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Autore: Ut0piagratuita    08/09/2014    4 recensioni
Dall'ottavo capitolo:
" La gente comune è liquida, ragazzina: come l'acqua assume forme diverse a seconda del contenitore. le persone uniche sono quelle che rimangono solide, quelle non le puoi omologare alle altre...
Proprio per questo tutti siamo unici, ognuno in un modo unicamente suo"
" Quindi siamo fiocchi di neve, in pratica"
" Sì, siamo fiocchi di neve"
le nostre mani in contatto, a dividere quella lacrima ghiacciata: estate e inverno. Freddo e caldo.
Rosso e Verde.
Tutti i dettagli che ci guardavano, ci studiavano, aspettandosi qualcosa.
Ma io guardavo lei.
Quello era uno spettacolo maggiore... Unico
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Stiles e Lydia, due storie che diventano una, attraverso limiti e problemi...
Perché tutti meritano di essere salvati, perché tutti conoscono il modo per salvare.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allison Argent, Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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"The way to save = Il modo per salvare"

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Excuse me for a while,
Turn a blind eye with a stare caught right in the middle
Have you wondered for a while
I have a feeling deep down you’re caught in the middle
If a lion, a lion, roars would you not listen?
If a child, a child cries would you not give them

Yeah I might seem so strong
Yeah I might speak so long
I’ve never been so wrong
 
Excuse me for a while,
While I’m wide eyed and so damn caught in the middle
Have you wondered for a while
I have a feeling deep down you’re caught in the middle
 
Yeah I might seem so strong
Yeah I might speak so long
I’ve never been so wrong
I’ve never been so wrong

 



 
Strong –
London Grammar
 


 

 Lydia 

 


 
“ Basta”
Poco più che un sussurro, lo guardai perdersi nel suo viaggio per la stanza vuota in cui ero, era uscito naturale dalle mie labbra che avevano perso il controllo per tutto il tempo in cui le avevo tenute sigillate.
Lo stato di trance da cui mi stavo lentamente risvegliando mi faceva sentire in una specie di stanza insonorizzata, all’apparenza vuota, ma piena di finzione e pura attesa.
Gli occhi stavano per lacrimare, da quanto erano rimasti aperti, quindi li chiusi, bloccando il segnale fisso che avevo instaurato con la neve fuori per la strada.
Neve e non neve.
Fuori la città continuava a respirare, a trascorrere la notte con quel tipo di caos particolarmente calmo che c’è solo prima del Natale; e mischiava il silenzio di una neve candida al fastidio delle luci colorate che decoravano le case, ostentando ricchezza e cura marcata.
Sbadigliai, stanca dal corso disastroso degli eventi a cui avevo partecipato come un automa, senza poter veramente avere voce in capitolo, e smisi di guardare fuori, cercando la proprietaria della stanza in penombra in cui mi trovavo. Ma Allison non c’era, era andata in ospedale per una firma di revisione, quindi ero sola, che aspettavo impaziente una storia che doveva ancora essere raccontata.
Questa casa mi aveva visto crescere durante gli anni del Liceo, mi aveva accolta nel suo mondo a tre, fatto conoscere i suoi abitanti e i suoi segreti, e ora notavo lo spettro si quella felicità decaduta, del fantasma che si aleggiava per le stanze, lasciando gli aloni sugli specchi e muovendo impercettibilmente le tende al suo passaggio. La guardai negli occhi, ricordando il suo sorriso tirato ogni volta che mi vedeva entrare dalla porta d’ingresso dietro la figlia, o il modo in cui veniva a controllare che studiassimo veramente …
Sorrisi ricordando come, a Victoria Argent, non fossi mai piaciuta.
La guardai attraverso la grossa cornice in ottone accanto alla finestra, dove stringeva il marito e la figlioletta, rubai un po’ di felicità dai loro volti per tornare a respirare, e richiusi gli occhi.
Si stava meglio senza guardarla, questa vita.
Faceva meno male.
“ Basta”
Lo sussurrai ancora, come per darmi un po’ di quella forza che mi mancava.
Con le dita sentivo ancora la consistenza fredda e dura del vetro, e pensando a quella signora dai capelli rossi e l’aspetto austero, sentii il sapore del mio ricordo sulla lingua, e mi lasciai cullare da esso.
Mi prese da solo, così, con la forza con cui un bambino acchiappa un aquilone, e io lo accettai: certi ricordi non puoi fare a meno di riviverli …
 



 
 
