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Autore: Jiulia Duchannes    09/09/2014    6 recensioni
PARINGS: LEONETTA-MARCESCA-DIECESCA-NAXI-FEDEMILLA-DIEGHETTA accenni PANGIE
Introduzione modificata.
C'era Diego, che voleva solo l'amore di suo padre e la gloria.
C'era Violetta che si mascherava da puttana, e non lo era.
C'era Leon che aveva gli occhi spenti.
C'era Francesca che con la sua dolcezza si faceva amare da tutti.
C'era Marco che era troppo perfetto.
C'era Maxi che sorrideva per finta.
C'era Ludmilla con le gambe troppo magre.
C'era Federico che faceva lo stronzo.
C'era Nata con le felpe larghe.
C'era Camilla con il rossetto nero.
Una setta di cacciatori di streghe, un padre che non sa amare, un collegio, dieci ragazzi, tre streghe, potere, gloria, onore, amore amicizia, odio, segreti, demoni, occhi spenti, cuori chiusi e sorrisi finti.
WITCHES HUNTER.
Dal testo.
-Non mi importa più, di lui, della setta, della gloria. Siete la mia famiglia, combatterò, con voi-Disse Diego con decisione.
-E lo uccideresti, se fosse necessario?-Chiese sospettosa Camilla, fissandolo negli occhi, che sembravano bruciare di una nuova energia, di un nuovo fuoco, di vendetta.
-Morirei, se fosse necessario-
E tutti lo sapevano in quella stanza, che sarebbe potuto succedere.
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10

Diego Dominguez camminava per la strada, con le mani nelle tasche del giubbotto grigio per proteggerle dal freddo invernale, che sembrava maggiore quel giorno, e lo sguardo fisso davanti a se. Era assente, Diego, incredibilmente pensieroso, cupo.

Gruppetti di ragazzine, e donne mature, lo guardavano, le più timide con la coda dell’occhio, le altre si voltavano totalmente sperando di ricevere un occhiata da quel bel giovane, di essere notate da lui.

Perché in quel momento sembrava veramente uno di quei protagonisti dei film romantici, o delle saghe di libri, misterioso ed incredibilmente triste. Aveva l’aria di chi ha bisogno d’amore, per sorridere, ed ogni individuo di sesso femminile lo incrociasse per la strada voleva essere la causa della sua felicità, per pena o per fantasie adolescenziali, o forse per l’incredibile voglia di una storia epica, fiabesca, che tutti noi, infondo, abbiamo

Ma Diego, se ci fosse stata , non avrebbe notato nemmeno Francesca, la causa di ogni suo bene, e della maggior parte delle cose pessime che gli accadevano da quando l’aveva conosciuta.


Ora la sua mente era proiettata  sul mondo di tenebre che aveva cercato di ripudiare negli ultimi mesi, sulle famiglia che odiava, sulla missione che non aveva concluso, sulla gloria che non voleva più e sul padre che continuava a desiderare così intensamente.

Era impegnata nel mondo dei Witches Hunter.

Perché suo padre lo aveva chiamato, senza un motivo, con voce allegra, forse affettuosa, una voce che non s’addiceva affatto a lui, chiedendogli di vedersi.

Gli mancava il suo Dieguito, aveva detto.

Diego ci aveva creduto, o almeno aveva finto di crederci, dentro di se sapeva che c’era un secondo fine, ne era sicuro. Conosceva sua padre meglio di quanto conoscesse se stesso.

L’unica ipostesi che riusciva a formulare, e che avesse un minimo di senso, era che Juan avesse brutte notizie per lui, perché quelle belle non le aveva mai festeggiate personalmente con Diego, che avrebbero peggiorato la sua vita, rendendola ancora più inutile.

Più inutile, più terribile, di quanto non lo fosse  dal bacio con l’italiana.

Il suo sogno.

Il suo incubo peggiore.

Il suo peccato.

La sua colpa.

Il suo tradimento.

Il motivo dell’improvviso allontanamento della ragazza.

La  Comello non faceva altro che incolparlo del dolore suo, e di Marco, come se lei non avesse partecipato a quel bacio, che invece aveva risposto con trasporto inaspettato.

