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Autore: Schifottola    25/08/2014    5 recensioni
Kurt, nato e cresciuto a New York, vive solo con la madre, Elisabeth Calhoun, ma dopo che lei muore scopre di essere figlio di Burt Hummel, un meccanico nella cittadina di Lima in Ohio. Costretto a seguire il padre si trova catapultato in una realtà provinciale e bigotta in cui la sua omosessualità non è ben vista e crea motivo di attrito e non accettazione nella sua nuova e detestata famiglia. Un giorno incontra Blaine, un ragazzo ingestibile, spesso protagonista di episodi spiacevoli. Kurt, scoprirà che a Lima, dove la gente non fa altro che parlare, colui che ha più da dire è proprio Blaine, muto selettivo che pur non usando la parola è capace di discorsi che sanno arrivare al cuore.
Tra situazioni tragicomiche Kurt e Blaine si conoscono, stringono amicizia, si innamorano e scoprono che il passato di Lima e di Elisabeth Calhoun e la Banda, i suoi amici di gioventù, è pieno di fatti mai sopiti che influenzeranno il loro presente portando delle conseguenze sull’intera cittadina.
Genere: Commedia, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Blaine Anderson, Burt Hummel, Carole Hudson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Sebastian/Thad
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Burt guardava fuori dal finestrino mentre l’aereo si preparava all’atterraggio.
Stava per arrivare a New York per dimostrare che il ragazzo che, la sua defunta ex moglie sosteneva fosse suo, non era suo figlio.
Si guardò le mani e istintivamente il suo sguardo cadde sulla fede che portava al dito. Pensò a Carole a che donna fantastica fosse e quanto fosse fortunato ad averla al suo fianco.
Quando aveva ricevuto quella telefonata dai servizi sociali, lui era tornato a casa sconvolto. Carole trovandolo agitato e rabbioso, dolcemente lo aveva calmato e poi si era fatta raccontare cosa lo turbasse. Sua moglie si era dimostrata comprensiva e, cosa che non aveva fatto lui, aveva dato una possibilità a tutta quella storia, anche se Elisabeth non le era mai piaciuta.
Burt aveva trovato giusto dire tutto anche a Finn, che era sembrato colpito dalla notizia, ma come l’avesse veramente presa non lo aveva capito, suo figlio non esternava i suoi pensieri o sentimenti molto facilmente data l’età critica in cui era.
Burt sospirò distrutto. Appena atterrato avrebbe incontrato all’aeroporto Johanna Sullivan che lo avrebbe condotto immediatamente a fare il test del Dna.
 
Kurt appena era rientrato a casa era corso a lavarsi i denti. Aveva fatto la sua parte per un ‘prelievo’ per il test del DNA o meglio, paternità, che la sua assistente sociale gli aveva fatto fare quella mattina prestissimo.
Johanna in quel momento stava correndo all’aeroporto a prendere ed accompagnare e fare il test all’uomo che la sua defunta madre sosteneva essere colui con cui l’aveva concepito.
Kurt aveva ancora in bocca la fastidiosa sensazione di quello che il medico aveva chiamato pomposamente tampone buccale, che altro non era che un cotton fioc sfregato sulle pareti interne della bocca.
Lui non aveva dubbi che l’uomo che la sua assistente sociale fosse andata a prendere fosse effettivamente il suo padre biologico, credeva ciecamente in quello che sua madre aveva scritto in quel dannato testamento.

Era arrabbiato con sua madre per avergli nascosto la verità, di avergli negato di avere un padre, di avergli fatto credere per anni di essere il frutto di una storia di una notte con uno sconosciuto, ma soprattutto di non avergli nemmeno detto che un tempo fosse stata sposata. Era venuta meno al loro tacito accordo di raccontarsi ogni cosa. Era arrabbiato e distrutto perché non poteva litigare con lei, urlargli quello che pensava, sentire i perché delle sue scelte, mettergli il muso e infine, forse, non scusarla, ma andare ad abbracciarla stretta, perché lei era il suo più grande amore. Era sua madre, la sua confidente, la sua famiglia e in un qualche modo fra loro non potevano esserci rabbia o screzi che li dividesse.
Non avrebbe potuto fare nessuna di quelle cose però, perché lei non c’era più. Era morta perché un ubriaco l’aveva investita sulle strisce pedonali non rispettando un semaforo e lui, la notte del 4 ottobre era rimasto solo, ma lo avrebbe saputo solo dopo... L’unico conforto che aveva, almeno, che l’uomo non era scappato, si era fermato e aveva chiamato i soccorsi, ma non era servito a nulla. Sua madre era morta sul colpo.
Kurt nella solitudine della sua camera aveva pianto, urlato e pianto ancora e aveva sperato che tutto quello che gli stesse capitando fosse un orribile incubo... solo che ogni mattina che apriva gli occhi l’incubo non spariva e lui si svegliava in una casa vuota...

Purtroppo però il dolore per la perdita di sua madre ogni giorno cadeva in secondo piano per via di tutto quello che gli stava accadendo. Da quando era successa la tragedia si era trovato la casa riempita da sconosciuti: assistenti sociali, polizia, l’avvocato di sua madre e chissà chi altro! A volte quando chiedeva spiegazioni alla sua assistente sociale su chi fosse e cosa facesse l’ennesima persona che si era presentata o per cosa servisse l’ennesimo questionario che aveva dovuto compilare si sentiva rispondere che era troppo piccolo per sapere o capire.
Quando Johanna gli rispondeva così finiva sempre per zittirsi e fissare con astio chi aveva di fronte e rispondeva male.

Lui odiava che la signora Sullivan non capiva che lui afferrava perfettamente la situazione in cui si trovava e che, non solo era abbastanza maturo, ma che aveva tutto il diritto di sapere ogni cosa. Però gli adulti di questo enorme sistema sintetizzato nel termine “tutela del minore” pensavano il contrario e lo fissavano spesso falsamente dispiaciuti, trattandolo solo come un lavoro da portare a termine.
Fino a quel momento Kurt era riuscito a scampare dall’essere portato in qualche centro o casa famiglia solo perché Isabelle Wright, migliore amica/capo di sua madre e dirimpettaia di pianerottolo, era riuscita ad avere il suo affido temporaneo.

Kurt amava profondamente Isabelle, la conosceva da quando aveva ricordo ed era un po’ come un membro della sua famiglia, una zia. Sapeva che Isabelle ricambiava i suoi sentimenti ed era per questo che si era battuta come una leonessa per lui.

Isabelle, in quella situazione, straordinariamente sapeva sempre cosa fare per farlo star meglio: come il non avergli mai imposto di lasciare casa sua per trasferirsi da lei e lasciargli la solitudine di cui aveva bisogno per districarsi nelle potenti emozioni che lo investivano. Un gesto che per lui valeva moltissimo, soprattutto nei momenti come quello che si trovava a sbollire un’immensa rabbia. Johanna Sullivan con tono allegro gli aveva detto che la compagnia con cui sua madre aveva l’assicurazione sulla vita gli avrebbe versato la somma di liquidazione entro breve avendo riconosciuto il suo diritto di avere il beneficio di quei soldi.

Kurt capiva benissimo che la donna non voleva essere scortese, ma quel tono allegro lo aveva infastidito: lui non voleva quei soldi, lui voleva indietro sua madre!
Fece dei respiri profondi cercando di calmarsi o avrebbe spaccato qualcosa. Tutti lo trattavano come se si aspettassero che sarebbe scoppiato a piangere da un momento all’altro facendo la parte del povero adolescente orfano.

