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Autore: Callitmagic    09/09/2014    1 recensioni
“Ci sarà sempre un’altra opportunità, un’altra amicizia, un altro amore, una nuova forza.
Per ogni fine c’è un nuovo inizio.” -Il Piccolo Principe
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Questa è una semplice storia che ne racchiude tante. La Figlia Di Ecate vuole scavare nel passato, e attraverso un’impresa con i suoi amici dovrà salvarsi dalla morte. Ognuno di noi ha peccati, segreti e perdite lasciati ormai alle spalle ma che minacciano ogni giorno di tornare.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Il sole non è scomparso

 

 

|My heart is open – Maroon 5|
|Angel – Theory Of A DeadMan|
|I Will Always Love You (Glee Cast Version)|

 


 

*Meg*


 

«E così ti volevano trasformare?»
Per la terza volta Ziva annuisce. I suoi capelli blu elettrico dal taglio irregolare le ricadono perfetti sulle spalle. Ha i lineamenti orientali. Gli occhi a mandorla di un marrone così scuro da sembrare nero che risaltano sulla sua pelle olivastra. Tutti e otto eravamo seduti in cerchio nel salotto enorme della casa Norris. O meglio, villa. Era chiaro che la mamma di Jack fosse ricca sfondata visto che la casa ‘per le vacanze’ era quattro volte più grande della mia casa nel Bronx e ogni tanto usciva qualche cameriere a servirti drink.
Tutti ci siamo dati una bella pulita con una doccia calda, in modo che l’acqua calda portasse via tutta la confusione e lo sconvolgimento di quel pomeriggio. 
Ziva ha spiegato per filo e per segno perché si trovasse in quel labirinto bianco: l’avevano prelevata, come molti altri semidei per iniettarle una sostanza capace di trasformarli. All’inizio sembrava assurdo, niente a che vedere con la mitologia o con i semidei.

«E così, una volta che la sostanza è stata iniettata, comincia un cambiamento radicale nel semidio, fino a trasformarsi in un assassino privo di emozioni che ruba cuori.» spiega ancora Ziva, cercando di essere più chiara possibile.
«Interessante» mormora Gwen «Com’è la sostanza?»
Gli occhi neri di Ziva si socchiudono nel tentativo di ricordare.
«Gialla, sì. E’ gialla»
Gwen impallidisce di colpo e Abbie le posa una mano sul braccio per reggerla. La figlia di Atena  si gira verso Jack, guardandosi per diversi secondi. Poi si alza e corre fuori in giardino, dietro la siepe senza essere vista.

«Si, è uno brutto shock conoscere queste cose» annuisce Ziva
«Il nome della donna…lo conosci?» chiedo curiosa. Almeno potevo cominciare a preparare la sua lapide…
«No, il suo nome vero non lo so» dichiara Ziva con una nota di amarezza «Ma la chiamano Assana.»
«Assana?» ripete Scar «Sembra…un’anatra? »

Stanchi e assonnati, ci dividiamo e ognuno va’ in camera sua. O almeno, così sembra. Vedo Jack andare verso la sala da pranzo vicino al pianoforte, mentre Abbie sale le scale con le mani nelle tasche e la faccia imbronciata.

Io rimango sul divano, davanti all’acquario, apparentemente sola.  I mobili sono molto moderni e lussuosi, perfettamente lucidi e curati, abbelliti da statuine e portafoto vuoti.
Eppure non mi sentivo a casa.
 

«Non hai sonno?»
Ryan compare sulla soglia della porta e ci si appoggia distrattamente. I capelli cioccolato che tanto adoravo erano una massa confusa e mossa sulla testa, catturando la mia attenzione. Sorrido debolmente e mi alzo dal divano, andando verso di lui.