Diego, se la ricordava bene, la passione di Francesca, e le mani piccole sul suo corpo, che lo avvicinavano a se, e le labbra che giocavano con le sue, e le loro lingue che si stuzzicavano, e l’odore di lei su i lui, e il cuore che batteva, e il respiro accelerato, e quel suo sorriso, che più vero non glielo aveva mai visto, che più bello non c’era mai stato, che più spontaneo non avrebbe potuto essere.

Non parlava più con lui,  non cercava incontrare i suoi occhi, e se lo faceva rivolgeva una sguardo duro, e pieno d’astio, forse odio, derivato dall’amore, certo, ma pur sempre un odio, che lo spagnolo sentiva di non meritare.
Perché non era certo colpa sua se si erano baciati, se Ponce de Leon li aveva visti, e se Francesca voleva entrambi.

Era colpa del destino, oppure di un Cupido alquanto stronzo che amava veder soffrire la gente.  

Marco da parte sua si era chiuso in camera loro, e ne usciva solo per la scuola, costringendo Diego a dormire in salone, dove riceveva le occhiate infuriate di tutti i suoi coinquilini, e la depressione lo divorava dentro.

Però lui era diverso dal sui compagno di stanza, lui non faceva pesare la cosa a nessuno, lui la nascondeva la tristezza, e solo se lo guardavi negli occhi, in quei suoi occhi così belli, e particolari, e puri, che non riuscivano a nascondere i suoi turbamenti, ti accorgevi che stava male. Veramente.

Ma Francesca era accecata dall’odio, e dall’amore, e Violetta troppo impegnata con Leon, e Leon troppo appiccicato a Federico, e Federico troppo impegnato con Ludmilla e Ludmilla troppo innamorata di Federico, e Nata troppo timida e Maxi troppo felice, e Camilla troppo, stranamente, amica di Marco, e Marco troppo egoista.

E nessuno riusciva ad accorgersi di niente, di lui.

E rimaneva solo, di notte, con quella coperta addosso, gli occhi chiusi per trattenere le lacrime, e gli incubi sempre presenti, e la solitudine e divorarlo da dentro, ed il senso di vuoto a consumarlo, e l’incredibile voglia di scappare via, da tutto e tutti.
 
Non sapeva come si fosse ridotto così,Diego, lui che fino a qualche mese  prima era così duro, e forte, ed incredibilmente menefreghista.

Tutta colpa di una ragazza, che ora, dopo avergli spezzato il cuore innumerevoli volte, averlo illuso, poi baciato, e poi odiato, aveva smesso di considerarlo per riacquistare la fiducia del suo ex, che, per tutti, era l’unica vittima di quella assurda situazione che sembrava essere destinata a finire male.

Si fermò ed alzò il capo.

Osservò con gli occhi verdi socchiusi l’enorme palazzo a vetrate, che sembrava contenere uffici, e nessuno avrebbe immaginato essere sede di una setta.

Il ragazzo tremava, impaurito di riaprire il capitolo della sua vita che aveva involontariamente chiuso, me che lo rendeva sicuramente più felice della sua nuova vita, allo Studio. Perché  nella setta le donne lo amavano, gli amici, seppur finti, lo facevano svagare, ed il suo cognome gli dava una certa importanza ,e nonostante non fosse altro che l’ombra di suo padre, aveva ogni cosa desiderasse, a parte un rispetto vero, e non dovuto solo dalla minaccia di Juan Dominguez.

Si fece coraggio, e deglutendo rumorosamente, entrò.
 Nell’ atrio le guardie, riconoscendolo, si lanciarono uno sguardo sorpreso, poi, lo fecero passare senza accennare un saluto o altro.
Entrò nell’ascensore affollato, dove le occhiate che riceveva lo mettevano a disagio, forse intimorivano, cosa che prima non era mai accaduta.
 
Quando finalmente raggiunse il decimo piano uscì, e già i bisbigli degli impiegati si fecero più forti, meno impauriti, più discussivi.

Bussò alla porta in mogano dell’ ufficio di suo padre.
-Avanti- La voce di Juan Dominguez era roca, e fredda, che quasi non sembrava umana.
Il giovane Dominguez aprì la porta, cercando di mettere da parte i timori ed i sentimenti e mostrarsi lo stesso egocentrico, spavaldo Diego di sempre.