Le decorazioni natalizie in casa Martin rimanevano le stesse di sempre.
C’era una sorta di legame affettivo a livello quasi morboso, che mia madre ogni anno rimarcava, mandandomi in spedizione per la soffitta, alla caccia degli scatoloni marroni, raccomandandomi di fare assoluta attenzione. Ricordo che trovarli era sempre un’impresa, dovevo entrare nella parte di soffitta più scura e nera, quella piena di polvere e cose della vecchia casa di mia madre.
Quel giorno eravamo solo noi due, e Matis il gatto arancione e grasso, che ci fissava dall’alto del davanzale della finestra, seguendo i nostri movimenti con le sue iride screziate di giallo. In religioso silenzio toglievamo le decorazioni dell’albero di Natale dal fondo della scatola, e notavo come ogni ghirlanda, ogni pallina aveva una sua storia, un suo passato da raccontare. Mia madre si bloccava a guardarle, e sorrideva di tanto in tanto, e io ero felice: mia madre non sorrideva spesso, era bello quando lo faceva, mi piaceva.
“ Sai Lyd, io ci sono cresciute con queste” indicando le palline di vetro mi richiamò dalla mia bolla “ io e tua nonna le conservavamo tutti gli anni, e mi si spezzerebbe il cuore se se ne perdesse qualcuna. E’ importante avere qualcosa da conservare e ricordare”
Annuii, poggiando l’angelo con l’abitino in pizzo a terra, e la guardai: Natalie Martin teneva fra le mani una campanella dorata, e la guardava con una dolcezza e un amore che, testimone il crampo nella profondità dello stomaco, non aveva mai dedicato a me, sua figlia.
“ A tuo nonno invece, le decorazioni non ti interessavano”
“ Perché?”
“ Non lo so, il perché. Ci guardava fare l’albero con il disappunto scritto in viso, e sorrideva ogni volta che facevamo cadere qualcosa … Non capiva quanto fosse importante rispettare le tradizioni  “ 
La sua amarezza era palpabile, e i suoi occhi tremarono di qualcosa simile al dolore; non capivo nemmeno io, avevo sempre adorato i nonni, e non avevo mai pensato a mia mamma come loro figlia, che litigava o veniva sgridata e punita.
“ Le decorazioni lo facevano triste, come papà?” chiesi, cercando di arrivare al nocciolo del problema, ma mia madre scosse la testa.
“ No, per chi l’inverno ce l’ha dentro non c’è modo di cogliere scintille così piccole come le festività”
“ Come?”
“ Mio padre aveva l’inverno con sé, lo portava addosso come un maglione, e non lo toglieva mai. Era troppo distante dal mondo mio e di tua nonna, lui non accettava il nostro essere attaccate alle cose”
“ Non capisco, perché?”chiesi ancora, indagando come mi era solito fare: non mi accontentavo di risposte a metà, per me ci voleva tutto.
“ Non ci riusciva. Si nasce così a volte: distanti, ghiacciati, e nulla o nessuno può fare qualcosa … E più si ripetono le stesse abitudini, più è difficile accettarlo; come quando ti spazzolo i capelli: fa sempre male, tu ti lamenti sempre, ma è inevitabile” 
Mandai la mia mente alla ricerca del ricordo che mia madre richiedeva, e tornai alla sera prima, a lei e me sedute sul letto, lei con la spazzola di legno con i disegnini a fiori che, a ritmo scandito, non si curava dei miei urletti e le mie smorfie, che la mia natura da bambina di dieci anni non poteva reprimere.
“ Era severo, Lydia, il suo ideale di vita non comprendeva l’affetto, o l’amore gratuito, per lui era importante ricevere qualcosa in cambio, sempre. Quindi era come l’inverno: si prendeva tutta la gioia e la vita, e la nascondeva sotto la sua coperta bianca. Quando si ha un peso dentro, uno di quelli che più cammini più ti schiaccia, non si toglie. Per certe cose la speranza non esiste. E quando le persone trovano cose come l’inverno dentro … la speranza per l’inverno dentro non esiste”
Mia madre aveva gli occhi lucidi, ma non la vidi piangere, invece si alzò e andò in bagno. Sbatté la porta, rimasi a guardarla per qualche secondo.
E capii che la conversazione era finita, lei era già nel suo mondo, fatto di medicine e di tempo passato contro la parete del bagno, a guardare la finestra che dava sul giardino, in silenzio assoluto; io rimasi sola, su un pavimento pieno zeppo di passato natalizio. Presi tutte le decorazioni e, facendo attenzione, cominciai a posizionarle sui rami dell’alberello sintetico, guardando i loro colori, cercando di imitare lo stile di mia madre il meglio possibile.
In silenzio promisi a me stessa che non sarei mai diventata la delusione che suo padre era per mia madre, sapevo di potercela fare, a essere migliore, a essere un rimpiazzo all’affetto mancante, nella mia mente pittoresca ero un buca neve: vincevo l’inverno e il fitto intreccio di fili bianchi della neve, e facevo ritornare la primavera. 
Quando finii l’albero mia madre non era ancora uscita dal bagno, e il gatto si era addormentato. Avrei imparato bene, negli anni successivi, che la mia solitudine andava nascosta, come l’inverno dentro, andava portata sotto il maglione, per evitare domande scomode o confronti.
Sola, mi accovacciai contro la porta del bagno, per starle vicino.
Io adoravo mia madre, io c’ero sempre per mia madre.
 
 



Etciù!
Uno starnuto mi fece tornare sul pianeta Terra con la velocità della luce, e mi guardai attorno spaventata: nella mia solitudine avevo perso la concezione del tempo e dello spazio.
Poggiai la cornice con cautela, poi corsi giù per le scale, rassicurandomi con il fatto che l’estraneo era di certo Allison, che potevo stare tranquilla. Tirai un sospiro di sollievo quando riconobbi la mia migliore amica, con sciapa e berretto ancora addosso, che lottava per chiudere il portone difettoso.
“ Sei tu”
“ Chi ti aspettavi? Babbo Natale arriva tra qualche giorno” mi sorrise, sbattendo con forza la porta nera, facendo tintinnare la campanella dorata che aveva messo accanto ad essa.
“ Non credo in Babbo Natale … Com’è andata in ospedale?”
“ Io sì! Comunque, tutto-“ si interruppe per disfarsi della sciarpa verde, “ bene. Finstock insisteva sul fatto che avessi prescritto un farmaco mensile scaduto, che aveva appena accettato lui dal campionario, e che tra parentesi andava somministrato a dosi giornaliere! “
Mi grattai la testa nascondendo un altro sbadiglio, cercando si ricordare chi fosse Finstock.
“ Ah … Finstock?”
“ Sì, il farmacista! Quell’idiota stratosferico di Bobby Finstock … Non capisco come diano la laurea a certa gente ”
“ Non ce l’ho veramente presente, scusa …”
“ Capelli neri, quasi sempre oleosi, occhi azzurri trasparenti, pelle bianchiccia - malata … No? Lasciamo perdere, davvero” si tolse anche il berretto abbinato alla sciarpa, e il giaccone, lasciò entrambi sull’appendi abiti e si diresse in cucina, io la seguii.
“ Ok, e per il resto, come stai?”
“ Ti va un tè? O una tisana?”
La guardai un attimo, cercando le sue vere intenzioni nei suoi occhi da cerbiatto: aveva deliberatamente evitato la domanda, sostituendola con un’altra, tipico di Allison. Sospirai.
“ Vada per il tè”
“ Alla fragola, come sempre?” aprii lo scomparto sopra i fuochi, per prendere bollitore e tazze.
“ Certo. Senti Ally, io ho-“
“ Sì Lyd, adesso ti preparo il tè, e mi faccio una camomilla, e poi ti racconto tutto” sancì con decisione. Andò verso l’altro mobile, cercare le bustine di tè, e io la guardai, felice che non fosse adirata. Ci mancava solo che la facessi arrabbiare, e non saremmo mai andate da nessuna parte.
“ Sei sicura? Io non voglio costringerti a far nulla, non ti devi sentire pressata, accetto anche un no, seriamente.”
“ Lo so, ma ti ho fatto aspettare abbastanza, sono pronta per parlarne. Ne ho bisogno, anche se non vorrei altro che dormire e dimenticarmi della mia vita per qualche ora”
“ Sarebbe bello” convenni, sedendomi sul tavolo, lasciando che le mie gambe dondolassero avanti e indietro, ringraziandomi mentalmente di aver messo i collant: non sarei mai resistita all’inverno gelido altrimenti. 
Allison annuì, poi rivolse la sua completa attenzione all'acqua che cominciava a riscaldarsi, io mi guardai le gambe, pensando a quel ricordo che mi era rimasto impresso.
Bruciava così tanto che mi premetti una mano sulla bocca per soffocare un grido ... Sarei scoppiata presto, il campanello d'allarme già squillava, esigeva di essere ascoltato, ma lo ignorai: prima gli altri che se stessi, no?
Mi presi la testa fra le mani, i rumori della strada riempivano il vuoto che si andava a formare dentro; l'inverno che mio nonno portava l'aveva tramandato a me, me lo sentivo.