Col cavolo che l’avrebbe fatto!
In quel momento non aveva tempo per la sua perdita e il dolore, voleva ma non poteva. Magari si sarebbe concesso il lusso di cedere quella notte nella solitudine della sua stanza, ma non in quel momento. Apprezzava il gesto di Isabelle di lasciargli la possibilità di appallottolarsi sul divano della casa sua e di sua mamma e di dargli il tempo di piangere per un po’, ma sapeva anche che entro un paio d’ore la donna avrebbe suonato e con lei ci sarebbero stati i suoi migliori amici, Sebastian e Thad. Un piccolo sorriso gli nacque sulle labbra nonostante la rabbia e il dolore che aveva dentro.
 
Con Isabelle, Sebastian e Thad e le loro famiglie erano una delle poche certezze che gli erano rimaste. Kurt ricordò che doveva ancora ringraziare le meravigliose e pazze nonne dei due amici, Carmen e Blanche, per le meravigliose parole che avevano detto al funerale di sua madre e doveva ancora ringraziare Etienne, il padre di Sebastian, che ne aveva organizzato gli estremi onori.
Etienne, per Kurt , era la persona che più si avvicinava a un padre. Qualche anno prima l’uomo aveva avuto anche una storia durata due anni con sua madre, ma nonostante si fossero mollati e le cose inizialmente fossero state difficili fra lui e la sua mamma, non era mai sparito dalla sua vita, ne gli aveva tolto la possibilità di stare con Sebastian.

Era stato quell’uomo che lo aveva accompagnato la prima volta a comprare un regalo per sua madre o gli aveva spiegato i cambiamenti del suo corpo e come certe sorprese mattutine rientrassero nella normalità (dopo che Sebastian e Thad lo avevano convinto di avere una strana malattia).
Era lui che gli aveva insegnato come si usava un rasoio da barba, anche se lui non è che ne fosse ancora così bisognoso. Lui era stato l’uomo che lo aveva fatto sentire amato e accettato quando aveva fatto coming out ben prima di suo figlio e Thad.

Kurt si guardò intorno per la casa e un senso di vuoto si fece largo nel suo petto. Le cose di sua madre erano in giro per tutta la casa come se lei fosse semplicemente uscita per andare al lavoro alla redazione di Vogue... il suo maglione da casa era ancora poggiato su una delle poltrone del soggiorno, la sua tazza della colazione era ancora sul lavello come se l’avesse appena lavata, sulla bacheca appesa all’entrata c’era ancora l’appunto di passare in lavanderia a ritirare il suo scialle preferito con sotto il coupon per ritirarlo e se andava in camera di sua madre sul letto c’erano dei vestiti poggiati perché, come al solito, era indecisa come vestirsi e quindi, anche se di fretta, faceva due o tre prove prima di decidere cosa indossare.
Kurt sentì gli occhi cominciare a bruciare ma lottò per non cedere.

“Mamma perché sta succedendo tutto questo?” domandò al nulla dato che nessuno avrebbe mai potuto rispondere ricacciando indietro ogni pianto che stava arrivando.
Andò sulla bacheca e prese il coupon per ritirare lo scialle della madre, prese le chiavi di casa e s’infilò il giaccone e recuperò il suo cellulare. Vide che c’era un messaggio. Era Adam, suo ex ragazzo e compagno di compagnia teatrale, che gli chiedeva come stava.
Decise di non rispondere, aveva bisogno di una passeggiata. Sapeva che Isabelle lo avesse scoperto si sarebbe arrabbiata, ma aveva bisogno di fare qualcosa di normale.
 

 

Blaine era decisamente annoiato quel giorno, tutta la scuola era in fermento per il pettegolezzo del momento non solo del McKinley, ma di Lima intera: Burt Hummel era a New York a scoprire se il figlio della sua ex moglie fosse suo.

Blaine era rimasto disgustato quando quella mattina era stato distribuito il giornale della scuola, anche se chiamarlo tale era un complimento troppo lusinghiero visto che non era altro che un accozzaglia di pettegolezzi sugli studenti e professori della scuola. A dirigere quella schifezza c’era Jacob Ben Israel, uno studente che pur di sbattere una notizia sul periodico non si faceva scrupoli a ferire qualcuno.

Sull’edizione di quella mattina capeggiava la foto di Finn Hummel e sotto un ritratto dei suoi genitori, Carole e Burt, derivante forse facebook e affianco c’era un’immagine di una giovane ragazza presa da un annuario scolastico che era di una incredibile bellezza e la didascalia la indicava come Elisabeth Calhoun, prima moglie di Burt Hummel.

Blaine aveva per curiosità aveva dato una lettura all’articolo per vedere quanto facesse schifo Jacob Israel, ma quando era arrivato che la famiglia Calhoun per colpa di una presunta maledizione causava la morte dei componenti per eventi tragici aveva buttato via il giornale. Il riccio non riusciva a credere che nel ventunesimo secolo si potesse ancora credere a quelle sciocchezze.

Blaine odiava la morbosità con cui la gente parlottava della notizia, non tanto perché lui e Finn erano amici, Finn era il suo capitano nella squadra di football e compagno di Glee club, ma odiava la curiosità e la leggerezza con cui tutti si permettevano di sparlare di fatti personali e lui sapeva bene sulla sua pelle quanto questo facesse male…
 


Carole voleva bene a sua suocera, Molly Hummel era una donna davvero fantastica ed era una nonna eccezionale con Finn, ma odiava la sua incapacità di tenersi di tenersi i fatti per se.
Burt che era suo figlio, sapeva della debolezza della madre dell’incapacità di tenersi un segreto per più di un paio di minuti, eppure suo marito aveva raccontato tutto alla genitrice del probabile figlio avuto dalla ormai defunta ex moglie e il risultato ora che tutta Lima era conoscenza della cosa.
Carole per tutta la mattina aveva eluso occhiatine curiose delle sue colleghe infermiere e di alcuni pazienti amici e amiche di sua suocera e anche delle domande indirette della cassiera del supermercato, la ficcanaso signora Mitchel che si era beccata, però, una risposta di farsi i fatti propri da suo suocero, Arthur.

Carole sapeva bene che cittadine piccole come Lima appena succedeva qualcosa diveniva un fatto di tutti, ne era ben consapevole. Ricordava ancora quello che aveva passato appena era morto Christopher... e ancora più vividamente quando si era diffusa la voce che la vedova Carole Hudson aveva una storia con Burt Hummel, un uomo sposato con la bellissima ma stravagante e sopra le righe Elisabeth Calhoun.
Ricordava ancora come la gente Lima si era prodigata a dare giudizi e fare la morale sulla situazione, anche se doveva ammettere che la non simpatia della quale godeva Elisabeth aveva reso il tutto molto più mite di quanto sarebbe stato in generale, ma lo stesso non era raro sentire sussurri del tipo:
 “Meglio che Burt sia rinsavito di cervello! Certo, Elisabeth è davvero una bellissima ragazza, ma pazza come un cavallo che riesce puntualmente a far uscire dai gangheri un uomo buono come lui! Poi non bisogna dimenticare che i Calhoun sono una famiglia maledetta, tutti morti in tragiche circostanze… Spero che con Carole le cose vadano meglio e abbia finalmente anche quella povera ragazza abbia la tranquillità che merita!”

All’epoca dei fatti, per via di tutto quello che aveva passato, la maggior parte della gente di Lima fu gentile nei suoi confronti, ma non lo furono tutti. I cinque amici stretti di Elisabeth la trattarono malissimo, ma se lo aspettava da loro visto che lei e Burt avevano cominciato la loro relazione quando lui era sposato. Peccato però che poi fu la stessa Elisabeth che quando lasciò Lima non disse niente a nessuno nemmeno a quelle persone che per anni erano stati i suoi più cari amici di fatto tradendoli e abbandonandoli. Non gli aveva nemmeno rivolta la parola quando si erano rivisti per il funerale di Melanie.