«Come si fa a dormire dopo…dopo aver visto i propri genitori morire?» dichiaro stanca. Abbassa lo sguardo e quando lo rialza gli occhi non tradiscono il dispiacere.
«Ti va di uscire un po’ fuori?» chiede. Annuisco e lo seguo oltre la porta.
In giardino camminiamo in silenzio, l’uno a fianco all’altra, passando per la piscina – assolutamente da invidiare – e il paesaggio del centro di Edmonton compare davanti a noi. 
«Anche io ho una persona importante» dice Ryan, sedendosi sull’amaca, dove si può vedere meglio il panorama. Le luci forti della città accostano il cielo scuro, nascondendo il fievole chiarore delle stelle.
«Tua madre?» chiedo. Scuote la testa e sospira.
«Ariel, mia sorella» poi fa un momento di pausa e riprende «Come…Come è morta? » chiedo timidamente, avendo paura che si alzasse e se ne andasse.
«Un incendio. Non abbiamo mai saputo chi fosse il colpevole. Quando è successo…io e mia madre non eravamo a casa. Lei era a lavoro e io… io ero uscito con i miei amici di nascosto» sospira bruscamente, chiudendo gli occhi. E la voce si spezza «Se solo fossi stato più attento. Io…»
«Sarebbe successo comunque, e saresti morto anche tu» dico, cercando di consolarlo. Mi si spezza il cuore vedendolo distrutto e privo di coraggio. Gli occhi sono lucidi, e capisco che queste dichiarazioni escono dalla sua bocca per la prima volta.
«Meg, io non sono la brava persona che credi»
«Certo che lo sei, tu…»
«No.» dice secco «Se tu sapessi tutte le cose che ho fatto, avresti paura di me»
«Dici così solo perché non hai salvato tua sorella. Ryan, tutti sbagliano. Tutti gli umani»
«Noi non siamo umani» ribatte con voce ancora più spezzata. Stava crollando, e io ero troppo debole per reggerlo.
Mi alzo, in modo da lasciargli più spazio sull’amaca e mi inginocchio davanti a lui, prendendogli la mano.
«Tutti commettiamo degli errori» sussurro dolcemente «Anche gli dei lo fanno» e porto la mano al suo cuore «Una volta, a scuola, la professoressa mi lesse una frase molto bella. “Anche quando il cielo è coperto, il sole non è scomparso. È ancora lì dall’altra parte delle nuvole.” Vedi Ryan, le persone che amiamo e che ci amano non ci lasceranno mai, saranno sempre qui» dico indicando il cuore.
Sorrido e lo guardo, sperando che i miei occhi siano viola. Siamo alla stessa altezza - nonostante io sia inginocchiata – e i visi ravvicinati.
«Sembra stupido detto così, ma… Voglio che ti ricordi cosa ti ha fatto andare avanti fino ad adesso. » Sentivo il suo calore e la pelle ruvida della mano al contatto con la mia.

«Cosa è giusto tra vendetta e amore? » chiede all’improvviso, sempre con gli occhi lucidi. Con la mano libera prendo il suo viso e gli bacio la fronte.
«Questo devi saperlo tu» rispondo, sorridendo dopo quel gesto improvviso. Maledetta dolcezza. «Ma non ti abituare troppo a queste coccole, eh» dico ridendo.
«Raccontami un po’ di te» dice curioso e all'improvviso felice. Mi alzo – consapevole di avere le ginocchia rosse – e lo tiro su.
«Se vuoi la storia di una ragazza che va a scuola, conosce un ragazzo, frequenta feste superfighe e veste alla moda, hai sbagliato persona» dichiaro ridendo «Ho una storia… insolita»
«Mh, va bene comunque dai. Non mi piacciono sempre le stesse storie»
«Bene, allora. C’è questa ragazza che viveva nel Bronx. » dico mordendomi il labbro «La ragazza si chiama Margaret Cartwright e… beh tutto quello che c’è prima non è importante. »
«Ma come, non racconti? » chiede Ryan deluso e divertito allo stesso tempo.
«La mia storia la sto scrivendo adesso.»

 




 

***Abbie***
 


La camera dove Abbie alloggiava era decisamente moderna: un’enorme vetrata si affacciava sulla città di Edmonton che – certo non era niente in confronto a New York – la faceva sentire un po’ a casa, con i suoi alti grattacieli e le luci. Era ancora sera e il cielo era sfumato di viola e arancione.
Si mise a canticchiare una canzone degli U2 finché non ci prese gusto e cantò ancora più forte.
Si assicurò che la porte fosse chiusa a chiave e mise anche un po’ di musica. Essendo al terzo piano, nessuno doveva sentirla.
Da quando aveva perso la mamma, la musica era l’unica che riuscisse a calmarla o a metterle il buon umore. Ogni singola nota entrava nel suo cuore, parlando di amore e tradimenti, e faceva vibrare la sua anima come uno strumento. Suonata dalla musica.
Cominciò a saltellare per la camera intonando ogni melodia della canzone ‘Back in Black’ degli AC\DC  e suonando una chitarra finta. Si immaginava trionfante ad un concerto, mentre scuoteva la testa, facendo volteggiare  i capelli e infiammando il corpo di un’energia pura.
Qualcuno bussò alla porta e Abbie si fermò di colpo, sistemandosi i capelli freneticamente e abbassando il volume. Con un’espressione rilassata e calma, aprì la porta.

Duff sorrideva timido sotto le lentiggini. Solo dopo un attimo di sconvolgimento Abbie notò che portava un mazzo di fiori.
«Ehi…Ehm, questi sono per te, eheh» disse porgendole i fiori. Abbie rimase lì, impalata e guardandolo negli occhi, con il labbro tremante.
«Oh, grazie» riuscì a dire. La voce tirata non tradiva l’imbarazzo. «Ehm…Beh credo sia tardi per farti entrare, insomma non che non ti voglia fare entrare ma…sai quel…non riusciamo a parlare perché…»
La figlia di Apollo stava andando nel panico e cominciò a balbettare a vanvera scuse assurde. Non voleva rimanere sola con Duff per l’imbarazzo creatosi col tempo: lei lo evitava sempre e lui la seguiva silenziosamente. Poi Duff buttò i fiori a terra, le prese il volto tra le mani e la baciò.