 
“ Ho fatto una delle cazzate più grandi della mia vita, e in ventidue anni di vita credevo di aver acquisito una certa esperienza …”
“ Per certe cose non si è mai troppo grandi” smorzai la serietà, facendola sorridere.
Allison prese un sorso dalla tazza fumante, e io la imitai, preparandomi alla storia che avevo aspettato, ma che ora non ero sicura di voler sentire.
“ Ieri, dopo essere stata al cimitero con mio padre, sono passata un attimo al Dark Side Of The Moon per parlare con Scott, ma era chiuso per pulizie, quindi sono tornata a casa … Avevo ancora in testa la conversazione del giorno prima: io e lui siamo rimasti fino alle tre del mattino seduti al bancone, semplicemente parlando e bevendo, guardandoci negli occhi, imparando uno la vita dell’altro, ed è stato perfetto …” si fermò per riprendere fiato, e abbassò gli occhi, addolcendo in qualche modo i lineamenti del viso, sorrisi, pensando alla situazione, che, per quanto scomoda, offriva sempre una ragione in più per sorridere, anche se per poco.
“ Ma tornata a casa non riuscivo a stare calma: e se lo scoprisse? E se poi finisse per ferirmi, come Isaac, come tutti gli altri? Però allo stesso tempo non potevo non sperare nel fatto che una volta saputa la verità lui mi avrebbe perdonata, e , anzi, avrebbe accettato la cosa, e mi avrebbe aiutato con il bambino. Non lo so, Lyd, hanno ragione quando dicono che la speranza è l’ultima a morire, la sentivo ieri, è quella che mi ha spinto a vestirmi bene, a farmi i capelli, a truccarmi e a mettermi il rossetto, dopo che lui mi aveva invitato a cena. Assurdo come la vanità di noi donne esca fuori una volta che ci sono gli uomini in mezzo”
Allison mi guardò negli occhi, io annuii, come per darle il permesso di continuare.
“ Dove ti voleva portare?”
“ Al nuovo ristorante giapponese … Io non ho mai mangiato giapponese, lo sai?”
“ Nemmeno io, solo cinese, e non quanto siano diversi” risposi, prendendo un sorso del tè alla fragola.
Lo lasciai scivolare giù, sentendo come quella bevanda rosata mi infiammava la gola, si bloccò vicino al cuore, a riscaldarmi un po’, una debole luce nel mio essere buia, anche dentro.
“ Alle otto  in punto era qui, con il casco ancora in mano, per me. L’ho fatto salire, come mi ha visto ha cominciato a sorridere e a balbettare che ero davvero bellissima, e io ero così felice, davvero, non puoi capire …” lo disse con la voce così spenta e vuota che avrei riso, se non fosse stato quello il contesto.
“ Ma non può andare tutto sempre bene, no? Dev’esserci sempre quella macchia, quel granello che fa pendere la bilancia da una parte più che un’altra …
 

“ Scott! Sei puntualissimo, complimenti”esclamai, girandomi di scatto. 
Mi stavo ancora mettendo gli orecchini di perle allo specchio quando notai il suo riflesso che mi guardava. Scott sorrideva, era bellissimo quando lo faceva.
“ Una delle mie numerose doti! WOW … Voglio dire, sei bellissima Allison, io … Wow”
Sorrisi, guardandomi la gonna: ero vestita con un semplice abitino nero di velluto, aderente, che aveva uno spacco dietro che arrivava al livello dei reni, e i miei stivali con il tacco.
" Dove andiamo stasera, McCall?"
" Bhè, signorina Argent, avevo intenzione di portarla alla nuova apertura Giapponese che questa cittadina ci offre"
" Com'è educato, signor McCall, a cosa devo tutto questo garbo?"
“ Sono così solo con chi ne vale la pena” sorrisi, permettendo al mio cervello di crogiolarmi sul significato di quella frase.

“Sei sicuro che io ne valga la pena?”
“ Credo di sì, Allison … Che c’è mi nascondi qualche segreto che mi farà cambiare idea su di te?” rise, io non riuscii a ridere con lui, la risata si bloccò nella mia gola, non riusciva a uscire.
“ Non credo, perché lo chiedi?”
“ Scherzavo, naturalmente! Io mi fido di te, so che sei speciale e diversa delle altre, e mi fido già di te” mi fece l’occhiolino, e io sentii i lati del mio sorriso afflosciarsi, mi schiarii la gola.
“ Non sono esattamente come tu mi immagini”mi sedetti sul letto, continuando a guardarlo, la gola che pizzicava sempre di più.
“ In che senso? Hai mai ucciso qualcuno? Fai parte di qualche organizzazione che vende gli organi illegalmente?”
“ Ovviamente no! Mai”
“ E allora non c’è niente di cui preoccuparsi, e poi ci conosciamo da troppo poco, non pretendo di essere colui di cui ti fidi, io sono qui per aspettarti tutto il tempo che ti serve”
“ Allora per il bene di tutti e due c’è una cosa che ti devo dire”
“ Mi fai quasi paura, con quella faccia … Io sono qui”
Mi si avvicinò, poggiò il casco sul letto e si abbassò al livello dei miei occhi. I suoi erano così pieni, così sinceri e dolci, che mi maledii per la mia lingua lunga, ma ormai non potevo tornare indietro, andava fatto. Ora, subito.
“ Ricordi la prima volta che ci siamo visti? Sono stata subito colpita dal ragazzo che sapeva sorridere anche con gli occhi, e che senza pretese mi ha ascoltato tutta la notte, e mi ha fatto dimenticare dei miei casini …” Scott annuì, non sorrise, mi ascoltava in silenzio, e mi prese la mano, come per aiutarmi a portare il peso del segreto inconsapevolmente.
Con la forza che mi dava, senza sapere come e perché, presi tutto il fiato necessario, e lo sputai così: 
“Dopo quella notte sono rimasta incinta … E il padre sei tu”    
 