Carole quando si era messa con Burt si era sentita in colpa, ma mai si era pentita di quello che aveva fatto. Doveva ammettere forse era perché nemmeno lei aveva mai amato particolarmente Elisabeth. Erano state compagne di scuola dall’asilo sino alla fine delle superiori e a volte avevano condiviso delle classi ed erano uscite anche negli stessi giri per un periodo.

Elisabeth era come lo era stata tutta la sua famiglia prima di lei: strana, egocentrica e provocatrice.
Non era mistero per nessuno che la donna non si tirasse mai indietro a dire quello che pensava anche se a volte poteva ferire qualcuno o che a volte avesse la testa in posti lontani o anche che quando le veniva in mente di fare qualcosa non c’era modo di fermarla, anche se tutti gli dicevano che era sbagliato. Dai racconti di Burt, poi, Elisabeth le era piaciuta ancora meno.

Carole in tutta onestà sperava che quel ragazzo non fosse figlio di Burt per diverse ragioni ma soprattutto perché non anelava che ci fosse qualcosa che legasse suo marito alla defunta ex moglie. Gli dispiaceva che quel ragazzo fosse rimasto orfano, però non riusciva a dimenticare che nelle sue vene scorresse il sangue dei Calhoun  e dati i personaggi di quella famiglia e la maledizione che sembravano portarsi dietro …
Carole non era superstiziosa, ma era innegabile che da generazioni i Calhoun erano tutti morti in circostanze tragiche  e perfino Elisabeth, così anticonvenzionale, aveva mantenuto fede alla tradizione di famiglia.

Forse qualcuno l’avrebbe definita egotista, ma non voleva nemmeno che suo figlio si sentisse minacciato da una nuova presenza in casa, soprattutto se questo ragazzo portava nelle sue vene oltre il sangue dei Calhoun anche quello degli Hummel. Carole sapeva del disperato sogno di diventare padre di Burt e forse era per quello che era sempre stato un genitore magnifico con Finn che poi era quello che l’aveva fatta innamorare…

Dicisette anni prima Christopher l’aveva lasciata senza una spiegazione che ebbe pochi giorni dopo quando venne ritrovato morto per overdose in una bettola di Columbus, fu li che scoprì che l’esercito l’aveva congedato con disonore per tossicodipendenza.

Ricordava ancora la gente di Lima come anche in quel caso fosse stata benevola con lei, ma non con i suoi suoceri, dandole una mano in tutto, perfino quando aveva scoperto di aspettare un bambino da Christopher dopo un mese dalla sua morte. Burt era stato uno quelli che l’aveva aiutata più di tutti.
Era incinta di sette mesi e lo stesso le aveva dato un lavoro, niente di faticoso, doveva solo riordinare i conti e le fatture dell’officina, parlare con i fornitori e avvertire i clienti  quando le loro macchine erano pronte. Doveva ammettere però che la mole di impegni nel garage non era indifferente, ma non si lamentava visto che grazie a quello aveva ottenuto una buona assicurazione sanitaria per lei e il bambino.
La Hummel e Lube, era(ed era ancora) la più grande officina della zona e molte persone dei paesini limitrofi a Lima venivano lì a farsi sistemare la macchina, data la professionalità e l’onesta di Burt  che prestava anche servizio per il controllo delle ambulanze dell’ospedale e i camion dei vigili del fuoco.

Carole non era rimasta colpita subito da Burt, non era certo un uomo che si potesse definire bello, l’unica cosa che la incuriosiva di lui era come fosse riuscito a sposarsi la bellissima e particolare Elisabeth Calhoun. L’amore per lui nacque dopo pochi mesi che aveva partorito e aveva avuto il permesso di portarsi Finn al lavoro, in quanto non aveva da chi lasciarlo, perché i suoi suoceri avevano lasciato lo stato non reggendo più la situazione che si era creata dopo la morte del figlio. Rimase stregata da quell’omone che stravedeva per suo figlio e gli chiedeva costantemente il permesso di poterlo prendere in braccio, ma se aveva la tuta sporca dal lavoro stava lì semplicemente ad osservare con sguardo tenero il piccolo mentre dormiva. Si erano trovati sempre più spesso a parlare anche se  molto presto avevano preso entrambi a considerare quelle chiacchiere come una  valvola di sfogo: lui,  dei problemi del suo matrimonio e lei della difficoltà di tirare su un figlio da sola e del suo rimpianto per non poter permettersi di finire i suoi studi da infermiera.  Fu così che si scoprirono anime affini.

La loro storia era nata un giorno di pioggia di fine Ottobre. Lui l’aveva allungata a casa nella periferia di Lima nel quartiere di Lima Heights, un posto spoglio e perfino pericoloso, soprattutto per una donna sola con un bambino di pochi mesi. Non le piaceva stare li, ma era tutto ciò che si era potuta permettere con il suo stipendio dopo la morte di suo marito e l'aiuto che i suoi suoceri le mandavano. Burt l’aveva accompagnata fino al portone del palazzo sgangherato dove abitava, galantemente tenendole l’ombrello per coprirla mentre lei aveva in braccio Finn che placidamente dormiva. Dovevano salutarsi, ma entrambi trovano un pretesto dopo l’altro per allungare il loro stare insieme e alla fine Burt, senza chiederle il permesso, l’aveva baciata e lei aveva risposto.

Quello era stato uno dei baci più belli della sua vita: dolce, possessivo e dato da un uomo innamorato. Lo aveva invitato a salire e, dopo aver messo Finn nella sua culla, avevano fatto l’amore con una passione che era stata perfino incandescente da quanto si desideravano. Carole si era sentita in colpa dopo, ma non era pentita di quello che era successo. Burt comunque non era intenzionato a tenerla nell’ombra e, dopo che ebbe raccolto il coraggio necessario, confessò tutto a sua moglie lasciandola.

Il 7 Dicembre 1994, Burt e lei erano insieme ufficialmente.

Carole, da quando aveva avuto la notizia di quel ragazzo, mille pensieri le erano venuti in mente e dei sopiti sensi di colpa si erano svegliati, soprattutto  quando pensava che Elisabeth fosse diventata madre single e si fosse allevata da sola un bambino per quindici anni...
Si era chiesta cosa sarebbe successo se la bella Calhoun non avesse mai lasciato Lima e quel bambino fosse stato davvero figlio di suo marito... Però la verità era che con i se e con i ma non c’era una storia, ma la realtà era quella che vivevano ogni giorno e, in quel momento, c’era un ragazzo che poteva essere il figlio di suo marito.

Ecco cosa la tormentava: se davvero lo fosse stato, avrebbe avuto davanti agli occhi la sua sconfitta di non essere riuscita a dare a Burt e a se stessa un figlio e Elisabeth avrebbe vinto su di lei per sempre.
 



Johanna Sullivan era una donna che aveva un certo fiuto di rado sbagliava e vedendo Burt Hummel si era rafforzata la convinzione che si era già fatta dalla fotografia: non poteva essere il padre di Kurt, il ragazzino non aveva nulla della persona che aveva davanti.
Burt Hummel era un uomo di corporatura robusta e imponente, collo taurino, un simpatico naso a patata, occhi grigio verde abbastanza grandi e di una forma gentile, mani tozze di un lavoratore, capelli radi coperti da un capellino da football e un viso con l’espressione buona.

Kurt invece era tutt’altro. Era mingherlino e di corporatura flessuosa, collo aggraziato, un nasino all’insù, occhi dalle tonalità marine estremamente limpidi a mandorla come quelli di un gatto con folte ciglia, mani delicate e lunghe, una gremita testa di capelli color castagna, pelle d’alabastro e in viso aveva dipinta sempre un aria angelica di chi è particolarmente pestifero.

