gli anni che il più grande dei fratelli Anderson aveva frequentato il McKinley era stato costantemente nel suo ufficio, non perché fosse autore di qualche rissa, ma perché le provocava costantemente. Figgins aveva perso il conto di quante ragazze si erano picchiate perché Cooper che era davvero bellissimo con un fisico tonico, muscoloso, alto e con un carattere solare e spiritoso, non riusciva a frequentare una sola ragazza per volta, ma due o tre. Tutte le volte che Cooper Anderson era entrato nel suo ufficio e lui era seriamente intenzionato a metterlo in punizione ne usciva sempre pulito e libero, il ragazzo era dannatamente bravo ad argomentare in sua difesa, non per nulla aveva intrapreso l'università per poi in una volta laureato iscriversi alla scuola di diritto. Figgins lo vedeva benissimo davanti una giuria a esporre la sua arringa. Era quasi una beffa del destino che il più grande degli Anderson fosse un mago con le parole quando il più piccolo, per l’enorme shock che aveva subito da bambino per la tragica morta della madre, era divenuto un muto selettivo …

“Signor Anderson, qui non è in discussione la veridicità dei fatti! Si sa che suo fratello è spesso autore di episodi di questo genere!”
“E mi vuole dire che le vittime sono tutti energumeni di quella stazza?” domandò Cooper canzonatorio indicando poco educatamente Azimio che, nonostante il colorito nero della pelle, si poteva intuire che era arrossito.

‘Ovvio che sì, ti pare che me la vada a prendere con uno che non si può nemmeno difendere! E poi se lo meritava: ha spinto quella povera pazza stolker della Chang… speriamo che quella non creda per questo che io ho una cotta per lei … se fosse mi toccherebbe emigrare in un altro Stato!’

“Anche se fosse, che centrerebbe?” domandò esasperato il preside.

“Senza offesa preside, so che gli altri ragazzi con cui mio fratello ha problemi sono tutti suoi compagni della squadra di football, esattamente come il signor Adams, ma quello che sto pensando e che, se sono tutti come lui,-disse indicando Azimio.- è composta da delle vere signorine e non da ragazzi! Insomma, dei veri smidollati, alla prossima partita appena gli faranno un placcaggio andranno a frignare sulle gonne delle loro madri!”
‘Lo penso anch’io.’
“ANDERSON”
‘Che urli! È tutto vero!’

“Brutto pezzo di merda ritira quello che hai detto!” disse Azimio alzandosi con fare minaccioso, facendo cadere la sedia sul quale era seduto fino a poco prima.
“SIGNOR ADAMS, IL LINGUAGGIO!”
“Che sei uno smidollato o una signorina?” domando fintamente confuso Cooper, mentre dentro di sé esultava per la reazione del ragazzo, esattamente quella che voleva.
A Blaine stava venendo da ridere vedendo la faccia di suo fratello .

“MA CHE LINGUAGGIO E LINGUAGGIO! IO A UNA MERDA DEL GENERE GLI SPACCO LA FACCIA E GLI RIFACCIO I CONNOTATI! A ME NESSUNO SI RIVOLGE IN QUESTO MODO!” Urlò Azimio furioso.

‘Vorrei vedere che reazione avresti se sapessi quello che penso di te, Cicciobello.’
“Bwahahahha”tutti si voltarono verso Blaine che ridacchiava in maniera inquietate fissando Azimio.

“Ma preside- intervenne Cooper distogliendo l’attenzione dal fratello- è proprio sicuro che è mio fratello colui che ha fatto del male a questo qui? Mi sembra abbastanza aggressivo di suo!”
“ADAMS SI SIEDA CHE IO E LEI PARLIAMO! ANDERSON…”
“Si?” chiese Cooper innocentemente.
“FUORI DI QUI IMMEDIATAMENTE! ” urlò Figgins arrabbiato che Cooper gliela avesse fatta di nuovo.
“Arrivederci Mr. Figgins alla prossima volta!” lo salutò Cooper, mentre entrambi i fratelli uscivano di fretta dall’ufficio dell’uomo e entravano nella segreteria dove c’era la storica segretaria del McKinley.
“Ciao Cooper! Blaine.”li salutò un donnone cinquantenne, con un sorriso enorme, mentre sistemava dei documenti.
“Ciao Doris, sei splendida come al solito, tuo marito è un uomo fortunato!” disse Cooper camminando attraverso la porta di uscita.