 

“ Gliel’hai detto e basta?”
“ Sì”
Allison non mi guardava; lo disse fra i denti, io aprii e chiusi la bocca, sconvolta: non trovavo il modo per esprimere ciò che avevo in testa.
“ Cioè gliel’hai tirato addosso così?”
“ Sì, Lydia”
“ Ma sei pazza?!”
“ Come diavolo avrei dovuto fare!?”
“ Non lo so, di certo non avresti dovuto dirlo come se fosse una cosa da niente, come se fosse un ‘splendida stagione l’estate, non credi?’ “
Scimmiottai la mia amica, accompagnando le mie parole con le mani.
“ Credi che mi sia piaciuto? Ho fatto la cazzata più grande della mia vita! E non c’è più speranza, dal modo in cui mi ha fulminato dopo, il suo silenzio assoluto, il modo cui si è alzato senza riuscire a guardarmi negli occhi … Se n’è andato dicendo: questo è un problema”
“ Ma che problema?! Non può essere un problema …” farfugliai, mortificata.
“ Essere incinta è un problema!” urlò Allison, buttando la testa fra le braccia conserte. Stavo per parlare quando una voce mi interruppe, una voce che mai avrei voluto sentire in quel momento.
“ Chi è incinta? Tu, Lydia?”
Chris Argent fece il suo ingresso nella cucina, con in una mano una busta della spesa.
Mi squadrò attentamente, preoccupato di trovare una risposta affermativa scritta sul mio volto, con amarezza capii il perché.
Aveva davanti Lydia Martin, quella facile, che in passato non si era fatta problemi a farsi l’intera squadra di football e parte della rappresentanza maschile del Beacon Hills High.
La gente non crede mai ai cambiamenti, credono solo ai miracoli stile Fatima, e solo se gli capitano sotto il naso.
Ingoiai il groppone, e scuotendo la testa, risposi : “ Con tutto il rispetto, signor Argent, si sbaglia. Non si tratta di me, io non sono incinta”
“ Davvero, Lydia? Perdonami se esprimo il mio pensiero, ma fino a qualche anno fa-“
“ Papà!” lo interruppe Allison sconvolta, ma io non battei un ciglio: ero abituata al modo di suo padre di mettermi alla prova.
“ Infatti, qualche anno fa. Non sono più quel tipo di persona … E anche se fossi incinta-“
“ Non sarebbero affari miei, stai tranquilla!” ridacchiò, facendo sparire quell’espressione inquisitoria di pochi secondi prima “ sei piccola ma sai come si morde. Scusa per essermi permesso, non volevo insinuare nulla”
“ Si figuri” gli sorrisi, dimentica dell’argomento della discussione tra me e la mia migliore amica.
“ Ma allora chi è incinta? Di chi stavate parlando?” infatti, come nel passato, Chris Argent ricordava semre tutto, non sbagliava un colpo, e raccoglieva sempre ciò che seminava.
La lingua mi si legò nella bocca, e anche i miei occhi si abbassarono in direzione della tazza alla fragola che mi ricordava che lei era ancora lì.
Allison guardava suo padre, con gli occhi che lentamente si facevano più grandi, le pupille che si allargavano, dandole un’espressione di puro e semplice terrore.
Dopo un silenzio che non so quanto durò, probabilmente ore, anni, lustri, sentii una vocina piccola piccola prendere coraggio ed esporsi al nemico, con coraggio invidiabile, o forse solo idiozia acuta.
“ Di me, papà … Io. Io sono in-incinta”







 






 

Stiles



 
“ Non entri?”
“ Mi prendo qualche minuto per la mia altalena”
John Stilinski annuì, e io mi incamminai, attraverso il vialetto innevato, guardando gli alberi spogli, che mi rendevano difficile immaginare lo stesso paesaggio durante l’estate. Ma nessun posto è come casa, e ci sarei riuscito sempre, bastava chiudere gli occhi e aprire quel posto del mio cervello dove stava la mia infanzia.
L’altalena di cui parlavo era quella che avevamo costruito io e Scott, legata con la corda al ramo dell’olmo dietro la casa, ci avevamo passato i pomeriggi, cercando di salire sempre più in alto, e cercando di volare su quei 35 cm di legno …
“ Sono tornato” le dissi, e lei fece la diffidente, non rispose.
“ Hai ragione, è passato tanto tempo, ma sono qui ora”
La mia altalena non era una facile, e non dava confidenza a nessuno, andava capita, e bisognava rispettare i suoi tempi. Mi avvicinai e tolsi la neve che la ricopriva, poi mi sedetti, con un sorriso che nasceva spontaneo sul mio viso, tutto di questa vita mi era mancato, l’altalena per seconda, per primi i miei genitori …
 

“ Stiles! Stiles!”
La voce di mia madre mi spaventò, e sorpresa più ramo di un albero mi portarono a saggiare il terriccio direttamente con la mia faccia.
“ Oddio Stiles!”
I suoi occhi furono la prima cosa che vidi, poi sentii le sue mani sul mio viso. Le mani di mia madre erano sempre così delicate, così calde … Le avrei riconosciute dappertutto, avevano un odore poi, che sapeva di sapone di Marsiglia e lavanda, inconfondibile per me. Sorrisi alla sua voce colorata di preoccupazione, e mi tirai a sedere. Il volo che avevo appena fatto era stato di qualche metro, ma ero così tanto abituato alla sensazione di cadere inerme sul terreno che non ci facevo più caso, un livido in più mica cambiava la vita, tanto.
“ Ti sei fatto male? Questo perché sei sempre in giro ... La prossima volta che ti becco lì io-“
“ Sto bene mamma, e poi l’avevi detto tu che mi volevi più all’aperto”
“ All’aperto non significava migrare sopra l’albero e starci tutto il tempo!”
Quel sottile strato di scherno che riconobbi mi diede fastidio, e arricciai il naso.
“ Mamma”
“ Figlio. Che c’è, stai bene?”
La sua collera era già sfumata, ora era la mia mamma che si preoccupava sempre per me, e che mi sorrideva anche con gli occhi, con l’anima, oltre che con la bocca.
“ Solo un po’ di malditesta … La gravità fa male”
“ Questo è per ricordarti che non sei un uccello. La prossima volta usa una mela, Newton ha fatto così”
“ Non sei divertente, mamma”
“ Nemmeno tu lo sei se mi fai venire un infarto prima del tempo, figlio”