“Dopo che abbiamo fatto il test le andrebbe una bella colazione?”domandò Johanna all’uomo che in quel momento stava mandando un messaggio col telefono.
“Magari, sono partito alle tre di notte da casa mia per arrivare a Columbus all’aeroporto, il mio aereo era alle sei e venti e vista la mia ignoranza di come si svolge il test che devo fare non ho mangiato ne bevuto nulla da ieri a mezzanotte. ” confessò Burt con onestà.

“Beh ha fatto bene, anche se di norma basterebbe un ora di digiuno con il tampone buccale, ma onestamente io consiglio di non mangiare ne lavarsi i denti ne di passarsi un colluttorio per almeno tre ore prima del test, per evitare qualunque inconveniente. Comunque non ci vorrà molto.”

Burt osservò la donna che lo stava guidando sicura per i corridoi del ospedale, segno che non era la prima volta che era lì in quei reparti. Percepì perfettamente che era molto stressata e piena di cose da fare, lo capì dai capelli lunghi lasciati sciolti striati da vecchie meches tra la capigliatura castana e un un tic nervoso agli occhi che la portava a strizzarli più del necessario.

Il test si svolse in maniera rapida e indolore, Burt era quasi imbarazzato dalla propria ignoranza, non si era informato cosa consistesse il test buccale, aveva pensato che lo facessero tramite prelievo del sangue e invece era un banalissimo cotton fioc strofinatogli nella bocca e poi sigillato in una provetta con il suo nome sopra e mandato immediatamente in laboratorio.

A quel punto fece un sacco di domande al medico, il dottor Moore, su quanto il test fosse affidabile e che margine di errore ci fosse. Il medico fu molto paziente e gli spiegò che ognuno di noi eredita il DNA dai genitori in parte uguale e che quindi se lui fosse stato il padre biologico del ragazzo doveva per forza avere più di una parte del DNA in comune. Inoltre, gli spiegò che avevano dovuto, perché il test fosse affidabile, avere anche delle cellule provenienti da Elisabeth. Il fatto che fosse morta non rappresentava un problema, si erano fatti dare lo spazzolino da denti che usava e lo avevano analizzato ritenendolo idoneo viste le tracce che avevano trovato sopra. Tutto ciò era stato fatto per capire  e avere “i ceppi” di origine del DNA del ragazzo, in maniera che si potesse escludere o affermare al 100% se lui fosse il padre biologico.

Burt si sentì tranquillizzato dalle parole del medico sulla affidabilità del test.
Johanna portò Burt a fare un brunch in una tavola calda vicino all’albergo che aveva prenotato e l’uomo si rivelò essere parecchio vorace, triturava un quantitativo di uova e pancetta con salsa barbecue davvero considerevole. Le venne un sorriso al pensiero se Kurt fosse stato davvero figlio dell’uomo, il ragazzo era un salutista convinto, mangiava molta frutta e verdura ed evitava cibi come uova e pancetta cucinati nelle tavole calde, sarebbero stati davvero strani insieme.

“Cosa succederà al ragazzo una volta che verrà fuori che non è mio figlio?” domandò improvvisamente Burt alla donna prendendola un momento di sorpresa.
“Non mi ha ancora nemmeno chiesto come si chiama.” Gli rispose lei.
Burt sospirò stanco e quel appunto della donna non gli piacque molto.
“Che senso ha che io le chieda il nome di un ragazzo che non è nemmeno mio e che io non vedrò, ne conoscerò mai!?” ribatté Burt come se fosse ovvio.

L’assistente sociale preferì soprasedere ed ebbe ancora una insana voglia di ridere: l’uomo davanti a lei era fermamente convinto della propria estraneità con Kurt, mentre Kurt era fermamente convinto che l’uomo che sua madre aveva indicato nel testamento fosse davvero suo padre.
“Il ‘ragazzo’ al momento è affidato alle cure di una carissima amica della sua ex moglie, la signora Wright- Johanna disse ancora volutamente la parola ragazzo con un tono leggermente canzonatorio.- se venisse fuori che non è suo figlio verrà preso a carico dallo Stato e messo in primo momento in una casa famiglia, avendo quindici anni le sue probabilità di essere adottato da qualcuno sono nulle. Oppure, e onestamente lo preferirei, c’è una caro amica della signora Calhoun, il signor Smythe, che sta facendo tutte le carte necessarie per domandarne l’affido.”

“Tolga pure il sé.” Ribatté cocciuto l’uomo e Johanna perse la pazienza.
“Toglierò quel sé quando avremo i risultati del test!”
I due si fissarono in maniera astiosa per un momento poi la donna riprese a parlare dopo aver sorseggiato il caffè che aveva ordinato.

“Le dicevo che questo caro amico della sua ex moglie, che ha già un figlio, sta facendo tutte le carte per prendere in affidamento il ‘ragazzo’- pronunciò di nuovo la parola ragazzo in maniera volutamente canzonatoria, beccandosi un occhiataccia dall’uomo.- Sarebbe stato meglio affidarlo al parente in linea di sangue più vicina e se non è lei, la sua ex moglie non ha nessuno in vita.”
“I genitori li perse al liceo quando era appena diciottenne, un incidente d’auto.”
“Lo so.”

Burt un po’ provò dispiacere per quel ragazzo e un pizzico di curiosità in lui c’era verso l’adolescente, avrebbe voluto vederne una foto per sapere che faccia avesse il figlio della donna che un tempo aveva tanto amato da sposare, ma, la realtà, che voleva che tutta quella storia fosse finita il più presto senza rimanerne troppo invischiato.

 “Visto che siamo in argomento e visto che comunque prima o poi glielo avrei chiesto comunque, le volevo domandare che cosa ha pensato di fare in caso il ragazzo fosse suo figlio... vuole prenderlo con se o lasciarlo in affidamento ai servizi sociali?”
“Se fosse mio figlio lo porterei a Lima con me.”
Burt con Carole avevano parlato a lungo della possibilità se il ragazzo fosse stato suo figlio e in casa avevano una camera degli ospiti o una bella mansarda che avrebbero potuto dare al giovane.
“Mi fa piacere sentirlo.” Disse la donna con tranquillità e il suo pensiero volò a Kurt che si era già organizzato a impachettare alcune cose sue per l’imminente trasloco che in ogni caso lo aspettava.
“Comunque se mi permette potrei farle un’altra domanda signor Hummel?”
Burt mentre beveva un sorso del suo caffè osservò Johanna e un po’ provò pena per lei: alle undici della mattina sembrava già così stanca, il lavoro che faceva era sicuramente pieno di stress emotivi.
“Prego.”

“So quello che ci siamo detti al telefono e della sua condizione, ma mi sembra che lei non voglia nemmeno prendere veramente in considerazione la possibilità che quel ragazzo possa essere suo figlio … eppure l’età corrisponderebbe. Il 25 Agosto ha compiuto 15 anni e ora siamo al 19 di ottobre, circa due mesi dopo il compleanno del ragazzo... consideriamo anche i nove mesi delle gravidanza, sono circa sedici anni … Perché è così sicuro che non potrebbe essere? Quando vi siete lasciati lei e la sua ex moglie?”
“Mercoledì 7 Dicembre 1994.”

Sia Burt che Johanna fecero un rapido calcolo mentale, nessuno dei due sapeva esattamente di quanti mesi fosse nato il bambino che Elisabeth aveva dato alla luce, se era prematuro o meno, ma se così non fosse stato e se era nato a termine dei nove mesi il tutto avrebbe conciso.
“Non è mio figlio!” ribatté con forza Burt con il cuore che gli stava pulsando a una velocità impressionante e lo stomaco gli si chiuse.
“Perché no?!” domandò Johanna esasperata.