L’ufficio di Juan era esattamente come il figlio lo ricordava. Le pareti bianche abbellite da foto dell’uomo, quando era ancora giovane e vigoroso, assieme a sua moglie Adriana, anch’essa bella, giovane, dai capelli biondi ed i lucenti occhi verdi, identici a quelli di Diego,  morta  quando il giovane era ancora bambino, e con il figlio prediletto Rodrigo, che mai aveva conosciuto, perché ucciso all’età di 15 anni in uno scontro tra sette, quando Diego non era altro che un neonato.

Era perfetto Rodrigo, con i capelli biondi come quelli di Juan, un tempo, i lineamenti delicati della madre, gli occhi azzurri del nonno ed il temperamento che era sempre mancato a Diego, quello di un vero Dominguez.

Si guardò attorno, e si sentì schiacciare dalla tristezza nel notare ancora una volta, come non ci fosse traccia di lui nell’ufficio. Come  non valesse ancora nulla per l’ uomo che amava ed odiava tanto contemporaneamente.
-Cosa c’è papà?-Chiese finalmente il ragazzo, sedendosi sulla poltrona in pelle.
-Raccontami della tua missione mio caro- Disse Juan, voltandosi verso il figlio, con un tono più affettuoso di quanto non fosse mai stato, un sigaro tra le labbra, i capelli bianchi, le rughe a segnare il volto, e gli occhi scuri ancora vispi, vivi e crudeli.
-Non c’è molto da raccontare. Non ho ancora scoperto niente-Mentì il giovane abbassando il capo e fissando le proprie mani.

-Oh Diego non essere modesto. Degli informatori mi hanno raccontato che hai scovato ben tre streghe, tutte candidate ad essere supreme tra l’altro- Esclamò con finto orgoglio l’uomo.
Diego scosse il capo-Non è vero-
-Oh figliolo so anche che hai fraternizzato con loro. Piano geniale direi, fingersi amico e poi tradirle, umiliandole oltre che uccidendole. Un piano degno di un Witches Hunter- Replicò Juan.
-Io…Ho bisogno ancora di tempo, per ucciderle intendo, qualche mese, sai vorrei si fidassero completamente di me- Cercò di temporeggiare Diego, mentre la paura prendeva il sopravvento.

-No, Diego, i tempi sono maturi ormai.  Attaccheremo quel collegio, ed uccideremo chiunque si metta in mezzo, umano o strega che sia, chiunque. Uccidere la prossima suprema potrebbe essere la chiave per la vittoria finale-Esclamò con fervore, ed un inquietante sorriso sulle labbra, il capo della setta.
-NO!-Gridò Diego impaurito. Perché non poteva uccidere i suoi amici, nonostante lo trattassero come un cane, ed ultimamente fossero il motivo della sua depressione, loro erano la cosa più vicina ad una famiglia che aveva.
-Perché no Diego? Forse perché tieni veramente a quei diavoli e a quegli insulsi ragazzini?!-Strillò irato l’uomo sbattendo i pugni sul tavolo davanti a lui, rosso in viso. E Diego capì, che sapeva tutto, dall’inizio.
-Si, si tengo a loro perché loro mi hanno dato affetto cosa che tu non hai mai fatto! Tu non puoi ucciderli, non te lo permetterò – Replicò il giovane mentre la rabbia trattenuta per  anni e la disperazione prendevano il sopravvento in lui.
-Tu non meriti il mio affetto, come non lo meritava quella puttana di tua madre! Tu non sei mio figlio, tu non sei Rodrigo, tu non sei un Domiguez, tu sei frutto di un tradimento-Sussurrò con voce piena di veleno l’uomo.-E poi tu, piccolo vermiciattolo, non potrai impedirmi nulla, tu, che nemmeno sei capace di uccidere una strega, come potresti uccidere l’uomo che t’ha cresciuto?- Continuò spegnendo il sigaro, e ridacchiando crudelmente, beffandosi di una verità che Diego conosceva fin troppo bene.

Diego aprì la bocca scioccato, gli occhi che minacciavano di rilasciare le lacrime troppo trattenute, il cervello che cercava di assimilare la notizia, che suo padre gli aveva appena dato.

Lui non era figlio di Juan.

Ed ora si spiegava tutto. Ogni singola cosa, Ogni singolo avvenimento della sua vita.
Gli abbracci non dati, le parole mai dette, gli sguardi di rimprovero, l’astio, la morte misteriosa di sua madre. Tutto.