Mi sorrise dolcemente, ma i suoi occhi erano quasi spenti, aggrottai le sopracciglia, ma non dissi nulla. Lasciai che mi prendesse per mano, e mi guidasse in casa, per pre4paraci e andare dalla nonna, che come al solito mi avrebbe squadrato e avrebbe detto : ‘ Sta venendo su troppo smilzo, Claudia, ma lo nutrite?’
Il suo cuore era grande quanto debole, così mi piaceva disegnarla, e dopo un po’ aveva smesso di lavorare, era andato in pensione senza aspettare il via, fregandosene dei soldi. E così era sparita mia madre: il suo corpo, il suo essere viva, i suoi capelli, i suoi occhi …
Ma il suo sorriso, il suo sorriso era rimasto immortale e immutabile, era come mille soli e mille stelle, era come un gelato in una giornata d’estate, come il desiderio che esprimi il giorno del tuo compleanno davanti alla torta …
Mia madre era un’assenza fissa nel mio cuore, e questo posto mi parlava di lei, così tanto da far male, apriva di nuovo quella voragine che tanto faticosamente avevo tentato di riempire durante gli anni.
Questo posto era lei.
“ Sono tornato, mamma”
Glielo dissi, e lei mi sentì. Il suo respiro su una brezza mi scompigliò i capelli, e sorrisi.
“ Mi sei mancata anche tu”
Le dissi poi, e lei sentì anche questo.
 
 

 
“ Come ti è sembrata la città come prima impressione?” mi chiese mio padre quando ci sedemmo tutti e due a tavola.
La casa non era cambiata molto, anzi, non era cambiata affatto: stessi mobili, stesse fotografie, stesso disordine sparso per le stanze.
“ Mhh … Confusionaria, con più persone e piena di cartelli pubblicitari”
“ Hai ragione, ma dovresti esserci abituato, alla pubblicità, venivi da New York”
“ Hai ragione”
Mio padre annuì, poi cominciò a spiegarmi come aveva dovuto “ sistemare il camino e tutte le tubature della casa, perché facevano proprio schifo”, e io lo ascoltai. Poi gli chiesi del lavoro, dei nuovi casi su cui stavano lavorando.
“ Ultimamente ci è stato affidato un caso di furto con scasso ripetuto: una banda di ragazzi si aggira per la città irrompendo nei mini market durante la notte e rubando dalle casse” mio padre aveva la faccia contratta, capii quanto fosse in disaccordo con la situazione.
“ Wow … Quando ero piccolo io si bloccavano al fondo cassa della scuola”
“ Sono molto più all’avanguardia, con grimaldelli e ogni genere di diavoleria inventata da loro”
“ Li prenderete presto? Avete qualche pista?”
“ Assolutamente no, ma comunque non potrei parlartene, si chiama violazione della privacy”
Lo squadrai con sufficienza.
“ Che c’è, non credi al tuo vecchio?”
“ Certo che sì, papà, come potrei non dubitare dello sceriffo di Beacon Hills, che ci preserva dal crimine e dalla malvagità dell’essere umano medio?”
“ Mangia Stiles, che si fredda”
Sorrisi, vedendo come alzò gli occhi al cielo, era bello tornare alla normalità, ogni tanto.
Affondai la forchetta nel groviglio di spaghetti che avevo davanti, e ne portai un po’ alla bocca.
“ Sono stranamente buoni … Li hai cucinati tu?” chiesi, esterrefatto, mio padre fece l’offeso, ma capii subito dove stava il trucco.
“ Stranamente buoni? Non ti permettere sai? Certo che li ho cucinati io”
“ Ah sì? Allora la busta di  Bloom’s che ho visto nella spazzatura prima era un miraggio”
Ci guardammo negli occhi, io divertito ma intenzionato a non cedere, lui preso in contropiede e irritato per causa mia.
“ Mi hai beccato, ma non ti permettere più, sai? Solo perché non so cucinare come uno chef non vuol dire che qualsiasi cosa che esca dalla mia cucina sia una schifezza”
“ L’ultima volta che hai provato a cucinare degli spaghetti si è azionato l’allarme antincendio della casa, papà”
Mio padre mi fulminò con lo sguardo, e prese un’altra forchettata.
La mia vittoria aveva un buon odore, e sapeva di ottima pasta e vino rosso.
Rosso.
Rosso come un particolare pigmento, non rosso sangue, né rosso corallo, più come rosso fragola, o meglio biondo fragola.
E sangue biondo fragola, sorriso biondo fragola, sogni biondo fragola, e risate, e confusione, e dolore che va dal Nero al Rosso …
E tutto questo aveva un nome, che al solo pensiero mi fece venire i crampi allo stomaco, quindi evitai di comporlo.
Deglutii in fretta, cercando di finirlo tutto in un sorso, per non vedere quel colore così vicino a me, mi faceva male concentrarmi su quella parte di mondo ora, volevo dare la precedenza ai miei genitori, alla mia ragazza, al futuro figlio del mio miglior amico …
Mi morsi il labbro, quando risollevai lo sguardo trovai gli occhi grigio azzurri con sfumature verdi di mio padre accesi di preoccupazione.
“ Tutto bene, Stiles?”
“ Sì, certo … Stavo solo pensando a una cosa …”
“ Riguarda Malia? Va tutto bene tra voi due?”
“ No, non riguarda lei, e sì, va tutto bene. Dopo devo andare da lei, infatti”
“ Mi fa piacere che tu abbia trovato una come lei, Stiles, è una brava ragazza, lei si interessa a te” mi offrì un sorriso. I sorrisi sul suo viso ci stavano bene toglievano un po’ rughe, toglievano le notti insonni a fare il doppio turno per guadagnare più soldi, toglievano un po’ di dolore, ma non toglievano l’assenza che una moglie può rappresentare, quel tipo di ruga non la potevi asportare.
“ Fa piacere anche a me”
“ Certe persone riescono a raggiungere livelli di comprensione inimmaginabili, e a volte scambiamo la semplice complicità per amore … Ma l’amore va oltre questo, Stiles” si bloccò, per guardarmi negli occhi. Io posai la forchetta, con le orecchie pronte a captare il messaggio.
“ L’amore non può essere racchiuso in una sola parola, in una sola sensazione, sarebbe stupido e riduttivo. L’amore è come una melodia, che parte da un luogo determinato di noi stessi, ed è udibile solo da una persona, e anche se sei stonato, anche se all’inizio non capisci il ritmo, lo devi seguire … Poi l’amore è attesa, è essere in grado si aspettare l’altro, di mantenere le promesse nonostante tutto, amore è un verbo, è qualcosa sempre in movimento, non è statico, non è mai scontato, non è abitudine. Amore è come respirare, sembra facile, sempre per sempre, ma le cose succedono, e tu puoi smettere di respirare per un po’ di tempo, ma mai per sempre … Ecco l’amore è un mai dentro un sempre”
“ In che senso?”
“ Devi capirlo tu Stiles … E soprattutto devi capire quando ami una persona, e quando invece cerchi salvezza per te stesso, quando cerchi solo un’occupazione per non soffrire”
Non risposi, guardai in basso, pensando alle sue parole. Il loro peso echeggiava nelle mie orecchie, ricordandomi i miei dubbi, la mia fragilità, il mio essere senza difese rispetto al mondo.
Questa cosa della differenza tra amore e salvezza mi faceva andare in due direzioni diverse, ma venne lui a salvarmi per fortuna.
“ Non preoccuparti di questo adesso. Sappi che io sono e sarò sempre fiero di te, figlio mio. Io e tua madre lo siamo sempre stati”
Ci guardammo negli occhi, finché io non confessai quello che mi portavo dietro da quasi undici anni, sempre senza spezzare quel legame che cresceva giorno dopo giorno, che era nelle mie vene, nel mio essere uomo, il legame tra padre e figlio.
“ Mi manca tanto”
“ Anche a me, Stiles ”
Ecco il vero rapporto tra padre e figlio, quello che Scott avrebbe dovuto avere con suo figlio, non una bugia per fare meno male nel momento … L’uomo che avevo davanti mi era d’esempio, come lo era stato per Scott dopo la scomparsa del padre, era verità, era coraggio e forza di andare avanti; dovevo fare qualcosa, dovevo essere il rimedio per questa situazione.
Da una parte la promessa fatta a Lei, dall’altra tutto quello che mi era stato insegnato, il mio miglior amico, il mio dire la verità sempre, la lealtà che dovevo verso chi non aveva mai barato con me.
E così, in quel momento in cui eravamo in tre, non più solo io e mio padre, ma anche la Sua mano sulla mia testa, e il Suo sorriso annullante, presi la mia decisione: decisi da che parte stare.
La vita è una stronza, ti fa decidere, anche se poi te ne penti, anche se soffri nella tua scelta, anche se fai del male alle persone a cui tieni.
E’ una stronza perché poi ti fa capire che la scelta che fai è quella giusta.
O così speri, almeno.