“Perché Elisabeth aveva tanti difetti, ma non era una persona cattiva, anzi, era estremamente generosa e mai mi avrebbe negato il mio desiderio più grande: avere un figlio. E se davvero lo avesse fatto la odierei con ogni fibra del mio corpo e della mia anima! Se davvero quel ragazzo fosse mio figlio avrei mille rimpianti! Non averlo visto nascere e  ne crescere. Non saprei quale è la prima parola che ha detto, non avrei visto i suoi primi passi e il suo primo giorno di scuola! Non potrei rivivere niente di tutto ciò!”
“Se quel ragazzo è suo però potrebbe vivere tutto il resto. Quello che è perduto ormai è irrecuperabile, ma tutto quello che c’è nel futuro di quel ragazzo lei lo potrà vivere! ”
Burt fissò la donna di fronte a lui e sospirò pesantemente.

“Le confesso anche che non vorrei che quel ragazzo fosse figlio mio, non solo per quello che ho perso, ma per quello che quel ragazzo rappresenterebbe: il mio più grande fallimento. Ricorderebbe ogni giorno a mia moglie quello che non ho potuto dargli: un figlio, anche se lo desideravamo tanto. Ho sempre voluto dare un fratello a Finn, il figlio di mia moglie che ho adottato quando aveva pochi mesi, e suggellare con un legame di sangue la nostra famiglia. Sarebbe decisamente una beffa del destino troppo grande se Dio mi avesse concesso un figlio con Elisabeth e non con Carole. Quel ragazzo rappresenterebbe l’ingiustizia di tutta la mia vita.”

Johanna fissò incredula l’uomo di fronte a lui che aveva ammesso che non voleva quel ragazzo principalmente per una questione che non voleva avere figli con la ex moglie.
“Signor Hummel mi permetta di dirle una cosa: ogni bambino o adolescente che passa per i servizi sociali ha perso o è stato salvato da qualcosa e quindi, nel posto dove andrà stare, non ha bisogno essere considerato come un peso o una maledizione. ”
 


Sebastian e Thad guardarono Kurt che si era addormentato, ma il suo volto non esprimeva tranquillità.
“Dorme?” chiese Etienne Smythe entrando nella stanza seguito silenziosamente da Isabelle.
“Si papà, le gocce di nonna Blanche lo hanno letteralmente steso!”commentò stupito Sebastian osservando ancora l’amico.
“Ora capisci perché dico che mia madre ne sa una più del diavolo?” domandò Etienne avvicinandosi al letto  osservando con un sorriso triste il ragazzo addormentato.
“Non mi fiderò più dal prendere nulla da lei! Maledetta Strega.”
“Sebastian finiscila lo sappiamo tutti che adori tua nonna e sappiamo tutti che adori essere il suo cocco!” disse Thad con un broncio che era speculare a quello dell’altro ragazzo con cui era fidanzato, anche lui era innervosito con l’anziana per aver addormento in quel modo il loro migliore amico che entrambi consideravano un fratellino minore.

 “Isabelle, credo che stanotte Kurt lo devi lasciare qui a dormire.”Commento Etienne e Isabelle sospirò pesantemente.
“Domani in teoria, se quello che ha detto il medico all’ospedale è vero, arriveranno i risultati del test del DNA. Se l’assistente sociale domani mattina non lo trova a casa rischio di un pesante rimprovero!”spiegò la donna leggermente infastidita dal fatto che ogni mossa che facesse con Kurt dovesse avvertire qualcuno dei servizi sociali,  esattamente come quella sera che per portare il ragazzo a casa Smythe aveva dovuto fare una serie di telefonate chiedendo il permesso a Johanna.
“Manda un messaggio alla signora Sullivan e digli che Kurt dorme qui con i suoi amici oppure domani sveglia di tutti alle sei e mezza e lo riportiamo a casa per le sette e venti, così poi andiamo via insieme io e te con una sola macchina.” Disse semplicemente Etienne alzando le spalle e Isabelle sorrise.
“Sarebbe perfetto, così andrebbe anche meglio in realtà.”

“Tu e Kurt siete venuti in taxi? Hai bisogno di un passaggio fino a casa?”             
“No Etienne grazie, ho preso l’auto, però prima di andare gradirei una tazza di tisana.” Fece Isabelle tranquillamente.
“Me la faccio anch’io una tazza.” disse Etienne.
“Sì, ma basta che non beviamo uno degli intrugli di tua madre, non vorrei finire come Kurt su quel letto.”
“Elisabeth adorava i miei intrugli Isabelle, e tranquilla che non ti darei mai nulla di strano. Ma Kurt ha bisogno di una notte di riposo come si deve visto quello che accadrà domani. Era troppo nervoso  e un po’ di belladonna e valeriana non hanno mai ammazzato nessuno! ”

Come un apparizione si era mostrata Blanche Smythe, appena uscita dal bagno con una veste svolazzante di un viola acceso e fra i capelli aveva una serie di bigodini di misure diverse.
“Nonna.”
“Sebastian ti ho sentito benissimo che mi hai chiamato strega! Non mi sembra consono che un gentiluomo di diciotto anni dia agio alla propria bocca con parole di quel tipo per riferirsi a una dama come me e soprattutto della mia età!” disse al nipote in maniera altezzosa la donna.
Thad intuendo la rabbia del suo ragazzo gli prese la mano non per calmarlo, ma per fargli intuire che era con lui.
“Beh scusami nonna se sono un po’ incazzato dato che una delle ultime sere che posso passare insieme a Kurt lo hai steso a suon di erbe strane!”
“Belladonna e Valeriana.”

“Non mi interessa cosa sono! Lo sai che è questione di giorni prima che quel maledetto stronzo venuto da quel buco di città dell’Ohio, che in questo momento mi sfugge il nome, si porti Kurt lontano da noi che siamo la sua famiglia!” ribatté acido Sebastian.
“Sebastian non parlare così!” Lo riprese Etienne beccandosi un’occhiataccia dal figlio.
 Blanche sospirò, sapeva del rapporto profondo che legava i tre ragazzi, infondo si erano conosciuti da piccoli alla stessa scuola di arti del palcoscenico. Sebastian aveva sette anni ed era il terzo anno che ne faceva parte, Thad aveva sei anni ed era due anni che era iscritto ed entrambi avevano preso sotto la loro ala un piccolo e pestifero Kurt, orgogliosissimo nel suo tutù rosa, di appena quattro anni e da allora loro tre non si erano più mollati.

“Viene da Lima e poi non è detto che quell’uomo sia il padre biologico di Kurt.” Disse pazientemente Etienne all’arrabbiato figlio.
 Blanche si scambiò un’occhiata con Isabelle, entrambe le donne sapevano da anni chi fosse il padre di Kurt e dove fosse. Elisabeth, una notte di qualche anno prima, in un momento di sfogo si era confidata con loro raccontando la sua storia e chiedendo consiglio se lo dovesse dirlo anche a Etienne, dato che all’epoca la bella Calhoun e lui avevano una relazione, poi finita perché erano meglio come amici che amanti nonostante un po’ di amore fra loro era sempre rimasto anche se entrambi avevano poi avuto altri compagni.
Blanche sapeva che Elisabeth alla fine non aveva mai detto a Etienne chi fosse il padre di Kurt, lasciandogli spesso e volentieri a lui quel ruolo di genitore con il piccolo bambino. Lei non era stata favorevole alla decisione di Elisabeth, ma aveva capito cosa aveva spinto la donna a comportarsi come si era comportata e perché non aveva mai cambiato idea sulla propria decisione di tenersi il bambino senza dirlo all’ex marito.