-Hai ucciso mia madre vero?-Chiese il giovane Dominguez dopo qualche secondo, la voce tremante, spezzata dal dolore, dolore che mai credeva potesse provare, ma che era reale, così reale da sembrare finto.
-Lo meritava- Rispose freddamente il padre -Come lo meriti tu, le streghe e i tuoi amici. Hai segnato la vostra condanna a morte. Ed ora va. Non ti ucciderò qui, disarmato, e debole più che mai. Sul campo di battaglia porrò fine alla tua misera ed inutile vita-

Diego, con le lacrime ormai a solcare le guance, se ne andò senza voltarsi per paura di una attacco alle spalle.
Le gambe che sembravano più pesanti, ora, il cervello annebbiato, il cuore distrutto, totalmente.
Sentì due braccia magra sulla sua vita, il profumo di vaniglia inondarlo, una massa di capelli rossicci solleticare il suo collo.
Abbassò lo sguardo verso  la ragazza che lo abbracciava.
Era Zara Llort, giovane figlia del braccio destro di suo padre, l’unica amica che avesse
avuto per anni.
-Zara-Sussurrò incredulo Diego.
-Attaccheranno domani. Stai attento Dominguez, non morire, ho bisogno di te- Gli bisbigliò all’orecchio.
-Non lo farò. Grazie Llort- Ridacchiò, piangendo nello stesso tempo, scompigliando la chioma riccioluta della sua amica, che lo fissò con quei grandi occhioni azzurri lucidi di lacrime, e, con dolcezza, gli posò un bacio a stampo, che aspettava da anni, sulle labbra, sporcandole di rossetto rosso.
Poi scappò via, mentre Diego la fissava, sorridendo, perché lui voleva bene, veramente, a Zara.
 

Federico ascoltava la lezione di Angie, seduto sul uno dei cubi colorati della sala, con le mani al di sotto del capo, come per sostenerlo, senza prestare attenzione.
La trovava incredibilmente noiosa, quel giorno, forse a causa dell’assenza di Diego, che, seppur nessuno ci facesse molto caso, ravvivava anche le più noiose ora di teoria con le sue battutine.
Forse, e più probabilmente, a causa della stanchezza, ben visibile dalle occhiaie, della loro insegnante,  che, oltre che distrutta, aveva l’aria vagamente triste.
Il perché gli sarebbe piaciuto saperlo, e probabilmente lo avrebbe chiesto a Camilla più tardi.
Oramai c’era dentro fino al midollo in quella storia della streghe,e voleva anche sfruttarne i vantaggi.
Osservando con attenzione la sua prof,  Federico si ritrovò a pensare che forse quello fosse un periodo della tristezza mondiale, perché di felice, lui, non vedeva nessuno da giorni.
Diego, Francesca e Marco, ne erano usciti tutti e tre male da quella storia del bacio, finendo per separarsi totalmente, e procurarsi più dolore.
Violetta, nonostante la sua storia con Leon andasse a gonfie vele, si era lasciata contagiare dalla disperazione di Vargas, dovuta ai sensi di colpa per la morte del suo migliore amico.

Ludmilla, era tremendamente appiccicosa ed impaurita dall’eventualità di perdere il suo ragazzo, ancora una volta.
Nata sembrava essere stanca della sua amicizia con Maxi, e cercare di portarla ad uno stadio più alto, d’altra parte il rapper sembrava voler evitare ciò.
Camilla, invece, non era cambiata particolarmente, lei, la tristezza ce l’aveva avuta dentro dall’inizio dell’anno, ma ora, sembrava più evidente nel contorno assolutamente surreale e depresso che la circondava.
Pasquarelli sospirò pesantemente scrollando la spalla in modo da svegliare la ragazza dai lunghi boccoli d’oro che si stava lentamente addormentando su di lui.
Anche Federico avrebbe voluto dormire, ma, se doveva essere sincero, aveva una terribile paura di chiudere gli occhi. Paura di non riaprirli più.
Perché se era successo una volta poteva succedere ancora giusto?