‘Ma dove!? Se io fossi sposato con quella scapperei di casa volentieri!’ pensò Blaine dopo averle dato un’occhiata di sfuggita alla donna che aveva abbondantemente osato con il trucco e sulle labbra faceva bella mostra un rossetto fucsia.
“Sempre il solito mascalzone. Guarda che una volta o l’altra ci potrei provare con te se non la smetti.” Disse ridacchiando la segretaria compiaciuta.
‘Dio che schifo! Ti prego no!’
“Non potrei resisterti!”
‘Mamma mia Cooper! Finiscila di flirtare dietro a tutto quello che sembra vagamente maggiorenne con il cromosoma xx!’

Quando arrivarono in corridoio, ancora popolato dagli studenti che frequentavano i club pomeridiani, Blaine si trovò travolto da una Tina vicino alle lacrime che lo abbracciò fortissimo.

“Oh Blaine! Mi dispiace che sei finito nei guai per colpa mia! Mi dispiace moltissimo!”
‘Noooo, mollami cretina!’
“Mi sdebiterò! Farò qualunque cosa!” disse la ragazza abbracciandolo più forte.
‘Inizia col lasciarmi in pace!.. Noooo sento le tette! Anzi, sento anche l’imbottitura del reggiseno... furbetta.’

“Blaine non mi avevi detto di avere una ragazza e anche molto carina per giunta!”
‘Maledetto stronzo! Vedrai appena siamo soli che ti faccio! Questa è una promessa!’ Blaine lanciò un occhiataccia al fratello che sembrava sul punto di scoppiare a ridere.
Tina sentendo la voce di Cooper arrossì. Tutti a Lima conoscevano i fratelli Anderson, non era raro vederli per la città insieme, anche se il maggiore dei due aveva cominciato il College a Columbus, ma che tornava a casa ogni fine settimana e anche quando aveva una pausa dalle lezioni.
“Non sono la sua ragazza! Non ancora per lo meno...” disse un Tina Imbarazzata.
‘E vai tranquilla che mai lo sarai!’
“No? Eppure avrei detto il contrario!” disse Cooper e Tina fece una faccia compiaciuta.
“Tina Coen Chang.”
‘Manca solo che Coop aggiunga futura signora Anderson e lei esplode!’ pensò acidamente Blaine portandosi dietro al fratello.
“Cooper Anderson. Tina veramente è stato un piacere conoscerti! Spero di rivederti presto! Blaine è fortunato ad avere un amica come te. Però ora dobbiamo andare!”
Tina alle parole di Cooper, se era possibile, si era gonfiata ancora di più e salutò i due fratelli con entusiasmo.

Blaine lasciò suo fratello sulle scale della scuola e andò alla propria macchina. Appena arrivato a casa si mise ad attendere il suo arrivo e quando sentì il rumore della macchina di Cooper, che stava parcheggiando nel vialetto, si posizionò seduto sul divano con le braccia conserte.
 Cooper quando entrò in casa aveva dipinto un ghigno strafottente in volto.
“Cooper razza di deficiente! Ma come ti è saltato in mente dire quelle cose a Tina?!” ringhiò furioso Blaine.
“Inquietante la stalker gotic che ti perseguita! Non eri riuscito a descriverla tanto bene da dare un’idea reale di cos’è quella ragazza!”
“Ma che cazzo centra! Che senso ha avuto dargli delle speranze? Lo sai che sono GAY!”
“Certo che lo so! Se no non avrei mai chiesto al mio compagno di università di farci dei documenti falsi per portarti allo Scandals e questo mi riporta in mente che mi devi parlare di quel ragazzo di due settimane fa! Allora vi messaggiate mi pareva!”
“Ci sono andato a letto Venerdì notte, un paio di messaggi ed finita lì, lo eccitava farlo con un muto! Per il resto, come tutti, non vuole avere una storia con un ragazzo che non parla! E poi non cambiare discorso... perché prendere in giro Tina così?”
“Schizzo, avanti! Tanto a scuola gira la voce che tu sia un don Giovanni, non come lo ero io, ma un discreto sciupa femmine! Fa solo che bene ai pettegolezzi di quella scuola pensare che ti fai la Chang. So benissimo cosa potrebbero farti se capiscono che sei gay e non voglio che ti capiti nulla, è chiaro?” Disse seriamente Cooper .