Per questo era rimasta stupita che la bella Calhoun avesse fatto un testamento dove aveva lasciato sapere chi fosse il padre di Kurt, visto che era così contro  a tutto quello che aveva fatto in vita...
Blanche sapeva che Etienne stava soffrendo sia per la perdita di Elisabeth che per l’imminente trasferimento di Kurt, infondo era lui che un po’ aveva cresciuto quel ragazzo ed era fra loro c’era un rapporto molto simile a quello di padre e figlio.

 “Tesoro mio, Kurt ha bisogno di dormire e anche voi due dovreste farlo! Da quando Elisabeth è morta e tutta questa storia è cominciata nessuno di voi tre ha dormito più di una manciata di ore! So delle telefonate fino a tarda notte che fate su Skype.- disse l’anziana- Sia io che Etienne che i tuoi genitori non ché tua nonna Thad, sappiamo che voi due in queste settimane avete spesso saltato la scuola per stare con Kurt. Mettevi a dormire tutti e domani, avendone già parlato con i vostri genitori, non andrete a scuola e starete con lui che ne avrà davvero bisogno data la giornata che si prospetta. ”
Sebastian e Thad si girarono verso Etienne.

“Possiamo davvero papà?”
“Sì Sebastian. Domani voi resterete a fargli compagnia.”
Sebastian fece una faccia soddisfatta ed Etienne sorrise, non aveva detto al figlio delle proprie intenzioni di prendere in affidamento Kurt, nonosstante tutte le problematiche del ragazzo, non voleva che dopo la speranza venisse fuori la delusione se il test confermava che quel Burt Hummel era effettivamente il padre. Etienne dentro di sé sperava che quell’uomo non fosse il padre di Kurt…
 


Finn fissava il soffitto della propria stanza, era arrabbiato per tutti pettegolezzi che stavano girando a scuola e in città sul presunto figlio che suo padre poteva avere avuto dalla ex moglie, quella Elisabeth Calhoun.
Il ragazzo vedeva che sua madre, nonostante cercasse di fare finta di nulla, si sentiva a disagio. Tutti avevano un interesse morboso sulla vicenda e i più sfacciati si erano fermati pure a chiedere se si sapesse  qualcosa.
Finn era esausto dai blateri di Quinn, la sua ragazza, che invece sembrava elettrizzata da quella enorme popolarità inaspettata, a differenza di lui che invece era solo spaventato da tutta quella situazione.
Spaventato dal fatto che se quel ragazzo si fosse rivelato davvero il figlio di suo padre sarebbe andato a vivere con loro e gli avrebbe rubato l’attenzione e affetto di Burt.

Finn aveva sempre saputo che non era veramente il figlio di Burt Hummel e il suo vero padre era Christopher Hudson, morto quando sua madre era incinta di lui. Mai i suoi genitori glielo avevano nascosto, anzi avevano sempre cercato che lui sapesse da chi derivasse. La verità però che lui fin dai suoi primi ricordi vedeva il volto sorridente e buono di Burt, era lui che lo consolava quando si faceva male o gli aveva insegnato ad andare in bicicletta o portato allo stadio a vedere le partite di football; era sempre lui che gli era stato accanto quando era stato male o era nelle foto di ogni suo ricordo, non Christopher Hudson.
Per lui il suo papà era Burt non Christopher.

Finn sapeva bene della orribile morte per droga del suo vero padre e sapeva bene però quanto sua madre ci tenesse che lui sapesse che era stato anche un brav’uomo prima che quella dipendenza lo rovinasse per sempre, per questo gli raccontava aneddoti o ricordi. Ma per lui, che aveva visto solo qualche fotografia, Christofer era una presenza fatta solo dalle parole e dal sangue che lo legava. Non conosceva neanche molto bene i suoi nonni, genitori di suo padre, in quanto dopo la terribile morte del figlio non reggendo la pressione dell’opinione in città si erano trasferiti in Texas a Wako. Lei e Burt lo avevano portato un paio di volte a trovarli e una sola volta i suoi nonni erano ritornati a Lima per vederlo, ma quella si era rivelata una visita disastrosa. Ogni tanto fra loro c’era qualche rara telefonata e periodicamente sapeva che sua madre inviava a loro delle sue fotografie e loro mandavano a lui dei regali sotto forma di busta con un po’ di soldi. Ma la realtà era che non c’era un vero rapporto tra loro. Con i suoi nonni da parte di madre, Lise e Charles Nelson, era come con suo padre di loro aveva solo qualche foto e molti racconti, erano morti entrambi molto prima che lui nascesse.

Chi davvero considerava i suoi nonni erano Molly e Arthur Hummel, i genitori di Burt. Loro c’erano stati durante tutta la sua vita.

Finn sapeva di non essere la persona più sveglia o intelligente, ma sapeva bene quanto suo padre avesse desiderato un altro figlio. Lui aveva sempre sperato che non arrivasse mai, aveva paura che se fosse nato un fratello o una sorellina che condivideva lo stesso sangue degli Hummel, lui, non sarebbe più stato amato allo stesso modo da Burt. Onestamente era stato sollevato che i suoi genitori fossero arrivati al punto di accantonare l’idea di provare ad avere un secondo figlio e ora il destino aveva giocato contro di lui...

A volte la vita faceva proprio schifo!
Finn chiuse gli occhi e provò a dormire sperando che quel ragazzo non fosse figlio di suo papà e che la sua vita tornasse alla normalità.
 
 


Burt quella notte non aveva dormito un granché, aveva parlato fino a tardi al telefono con Carole, aveva anche parlato con Finn che era stato un po’ evasivo quando gli aveva chiesto come andava. Burt non aveva bisogno di sentirlo dire da suo figlio per immaginarsi il vespaio girava attorno a tutta la loro vicenda.(che poi gli aveva confermato sua moglie)
 
Johanna Sullivan era passata a prenderlo presto quella mattina per portarlo in ospedale a parlare con il medico per il risultato dei test. La donna dopo il brunch, nel quale si erano chiariti, gli era parsa nei suoi confronti decisamente molto più dura di quanto non fosse prima, ma a lui non interessava, non vedeva l’ora che tutto fosse finito per prendere il primo aereo per Lima.

L’assistente sociale camminava con passo spedito e con una certa urgenza, per via del traffico avevano ritardato di parecchio all’ora dell’appuntamento che avevano con gli amici di Elisabeth, si rilassò solo quando misero piede in ascensore e schiacciarono il tasto del piano.

Quando le porte di aprirono rivelarono la sala d’aspetto del reparto dove aveva fatto il test di paternità.
Burt seguì Johanna che a passo sicuro si avvicinò a un uomo e una donna davvero elegantissimi e con vestititi di davvero alto pregio. Lui non era certo un esperto di moda, quello che sapeva lo aveva imparato grazie a Elisabeth, la quale era un appassionata. Si sentì a disagio nel suo completo buono per le occasioni importanti che ormai gli stava leggermente stretto dato che un po’ era ingrassato.

Si concesse un momento per studiare le due figure: entrambe erano certamente sulla quarantina d’anni forse addirittura di più, ma entrambi portavano la loro età in maniera incantevole. La donna aveva lunghi capelli biondi lasciati sciolti  che incorniciavano il viso cavallino (ma affascinante) e i grandi occhi azzurri chiarissimi. Vestita con un elegantissimo vestito bianco con dei fiori rossi di uno stile che era sicuramente richiamante il vintage che esaltava la sua corporatura sottile e ai piedi calzava delle scarpe rosse con un tacco davvero impressionate che l’aiutavano ad aumentare la scarsa altezza..