All’inizio Abbie rimase sconcertata dalla sua impetuosità e si irrigidì, neanche sfiorando il braccio del ragazzo. Vedendo che Duff continuava a baciarla molto più dolcemente della prima volta, si lasciò prendere per i fianchi e gli butto le braccia al collo. Sentì nella testolina una voce che urlava NON ORA ABBIE LASCIA STARE, A TE INTERESSA UN ALTRO.
Ma come se non parlasse continuò ad assaporare quelle labbra. Finché non venne tutto spezzato da una voce.
«Ti dai da fare, figlia di Apollo»
Scar aveva le braccia incrociate davanti al petto e le gambe tese, pronte a correre da un’altra parte. Ancora avvinghiati, Duff e Abbie imbarazzati si sciolsero e fecero per aprire la bocca, ma ne vennero fuori solo suoni muti.
«Potrei vomitare fra poco» disse Scar con disgusto. Abbie, sentendo quelle parole, avvampò e si posizionò davanti a Scar con aria feroce.
«QUALCUNO TI HA PER CASO CHIAMATO? » urlò irata al figlio di Ares.
Scar si indurì in volto e la osservò attentamente.
«ENTRI SEMPRE NEL MOMENTO SBAGLIATO, MI GIUDICHI, COME SE FOSSI UN ENORME PESO! » continuò urlando. A questo punto anche Scar perse la pazienza e divenne rosso di rabbia.
«ERO VENUTO A CHIEDERTI SCUSA!» esclamò ad alta voce il ragazzo, ignorando la presenza di Duff.
Abbie rimase senza parole lì, con i pugni chiusi e la bocca spalancata – per l’ennesima volta –.
Scar se ne andò, prima mandando uno sguardo truce a Duff e digrignando i denti  come un cane rabbioso. Per il figlio di Ares era appena cominciata una guerra. Una guerra d’amore.




 

 

***Gwen***
 


Gialla, sì. E’ gialla.
Quando Ziva aveva pronunciato quelle parole, il mondo le era caduto addosso. Involontariamente aveva girato il suo sguardo allarmato a Jack, e trovò i suoi occhi celesti. Gwen si perdeva in quegli occhi come se fosse il suo libro preferito.
Aveva paura che in quel momento gli occhi si sarebbero trasformati in pupille nere e spente, che avrebbe perso tutta la simpatia unica che le strappava sempre un sorriso, che la sua luce sarebbe sparita. Se ne sarebbe andato Jack.
Si rifugiò tra la siepe, noncurante dei rami che le scompigliavano i capelli e che le graffiavano la faccia. Chiuse gli occhi e immaginò come sarebbe stata la sua vita mortale, senza essere una semidea. Sognava di andare al college senza essere inseguita dai mostri, di poter leggere i libri e sentire la musica nella sua camera come tutte le adolescenti, pensare al futuro privo di complicazioni.
Ma lei era una semidea.
Non poteva cambiare la sua vita, ma poteva cambiare il modo di affrontarla.
Si rialzò, asciugando le poche lacrime che erano uscite ed entrò dentro casa, togliendosi le scarpe. Si diresse verso la scala, ma fu bloccata da un suono dolce, proveniente da una stanza laterale. Il suono di un pianoforte.
Nella stanza, Jack era al pianoforte e suonava una canzone lenta e rilassante. Non volendo interrompere il momento, Gwen si appoggiò alla porta e lo guardò attentamente. Le mani erano lunghe e sottili, proprio adatte a suonare il pianoforte. Alcune vene sporgevano sulla pelle abbronzata del collo tese. Le gambe erano distese e rilassate e gli occhi socchiusi, come liberando la mente tra le delicate note. Poi si bloccò all’improvviso, frantumando la calma e l’equilibro creatosi e rendendosi conto della presenza di Gwen.
La guardò negli occhi, sorpreso di trovarla lì.

«Gwen» disse piano «Stai bene?» Jack si alzò dallo sgabello e si avvicinò lentamente.
Gwen intanto cercava le parole giuste da dire per non sembrare inquietante.
«Oh, si, si, sto bene» rispose «Non riesco a prendere sonno, tutto qui»
«Nemmeno tu?» disse sorridendo. Oramai si trovava a qualche passo dalla ragazza «Nessuno di noi riesce a dormire, veramente »
«Non si dorme con semplicità dopo avvenimenti del genere» ribattè Gwen con una punta di disprezzo.
«Tu hai paura?» chiese Jack a bruciapelo.
Gwen rimase di sasso, con la bocca aperta, riflettendo su quanto sapesse il figlio di Apollo sulla maledizione. Se sapeva qualcosa, era in pericolo. Più lui che lei.

«Si» rispose a denti stretti «Ho paura»




 

Angolo dell'autrice yo!

Here I am gente. In questo capitolo sono stata più 'dolce' (se posso essere dolce). Ho messo molti Mayan, ma pochi Gwack e Scabbie (che poverini, ho fatto litigare, singh).
Anyway spero che restiate con me e continuiate a leggere

 
   
 
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