Della sua morte, avvenuta circa una settimana prima, il ragazzo, ricordava ogni singolo istante, e forse era quella la cosa peggiore.
Non era stato un semplice chiudere gli occhi e lasciarsi andare, era stato molto di più.
Un processo lungo e allo stesso tempo troppo rapido, che non lasciava tempo per saluti e scuse, ma che permetteva di soffrire.

Ricordava la perdita lenta, eppure a detta degli altri che lo avevano trovato, estremamente veloce, dei sensi.
Ricordava la debolezza, i giramenti di testa, la sensazione tremenda dell’aria che non arriva ai polmoni, la droga nel sangue, ed il buio, un grande ed immenso vuoto in cui non c’era niente, assolutamente nulla.
Non c’era affatto un “qualcosa” dopo la morte, Federico lo sapeva per esperienza, solo un incredibile vuoto, non un paradiso, o un inferno, non un'altra vita. Il nulla.

Ma quando Ludmilla glielo chiedeva, come era stato dopo,  lui rispondeva sempre che non aveva fatto in tempo a scoprirlo, che non aveva potuto in ogni caso raggiungere l’altro mondo, perché Violetta lo aveva riportato subito in vita.
Non voleva che Ludmilla sapesse la verità, e che fosse spaventata dalla morte,e che si deprimesse più di quanto non lo fosse già.

E da una parte, anche lui, voleva credere alle sue stesse parole.

Da quando era tornato in vita si era ripromesso di viverla a pieno, di essere felice, di sfruttare ogni singolo istante per i suoi progetti, per se stesso, di smettere di perdere tempo inutile con la droga.
Ma si era ritrovato a dover fare da babysitter alla sua fidanzata, ed aiutare la ragazza del suo migliore amico a far passare i suoi assurdi sensi di colpa.
Perche Leon, Dio, non aveva nessuna colpa. Voleva solo aiutarlo.
La colpa era di Federico, che aveva esagerato con la dose, sua e di nessun’ altro.
Tanto meno non era di Ludmilla.
Ne era uscita distrutta, la Ferro, dalla sua morte.
I sensi di colpa che la schiacciavano.
La paura di perderlo.
Il ricordo del suo corpo freddo ed inerme.
Gli incubi ricorrenti.
Era questo ciò che viveva quotidianamente, nonostante l’italiano  non facesse altro che rassicurarla, ciò che aveva visto era troppo atroce per essere dimenticato.
 



Marco prese la mano di Camilla nella sua, e lei gli sorrise.
Si sentiva stupida, ad essere amica sua, ma non ci poteva fare nulla, le era entrato nel cuore Ponce de Leon.
Era cominciato tutto con qualche chiacchierata disinteressata, nei momenti in cui la Torres portava al giovane il cibo, perché lui si rifiutava di cenare con gli altri e lei era l’unica che lasciasse entrare,  lei non faceva domande e non tentava di consolarlo, e a Marco andava bene così.
E poi, senza che nessuno lo volesse, o provasse, quel rapporto così superficiale si era trasformato lentamente in un amicizia, strana, è vero, e forse falsa, forse dovuta alla solitudine di entrambi, ma pur sempre un amicizia, la prima che Camilla avesse, da anni.
Il ragazzo, forse, era riuscito a smuoverla da quel suo stato di indifferenza totale, perché le ricordava terribilmente come era lei, prima.
Dolce, innocente, buona dentro, incapace di ribellarsi.
Marco le aveva confessato tutto quello che avrebbe voluto fare,con voce sognate ad assolutamente deprimente.
La voce di chi, il coraggio per fuggire via, per allontanarsi da chiunque, per cambiare,
non ce lo avrà mai.
Anche Camilla quel coraggio non ce lo aveva, solo i poteri, glielo avevano conferito.
Ma Marco non aveva poteri, non aveva speranze, perciò a Camilla piaceva rassicurarlo, come una madre, o forse una sorella maggiore, dicendogli che sarebbero fuggiti insieme, un giorno di quelli, che gli avrebbe insegnato l’arte della stronzaggine, del menefreghismo e della sete di potere.
La verità è che ogni parola della ragazza non era altro che una bugia, perché lei non poteva scappare, perché per quanto lo volesse far credere non era così forte, ed era troppo sottomessa al consiglio magico, alla sua missione, che anche se ormai conclusa veniva ritenuta aperta, troppo smaniosa di essere eletta Suprema, per andarsene veramente.