Burt però rimase colpito dall’uomo che era vestito in un elegantissimo completo casual verde scuro brillante e una camicia col collo coreano color bronzo, lo stesso tessuto del foulard infilato nel taschino sul petto della giacca. L’eleganza dell’abito veniva esaltata maggiormente dalla figura slanciata  e muscolosa   dello sconosciuto dai capelli castani rossicci leggermente striati di grigio e la pelle chiara cosparsa di tante lentiggini. Era decisamente un bellissimo. Ma Burt notò maggiormente che l’uomo lo fissò con i suoi occhi chiari, forse grigi, davvero freddamente  e con un lieve astio, tanto che lo indispose immediatamente anche perché anche non si somigliavano, gli ricordava il modo in cui lo guardava Luis Lopez...

Burt prima di avvicinarsi osservò un’ultima volta i due e pensò che sembravano usciti da una copertina patinata di una rivista di moda.

Johanna Sullivan stava parlando ai due con molta tranquillità, Burt notò il modo che aveva di rivolgersi all’uomo sconosciuto, un po’ civettuolo, si riscosse quando l’assistente sociale fece le presentazioni.
“Signor Hummel le presento Etienne Smythe e Isabelle Wright. Signor Smythe, signora Wright, vi presento Burt Hummel.”

Burt strinse alla mano ai due che lo salutarono educatamente e lanciò un’occhiata interessata all’uomo, pensando che era lui che voleva in affidamento il figlio di Elisabeth, mentre la donna bionda era quella che si occupava al momentaneo del ragazzo. Burt distrattamente pensò che quei due erano così diversi dagli amici che un tempo Elizabeth aveva avuto a Lima e che la gente li aveva soprannominati, non in maniera positiva o affettuosa, La Banda e per usare il termine che maggiormente la gente di Lima usava per descriverli era: “un ammasso di teste di cazzo!”.

Elisabeth, Melanie Anderson(da ragazza Penpeng), Luis Lopez, Jackson Zises, Olegh Clarington, Aron Puckerman da adolescenti e dopo il liceo erano stati inseparabili e in quegli anni non c’era un danno fatto a Lima che non portasse la loro firma:

Aron e Oleg erano finiti al riformatorio minorile per aver schiantato un auto contro una vetrina di un negozio di liquori (che anni dopo Aron ne sarebbe divenuto il propietario). Elisabeth che aveva buttato un secchio di colorante nella cisterna della scuola e quando gli sportivi o le cheerleader si erano fatti la doccia ne erano usciti colorati di verde.Jackson e Melanie, che erano i più tranquilli di quel gruppo, avevano messo del lassativo nel cibo nella mensa.

Infine, Luis sciupa femmine e rubacuori che ogni uomo che si interessava ad Elisabeth lo faceva finire male.
Burt se odiava davvero qualcuno in quel gruppo era proprio Luis. L’uomo latino aveva avuto una relazione sia con Carol che con Elisabeth, ma se con la prima era stata una storiellina adolescenziale con la seconda c’era stato qualcosa di più. Durante il terzo anno di liceo  e i tre anni successivi Luis e Elisabeth erano stati fidanzati ed erano stati davvero inseparabili, la gente di Lima  era sicura che si sarebbero sposati. Lo pensava anche lui. Luis e Ellie, come la chiamava il latino, erano molto simili: entrambi sprezzati e pungenti, entrambi di una bellezza fuori dal comune, entrambi anticonformisti ed entrambi  con un intelligenza acuta.

Sembravano davvero perfetti l’uno per l’altra, ma poi a Columbus, dove erano andati a convivere e a studiare all’università, era successo qualcosa che li aveva separati e aveva riportato Elisabeth a Lima. Nessuno sapeva, a parte gli altri componenti della Banda, cosa era successo e la ex-moglie non glie lo aveva mai confidato.

Quello a Burt lo aveva mandato spesso fuori di testa dal nervoso. Nonostante non fossero stati più insieme, Luis tornava spesso a Lima per vedere Elisabeth e lui avvertiva che c’era qualcosa di indistruttibile tra loro… ed era qualcosa aldilà che i loro genitori erano morti nello stesso incidente d’auto…
 
“Scusateci davvero per il ritardo, ma oggi c’erano dei lavori sulla strada dove alloggia il signor Hummel.” spiegò Johanna con semplicità, mentre lanciava un’occhiata non tanto velata al signor Smythe che per tutto il tempo non aveva fatto altro che fissare Burt, studiandolo.

Etienne non riusciva a capacitarsi come quell’uomo fosse l’ex marito della sua bellissima Elisabeth, non era bello e non aveva nessun senso dello stile, era imponente e solido, certamente un gran lavoratore dalle mani callose che aveva sentito quando gliele aveva strette, ma per quanto lo guardasse in lui non c’era niente che riuscisse a suggerirgli cosa la Calhoun ci avesse trovato. Etienne, come Isabelle, provò a cercare nelle fattezze di Burt qualcosa di Kurt( come un espressione o una movenza), ma entrambi non trovarono niente che suscitasse in loro un richiamo.

Etienne pregò disperatamente che quell’uomo non fosse il padre di Kurt, amava quel ragazzo come un figlio e non voleva che gli venisse strappato via come gli era stata strappata Elisabeth, non voleva che quel ragazzo soffrisse ancora e fosse sradicato da dove era tutta la sua vita. Sebastian sarebbe stato felice di accogliere il piccolo Calhoun come parte della loro famiglia e lo spazio nel loro appartamento non mancava.

Isabelle fissò l’uomo che era stato il marito della sua migliore amica e la cosa che le piacque di quel Burt Hummel furono gli occhi buoni e il modo deciso e forte in cui li guardava, denotando una personalità forse un po’ timida.

A richiamare l’attenzione di tutti fu il medico che aveva fatto i test, il dottor Moore, con in mano un plico di fogli e svariate buste, che li invitò a seguirlo in un piccola saletta che recava l’insegna di sala riunioni, il medico spiegò che in genere era lì che si parlava con le famiglie dei loro pazienti.
Burt si accomodò su una delle sedie con affianco Johanna che lo divideva da Etienne Smythe e Isabelle, i due si stringevano la mano e lui si domandò distrattamente se avessero qualche tipo di legame amoroso.
Burt cercò di regolarizzare il battito del suo cuore che batteva all’impazzata dall’agitazione, si sfregò le mani sulle ginocchia in un gesto nervoso e pensò che in quel frangente avrebbe tanto voluto Carole con se.
Il dottore si accomodò di fronte a tutti loro, sistemò i fogli, prese la prima busta che aveva di fronte a se e l’aprì.

“Allora signori, bando ai convenevoli, sappiamo tutti perché siamo qui è inutile girarci tanto intorno.-fece spiccio il medico, come se sapesse che in quelle situazioni era la cosa migliore da fare.- Signor Hummel, avendo analizzato alcune cellule sue e della signora Calhoun, abbiamo ricavato i vostri profili genetici e confrontati con quelli del ragazzo, inoltre, per essere sicuri del risultato ottenuto, abbiamo fatto una controprova, ma, in entrambi i casi, il test è risultato positivo. ”

Burt fissò il medico incredulo e si sentì strano. Il suo mondo era appena crollato e lo aveva fatto in silenzio. Sbatté le palpebre come se avesse preso una botta molto forte al viso, era stordito tanto che registro distrattamente il rumore di un verso affranto che doveva aver emesso Etienne Smythe.

“Signor Hummel, Kurt Charlie Calhoun è senza ombra di dubbio suo figlio.”
“Kurt…” Burt pronunciò per la prima volta il nome di suo figlio così piano che forse nessuno lo sentì, ma in quel momento si fece vivo in lui un ricordo che nemmeno pensava di possedere.