Blaine sapeva che suo fratello aveva ragione, entrambi si ricordavano di Chandler Kiel, un ragazzo di un anno più grande, gay dichiarato. Lui l’aveva ammirato tantissimo per essere il primo a parlare e mostrare così apertamente la sua omosessualità, ma lo aveva ammirato anche quando, per colpa del bullismo insostenibile, aveva cambiato liceo. Molti avevano definito Chandler fifone, ma lui non pensava che lo fosse, non tutti sarebbero stati in grado di sopportare quasi ogni giorno di essere buttato nei cassonetti, essere slushiato e insultato con epititi orrendi! Inoltre, il ragazzo non se ne era andato per quello, ma perché alcuni giocatori della squadra di Hokey, durante uno scherzo mal riuscito, gli avevano rotto il braccio.

“O lo zio Thomas, schizzo.”

Cooper di nuovo ebbe ragione: senza pensare a Chandler, a loro bastava ricordare anche come a Lima veniva apostrofato loro zio Thomas, fratello di loro madre, gay, che stanco dei commenti omofobi e delle discriminazioni che aveva subitosi si era trasferito a Cincinnati.
Blaine ricordava perfettamente il discorso che gli aveva fatto suo padre di non fare niente che avrebbe potuto metterlo nella stessa posizione di Chandler o dello zio Thomas e lui era d’accordo: non ci teneva di avere una massa di bigotti contro.

“Cooper, ogni tanto alle feste quando sono ubriaco mi bacio qualche ragazza, Kelly Cruz addirittura dice che abbiamo avuto una notte di sesso selvaggio! Invece era solo ubriaca persa e si è solo addormentata! Il punto è che io con nessuna di loro gli ho dato delle speranze, capivano l’aria e finiva lì!”

“Vogliamo ricordare Rachel Berry che te la sei baciata ad una festa e lei a San Valentino in mensa ti ha fatto una serenata?”
“Sono ancora traumatizzato da quella ragazza, ma a quanto pare, per mia fortuna, si è presa una cotta stratosferica per Finn Hudson che però sta con Quinn Fabray! Quindi non ti dico al Glee Club che musiche melense mi tocca suonare al piano per accompagnarla mentre lei canta... canzoni su canzoni d’amore non corrisposti!”

Cooper sorrise, sapeva quanto suo fratello adorasse il Glee club, amava la musica e anche se non cantava ne faceva parte lo stesso. Ai concorsi musicali ballava le coreografie se no normalmente accompagnava i membri del club durante le prove con il pianoforte.
 “Beh però è strano le donne non vedono l’ora di mettersi con te, mentre gli uomini vogliono solo una scopata e via!Non capisco il perché!”
Blaine rise alle parole del fratello, proprio lui che era il re del “non avere una relazione.”
“Cooper ormai dovresti saperlo che le donne metterebbero la firma per avere una storia d’amore con un ragazzo tormentato, muto selettivo, con la propria madre assassinata e rimasto quasi morto in quel tragico pomeriggio! Se poi aggiungi che l’assassino della madre è ancora libero perché io ho una stracazzosissima amnesia e lui è stato bravissimo a non lasciare tracce... vedi che è l’Incipit per una storia d’amore epica e tormentata. Le donne per lo più hanno un animo da crocerossine, mentre gli uomini sono più pratici: meno problemi hanno e meglio stanno. Eccoti spiegato l’arcano! E ora, se vuoi scusarmi, vado a fare una doccia! ” Disse Blaine lasciando suo fratello maggiore da solo.

Cooper si gettò esausto sul divano e si coprì gli occhi con un braccio, gli passarono davanti agli occhi le immagini di Blaine in ospedale, le scacciò e come faceva sempre e sperò che suo fratello ritrovasse la memoria per ricordare chi avesse ammazzato loro madre, per fare in modo che finalmente tutti loro potessero andarsene definitivamente da quel buco di città e non tornarci mai più.
 
 
L’angolino della tazza di caffe…

Ed eccoci qui! In questo capitolo abbiamo ancora poco la visione dei due protagonisti ma dal prossimo le cose cambieranno! Onestamente sono curiosa di sapere cosa ne pensate anche perché io sono molto elettrizzata e presa da questa storia!
Intanto vi lascio il mio indirizzo FB
https://www.facebook.com/pages/Schifottola/598579906836059
A presto!
 
 

[1] Kurt frequenta una tipologia di asilo che si chiama: “toddler’ or ‘tot’ programmes” che incentrano al bambino attività praticate di tipo artistico, lavori fatti a mano, pratica della musica, giochi educativi, attività di percezione motoria e di educazione all'ascolto danza e cucina.
[2]La terza domenica di giugno, invece, è il Father’s Day, che corrisponde alla nostra Festa del Papà. Un modo di festeggiare questo giorno negli Stati Uniti, include regalare cioccolata, fiori, cravatte, o viziare il proprio papà portandogli la colazione a letto.
   
 
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