Però, la strega, di questo, non riusciva ad accorgersene.

Così si illudeva, ed illudeva il suo amico, di sogni irrealizzabili, e speranze false, ma andava bene così, finchè si riusciva a stare un po’ meglio.
 


Pablo piangeva.

Pablo gridava e nessuno lo sentiva.

Pablo teneva in mano una scatolina, così comune alla vista, così letale per lui.

Pablo pregava.

Pablo si faceva forza, anche se di forse non ne aveva.

Pablo non riusciva a respirare.

Pablo si sentiva debole.

Pablo sussurrava parole a caso, ora.

Pablo pensava ad Angie.

Pablo chiudeva gli occhi.

Pablo moriva.

Senza un perché.

Solo stanchezza.

Solo stress.

Solo un inspiegabile e mai avuta voglia di lasciarsi andare.

Solo amore.

Solo odio.

Solo noia della vita.

Solo solitudine, credo.

Nemmeno io in realtà vi so spiegare perché lo fece, forse era tutto architettato.

Forse era destino, fato, non una scelta.

Forse se uno viveva qualcun altro doveva morire.

Anche lui con la morfina tra le mani.

Senza nessuno che giungesse immediatamente.

Che lo salvasse.

E lo scuotesse dal suo sonno eterno.

Solo.

Ange si diede la colpa, quando trovarono il suo amico, senza vita.

Perché era accaduto dopo il loro ennesimo litigio.

Il suo ennesimo rifiuto.

E questa volta non aveva accettato Pablo.

Ed era morto.

Ed era colpa sua.

Colpa di Angie.

Colpa dell’amore.
 
 


Arrivò a casa nel pomeriggio Diego.
L’aria sconvolta.
I suoi amici lo osservarono per qualche istante, poi ripresero le loro mansioni giornaliere.
-Vi devo parlare. A tutti-Proferì.

Spiegò la situazione, senza che nessuno lo interrompesse, gli occhi fissi su di lui, le espressioni sconvolte di chi non immaginava nulla di tutto ciò.

-Perché ce lo hai detto?-Chiese Ludmilla stupita.
-Non sono un mostro io, non son come loro-Rispose sorridendo a Violetta che gli stringeva la mano, con dolcezza.
-Cosa farai ora?-Sussurrò con voce roca e ammirata Marco, che non immaginava un aspetto così nobile del suo coinquilino, che ora acquistava un minimo della sua simpatia, e forse del suo rispetto.
-Combatterò-Scosse le spalle ovviamente.
-Sul serio?-Replicò impaurita Francesca, mentre l’impulso di correre da lui e abbracciarlo si faceva sempre più forte.
-Non mi importa più, di lui, della setta, della gloria. Siete la mia famiglia, combatterò, con voi-Disse Diego con decisione.

-E lo, uccideresti,Juan, se fosse necessario?-Chiese sospettosa Camilla, fissandolo negli occhi, che sembravano bruciare di una nuova energia, di un nuovo fuoco, di vendetta.
-Morirei, se fosse necessario-
E tutti lo sapevano in quella stanza, che sarebbe potuto succedere.


ANGOLO AUTRICE
hey vi sono mancata? scusate il ritardo ma scrivere il capitolo è stato un parto vero e proprio.
Allora inizio con il dire che manca poco alla fine tre capitoli, e vorrei arrivare a più di 70 recensioni in totale alla fine della storia per entrare non solo nei più popolari per più preferiti, in cui sono già con 27 preferiti, ma anche per il numero di recensioni.
Comunque parliamo del capitolo.
Diego socpre di non essere il figlio di Juan, che intanto decide di attaccare le streghe, qui rincontra una vecchia amica, che non sarevirà a nulla nella storia, solo a dare l'idea che diego abbia avuto una vita prima della nostra storia.
poi c'è Federico che riflette sulla sua morte, e Camilla che diventa amica di marco.
Infine il suicidio di Pablo, odiatemi, ma per me DOVEVA finire così, non immaginavo altro finale per lui, inoltre penso che ci sia un ordine delle cose per cui se uno vivev uno deve morire.
Infine i ragazzi si alleano per la battaglia.
Ora vi saluto.
Baci a tutti e grazie per seguirmi sempre. Vi amo, veramente
  
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