 
 
 







 

Lydia

 

 

 
“ Dell’altro?”
“ Come?”
“ Oltre al caffè e ai biscotti, desidera dell’altro?”
“ No grazie” sorrisi al commesso, che rispose con un occhiolino, poi sparì dietro la parete. Non era mica male: alto, capelli biondo scuro, occhi accesi, poi aveva questa faccia da ragazzino, che non guastava, ma ne avevo abbastanza dei biondi, mi portavano solo in brutte direzioni.
L’unica persona con l’espressione da ragazzino che digerivo ora chissà dov’era, e chissà se ce l’aveva ancora con me … Probabilmente sì.
Sospirai, giocherellando con una ciocca di capelli che mi era scivolata dallo chignon.
Il mio capo era davvero un signore, ci teneva così tanto ai propri dipendenti che mandava anche le e-mail per i giorni di malattia, e avevo il sospetto che non le scrivesse quell’adorabile collega tutta tubini e tacchi dodici.
Mr. Hale mi aveva consigliato di  restare a casa, visto che ero “ terribilmente malata”, come la sua fidata assistente Kate gli aveva riferito, e mi augurava di rimettermi presto, almeno così era scritto nella mail che mi era appena arrivata. Bello essere malata quando non ti pagano i giorni di assenza …
Ma poi non m’importava davvero più di tanto, odiavo quel lavoro, e finché avevo i soldi per sopravvivere e nutrire il mio cane, potevo anche fingermi malata e soffrire quell’assistente del diavolo che avevo per collega.
“ Ecco a lei, sono $ 3.45, passi una buona serata, signorina …?” mi chiese lui sorridendo e passando i miei acquisti alla cassa del minimarket, gli passai una banconota da cinque.
“ Lydia, Lydia Martin”  risposi, sbattendo le ciglia, sorridendogli: mi piaceva fare la ragazzina maliziosa, che cercava l’attenzione dei maschi, sapevo di poterla ancora ricevere.
 “ Matt, Matt Daehler. Piacere di conoscerti”
“ Il piacere è tutto mio”
“ Non dimenticarti il resto”
“ Grazie, sono così fuori dal mondo a volte …”
“ Succede anche ai migliori, o alle belle ragazze”
“ Attento Matt, la tua ragazza porta dire che ci stai provando con me”
“ E anche se fosse?”
“ Credo che lo scoprirò la prossima volta” gli sorrisi come per scusarmi, e fuggii fuori da quel posto, con un po’ più di disgusto per me stessa, ma un sorrisino leggero che aleggiava sulle labbra.
Dopo che Chris Argent mi aveva praticamente scacciato con la frase “ scusa ma devo parlare con mia figlia, da soli” ero fuggita a casa, poi avevo dato un’occhiata alla dispensa ed ero uscita di nuovo, con ancora i capelli legati e il vestito dal quasi giorno prima ….
Quasi perché era mezzanotte passata, quindi tra venti minuti o più sarebbe stato domani, il diciannove di Dicembre, sempre più vicino alla partenza di Erica.
Mentre tornavo a casa mi formavo mi fermai un attimo davanti a un negozio di elettronica, negli schermi davano la canzone dei Queen, Long Away, e mi fermai ad ascoltare le parole.
 