Corpi sudati, membra sazie e una stanza che cullava le parole di due amanti complici dette bisbigliando. Elisabeth e lui era da un po’ che tentavano ad avere figli ed erano elettrizzati all’idea di creare una loro famiglia, tutti i loro amici piano, piano stavano diventando genitori e a loro sarebbe piaciuto che i loro figli crescessero con quelli degli altri, il discorso era caduto sui nomi con i quali avrebbero potuto chiamare un ipotetica figlia.
“Ma se abbiamo invece un maschio come ti piacerebbe chiamarlo?” gli chiese Elisabeth ridacchiando perché in quel momento gli era salita a cavalcioni e Burt rimase incantato ancora una volta dalla bellezza da quella che da poche settimane era sua moglie: pelle d’alabastro, capelli lunghi e boccolosi color castagna, occhi azzurri e lunghi come quelli di un gatto. Elisabeth era bellissima e nuda era incredibile.
Burt non aveva bisogno di pensare a che nome maschile gli piacesse perché ce n’era uno che aveva sempre amato.
“Kurt.”
Elisabeth sorrise e fece una faccia stranita.
“Kurt.”ripeté sua moglie sentendo come il nome suonava fra le sue labbra.
“Kurt.”ripeté lui ed Elisabeth sorrise dolcemente.
“Mi piace, se avremo un maschio lo chiameremo Kurt!"
"E di secondo nome? " chiese divertito Burt.
Elisabeth divenne molto pensierosa, ma poi con voce timida disse:
"Mi piacerebbe Charlie, sia che fosse maschio o femmina."
"Va bene! Sia che avremo un maschio sia che avremo un
a femmina, di secondo nome si chiamerà Charlie"
Burt sorrise alla donna e che amava che in quel momento si era chinata per dargli un bacio che presto era divenuto qualcosa di più.

 


Blaine aprì leggermente la porta del e spiò fuori.
Tina Coen Chang era lì, appoggiata al muro di fronte ai bagni che lo attendeva vestita di tutto punto col suo inquietante gotic stile.
‘Dio ma cosa ho fatto di male per meritarmi questo? Ok c’è stato un bacetto da ubriachi a una festa... ma mesi fa!’
 Blaine cercava di ripensare, a parte il bacio, cosa Tina non avesse capito del suo volutamente ignorarla dopo il fattaccio …
‘Ma perché le donne non mi lasciano in pace? Questo è Stalking! Anzi so perché non mi lasciano in pace... – Blaine fissò lo specchio compiaciuto- Dio, come sono bello! Mi scoperei all’istante se mi incontrassi...’
“Blaine sei qui?” chiese Tina fuori dai bagni.
‘Maledetta stronza! Sai che sono qui, mi hai seguito!-Il ragazzo non rispose e si andò a chiudere a chiave in un cubicolo dei gabinetti e scosse la testa- D’accordo, forse posso averla illusa un pochetto... oltre il bacio per un po’ ho camminato con lei tra una lezione e l’altra… sì, ma non me ne è mai fottuto un cazzo di lei!”

Si lagnò con se stesso mentalmente mentre si sedeva imbronciato su un water dopo aver abbassato la tavoletta.
Blaine sentì qualcuno entrare nel bagno, sperò che non fosse Tina, anche se non lo avrebbe stupito data l’insistenza sfinente della ragazza.
“Anderson sei qui dentro?”
‘Oh sìììììììì... per te sono dove vuoi futuro signor Anderson di questo mese! Lo eri anche il mese scorso visto la fauna deprimente di questo orribile posto’

“Tina mi ha mandato a cercarti.”
Blaine sbuffò sentendo il nome dell’asiatica.
‘Perché Tina!?Quella non ha capito che l’accompagnavo solo per violentare con lo sguardo le belle natiche marmoree del suo migliore amico!’
“Dai amico, sono Sam Evans!”
So chi sei dato che mi sono proiettato ,nella mia mente, un sacco di filmini porno con te come protagonista. Dai vieni qui dentro, chiudiamoci e dimentichiamoci di Tina. ’
Blaine non rispose e dopo sentì un sospiro.
“Deve essersi sbagliata.”

Blaine si trovò di nuovo solo.
‘Per ora il pericolo asiatico è stato scampato.’
Il ragazzo sbadigliò e poi osservò meglio il bagno in cui sostava.
‘Oh è quello che usano quei coglioni... ah beh allora...’
Con allegria si alzò in piedi e si slacciò la cerniera e
‘Forza Blaine Junior non mi deludere!... Ahhhhh’

Il ragazzo riccio cominciò a fare pipì bagnando il pavimento, il sanitario e le mattonelle.
‘So per certo che uno di voi stronzetti piscia seduto e che un altro ha il suo svuoto degli scarichi alla ricreazione… così vi porterete per il resto del giorno una parte importante di me!’
Alla fine si diede una sistemata, si lavò le mani e poi con aria soddisfatta uscì dal bagno.
‘Questa volta Figgins non potrà darmi la colpa! A meno che non faccia un esame delle mie urine!’
Il ragazzo camminò tranquillo fino a che non vide le uniche due figure a scuola, oltre il culo di Sam, che considerava decenti: Brittany e Santana.

Le conosceva fin da quando erano piccole, erano alla stessa classe all’asilo e poi sapeva che le loro famiglie non centravano nulla con quello che era capitato a sua madre... Anzi, quella era l’unica sicurezza che aveva in tutta quella faccenda:
I Pierce e i Lopez erano innocenti.

Rapidamente superò la folla degli studenti e con prepotenza staccò i mignoli alle due ragazze e si mise in mezzo prendendole sotto braccio.
“Ciao Blaine.” Disse Brittany dando un bacio sulla guancia del ragazzo che al contempo si sentì tirare un orecchio.

“Ti ho detto mille volte che non devi farlo! Se mi spezzi un dito io poi ti picchio con il gesso! E tu Brittany non salutarlo con tutta quella enfasi! Lo spingi a rifarlo.”

Blaine guardò intensamente Santana, mentre lentamente le parò davanti il dito medio.
“Credi di essere l’unico in grado? Non è che se non parli mai sei l’unico che conosce le parolacce con i gesti.” rispose con calma Santana facendo a sua volta il gestaccio.
Blaine sorrise divertito e poi fulmineo prese in bocca il dito della ragazza e scosse la testa come un cane beccandosi un paio di sberle in testa e una tirata di capelli dalla latina e lui, per tutta risposta, prima di lasciare la ‘presa’, le mollò un morso.
“Ahia! Blaine! Dai cazzo! Non è divertente!”
“Santana dai andiamo subito in infermeria a farti un vaccino contro il tetano!”
“Semmai contro la rabbia Britt.”
Brittany annuì assorbendo quella informazione, ma ogni discorso fu interrotto dalla voce di Noah Puckerman che gridava:
“Ma che schifo! Chi è lo stronzo che ha pisciato dappertutto tranne che nel cesso!”
Santana si voltò a fissare Blaine, che aveva in faccia un sorrisetto divertito, e chiese:
“Sul serio? Spero che tu ti sia lavato le mani dopo...”
Blaine sorrise più ampiamente e fece una carezza sul viso a Santana che si ritrasse schifata.
“Blaine io ti taglio le mani!”
 
 

L’angolino della tazza di caffè…

 
Allora eccoci qui con il secondo capitolo…
La matassa di tutta questa storia è davvero complicata e lo devo ammettere sono piuttosto elettrizzata!
Nel prossimo capitolo avremo l’incontro fra Kurt e Burt e ci saranno davvero molti pensieri da ambo le parti!
Blaine è un combina guai di prima categoria ed abbastanza ingestibile e nel terzo capitolo farà la sua apparizione il bel Cooper Anderson che ha soli 4 anni più di Blaine anziché 8 come nel telefilm, ma tutto verrà spiegato a tempo debito.
Intanto vi saluto, lasciandovi il mio indirizzo fb e vi ringrazio dell’accoglienza che ha avuto questa mia nuova storia!
https://www.facebook.com/pages/Schifottola/598579906836059?ref=hl
 
   
 
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