Lonely as a whisper on a star chase
Does anyone care anyway?
For all the prayers in heaven
So much of life's this way **
 

Sorrisi con amarezza, capendo il vero significato delle frasi, e mi allontanai, con la consapevolezza che anche avevo una lunga strada davanti ero ancora sola, e sola rimanevo.
Non era un peso facile da portare appresso, ma andava fatto, per il bene delle persone accanto a me, sospirai, guardando la condensa che era il mio respiro, mi lasciava anche quello, andava in alto, per il mondo, il cielo …
Perché ci sentiamo soli? Perché le cose non vanno mai come vogliamo?
“ Ti diverti, eh? Ti diverti a fare un casino con la mia vita?!” urlai al cielo sopra di me, per tutta risposta un gocciolina di pioggia mi cadde sulla guancia, come una lacrima, cominciai a ridere, una risata a metà tra tosse e reazione isterica, non riuscivo a smettere di ridere, mi premetti una mano sulla bocca, poi aprii le braccia.
“ Grazie del messaggio, ho capito tutto” ma sotto voce aggiunsi un ‘ aiuto, chiunque tu sia, aiutami ’, non l’avrei mai detto a voce alta, poi cominciai a correre, nonostante i tacchi vertiginosi e il trucco, con la pioggia che scandiva il ritmo della mia corsa, e mi persi tra le vie, cercando la strada di casa.
 
 
 
Il palazzo era racchiuso in religioso silenzio, cercai di regolarizzare per evitare di svegliare nessuno. Guardai il display dell’ Iphone, era l’una e un quarto di notte, era abbastanza normale. Salii le scale al buio, facendomi luce solo con la torcia del mio telefono, apposta, volevo rendere il mio ritorno epico, come se fossi stata fuori per anni, e non minuti. Il mio respiro e il gocciolare dei miei abiti bagnati sul pavimento erano le uniche cose che mi tenevano compagnia, arrivai al terzo piano in fretta, e tirai un sospiro di sollievo quando non vidi nessuna luce accesa, né nessun vicino sull’uscio del suo portone.
Arrivai al 3B, e lo salutai con una strizzata di capelli sul tappeto, poi , con il cellulare tra le labbra che faceva luce frugai nella borsa, alla ricerca delle mie chiavi, facendo, naturalmente, un casino. Ero ancora intenta nella mia ricerca quando la porta del 3A si aprì, e ne uscirono due figure, che non riconobbi nella semioscurità, poi Stiles accese la luce, e li vidi, capii che era lui perché lui era accanto all’interruttore.
“ Lydia?”
“ Mhh” mi tolsi il cellulare dalla bocca lasciando cadere busta della spesa e borsa “ buona sera”  mi uscì più flebile di un sussurro, ma loro avevano sentito.
Loro erano il mio vicino e una ragazza con gonna color caramello, maglietta bianca e camicia di jeans aperta, aveva una giacca al braccio, e un sorriso che andava da un orecchio all’altro, che crepitò alla mia vista. Era molto bella.
Questa considerazione mi colpì, e qualcosa mi si smosse dentro, facendo lo stesso rumore di quando sposti un mobile trascinandolo dopo tanto tempo che è rimasto fermo.
La ragazza vicino a Stiles mi guardò con i suoi enormi occhi color cioccolato, poi sorrise impercettibilmente, e sporse la mano verso di me.
“ Piacere, io sono Malia, la fidanzata di Stiles”
“ Lydia” risposi, asciugandomi prima la mano sulla parte del vestito che era rimasta all’asciutto.
“ Non mi avevi detto di avere una vicina” lo riprese lei, Stiles annuì, poi scrollò le spalle.
“ Non è mai uscito l’argomento”
“ Da quanto abiti qui, Lydia?” mi chiese Malia, appoggiandosi al fidanzato, e sorridendomi, in modo non cattivo né sgarbato, forse solo un po’ inquisitorio, mi mise un po’ a disagio, ma non lo lasciai vedere.
“ Da sempre … No, in realtà abito in questa palazzo già da un anno e mezzo, ma sono nata qui a Beacon Hills” le spiegai, sorridendole “ Scusate se vi gocciolo un po’ addosso, ha appena cominciato a piovere, e non avevo un ombrello”
“ Figurati” rispose lei. Non osavo alzare lo sguardo su Stiles, sentivo i suoi occhi addosso, e avevo paura di non trovarci solo sorpresa, ma anche delusione, tristezza, dolore …
Tutto provocato da me.
 “ Mi piacerebbe rimanere qui e conoscerti bene, ma io e il mio ragazzo dobbiamo andare” rise lei, guardando il diretto interessato che le rivolse un sorriso dolce e puro, poi alzò lo sguardo su di me, e il suo sguardo divenne ghiaccio liquido, che fece comunque effetto nelle mie vene.
Rimasi bloccata, presa d’’assalto da quell’inverno che mi faceva sempre più male, e mi schiacciava sempre di più.
“ Ciao Lydia, passa una buona serata” mi salutò il mio vicino, guardandomi fissa negli occhi, poi baciò la propria ragazza.
 Malia ridendo fuggì al bacio giusto il tanto di riuscire a dirmi : “ Buona serata!” , poi abbracciò il suo ragazzo di lato e gli diede un altro bacio, si girarono senza più guardarmi, e corsero giù per le scale.
“ Ciao anche  a voi” sussurrai a un pianerottolo vuoto,che spense la luce, ricordandomi che avevo qualcosa da fare, ma lasciandomi di nuovo sola, con una lucina di torcia in mano.
Era questo il bello di ripetersi tanto una cosa: più la ripeti, più la incanali nel tuo cervello, più ci credi.
E alla fine si avvera.
Io  so di essere sola, credo di essere sola, io sono sola.
 




 
 

 
 

Stiles
 

 
 
 
 
 
Fuori dal palazzo, la mia jeep azzurra mi aspettava, come sempre.
Anche sotto la neve, la tempesta, il sole cocente, la pioggia, lei era lì, fedele compagna di viaggio. La sua storia era cominciata con un abbandono: i precedenti proprietari, non trovando più interesse in lei l’avevano abbandonata a se stessa, in una strada buia una notte, e io e il mio miglior amico, durante una delle nostre esplorazioni del quartiere verso le tre del mattino, l’avevamo trovata e  presa con noi. Con dedizione avevamo sostituito tutti i pezzi che erano andati in malora, e l’avevamo vista rinascere sotto la nostra mano inesperta, era una figlia per me, non l’avrei mai abbandonata, e sapevo che era reciproco.
Io e la mia jeep eravamo fatti per stare insieme, semplicemente.
La voce della mia ragazza mi distolse dalla contemplazione del miglior veicolo mai esistito.
“ Un giorno o l’altro mi tradirai con lei”
“ Lei chi?” chiesi, non capendo a chi si riferisse …
Una Lei l’avevamo appena incontrata, al solo pensarla mi si impastava la bocca, e mi tornavano i crampi allo stomaco.
Mi sforzai di eliminarla dalla mia mente per adesso, avrei avuto poi il tempo per rifletterci sul serio.
“ La jeep, ovvio. Com’è anche sicuro che ci becchiamo una polmonite se non apri questa  macchina”
La guardai: stava dritta sotto la pioggia, lasciando che le gocce le cadessero per il viso, il corpo, i vestiti. Mi sorpresi di quanto, anche nelle condizioni climatiche inadatte, lei rimanesse bella, la sua vista bastava per farmi perdere la concezione del tempo, l’avrei potuta guardare per sempre. Le sorrisi, e lei sporse la mano verso il mio viso, accarezzando la mia pelle coperta da pioggia, e lessi nei suoi occhi l’amore che desideravo.
La tirai contro di me, poi la premetti contro la portiera dell’auto.
“ Ci son mille altre cose che potrei fare”
“ Mhh, tipo?” si morse il labbro, e a quella vista così eccitante sentii il mio udito ovattarsi e il mio corpo focalizzarsi solo su una cosa.
“ Ti amo”
Lo dissi così, poi mi rubai la sua risposta, senza paura di non essere ricambiato. Il suo sapore era inconfondibile per me, sapeva di passione, di calore, di consolazione e casa, in una maniera così totalizzante che ogni volta era come la prima. Lei mi portò le braccia al collo, premendo il suo corpo magro contro il mio, mischiando pioggia a saliva, a sapore, e capii che quella che avevo fatto era la scelta giusta.
Questa era amore: una scambio equo, non un gioco al dare e ricevere, era una canzone che sapeva di pioggia, non di note composte, e io ero così felice di averlo trovato, di aver trovato qualcuno con cui dividere me stesso …
Baciare Malia era una delle cose che avresti potuto fare fino all’infinito senza stancarti, e fui sincerante dispiaciuto quando lei si staccò, ancora a occhi chiusi, dandomi una visone celestiale.
“ Ti amo anch’io, Stiles”
Sorrisi, e la guardai aprire gli occhi su di me. La potenza del suo sguardo mi rendeva nudo e indifeso, mi costringeva a mettermi in gioco.
Perché io? Perché io quando potevi avere tutto, avere di meglio?
Mi chiesi, poi le accarezzai un guancia e aprii la macchina.
“ Andiamo a casa?”
“ Sì, ti porto a casa” le assicurai, aprendole la portiera.
“ Bene, perché è un po’ che non ci prendiamo del tempo per noi stessi”
“ Hai proprio ragione”
Risposi, anche se lei aveva già la portiera chiusa, e non mi sentii.
Sorrisi, perché quel genere di tempo insieme mi faceva sempre sorridere, e oltre il sorriso sentii qualcos’altro che si smuoveva in me.
Riprendere il ritmo non era male, dopotutto, anche se dovevi fare dei sacrifici, rinunciare a delle cose, o delle persone.
Guardai alla sua finestra: la luce era accesa, il balcone aperto, forse stava per uscire a fumare, lei era quel genere di persona che non si fermava per il tempo atmosferico.
Sospirai, chiedendole scusa, perché io avevo fatto la mia scelta, ora aspettavo la sua.
Rimasi anche qualche secondo sotto la pioggia che lavava i miei pensieri e i miei peccati, con quelle lacrime di nuvole sciolte, quelle che lei non avrebbe mai versato per me, o per nessuno altro.
Lydia mi sarebbe mancata, dopotutto.
E’ così con le persone importanti, ti mancano, dopotutto.
 
 
 




 
 
 
 
 
Solitario come un sussurro nel mezzo
di una caccia alle stelle
Comunque, a chi importa?
Nonostante tutte le preghiere al cielo
Gran parte della vita è fatta proprio così. **
 







A/N:
buon giorno, buon pomeriggio, buona sera e buona notte!
bene, innanzitutto chiedo venia per il ritardo del'aggiornamneto e per quelle persone che l'hanno letto ieri, bhe, si sono persi me e una particina di capitolo... questo perchè! perchè il mio computer è più inutile di un gufo su un tostapane in un'autostrada, e con certe cose non puoi semplicemente  ragionare!!
tralasciando quest'importante dettaglio, come va? state bene? state per ricominaciare la scuola o l'università?? BENE! bentrovati sulla stessa barca, affonderemo insieme come il capito del Titanic, non come Schettino, o almeno, così si spera... :o
va bhe, la storia, che è quello per cui siete qui, spero ( già già ), in questo capitolo, intitolato in questo modo in memoria delle versioni di latino a cui non stavo pensando mentre scrivevo, e invece avrei dovuto, ci sono gli scheletri nell'armadio dei personaggi, e la differenza anche fin troppo evidente tra le due famiglie, tra i diversi tipi di educare i figli...
e poi c'è Ally, poverina, l'ho davvero fatta bionda, ma se ci pensate è meglio: tutto in una volta, così non deve più preoccuparsi, yee...
no, lo so benissimo, ma vedete che anche questo si sistema ;)
fin ora ho solamente parlate di morte e distruzione e doklore a palate, ma dai prossimi capoitoli inizia la vera storia d'amore, e, per spoilerare il prossimo capitolo, sappiate che Qualcuno tornerà a Beacon Hills...
chi sarà??????

top secret, ma sappiate che è di fondamentale importanza nella storia, e che pyrtroppo le tempeste non son finite, ho in previsione tabnte cose, forse troppe, ma che spero diano solo un po' di più a questi personaggi... Non so voi, ma io li adoro, sono fragili ma forti insieme, sembrano quasi persone reali, con i loro sorrisi, i loro sbagli...
spero di farvi arrivare il mio 'messaggio' e spero di sentire le vostre opinioni, che siano pro o contro, fa sempre piacere, e ringrazio tutte le persone che seguono, o leggono e basta, o ricordano, o preferiscono questa storia...
ogni numeretto rappresenta l'inifinito affetto che nutro per voi, quindi vi mando un abbraccio fortissimo, e tanto bene!!

ps: come al solito, non picchiatemi per gli orrori di ortografia, non è colpa mia, ma del fatto che non so scrivere!
detto questo, buona fine ( noooooo ) vacanze, e buona giornata!
bye bye
- Mg :D



 
 

 

 
  
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